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Autore: Swan_Time_Traveller    24/07/2022    0 recensioni
[Prequel su Eddie Munson, il primo di una trilogia, che presenta la famiglia di origine del personaggio e le vicende che hanno portato alla sua nascita.]
"Andarsene, in un posto lontano. Ovunque, purché i giudizi affilati della gente di Hawkins non la raggiungessero: nella mente di Liz però, quelle parole sarebbero risuonate ugualmente, a prescindere dal suo nuovo inizio. E davvero si parlava di questo, di un capitolo da aprire ex novo? Era tutto nelle sue mani, e tutto dipendeva da lei, inclusa la vita che nove mesi dopo avrebbe cambiato la sua esistenza per sempre: forse era proprio quello il punto, settembre. Il momento in cui quella nascita sarebbe stata concreta, l'attimo in cui sarebbe diventata una madre.
Le incognite erano però troppe, così come la vergogna, le lacrime versate mentre suo padre, Christopher Munson, le ripeteva di non tornare a casa mai più.
Tutto quel di cui Liz era sicura era scappare. Fuggire, allontanarsi per sempre da una cittadina che le aveva voltato le spalle, assieme alla sua intera famiglia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eddie Munson, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Here in Dallas

All’improvviso sembrava di essere in un altro universo, o semplicemente in una diversa stagione.
Elizabeth Munson era arrivata a Dallas nel gennaio 1965, dopo essere riuscita, a malincuore, a salutare i suoi affetti più stretti ad Hawkins: suo fratello Wayne, l’amica Davina Sinclair e il fratello che erano stati accoglienti, così come i genitori dei due, che addirittura le avevano indicato un amico e medico fidato sul quale contare in Texas. Purtroppo però, a nulla era servito lasciar trascorrere le settimane per avere un contatto di qualsiasi tipo coi genitori, che erano rimasti nell’ombra e chissà, forse nemmeno sapevano delle intenzioni di Liz. In ogni caso, nessuno dei due l’aveva più cercata.
Il viaggio per Dallas era stato lungo e pieno di pensieri, che venivano temporaneamente bloccati grazie a qualche ora di sonno, ad intervalli più o meno regolari: man mano che Liz si avvicinava alla città texana, il cielo si faceva sempre più terso e le temperature dal finestrino, apparivano molto più gradevoli di quelle di Hawkins.

Ecco perché nel marzo 1965, dopo nemmeno due mesi dal suo trasferimento, Elizabeth Munson aveva l’impressione di avere realmente cambiato vita, cominciando dal clima e dalle luci che illuminavano la città: non poteva trattarsi di una primavera anticipata, semmai di regolari temperature che i texani ormai davano per scontato. E Liz letteralmente fremeva per raccontare, a chi incrociava sul suo percorso, di quanto l’inverno di Hawkins fosse rigido, grigio e pungente: era stato proprio questo uno dei primi temi affrontati con il dottor Edward Halliwell, un signore gioviale che aveva su per giù l’età di suo padre Christopher. Ma con quest’ultimo il medico originario dell’Indiana aveva ben poco a che fare: aveva una capigliatura alla Kennedy, indossava persino gli stessi occhiali da sole, dei Ray-Ban Wayfarer che lo facevano sembrare più giovane. Gli occhi erano brillanti e pieni di vita, di colore verde, che avevano subito intercettato Liz quando era scesa dall’ultimo autobus che l’aveva accompagnata a Dallas.

“Benvenuta signorina Munson, sono il dottor Halliwell, Edward Halliwell.” Si presentò immediatamente, porgendole la mano e un sorriso genuino: appena ascoltate le prime parole, Liz fece un sospiro di sollievo, riconoscendo un accento senza dubbio più familiare di quello che le aveva tempestato le orecchie da quando aveva messo piede in Texas. Liz aveva ricambiato timidamente il sorriso, ma per la prima mezz’ora di viaggio, a bordo della Ford nera del dottor Halliwell, aveva dato l’impressione di essere estremamente taciturna.
“Gradevole il tempo qui a Dallas, eh? Scommetto che lei non è abituata a temperature così miti ad Hawkins.” Esclamò improvvisamente il medico, che non sembrava assolutamente in imbarazzo a causa del silenzio della ragazza: effettivamente quell’osservazione generò in Liz un entusiasmo genuino, generatosi proprio dalla sua sorpresa nel percepire l’aria, la luce e il colore del cielo in un modo totalmente diverso rispetto a pochi giorni prima. E fu così che i due cominciarono a parlare, ma senza menzionare il casus belli che aveva portato Liz in quella città: Edward Halliwell aveva avuto un colloquio telefonico molto lungo con i signori Sinclair, e aveva compreso la delicata situazione e, soprattutto, quanto quella ragazza dagli occhi vivaci, avesse bisogno di un aiuto e di un nuovo inizio.
La casa in cui Elizabeth entrò era poco distante da Dealey Plaza, che era assolutamente raggiungibile a piedi: non appena l’automobile del dottor Halliwell si fermò davanti alla dimora, Liz non riuscì a trattenere un’espressione di stupore. La casa era davvero enorme, in pieno stile vittoriano, e sembrava avere non solo un piano superiore ma addirittura una mansarda: molto probabilmente quella sarebbe stata la sua temporanea camera da letto, in modo da non dare disturbo alla vecchia zia di cui appunto le era stata fatta menzione.
In realtà ciò che accadde il giorno in cui Elizabeth Munson entrò a casa degli Halliwell fu una sorpresa dietro l’altra: la zia del medico era una donna di inizio secolo, che aveva sposato in giovanissima età un generale dell’esercito, il quale aveva perso la vita durante la Seconda guerra mondiale. Da quel giorno in poi Eleanor Halliwell era rimasta da sola, in una casa davvero troppo grande per se stessa: non aveva avuto figli, anche se così trattava il nipote, che aveva deciso di trasferirsi in Texas proprio per starle vicino in caso ne avesse avuto bisogno.

Eleanor Halliwell era sembrata a Liz, almeno inizialmente, una donna molto silenziosa e seria, attenta ai movimenti degli ospiti come una vecchia sentinella: per questo motivo la giovane si sentì subito in soggezione e timorosa di rivelare la sua scandalosa storia a quella signora con la quale avrebbe dovuto vivere per chissà quanto altro tempo. Senza dubbio fino a settembre, e l’anno era appena iniziato. In realtà le apparenze ingannano, contrariamente a quel che Christopher Munson aveva sempre cercato di inculcare ai figli, giudicando i ragazzini per strada vestiti in modo inconsueto, o le amicizie della figlia minore, per citarne un’altra: e fu così che ben presto la vecchia Eleanor si rivelò una vera sorpresa per Liz. Nonostante fosse una signora nata ad inizio secolo, era di ampie vedute: aveva votato i Democratici nelle elezioni di fine ’60, e non perché fosse spinta dalla passione cattolica (al contrario del capofamiglia Munson) ma perché credeva sul serio che i fratelli Kennedy avrebbero, in qualche modo, cambiato il volto degli Stati Uniti, arrivando a toccare quegli stati del Sud, come il Texas, dove vigeva ancora una forte discriminazione razziale.
Era un tratto di famiglia, questo venne rivelato a Liz prima dal dottor Halliwell, e poi dalla zia stessa: quest’ultima aveva rifiutato, dopo la morte del marito, di conservare il cognome di quest’ultimo, per riguadagnarsi fieramente quello della sua famiglia d’origine, di cui era sempre stata orgogliosa. La morte del suo compagno non l’aveva turbata nel profondo, perché da quando lo aveva sposato, quella casa dove finalmente poteva rimanere da sola o in compagnia del nipote, era stata teatro di violenze che Eleanor aveva dovuto subire senza protestare. Era una forma di gelosia genuina, spiegava il generale quando smetteva di picchiarla, in un raro momento di apparente calma. Invece no, per Eleanor non c’erano dubbi: quello era un uomo di merda.
L’esperienza l’aveva segnata sufficientemente da non desiderare più alcun marito, ma solo la genuina compagnia di persone straordinarie, come reputava suo nipote Edward, e come poi considerò Elizabeth, e anche in breve tempo.

“Cercherò di essere d’impiccio il meno possibile, signora Halliwell. Glielo giuro. Anzi, colga pure l’occasione per lasciarmi qualche compito casalingo: sono una discreta cuoca o meglio, ho cucinato pochissime volte per la mia famiglia ma molte di più a casa della mia amica Davina e … Beh, i pareri sono discordanti in effetti. Mio padre si è rifiutato di assaggiare la cena perché non era stata mia madre a prepararla, e quest’ultima non era così entusiasta di quanto mangiato ma … I Sinclair sembravano contenti la volta in cui ho preparato qualcosa per loro. Quindi chissà …” Elizabeth si bloccò: era davvero troppo presto per parlare a raffica con una signora anziana che probabilmente, almeno all’apparenza, non sembrava voler troppi impicci e men che meno sentire degli sproloqui da parte di una ragazzina che le era piombata in casa da un giorno all’altro. Inoltre Liz era così, si faceva spesso trascinare dall’entusiasmo del momento, dall’idea di un nuovo inizio, di un’avventura o un’esperienza da condividere con qualcuno; dopodiché, fermandosi a pensare un istante, era propensa a zittirsi, complice anche il fantasma del padre che, pur essendo vivo e vegeto, sembrava apparirle inconsciamente per ammonirla o screditarla.
“Sarà graditissimo qualsiasi aiuto tu voglia dare, cara Elizabeth. Ma non preoccuparti, ho una signora tanto gentile che è ormai la nostra governante: viene a fare le pulizie quotidianamente e, se ce n’è bisogno, cucina. Ma assaggerei volentieri anche ciò che prepari tu.” Replicò la signora Halliwell, che si era appena seduta sulla sua sdraio a dondolo, davanti alla grande finestra in vetro colorato e decorato che si affacciava sulla strada principale. Liz sbarrò gli occhi, sorpresa e, dopo aver realizzato, sfoderò un sorriso genuino ma anche carico di un’emozione rara, che difficilmente le capitava di provare in quegli ultimi mesi: la sensazione che potesse essere sinceramente ben voluta la faceva letteralmente andare in visibilio.
La camera da letto che le venne lasciata era in realtà ben lontana dalla mansarda: era una delle stanze più grandi della casa, con un bagno personale comunicante e un letto matrimoniale così grande che Liz non vedeva l’ora di provare, per immergersi dentro e dormire ore ed ore, per recuperare quelle perse nell’ostello dove aveva soggiornato a inizio gennaio. Anche la carta da parati della stanza non le dispiaceva: le tonalità erano delicate e ben si addicevano allo stile della casa; infine la finestra, che finestra! Era enorme e, grazie al divanetto posizionato proprio di fronte, Liz poteva sedersi e ammirare la vista che questa dava su Dallas: in più era un buon posto dove leggere un libro dopo cena. Tutto in quel momento sembrava destarle immagini, progetti, serate ideali da trascorrere in quelle mura: ma il pensiero di settembre e di ciò che stava crescendo in lei, in qualche modo sembrava riportarla violentemente a terra.




“Elizabeth qualsiasi preoccupazione tu abbia, fidati che non è necessaria. Il bambino sta bene.” Dichiarò il dottor Halliwell dopo la visita effettuata, nel marzo 1965: ce n’era stata una anche precedente a quella, ma il medico le aveva accennato che il primo trimestre sarebbe stato piuttosto complesso. Liz si sistemò la maglia e, sospirando, replicò: “Bambino? E’ un maschio quindi?!” Il medico sorrise e, scuotendo la testa, le rispose: “E’ ancora presto per dirlo. Staremo a vedere a maggio se ci sono novità.” Sistemò i documenti sotto lo sguardo vigile di Elizabeth che, mordendosi il labbro inferiore, era chiaramente pensierosa. Oramai, sebbene fossero passati solo pochi mesi, Edward Halliwell riusciva a capire quando la ragazza aveva qualche pensiero per la testa, ed anche in quel caso non se la fece scappare. Incrociò le braccia e, accomodandosi meglio sulla sedia dello studio, domandò: “Cosa ti preoccupa? Hai qualche domanda circa la gravidanza?” Liz scosse la testa e replicò: “No figurarsi, lei è stato chiarissimo dottor Halliwell. Mi chiedevo se non fossi di troppo al deposito libri, insomma … Al colloquio mi è sembrato di fare una buona impressione, ma io non sono abituata a fare una buona impressione, non so se mi sto spiegando. Cioè non sono una cattiva ragazza anzi, ormai l’avrà anche capito, ma faccio davvero fatica ad ispirare fiducia. Mio padre mi ha sempre detto che ci sarebbe stato da lavorare duramente su di me prima di effettuare un qualsiasi colloquio e quindi.” Si bloccò nuovamente, questa volta perché sul serio per lei il discorso era bello che concluso lì: non c’era molto altro da dire. Aveva svolto un colloquio al Book Depository in Dealey Plaza, tra l’altro molto vicino a casa Halliwell e comodo da raggiungere a piedi: la moglie e la figlia del direttore del luogo erano state pazienti del dottore, ed ecco perché era stato possibile per Liz accedere a quella candidatura. Nonostante la raccomandazione, Elizabeth si era recata all’ufficio con la sua gonna migliore, color rosa cipria, e una camicetta a sbuffo bianca che aveva stirato con cura la sera prima, sotto lo sguardo curioso della vecchia zia Eleanor. Il direttore le aveva rivolto qualche domanda, anche relativa all’interesse che Liz poteva avere per la lettura e per la cura dei libri: in quel campo, la giovane Munson non aveva qualcuno che potesse batterla. Era sempre stata un’avida divoratrice di libri, classici e non, di storia come di strategia politica: a Liz piaceva spaziare e viaggiare, almeno con la mente attraverso le righe che leggeva.
“Elizabeth.” La riportò alla realtà così il dottor Halliwell, chiamandola. Lei lo osservò in silenzio, in attesa di una reazione. “Ti devo dare un consiglio, come se fossi tuo padre, anche se ben diverso dal tuo.” Iniziò Edward Halliwell, alzandosi dalla sedia e appoggiando le mani sulla scrivania. “I genitori non hanno la ragione in tasca. Non sempre perlomeno, e avere dei figli non fa di loro persone onniscienti, o soggetti che ci conoscono abbastanza da poter dire con presunzione di cosa siamo capaci e di cosa, invece, manchiamo. Non funziona così.” Liz lo guardò negli occhi, tormentandosi le dita delle mani: era uno dei suoi piccoli tic che si azionava in un momento di tensione o nervosismo.
“A volte nemmeno noi stessi siamo in grado di sapere fin dove possiamo arrivare, e cosa siamo in grado di fare. Ma se ci sono le capacità – e credimi, in questo caso ci sono eccome – non dobbiamo dubitare di noi stessi. Nemmeno un secondo.” Continuò Edward Halliwell, sempre più serio, ma senza distogliere lo sguardo da Liz, che lo ascoltava con un velo di commozione.
“A settembre sarai a tua volta genitore, ed è necessario che tu inizi sul serio a credere in te stessa. Altrimenti come farai a trasmettere a tuo figlio cosa è importante fare per se stessi e per le persone a cui vogliamo bene?” Si fermò un istante e, accompagnandola alla porta, indossò la giacca e concluse: “Il direttore del Book Depository mi ha chiamato. Era entusiasta di te e del colloquio che hai fatto. Ma ne parliamo meglio a casa. Zia Eleanor ci aspetta per cena.”
Per quanto potesse essere stato un breve discorso, Elizabeth seguì il dottor Halliwell con lo sguardo di ammirazione e, forse per la prima volta nella sua vita, fiducioso: se al lavoro, davanti a persone totalmente sconosciute, lei era riuscita a fare una buona impressione, forse su qualcosa suo padre si sbagliava.
E Dallas probabilmente le stava dando davvero una seconda possibilità.
   
 
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