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Autore: Zobeyde    24/07/2022    3 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DEVIAZIONE

 



Quella mattina, Solomon si svegliò prima dell’alba, dopo l’ennesima notte insonne.
Rimase a fissare la copertura di velluto del letto a baldacchino, un tempo di uno sfarzoso color porpora e ormai logora e corrosa dai tarli, ma poi un violento attacco di tosse lo costrinse ad annaspare finché le sue dita non strinsero la boccetta contenente Materia Vuota.
Era un declino inevitabile. Più il tempo scorreva, avvicinandolo giorno dopo giorno al ciglio del baratro, più sentiva di star perdendo il controllo sul proprio corpo. Non che ne fosse sorpreso: era invecchiato e stava morendo. E soprattutto, era stanco.
Tuttavia, non lasciò che questi pensieri compromettessero la sua routine: fece un bagno, si rase e indossò un completo da giorno pied-de-poule con giacca a doppio petto stretta in vita, che accompagnò a una pochette di seta bianca infilata nel taschino. Aveva sempre avuto un debole per gli abiti di sartoria ben confezionati, per i tessuti di pregio e i tagli di qualità.
Lo aveva imparato da suo padre: sin da bambino, lo aveva spiato mentre si rimirava allo specchio con l’espressione perennemente insoddisfatta, attorniato da uno stuolo di sarti Mancanti.
La sua famiglia era vissuta circondata dal lusso per generazioni, ma per un mago era un aspetto del tutto irrilevante: che valore possedeva uno stemma nobiliare inciso sulla facciata di un antico maniero avvolto nelle nebbie dello Shropshire? Che significato avevano le opere d’arte, i cavalli e i cani da caccia e le frotte di servitori ossequiosi in confronto al prestigio di Arcanta? Cos’era tutto questo rispetto al vero potere?
Lo aveva inseguito tutta la vita, spinto da una fame insaziabile, dallo spettro di quell’eterna insoddisfazione dipinta sul volto di Alastor Blake ogni volta che lo guardava; dal desiderio, covato negli anni, di dimostrare al mondo e ad Arcanta di essere il migliore. Migliore di suo padre, migliore dei suoi antenati. Migliore di Jonathan.
Solomon si concesse un breve istante per osservare l’immagine che la specchiera da toeletta gli restituiva. Anche lui, in un passato ormai lontano, aveva indugiato un tempo esageratamente lungo a contemplarsi allo specchio, compiacendosi di ciò che vi leggeva: l’immagine del potere, della giovinezza e dell’arroganza, di tutte le infinite possibilità che lo studio della magia e la lunghissima vita che lo attendeva avevano ancora da offrirgli.
E cosa vedeva ora in quello specchio? Cosa era rimasto dei suoi gloriosi propositi? Rovina e desolazione. E una lunga scia di sangue dietro di lui, che non era mai riuscito a cancellare...
Finora.
Si aggrappò a quella convinzione con tutte le forze, come ogni giorno da quando era giunto a New Orleans, da quando aveva trovato Jim Doherty e la possibilità di ottenere la sua redenzione.
La casa era straordinariamente silenziosa. Un vento di tempesta spirava da sud, facendo gemere gli infissi delle vecchie finestre e ondeggiare le chiome delle querce nel parco.
Si meravigliò quando, entrato in sala da pranzo, non trovò la tavola apparecchiata per la colazione: da quando era al suo servizio, Valdar non aveva mai mancato di ottemperare ai suoi compiti. Girovagò per le sale, finché alle sue orecchie giunse un sonoro russare: l’orco era accasciato in una poltrona del salotto, profondamente addormentato. Intuì subito che non fosse una condizione normale dalla tazzina da té rovesciata sul tappeto e un nodo di inquietudine gli si formò tra le costole.
Jim.
Come c’era da aspettarsi, non era in camera sua, ma in compenso trovò il letto intatto e l’armadio svuotato dai vestiti.
La sua preoccupazione aumentò di secondo in secondo mentre ispezionava ogni stanza, finché non aprì le porte della biblioteca: il ragazzo era là, il gomito poggiato sul tavolo più vicino alla finestra e lo sguardo rivolto all’esterno.
Per un lungo momento, nella stanza regnò il silenzio, rotto solo dal sibilare del vento e dal ticchettio della pendola affissa al muro.
«Il giorno in cui lasciai la fattoria non avevo litigato con mio padre» esordì Jim, senza un preambolo. «Per anni ho creduto di sì, invece adesso ricordo tutto: era arrivato il circo in città e lui aveva deciso di portarmi ad assistere alla parata. Mi mise a cavalcioni sulle sue spalle per farmi vedere meglio i trampolieri, i mangiafuoco e i cavalli. Fui deluso che non ci fossero gli elefanti, ma all’epoca non potevo sapere quanto costasse mantenerne uno. La mattina andammo a visitare il serraglio, mi fece fare un giro su un pony e mi comprò lo zucchero filato. Non eravamo così felici da tanto tempo, forse da prima della morte della mamma.»
Solomon ascoltò in silenzio, l’orologio stretto nel pugno. Quando parlò, la sua voce suonò calma. «Quindi, adesso ricordi?»
«Oh, sì. Ricordo perfettamente. Ricordo che verso sera, sulla strada per la fattoria, ci imbattemmo in un uomo. Diceva di conoscere la mamma, ma papà non fu contento di vederlo. Mi disse di rimanere sul furgone e sfrecciò per la strada come un matto. Il motore però si ruppe improvvisamente e così cominciammo a scappare a piedi.»
Il nodo gelido in mezzo al petto dello stregone si espanse, ma si sforzò di non darlo a vedere. «Poi cosa accadde?»
Jim incrociò le braccia sul tavolo, fissando qualcosa di fronte a sé con espressione corrucciata. «Arrivammo alla fattoria. Mio padre prese il fucile dal capanno, mentre io mi nascosi tra i covoni di paglia. Ma l’uomo ci aveva già raggiunti da un pezzo.» Lentamente, sollevò lo sguardo e incrociò i suoi occhi. «Quell’uomo era lei, signor Blake.»
Dal suo trespolo, Wiglaf emise un lugubre stridio. Solomon sentì la gola stringersi. «Jim, ascolta...»
«Ci ha attaccati.»
«Non è come credi...»
«Ha scaraventato mio padre contro una parete» proseguì il ragazzo in un sibilo. «Gli avrà come minimo procurato una commozione celebrale.»
«Non ho avuto scelta.»
Vide il fuoco divampare nei suoi occhi, violento e incontrollato.
«Sì che ce l’aveva una scelta!» gridò, scattando in piedi. «Lei ha i poteri, mio padre no. Come ha potuto pensare anche solo per un istante che fosse uno scontro alla pari?»
«Non ti avrebbe mai lasciato venire via con me» disse Solomon con voce rauca. «Questo lo avrebbe esposto a un pericolo ben peggiore...»
«Avrebbe potuto addormentarlo!»
«Ti assicuro che non è semplice prendere decisioni ragionevoli con tre pallottole nel torace» replicò Solomon, stavolta in tono leggermente piccato. «Capisco che tu sia sconvolto...»
«Prima ero sconvolto. Ora sono piuttosto incazzato.»
«Ma non eravate al sicuro ad Avalon» continuò Solomon. «Tua madre si era ribellata agli Zeloti, aveva usato le sue ultime forze per lanciare un incantesimo di protezione sulla fattoria, ma negli anni la barriera era diventata fragile: Tom non sarebbe sopravvissuto a un attacco e loro non si sarebbero limitati a tramortirlo, lo avrebbero ammazzato senza pietà, davanti ai tuoi occhi.»
Jim scosse piano la testa, continuando a fissarlo. Poi, scoppiò in una breve risata che non aveva nulla di allegro.
«Sa qual è la cosa peggiore? Per tutto questo tempo ho pensato di essere io il responsabile, di aver causato una tragedia e lei me lo ha lasciato credere!»
Solomon serrò le labbra, per la prima volta in vita sua a corto di risposte; qualsiasi giustificazione la sua bocca avesse partorito sarebbe suonata comunque inappropriata.
«Avevo bisogno che ti fidassi di me» ammise infine, con rammarico. «Non avrei mai voluto farti soffrire, Jim...»
«Stronzate!» urlò lui. «A lei non è mai importato niente di me! L’essenziale era che la aiutassi a compiere quel cazzo di rituale, a qualunque costo!»
«Mi dispiace» riuscì a dire Solomon, con enorme fatica. «Avrei voluto che ci fosse un altro modo.»
Jim lo guardò con disprezzo. «Cazzo, è proprio vero che ha imparato tutto da lei.»
«Chi..?»
«Lucindra» ringhiò Jim. «O Lucia... o come accidenti la chiamava!»
Solomon sbiancò, mentre il senso di colpa veniva divorato dal panico. «Sei andato a cercarla? Da solo, nel Vuoto? Come hai potuto fare una cosa tanto sconsiderata!?»
«Perché avevo bisogno di sapere!» sbottò Jim, furente. «E adesso so tutto: che era sua allieva, dei vostri esperimenti sul Vuoto, del piano per rovesciare Arcanta. Di come alla fine lei l’abbia tradita permettendo ai Decani di portarle via Caliban. E vuole ancora farmi credere di essere il “buono” della situazione?»
Solomon contrasse le dita attorno all’orologio con tale forza che vide le nocche perdere colore.
«Questo non l’ho mai pensato. Non ho il potere di cancellare il passato, gli errori che ho commesso con Lucia. Lei per me era importante, credimi. Eravamo collaboratori, amici e…»
«Amanti?»
Lui sospirò e annuì. «Per molto tempo abbiamo avuto l’un l’altra e basta: eravamo soli, in un mondo che reputavamo deludente, circondati dalla mediocrità. E questo ha fatto sì che lei vedesse in me aspetti che nemmeno io conoscevo.»
«O forse, l’ha vista per ciò che è realmente» ribatté Jim, freddo.
«È possibile» mormorò lui. «L’ho condotta verso l’Oscurità, ma non farò lo stesso con te: ti sto proteggendo dai Decani e dagli Zeloti e per quanto mi è stato possibile ho esteso questa protezione ai tuoi amici del circo. Ti ho insegnato a combattere, a rafforzare la tua Volontà ed è grazie a questo se finora hai resistito al richiamo del Vuoto. Ho messo a repentaglio il mio onore, la mia vita e quella di Alycia perché ho scelto di credere in te. Perciò, per quanto mi disprezzi, ho bisogno che adesso tu faccia altrettanto.»
Jim ricambiò lo sguardo con espressione torva.
«Be’ sono spiacente di doverle dare una delusione: anche se ha ottenuto un Plasmavuoto, il suo piano è irrealizzabile.»
«Di cosa stai parlando?»
«Lei che sa tutto non sa questo?» Le labbra di Jim accennarono un sorriso sghembo. «Lucindra ha anticipato le sue mosse dal principio: nel momento stesso in cui apriremo il portale mi userà per evocare il Vuoto sulla Terra.»
Solomon lo ascoltava, ma non riusciva a realizzare cosa stesse dicendo. «No, questo è impossibile.»
«Ha creato la sua nemesi perfetta e si meraviglia di essere stato battuto al suo stesso gioco?»
«Lucia non ha i mezzi per compiere una cosa del genere!» ribatté Solomon, ma avrebbe voluto che la sua voce suonasse più convinta. «Non senza il Corpus Vacui di Farabi ed è stato distrutto anni fa...!»
«Non ha pensato che forse la sta sottovalutando?» obiettò il ragazzo, che sembrava trarre una certa soddisfazione nel vederlo così pieno di incertezze. Lui, che era l’arroganza fatta a persona. «Ho visto con i miei occhi di cosa è capace e mi creda, non c’è niente che lei possa fare per fermarla. Sacrificherà i Mancanti, tutti i Mancanti, dal primo all’ultimo. Oh, ma questo già lo sa, no? Dopotutto, era il suo progetto!»
«Erano solo teorie» disse Solomon nervosamente. «È vero, Lucia e io stavamo cercando un incantesimo che riportasse la magia nel mondo...ma una volta scoperto quale prezzo fosse richiesto rinunciai all’idea...»
«Evidentemente, lei non ci ha rinunciato.»
Solomon si passò una mano tra i capelli, all’affannosa ricerca di un appiglio, di un barlume di speranza. Si vide di nuovo davanti alla specchiera, vide l’immagine nel riflesso ricoprirsi di crepe, andare in mille pezzi. Il progetto a cui aveva lavorato per anni, l’obiettivo che aveva inseguito con tutto se stesso dalla scomparsa di Isabel era stato spazzato via in un istante...
«Troveremo un modo» disse poi, con tutta la convinzione che riuscì a trovare dentro di sé. «Possiamo affrontarla, Jim, ma è fondamentale che rimaniamo uniti: tu sei più potente di lei, puoi sconfiggerla ma ti occorrerà il mio aiuto...»
«No, invece, non posso» replicò lui, trattenendo un brivido. La sua mano corse a toccare la spalla sinistra, come se avesse ricevuto una fitta. «Ci ho provato e sono vivo per miracolo.»
«Devi avere fiducia in me, se continuiamo a provare...»
Jim assunse un’espressione disgustata. «Rischierebbe sul serio di sacrificare milioni di vite per riavere sua moglie?»
«E quello che io ho sacrificato?» esclamò Solomon, sopraffatto dalla disperazione. «Dopo tutti questi anni, dopo tutto quello che ho fatto, che ho perso!»
Jim lo fissò per un lungo momento, nello sguardo qualcosa di peggio della collera, peggio della delusione: qualcosa di simile alla pietà. «Addio, signor Blake.»
Issò in spalla un grosso zaino che teneva nascosto sotto la sedia e si mosse verso l’uscita, ma Solomon gli si parò davanti.
«Non posso lasciarti andare.»
Wiglaf si alzò in volo, le ali bianche che spostavano l’aria mentre compiva ampi cerchi sulle loro teste. Jim si fermò.
«Me lo impedirà?»
«Sì, se devo.»
Il guizzo di paura che Solomon vide balenare nei suoi occhi lo fece vergognare di sé. «Aveva detto che non mi avrebbe costretto a fare qualcosa contro la mia volontà.»
«Non sono tuo nemico, Jim» rispose Solomon. «Urla, insultami, radi al suolo questa casa se vuoi. Ma per favore, resta.»
Jim chiuse i pugni contro il corpo, e dal ribollire della sua aura, Solomon intuì che in lui stesse infuriando una lotta: desiderava scagliargli contro la propria furia ma, nonostante tutto, sotto le nubi burrascose della collera, c’era un ragazzo ferito che continuava a desiderare solo la sua approvazione.
Ma poi percepì qualcos’altro, qualcosa di viscido e freddo, che dal buio più profondo stava strisciando verso la superficie…
Wiglaf avvertì la minaccia prima di lui. Con un grido, allargò gli artigli e si tuffò in picchiata verso Jim.
Il ragazzo sollevò le mani, Solomon reagì di riflesso.
Gli incantesimi partiti da entrambe le parti si scontrarono con la potenza di due treni in collisione e l’onda d’urto che ne scaturì fece esplodere i vetri di ogni finestra e tremare il pavimento sotto i loro piedi.
Solomon ebbe l’impressione che una barriera invisibile fosse andata in frantumi, lasciandolo allo scoperto, totalmente nudo e indifeso:
 
Un dolore straziante gli toglie il respiro. Ha quattordici anni e il corpo in decomposizione di suo fratello penzola nel vento, appeso per il collo al ramo di un albero...ora è in casa dei suoi genitori, nascosto dentro un ripostiglio; Wiglaf gli tocca le guance salate di lacrime col becco, mentre lui si sforza di trattenere i singhiozzi e cerca di mettere insieme i frammenti di osso del polso, che suo padre gli ha spezzato in uno dei soliti scatti di rabbia. Passano gli anni, così tanti che perde il conto...anni di battaglie e di inganni, sempre per compiacere loro, i Decani. Anni passati ad affinare le sue conoscenze, per dimostrare di essere il migliore. Di essere degno di rispetto e non più solo “l’altro”, l’eterna seconda scelta...
Poi è arrivata Lei, morbidi capelli rossi e una mente brillante...Lei lo capisce, sa cosa significhi sentirsi abbandonati e incompresi...ed è la presunzione di essere destinati a qualcosa di meglio, di essere al di sopra di ogni regola a unirli...ma non possono stare insieme, ci sono altri progetti in serbo per lui...un matrimonio conveniente, una posizione rispettabile, tutto per arrivare a loro, ai Decani, più in alto di quanto qualunque altro Blake si sia spinto...ma c’è una falla nel piano, qualcosa che non aveva previsto: non ha messo in conto di innamorarsi della donna che ha sposato. Di desiderare qualcosa di più del potere, una vita semplice insieme a lei e magari una vera famiglia...il pianto di un bambino...no, una bambina. È sua figlia! Un amore incontenibile lo pervade, non crede di aver mai provato niente di simile. È qualcosa per cui vale la pena vivere e cambiare...sì, vuole davvero cambiare, vuole essere migliore...ma loro non glielo permetteranno...hanno scoperto i suoi piani... sarà condannato a rinunciare a ciò che ama, ora che la sua vita ha finalmente trovato un senso...non può permetterlo. Non può perdere la sua famiglia, anche se gli costerà dover tradire un’amica...
basta!
Un ruggito gli riempì la testa e il flusso di ricordi si arrestò di colpo. Jim fu sbalzato all’indietro e cadde a terra. Gemette e si rimise faticosamente in piedi, ma non appena provò a muoversi, qualcosa lo immobilizzò. Guardò in basso: sul pavimento di legno scintillava un cerchio di rune infuocate di energia azzurra.
«Fammi uscire!» gridò con voce corrosa dalla rabbia, mentre lottava per liberarsi. «Fammi uscire e affrontami, vigliacco!»
«Mi dispiace, Jim» ripeté Solomon le mani sollevate e le dita contratte. Aveva il respiro corto. «È per il tuo bene.»
Il ragazzo sollevò la testa, ansimando forte. La sua vista era colma di oscurità.
«Nessun mortale può imprigionare il Vuoto, Sol.»
Il cuore di Solomon perse un battito. «Lucia...»
Un’Onda oscura si levò dal petto di Jim e si abbatté sul cerchio di rune, soffocandone la luce nelle sue spire. Lo stregone barcollò, sentì l’incantesimo di contenimento spezzarsi.
«No...»
L’Onda rotolò inarrestabile verso di lui; ronzava e crepitava come uno sciame di insetti, zampe e ali che sbattevano fameliche.
Un boato improvviso, un dolore lanciante alla testa. Un lampo di luce bianca. Poi tutto si spense.
 
 
Jim riemerse dall’oscurità boccheggiando. Il nodo di cicatrici sulla spalla pulsava ancora, ma in modo più lieve rispetto a pochi istanti fa; come un animale ridestato improvvisamente, aveva ripreso a sonnecchiare rimanendo tuttavia vigile.
Intorno a lui regnava il caos: crepe profonde percorrevano le pareti fino all’affresco sul soffitto, le belle librerie colme di libri antichi erano quasi del tutto svuotate e cumuli di carta, schegge di vetro e frammenti di legno ricoprivano ogni centimetro del pavimento in parquet.
Jim respirava appena e sentiva il corpo attraversato dalle vertigini. Poi i suoi occhi si posarono su Blake.
Era in mezzo ai suoi tesori di carta e inchiostro, le braccia spalancate come una bambola, la testa che ciondolava inerte su un lato e un rivolo di sangue nero scorreva tra i ricci scompigliati, lungo la tempia. Wiglaf gli volteggiava sopra in giri agitati, gracchiando piano.
Che cosa ho fatto?
Indietreggiò, agghiacciato.
Che cosa ho fatto che cosa ho fatto che cosa ho fatto...?
Lasciò la stanza e scese le scale di corsa, finché non fu nell’atrio deserto. Spalancò la porta d’ingresso e uscì sul prato, proprio mentre gli alberi venivano illuminati da un lampo accecante.
Il ragazzo rimase immobile per alcuni istanti sotto la pioggia scrosciante e sollevò lentamente lo sguardo sulla magione che per mesi era stata la sua casa. L’ennesima che era costretto a lasciare.
Trattenne a stento le lacrime, dopodiché usò il salto e sparì nel nulla.
  
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