Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: _Agrifoglio_    28/07/2022    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Là ci darem la mano
 
Versailles, gennaio 1811
 
In sei mesi, l’Armata di Vandea, comandata da Oscar e, in subordine, da Grégoire Henri de Girodel e da Honoré, era riuscita a ricacciare le forze napoleoniche al di là dei Pirenei e a riconquistare per intero il territorio francese. Malgrado le richieste insistenti, il Maresciallo Marmont non aveva ottenuto rinforzi dai colleghi Soult e Massena, stretti com’erano nella morsa di Wellington, dell’esercito portoghese e dei guerriglieri locali, ma, anzi, a un certo punto, data la fallimentare resistenza contro l’Armata di Vandea, aveva ricevuto l’ordine di abbandonare il territorio francese e di concentrare gli sforzi sulla penisola iberica.
Oscar, Honoré e il giovane Girodel erano stati acclamati eroi nazionali, fieri e prodi come Vercingetorige ad Alesia ed erano diventati i personaggi del momento di cui tutti parlavano e favoleggiavano. Grégoire Henri de Girodel e Honoré erano stati promossi Maggiori e avevano ricevuto la Croce di San Luigi mentre Oscar era diventata Comandante Supremo dell’esercito francese oltre che delle Guardie Reali. La circostanza aveva indispettito Bouillé che, malgrado il pensionamento e gli oltre ottant’anni d’età, aveva sperato che la particolare situazione di emergenza indotta dalle guerre napoleoniche avrebbe spinto il Re a reintegrarlo nella vecchia carica, in servizio attivo.
L’ascesa di Grégoire Henri de Girodel aveva profondamente impressionato Antigone. La ragazza aveva sempre visto nell’amico un giovane mite, buono, generoso e affidabile, ma anche privo di slanci, incapace di prendere posizione e di infervorarsi per un ideale e, in buona sostanza, un poco noioso. Alla luce dei nuovi eventi, aveva dovuto ammettere con se stessa di essersi clamorosamente sbagliata. Ciò l’aveva indotta a riflettere che non sempre il valore di una persona si misura con la spigliatezza e l’attitudine mondana e che, spesso, il carattere e i pregi sono custoditi dietro un’apparenza ordinaria e vengono rivelati all’occorrenza, senza clamore e ostentazione, quando la necessità lo impone.
Antigone iniziò a sospettare che la devozione e l’eterna pazienza di Grégoire Henri fossero frutto di uno stato d’animo a lei riservato e che, lungi dall’essere un limite o la spia di un’indole piatta e di una vita senza prospettive, fossero, invece, garanzia di affidabilità e di grandezza d’animo.
Parallelamente, la ragazza andava interrogandosi su ciò che la legava allo splendido Conte svizzero Albrecht von Alois. Malgrado l’amicizia andasse avanti da diversi mesi, i loro rapporti non erano progrediti, ma erano rimasti indefiniti, inconsistenti, rarefatti. Nulla di concreto sentiva di avere in mano. Facendo uno sforzo di enorme onestà intellettuale, dovette ammettere con se stessa che il giovane era galante anche con le altre ragazze, pur senza prediligerne alcuna e che le attenzioni che le rivolgeva erano gradevoli, ma, molto probabilmente, scompagnate da autenticità e profondità di sentimenti. Il pensiero di essere una delle tante, magari la più apprezzata e corteggiata, ma pur sempre una delle tante, si stava facendo largo in lei e ne feriva la vanità.
In questo faticoso lavorio di revisione critica, Antigone aveva perso la sua proverbiale sicurezza ed era sempre più incerta su quale giovane amare e sulla sua stessa capacità di giudizio.
Mentre fervevano i festeggiamenti intorno alle glorie nazionali, la Regina Maria Antonietta, durante una cerimonia, annunciò il fidanzamento di Sua Maestà Re Luigi XVII con la Duchessina Edelweiss Margarethe, figlia di Sua Grazia il Duca Franz Wilhelm von König, cugino di secondo grado dell’Imperatore d’Austria e membro secondario della famiglia imperiale asburgica. La notizia stupì profondamente i cortigiani – che si sarebbero aspettati una Regina di più alto lignaggio anziché una via di mezzo fra una Principessa di sangue reale e una nobildonna loro pari – e accrebbe a dismisura la curiosità intorno alla sposa.
A questo clima di euforia generale, si sottraeva Bernadette.
La ragazza non si era ancora del tutto ripresa dalla rottura con Antoine Laurent de Lavoisier, quando le era giunta la notizia del matrimonio del giovane con Clarisse de Vélard, una diciottenne timida, dolce e amante della famiglia e della casa, proveniente da una ricca famiglia della nobiltà di toga, che aveva intravisto in alcune delle riunioni con gli amici di Antoine Laurent. Era venuta a sapere che la ragazza era stata espressamente scelta da Madame de Lavoisier fra le figlie delle amiche. Di tutte le giovinette a disposizione, la signora aveva optato per la più modesta, docile e gentile e la scelta aveva incontrato la piena approvazione del marito e, di conseguenza, anche del figlio, convinto al grande passo dalla gioia che esso avrebbe procurato agli amati genitori.
Poiché la giustificazione che Antoine Laurent aveva dato alla loro rottura risiedeva tutta nel non sentirsi pronto al matrimonio, stante la giovane età e la molteplicità degli impegni, il fatto che il giovane si fosse sposato di lì a pochi mesi aveva gettato Bernadette in uno stato di profonda prostrazione.
In tale contingenza, la giovane era del tutto sola, perché Antigone era completamente presa dai suoi dilemmi amorosi oltre che dall’immenso impegno derivante dalle prossime nozze reali e dal ruolo di dama della Regina che rivestiva. Ugualmente indaffarati erano tutti i de Jarjayes e la stessa Rosalie che si agitava come una trottola impazzita, quasi che i festeggiamenti si fossero dovuti svolgere a Palazzo Jarjayes anziché alla Reggia. Oscar, oltre a essere immersa nel predisporre il servizio d’ordine per il matrimonio, era anche impegnata nella riorganizzazione dell’esercito e nella ricerca del tesoro dei giacobini e André le dava una mano su quest’ultimo fronte.
In tutta questa solitudine, l’unico che pareva ricordarsi di Bernadette era Robert Gabriel de Ligne che proseguiva la sua spietata caccia alla vergine, incurante di ogni senso di giustizia e di decenza. Il giovane Tenente dei Dragoni sembrava fiutare lo stato di debolezza in cui si trovava la fanciulla e in esso reperiva la propria forza e fondava la sua speranza di riuscita. Bernadette lo detestava, ma allo stesso tempo lo desiderava, conscia di quanto questo stato d’animo fosse pericoloso, ma incapace di sottrarvisi. Ogni volta che vedeva il Tenente de Ligne, la ragazza si allontanava da lui fisicamente, ma psicologicamente era sempre più avvolta nella pania senza vedere una via d’uscita. Troppo grandi erano la delusione, l’avvilimento, la depressione, il senso di vuoto e la convinzione di non avere futuro e troppo prepotenti e ingombranti erano la presenza fisica e il carisma del giovane ufficiale. Bernadette sapeva che tutto questo era sbagliato, ma c’erano delle volte in cui si sentiva a un passo dalla resa e l’unica cosa che riusciva a fare era trovare rifugio nella sua stanza e piangere disperatamente.
 
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Strasburgo, gennaio 1811
 
– Mi avete mandata a chiamare, Eminenza e io sono venuta a farVi visita – disse Oscar, guardando l’alto prelato che la scrutava bonariamente dall’altro lato della scrivania.
– Siete venuta da sola, Generale de Jarjayes? – domandò il Cardinale de Rohan.
– In realtà, sono qui insieme a mio marito, il Conte di Lille, che mi attende in anticamera.
– Sarete entrambi miei graditi ospiti a pranzo, Generale.
– Vi ringrazio, Eminenza, ma non è necessario…
– Insisto, ma lasciate che Vi illustri la ragione di quest’invito inusitato. Non Vi ho fatto fare tanta strada soltanto per farVi sedere al mio desco.
– Vi ascolto, Eminenza.
– So che la Regina Maria Antonietta nutre nei miei confronti la più profonda disistima e la situazione è peggiorata dopo lo sciagurato affare della collana, ma vorrei tentare di porre rimedio e, allo stesso tempo, mostrarVi i sensi della mia gratitudine per avere salvato la vita al Duca d’Enghien, marito, ormai non troppo segreto, della mia unica nipote ed erede universale Charlotte de Rohan Rochefort. Quella ragazza mi è molto cara e Voi le avete salvato l’amato sposo che piace molto anche a me. Devolverò a favore dello Stato la stessa somma a Voi elargita dal compianto Duca d’Orléans, affinché la utilizziate per riorganizzare l’esercito e difenderci dalla furia devastatrice di quel Bonaparte, tiranno scomunicato che ha arrestato e imprigionato il Sommo Pontefice.
Il Cardinale de Rohan fece una pausa e, poi, tornò a parlare:
– So che indietro non si torna, che quel che è fatto è fatto e che il passato non può essere cambiato, ma ormai sono anziano, mi avvicino alla fine dei miei giorni e vorrei fare anch’io qualcosa di buono.
– Eminenza, non ho parole per ringraziarVi! – esclamò Oscar, al colmo dello stupore – e so che anche il Re e la Regina Vi saranno estremamente grati!
– Lasciamo stare – la zittì il Cardinale, con un gesto della mano – Lo faccio con piacere e senza chiedere nulla in cambio. Gli errori non si cancellano, ma, finché si è in vita, si può sempre tentare di rimediare. Per il resto, i conti li regolerà Dio.
Chiamò, poi, con un campanello d’argento, il suo segretario, chiedendogli di invitare il Conte di Lille a unirsi alla loro tavola.
La settimana successiva, la Regina Maria Antonietta, alla quale il peso e le responsabilità del governo avevano smussato gli spigoli dell’orgoglio e del pregiudizio, prese carta e penna e scrisse al suo odiato nemico una lettera in cui gli esprimeva i più sinceri ringraziamenti, augurandogli che la vita gli avesse, infine, donato serenità e pace.
 
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Parigi, febbraio 1811
 
– Hai fatto progressi nelle tue ricerche, Jean? – domandò la donna, seduta sull’elegante divano di seta verde damascata.
– Niente di risolutivo, purtroppo, Madre – rispose il giovane, mettendosi a sedere sulla poltrona accanto – Di tanto in tanto, riesco a sottrarre documenti, che copio con la carta carbone e rimetto a posto oppure carpisco informazioni, ma niente di risolutivo. Ho idea che anche loro siano lontani dalla soluzione.
– E’ quello che credo anch’io, Jean – rispose la signora – Da parte mia, continuo a lavorarmi il mio bel soldato, ma devo stare attenta, perché è furbo come un diavolo. So che insieme, però, ce la faremo! Siamo un’accoppiata vincente, figlio mio!
– Mi avete insegnato tutto Voi, Madre! – rispose il ragazzo, con un lampo di sincera ammirazione negli occhi – Insieme, metteremo le mani sul tesoro dei giacobini e su quello dei Cavalieri di Malta, trafugato da Napoleone e diventeremo più ricchi di Creso e Mida messi insieme!
– Mio caro Jean, per te, voglio il meglio! L’ho giurato quando sei nato che ti avrei fatto vivere come un Principe, esattamente come meriti! Il tuo benessere mi sta a cuore più del mio! Mi dispiace soltanto che, in questi mesi, ci siamo incontrati così poco!
– Se fossimo visti insieme, daremmo nell’occhio, cara Madre, ma il nostro impegno sarà coronato dal successo, vedrete!
 
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Milano, Palazzo Serbelloni, 20 marzo 1811
 
Erano le cinque di mattina e la fioca luce dell’alba entrava a stento dalle finestre della camera da letto dell’Imperatrice, mescolandosi a quella delle candele, alcune delle quali erano oramai ridotte dei mozziconi, rigati dai rivoli di cera solidificati.
Maria Luisa d’Asburgo Lorena, ora Bonaparte, si contorceva nel letto, stremata dalle doglie che si protraevano da ore interminabili e da un parto che non accennava a giungere a compimento. I lineamenti del viso, mai stati belli, erano adesso deformati in una maschera di sofferenza e apparivano enormemente contratti, come contratte erano le mani che si stringevano convulsamente sulle lenzuola o sulla mano di Madame de Montesquiou che consolava la partoriente.
Non erano soltanto l’estremo dolore e la spossatezza a prostrare la diciannovenne Imperatrice, ma anche la paura, o meglio il terrore, di essere sacrificata alla ragion di Stato. L’Imperatore desiderava troppo quel bambino e Maria Luisa era certa che, se ci fosse stato da scegliere, sarebbe toccato a lei scendere nella tomba. Madame de Montesquiou le stringeva la mano oppure le detergeva il volto dal sudore e contemporaneamente pronunciava parole confortanti il cui fondamento non era nella disponibilità della dama.
Nella stanza accanto, Napoleone camminava nervosamente avanti e indietro, perché i gemiti della moglie lo angustiavano e il protrarsi del parto non deponeva a favore di un esito felice.
A un certo punto, il Dottor Corvisart, medico personale, amico e consigliere dell’Imperatore, gli si accostò con premura e, a bassa voce, gli disse quello che nel suo cuore Napoleone temeva:
– Il parto si sta prolungando oltre il normale, Sire e può darsi che occorra scegliere fra la vita del bambino e quella della madre.
– In questo caso, salvate l’Imperatrice, Dottor Corvisart – rispose Napoleone, senza esitazione – Ella è giovane e, insieme, potremo avere altri bambini.
Il Dottor Corvisart che, forse, non si aspettava quella risposta, tornò nella stanza della partoriente, rivolgendo all’Imperatore uno sguardo di ammirazione. Ne uscì qualche tempo dopo, quando i gemiti della donna erano ormai cessati, sostituiti dal vagito di un neonato, col volto molto più disteso e sorridente di prima.
– E’ andato tutto bene, Maestà! – comunicò a Napoleone, il cui volto era frastornato e incredulo – Non c’è stata necessità di scegliere! La madre e il bambino stanno bene! … E’ un maschio!
Nel giro di pochi istanti, l’espressione stralunata abbandonò il volto di Napoleone, per essere sostituita da una di pura gioia, pazza e incontenibile.
– E’ nato mio figlio! E’ nato il mio erede! Salutate Napoleone Francesco Giuseppe Carlo! Salutate il Re di Roma! Salutate il figlio dell’Aquila Imperiale! Che siano sparati centouno colpi di cannone!
L’alba di quell’ultimo giorno d’inverno gli aveva finalmente portato ciò che da tanto tempo desiderava. Finalmente aveva un erede! Finalmente la dinastia dei Bonaparte sarebbe stata perpetuata! Il matrimonio dinastico, che gli era costato la rinuncia all’amore di Joséphine, aveva finalmente dato i suoi frutti e ora egli era padre di un neonato in buona salute!
Con uno scatto velocissimo, lasciò il suo medico personale ed entrò nella stanza della moglie.
 
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Aubervilliers, marzo 1811
 
– Mi dispiace, Generale de Jarjayes, ma non sono in grado di risponderVi. Quando morì mio padre, ero soltanto un bambino ed egli non mi ha mai parlato del tesoro dei giacobini. Sono stato allevato dalla famiglia di mia madre e non ho memoria delle attività di mio padre.
Oscar e André guardavano con attenzione il figlio di Danton, un giovane della stessa età di Honoré e di Antigone, nella speranza di cogliere in lui un cenno o un’espressione che rivelassero la verità o la menzogna di ciò che diceva. Il ragazzo, però, sembrava sincero e le argomentazioni da lui addotte, unite all’età che aveva quando si erano svolti i fatti, lo confermavano.
Dopo l’uccisione di Danton da parte di Robespierre e il fallimento dei moti rivoluzionari, la famiglia Charpentier, a cui era appartenuta la prima moglie del giacobino, aveva preso con sé i due orfani e aveva mutato cognome, così che potessero vivere tutti in pace, dimenticati dal mondo. Charpentier si era trasformato in Gauthier e Antoine e François Danton erano diventati Michel e Paul Gauthier.
– Monsieur Gauthier, Voi siete l’ultima possibilità che abbiamo di coronare le nostre ricerche col successo. Non avete idea di quanto tempo abbiamo impiegato a trovarVi – disse Oscar, con tono stanco, ma fermo – Neppure Vostro fratello sa nulla. Siete sicuro di non conservare lettere, documenti o appunti di Vostro padre?
– Cercate di ricordare, Monsieur Gauthier – si inserì André – Rammentate qualche viso o nome? Qualcuno con cui Vostro padre può essersi confidato? E’ molto importante! 
– Potreste tentare con la mia sorellastra – disse il ragazzo, dopo avere riflettuto un poco – Mio padre l’ha avuta fuori del matrimonio, quando era molto giovane. Adesso, è monaca nel Monastero del Carmelo a Compiègne. Mio padre andava a trovarla, quando poteva e, poiché ella aveva diciotto anni quando lui è morto, può darsi che ricordi qualcosa. Chiedete di Suor Leonilde.
– Vi ringrazio, Monsieur Gauthier – disse Oscar, accomiatandosi con un cenno del capo mentre André faceva un lieve inchino e si avvicinava anche lui alla porta.
L’uscita di Oscar e André da casa Gauthier fu spiata da un uomo che li aveva seguiti fin lì e che li aveva attesi, nascosto dietro un albero.
Il Conte di Compiègne, dopo la dichiarazione di nullità del suo matrimonio con Geneviève d’Amiens, era rimasto senza un soldo e, avendo ormai cinquantacinque anni, portati malissimo a causa di una vita di stravizi, non poteva più fare affidamento sul suo fascino di gioventù per ammaliare una ricca vedova che lo mantenesse.
Circa un anno prima, in una taverna, il Tenente Robert Gabriel de Ligne, nipote di Oscar, essendo un po’ alticcio, aveva confidato a un amico l’esistenza del tesoro dei giacobini. Al tavolo dietro quello dei due giovani, era seduto lui, abbastanza vicino da udire la voce dell’imprudente Ufficiale dei Dragoni, resa smodata dal bere.
Venire a sapere dell’esistenza di quel tesoro gli aveva aperto un mondo: trovandolo, si sarebbe sistemato definitivamente, non sarebbe più stato il servus currens di nessuno, non avrebbe più sopportato l’arroganza e il disprezzo di nessun Bonaparte di questo mondo e avrebbe condotto una vecchiaia serena e agiata. Ne aveva un disperato bisogno, soprattutto dopo che la morte del Duca d’Orléans lo aveva privato di un mecenate e di un punto di riferimento importante.
Trascorso un quarto d’ora dall’uscita di Oscar e André, il Conte di Compiègne bussò alla porta di casa Gauthier.
– Buonasera, Monsieur Gauthier, mi chiamo Louis de Saint Pancrace e sono un Ufficiale di Polizia – mentì il Conte di Compiègne mentre il padrone di casa lo faceva entrare e accomodare in salotto – Sono spiacente di informarVi che due impostori sono appena venuti a farVi visita. Si spacciano per emissari di Sua Maestà il Re e uno di loro, un uomo biondo, alto e magro, indossa pure una falsa divisa da Comandante delle Guardie Reali. Quegli uomini sono alla ricerca di un tesoro ed è essenziale che Voi, per scongiurare un delitto, mi riferiate cosa Vi siete detti.
Il figlio di Danton, impressionato dalle parole del Conte di Compiègne, gli raccontò tutto, facendo anche il nome di Suor Leonilde.
– Vi ringrazio, Monsieur Gauthier – disse il Conte di Compiègne, al termine della breve visita – Il Vostro aiuto è stato prezioso. Vi esorto a non riferire ad alcuno quello che ci siamo detti e neppure che sono stato qui. Quei due sono degli assassini pericolosi e non devono sospettare di essere stati scoperti.
Si congedò con un elegante inchino, uscì dalla casa e sparì nelle ombre della sera.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, marzo 1811
 
– E, così, le nostre ricerche ci condurranno in un Monastero di Carmelitane, nella città natale del Conte di Compiègne, presso una suora che è la nostra ultima possibilità di sapere qualcosa di un tesoro irraggiungibile che forse esiste e forse non esiste – riassunse Oscar, con tono di voce pesante che ne tradiva la stanchezza e lo sconforto.
– Mi sembra giusto – scherzò André – Le nostre ricerche sono iniziate in Vaticano e termineranno in un Convento. E’ tutto molto coerente.
– Tu ci scherzi, ma ci vorranno mesi per ottenere dal Vescovo la licentia alla visita. Le Carmelitane Scalze sono monache di clausura e la Chiesa non concede con facilità l’autorizzazione a far loro visita nemmeno ai parenti e agli Ufficiali di Sua Maestà.
– E, tanto, chi ci corre dietro? E’ da sei anni che cerchiamo questo tesoro, ti spaventi per qualche mese in più?
Dopo questo rapido scambio di battute, tacquero, per non guastare la festa. A Palazzo Jarjayes, era, infatti, in corso un the danzante al quale partecipavano molti ragazzi della buona società parigina. I giovani avevano le loro esigenze di socializzazione e, in nome di esse, malgrado la sua natura di orso, Oscar si rassegnava, di tanto in tanto, a farsi invadere la casa da quelle orde di incalliti festaioli.
La festa, in realtà, pareva già di suo poco tranquilla.
Héracle Domitien, Marchese d’Amiens, il giovane figlio di Geneviève e del Conte di Compiègne, faceva una corte serrata alla graziosa Giselle de Bourges, la nipotina di Alain, ma la ragazzina ignorava ostentatamente quell’adolescente allampanato che la seccava con la sua insistenza e il suo aspetto sgraziato.
La tredicenne Giselle non faceva altro che svolazzare intorno al bel Conte Albrecht von Alois e il giovane svizzero pareva gradire quelle piroette che accoglieva con la risata charmante con cui deliziava ciascuna delle sue molte ammiratrici. Ultimamente, poi, sembrava apprezzare particolarmente le attenzioni della bella figlia di Diane, cui riservava galanterie delicate e sorrisi seducenti e Antigone, in preda alla sua crisi esistenziale, non sapeva se rimanerci male o lasciar perdere, a beneficio del giovane Girodel.
Grégoire Henri, dal canto suo, si era accorto del parziale cambiamento di registro della sua amata ed era incerto se gioirne o continuare a tenerle il broncio.
Robert Gabriel de Ligne, invitato malgrado l’ostracismo subito da quando era stato scoperto a spiare, fissava con insistenza Bernadette, la quale, a un certo punto, lasciò il salone e si ritirò in camera sua, rossa come un’aragosta.
– Forse, è il caso che faccia un discorsetto a mio nipote – disse Oscar al marito.
– E che io mi avvicini alla giovane Giselle per tenerla a bada – replicò André – L’ho promesso ad Alain.
 
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Reggia di Versailles, aprile 1811
 
Il 4 aprile 1811, Sua Maestà Re Luigi XVII aveva sposato Sua Grazia la Duchessina Edelweiss Margarethe von König che, da allora innanzi, sarebbe stata conosciuta come Sua Maestà la Regina Margherita.
Le nozze erano state celebrate dal Grande Elemosiniere di Francia, nella Cappella di San Luigi IX e avevano annoverato, fra i testimoni degli sposi, tutti i Sovrani europei, eccettuato Napoleone, che avevano presenziato per procura.
Si era trattato di una cerimonia molto fastosa, con abiti riccamente adornati e addobbi imponenti, oltre che del primo matrimonio d’amore di un Monarca da un’infinità di secoli.
Oscar si era data da fare per organizzare il picchetto d’onore durante la cerimonia e il servizio d’ordine nel corso di quelle giornate frenetiche e il risultato era stato impeccabile e apprezzato da tutti gli ospiti, francesi e stranieri.
Erano seguiti moltissimi giorni di festa che avevano coinvolto tutti, nobili, borghesi e popolani, in un clima di spensieratezza irreale che, per una breve parentesi, aveva distolto l’attenzione della gente dalla minaccia bellica incombente.
Fuochi d’artificio e giochi d’acqua avevano abbellito i giardini, vivande e piccoli doni erano stati distribuiti al popolo e, alla reggia, si erano susseguiti concerti, feste danzanti, rappresentazioni teatrali e balletti.
In una notte d’aprile, in uno dei saloni della reggia, fu rappresentato il “Don Giovanni” di Mozart, opera forse non adatta a un matrimonio, ma sempre molto apprezzata.
Bernadette sedeva vicino a Honoré, ad Antigone e ai due giovani de Girodel e pareva godersi lo spettacolo, sebbene avesse un’aria pensierosa che nemmeno Antigone riusciva a decifrare, perché i problemi e il gran da fare che di recente avevano coinvolto tutti non avevano agevolato la confidenza fra amiche.
Nella fila opposta, il Tenente de Ligne, che, tramite alcune amicizie, era riuscito a ottenere un posto che gli desse la possibilità di vedere Bernadette e di essere visto da lei, lanciava alla ragazza delle occhiate eloquenti, ora tenebrose, ora supplichevoli e lei arrossiva, si sentiva mancare l’aria, ma, allo stesso tempo, non riusciva a distogliere lo sguardo troppo a lungo.
A un certo punto, non potendo smettere di ansimare e sudando freddo, si alzò dalla sedia e uscì in terrazza, dicendo agli amici di essere affaticata.
Nei giorni, nei mesi e negli anni che seguirono, ebbe modo di rimproverarsi più volte questa leggerezza.
Robert Gabriel de Ligne si alzò anche lui e, mentre lei era voltata e con le mani appoggiate sul parapetto, con voce suadente e carezzevole, le disse:
– Ho visto che Vi siete allontanata, non gradite i virtuosismi amorosi di Don Giovanni?
– In realtà, no – rispose lei, sussultando, vistosamente confusa – e nemmeno dovrei stare qui, sola con Voi.
Fece per andarsene, ma lui la trattenne, la strinse a sé e la baciò appassionatamente.
– Lasciatemi, Ve ne prego – implorò la ragazza, con le lacrime agli occhi.
Lui, però, fece cenno di no con la testa e la baciò un’altra volta e, in quest’occasione, lei rispose al bacio.
Dalla sala, giungevano le note dell’aria di Don Giovanni e Zerlina.

Là ci darem la mano
Là mi dirai di sì
Vedi, non è lontano;
Partiam, ben mio, da qui
 
– Ho una stanza, qui vicino, dove potremmo stare insieme ed essere felici. La gioventù è breve, la vita è breve. Io amo Voi e Voi amate me. E’ inutile continuare a negarsi questa gioia in nome di convenzioni opprimenti e usanze antiquate.

Vorrei e non vorrei
Mi trema un poco il cor
Felice, è ver, sarei
Ma può burlarmi ancor
Ma può burlarmi ancor
 
– Non si può, non si deve! Quando l’uomo non sta al suo posto, è la donna che deve mostrarsi forte. Devo essere forte e resisterVi. Già una volta, Vi burlaste di me e, ora, non avete altro da offrirmi che il ruolo dell’amante! Lasciatemi, Ve ne supplico!
 
Vieni, mio bel diletto!
 
– E cosa c’è di meglio del ruolo dell’amante? Tutta l’ebbrezza e il godimento dell’amore col fardello del matrimonio caricato sulle spalle di qualcun altro… Non mi burlo di Voi quando dico che Vi amo…
Continuava a baciarla e a stringerla a sé.

Mi fa pietà Masetto
 
– Ho dei doveri verso mia madre! Non posso immaginarne il dolore, se facessi una cosa del genere e se lei lo scoprisse…
Tentava di divincolarsi, ma lui continuava a stringerla e a baciarla sulle labbra, sul collo e sulla scollatura.
 
Io cangierò tua sorte
 
– Io farò di Voi la mia amata, la mia musa, la mia ninfa Egeria. Vi ricolmerò di attenzioni e di passione – le diceva con voce roca mentre le metteva le mani addosso.

Presto non son più forte
Non son più forte
Non son più forte
 
– No, lasciatemi, non possiamo, non possiamo – protestava la ragazza, tentando di schivare i baci e le mani di lui, ma non lo faceva con la dovuta convinzione ed egli continuava.

Vieni, vieni!

Là ci darem la mano
 
– Andiamo nella stanza, l’ho adornata per Voi… Vi amo… Vi amo…

Vorrei e non vorrei
 
– Non tutti i piaceri sono giusti, rientriamo… Smettete di stringermi e di baciarmi…

Là mi dirai di sì
 
– Nel nostro nido, sarete mia… Griderete di piacere, finalmente libera dalle Vostre catene… Andiamo!

Mi trema un poco il cor
 
– Ho paura… Non si può… Non si deve…
 
Partiam, ben mio, da qui
 
– Andiamo! Andiamo! Che senso ha aspettare ancora? Andiamo!

Ma può burlarmi ancor
 
– Vi prenderete gioco di me un’altra volta… E’ sbagliato…
 
Vieni, mio bel diletto!
 
– Mia adorata, mio amore, la felicità ci attende, non scacciatela via…
Diceva lui mentre la baciava e lei lo baciava, mentre la stringeva e lei lo stringeva.

Mi fa pietà Masetto
 
– Oh! No! Mia madre, mia madre…
Implorava lei, ma, intanto, si stringeva a lui.
 
Io cangierò tua sorte
 
– Quando sarete mia, non ci saranno madri o padri, ma soltanto amore e godimento… Si vive per amare ed essere amati…

Presto non son più forte
Non son più forte
Non son più forte
 
– Non ce la faccio… Non ce la faccio… Che Dio mi perdoni…
 
Andiam, andiam

Andiam


Andiam, andiam, mio bene
A ristorar le pene
D’un innocente amor
Andiam, andiam, mio bene
A ristorar le pene
D’un innocente amor
 
Bernadette e il Tenente de Ligne corsero mano nella mano verso la stanza che un sodale d’avventure gli aveva predisposto.

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Siamo giunti a un altro capitolo di questa lunga storia che spero possa piacervi.
La narrazione della nascita del Re di Roma è veritiera, soltanto spostata, per esigenze ucroniche, da Parigi a Milano.
L’uccisione di Danton e di altri rivoluzionari da parte di Robespierre e il conseguente suicidio dell’Avvocato di Arras sono da me stati narrati nel corso del cinquantesimo capitolo.
I figli di Danton non hanno mai mutato cognome e la figlia illegittima monaca è un personaggio di mia invenzione.
Come sempre, grazie a chi vorrà leggere e recensire.
   
 
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