Trascorsero due anni pacifici.
Tom e Volpolo avevano stretto un’amicizia
intensa, e piano piano nei loro discorsi con gli altri ospiti del Raggio di
Sole era stato introdotto il termine di “migliore amico” per identificare l’uno
o l’altro.
Volpolo aveva voluto creare una squadra
di calcio, e l’aveva chiamata “Raggio di Luna” in contrasto con il nome
dell’istituto.
Lui faceva il portiere, mentre Tom il
difensore. Si divertivano e si sentivano coesi, uniti da una passione sportiva
molto forte.
Il volpacchiotto era soddisfatto della
sua nuova vita, e anche quando, pensando a sua madre, s’incupiva, gli bastava
incrociare il sorriso di Tom per ritrovare l’allegria.
Non era preparato, però, a subire
un’intrusione nella sua routine.
Il primo giorno dell’anno 1982, a Leafy
arrivò una macchina azzurra carica di bagagli, seguita da un camioncino bianco
dei traslochi.
Era una famiglia di ricci con due figlie,
una di dieci e l’altra di due anni.
La famiglia
Abile, sarti di notevole fama, venuta a stare in quel di Leafy.
Quel trasloco mosse parecchio gossip tra
i ragazzi del Raggio di Sole, anche perché i signori Abile erano venuti,
qualche giorno dopo il loro arrivo, a donare abiti agli orfani, il che li fece
vedere dai ragazzi come figure angelicate.
“Voi avete visto le figlie?”
“No, e voi?”
“Nemmeno.”
Tom si alzava ogni mattina e lungo i
corridoi c’era qualcuno intento a mormorare qualcosa sulla famiglia Abile. Lui
non provava particolare curiosità, gli faceva semplicemente piacere che fosse
gente cordiale e amorevole.
Ironicamente, fu proprio lui il primo
degli orfani a conoscere la primogenita degli Abile, Filomena.
Era di ritorno dal consueto giro al
cimitero accompagnato da Susan, quando aveva incontrato la riccetta e sua
madre, le quali erano andate a comprare il pane e il latte.
“Oh, ma che sorpresa, Miss Susan!”
l’aveva salutata la donna.
“Buongiorno, signora Abile! Fa piuttosto
freddo oggi, eh?” le domandò la cagnolina, fregando tra di loro le mani
guantate.
“Oh sì, non me lo dica! Continua a
ghiacciarsi l’acqua del pozzo!”
Mentre le due donne discorrevano del
meteo e di Leafy, i due bambini rimasero per qualche minuto a squadrarsi, senza
dire una parola.
Passato il primo attimo di timidezza, Tom
indicò le calze di nylon di Filomena.
“Che bel disegno che hanno!” disse.
“Grazie, le ha cucite la mamma!” rispose
la piccola, afferrando i lembi della sua gonnellina di tartan e arrossendo un
poco.
“Devono tenere caldo…”
“Oh sì, e sono pure morbide.”
Fu quello, il primo passo che sancì una
nuova amicizia per il piccolo tanuki.
Da quel giorno, infatti, Tom prese a
frequentare abitualmente la casa degli Abile durante le pause dalle lezioni,
con il consenso di Susan.
Volpolo non lo accompagnava, preferiva
dedicarsi al disegno e ad allenarsi assieme ai compagni della Raggio di Luna.
Non poteva certo dire che Tom disertasse gli allenamenti, ma il tempo che passava
con lui era certamente diminuito. La cosa gli dava un notevole fastidio.
Al piccolo tanuki piaceva osservare la
signora Luisa, la mamma di Filomena, mentre cuciva e ricamava con cura
magistrale. Era come osservare una magia compiersi davanti ai suoi occhi.
Filomena era orgogliosa dei suoi
genitori, e sperava un giorno di poterli eguagliare:
“Quando sarò grande questo sarà il mio
negozio!” esclamava, piena d’entusiasmo, e Tom l’ammirava. Quando parlava di
cucito, di abiti o del negozio dei suoi genitori, le sue guance prendevano
colore e la sua aria di bambina timida e introversa spariva, facendola apparire
una farfalla variopinta. Quel pensiero fece avvampare il tanuki.
I due ragazzini trascorrevano interi
pomeriggi a bere tè coi biscotti, a creare nuove idee per la signora Luisa,
oppure a fare due passi con la piccola Beatrice nel giardino di casa.
“Sembriamo una
mamma e un papà con la loro bimba!” aveva pensato un giorno Filomena,
diventando rossa dal primo aculeo all’ultimo pelo della coda.
Quando Tom rientrava in orfanotrofio,
rimbambiva di chiacchiere il suo compare su quanto fosse carina la sorellina di
Filomena, su quanto fosse simpatica la stessa Filomena, su quanto gentili
fossero i signori Abile e su quanto gli avrebbe fatto piacere che lui si
aggregasse a loro.
Il solo pensiero faceva rizzare il pelo
del kitsune; non aveva alcuna voglia di entrare in una casa graziosa, piena di
smancerie e fiocchetti ovunque.
Non voleva ammetterlo neanche con se
stesso, ma non sopportava l’idea di fare paragoni con il tugurio osceno in cui
era vissuto nei primi anni della sua esistenza.
Così, mentre il suo amico parlava, lui
riponeva nel suo armadietto l’occorrente per il calcio.
“Scusa, Tom, sono molto stanco, vorrei
dormire.”
E così dicendo, s’infilava sotto le
coperte del letto a castello che condivideva con Tom, ora che Billy aveva
trovato una famiglia.
Sospirando, anche il cane procione si
metteva il pigiama e saliva le scalette del letto.
Non riusciva a capire la riluttanza di
Volpolo a crearsi una nuova amicizia, ma avrebbe insistito. Di sicuro, una
volta conosciuta Filomena, avrebbe finito per apprezzarla pure lui.
Ogni sera, con
rinnovato spirito, Tom chiudeva gli occhi e sprofondava in un sonno tranquillo.
Dopo qualche tempo, il ragazzino castano
tornò alla carica:
“Oggi vieni a giocare con me e Filomena?”
Volpolo smise di leggere il manualetto
sul calcio che Susan gli aveva regalato per il suo decimo compleanno.
“E a cosa giochiamo? A farci truccare?”
Il volpacchiotto non aveva mai nascosto
una certa antipatia per la riccetta, pur non avendoci mai parlato. Gli dava
stranamente fastidio continuare a sentirne parlare dal suo amico, e forse anche
Tom era stato particolarmente martellante in quei due mesi di frequentazione
della famiglia Abile.
“Ma no! Potremmo anche fare due tiri col
pallone!” rispose il tanuki, entusiasta.
Volpolo lo guardò scettico, con quel
luccichio negli occhi d’ossidiana che Tom trovava divertente.
“Eddai, Vol! Filomena è simpatica, te lo
giuro! Non ti annoierai, promesso!”
Volpolo sbuffò;
non riusciva a dire di no al suo migliore amico, anche se avrebbe volentieri
indossato gli scarpini da calcio per un nuovo allenamento piuttosto che
trascorrere quel pomeriggio libero con una femminuccia tutta trine e pizzi.
Quando Volpolo vide Filomena, nella sua
testa si accese un campanello d’allarme.
Non capiva cosa potesse essere, forse
l’aria da signorina perbene, forse i fiocchetti che aveva alla base delle
orecchie, forse la sua risatina timida, o forse il suo abitino a quadri verdi e
bianchi con tanto di calzette candide e scarpette di vernice nera.
In poche parole: il ritratto della figlia
perfetta, della bambina che tutti vorrebbero avere, dell’amichetta che va
d’accordo con tutti, di quella che monopolizza l’attenzione del proprio
migliore amico.
Era a casa sua da neppure mezz’ora e
Volpolo aveva già deciso che aveva
ragione, che Filomena non gli sarebbe mai
piaciuta.
Stavano giocando con la sua cucinetta e i
ragazzi facevano gli ospiti, con la differenza che il tè e i biscotti per
merenda gli erano stati serviti davvero, con la cortesia di Luisa.
“Gradisci un altro po’ di tè, Tom?” aveva
cinguettato la bambina, con voce dolce e timida.
“Oh, sì, grazie!” aveva risposto lui, con
gentilezza.
Ridendo lievemente, la riccia aveva
versato dell’altro liquido ambrato dalla bella teiera di porcellana bianca
nella tazza decorata a magnolie di Tom.
Volpolo aveva voltato la faccia a quella
scenetta zuccherosa, maledicendosi per non essersi messo in porta a parare
palloni assieme ai suoi compagni della Raggio di Luna.
“Ne vuoi anche tu, Volpolo?”
“No, grazie, sono a posto.” aveva
borbottato lui, con la viva speranza di andarsene in fretta da Casa Abile.
Il pomeriggio proseguì senza intoppi, e
Filomena volle togliersi le scarpette di vernice e indossare le scarpe da
ginnastica per fare qualche passaggio di calcio con Tom. Volpolo non partecipò
a quel quadretto idilliaco, ma si sedette in giardino, afferrando i fili d’erba
e staccandoli con gesti secchi; vedere i passaggetti loffi della bambina e Tom
ridere come un ebete lo mandava letteralmente ai pazzi. Ma che ci trovava in
quella smorfiosetta?
“Oh, Volpolo… Non giochi a calcio?”
La signora Luisa era uscita in giardino
ad innaffiare i tulipani.
“No… Sono un po’ stanco.”
La donna sorrise e si mise a dare l’acqua
ai fiori; poco dopo dalla porta d’ingresso uscirono il signor Giuseppe e la
piccola Beatrice, una scricciolina di due anni desiderosa di correre
dappertutto.
Beatrice assomigliava a sua sorella
maggiore, ma gli aculei tendevano al prugna e non aveva le lentiggini.
“Bea, aspetta!”
Giuseppe, un signore distinto dagli
aculei marrone scuro e i baffi, rideva mentre rincorreva la sua secondogenita,
che con le sue gambette raggiunse Volpolo e gli afferrò le ginocchia.
“Scusala, è una peste!”
“Non si preoccupi!” gli rispose subito il
ragazzino.
Stranamente, quella bimbetta alta sì e no
settanta centimetri non lo indisponeva tanto quanto sua sorella, perciò le fece
qualche carezza sulla testina e la prese per la zampetta, accompagnandola dal
papà. Beatrice, però, non voleva lasciare la mano del suo nuovo amico, così
Giuseppe la prese in braccio.
“Sembra che tu sia simpatico a Bea!” gli
disse, e il volpacchiotto sorrise leggermente, in maniera genuina, dimentico
del malumore di prima.
“Allora, signorinella… Andiamo a farci un
bagnetto?” domandò il padre alla bimba, ottenendo in risposta un gorgheggio
allegro.
Una volta rientrati, però, Volpolo si
girò verso i suoi due amici e sospirò, vedendoli completamente immersi nel
gioco del calcio. Sembrava quasi che si fossero dimenticati di lui. Ora lui si
sentiva triste, fiacco, più che arrabbiato.
“Tom!” lo chiamò, sentendo in lontananza
sei rintocchi di campana.
Il tanuki fermò il pallone con il piede.
“E’ tardi, dobbiamo rientrare.” disse
Volpolo, perentorio.
“Hai ragione. Grazie, Filomena, siamo
stati veramente bene. Ci vediamo presto!”
Rossa in volto, la riccia si avvicinò al
suo amico e gli scoccò un bacino vicino al naso. Tom non se l’aspettava, e
anche il suo viso prese fuoco.
“A presto…”
Sul viale del ritorno, Volpolo era
silenzioso, e Tom sentiva che ce l’aveva con lui per qualche motivo.
“Non ti sei divertito da Filomena?”
L’amico non rispose, limitandosi a
prendere un filo d’erba e a metterselo in bocca.
“Dai, Vol, parlami.”
“Tu le piaci.” bofonchiò solo, con la
graminacea stretta fra i denti.
Tom arrossì ancora un poco al pensiero.
“Tu dici?”
D’un tratto, gli occhi inquisitori di
Volpolo si posarono velocemente sull’amico.
“E lei ti piace?”
Pur essendo marzo e non essendoci ancora
un clima particolarmente caldo, Tom si sentì sudato.
“Mah… Non lo so… E’ carina, ma…”
Il tanuki non sapeva cosa dire, così si
slacciò la felpa e ne sventolò i lembi, come a voler disperdere l’improvviso
calore.
Volpolo, dal canto suo, gettò via il
gambo della graminacea ed afferrò le spalle del suo migliore amico.
“E’ diventata lei la tua migliore amica adesso?”
Gli occhi color del mare di Tom
rischiarono seriamente di far sciogliere la rabbia inespressa del volpino, il
quale tuttavia rimase serio.
“Eh? No, figurati… Sei sempre tu!”
“Ah, davvero? Oggi pomeriggio ti sei
dimenticato che c’ero anch’io!”
La voce limpida di Volpolo si fece
rasposa verso la fine della frase, e a quel punto Tom si mise a ridere,
divertito:
“Ma dai! Non dirmi che sei geloso!”
Il ragazzino non rispose, ma guardò
altrove; Tom allora gli prese la zampa.
“Dai, non fare così… Filomena è carina ma
non mi dimentico di te per questo!”
Tom lo abbracciò di slancio e il volpino
restò di stucco, non se lo aspettava.
Dopo qualche istante, però, ricambiò
quell’abbraccio. Il suo cuore ne fu rinfrancato.
“Secondo te cosa c’è per cena?” domandò
il cane procione all’amico, una volta sciolto l’abbraccio.
“Spero non la
solita zuppa di piselli! Io vorrei una bella bistecca!” ridacchiò la volpe,
dandogli una gomitata affettuosa.
Quella sera, a cena, Filomena appariva
distratta, distante, e mangiava a piccoli bocconi, assorta in chissà quali
pensieri.
La madre la richiamò all’attenzione
toccandole dolcemente il polso.
“Filomena… Va tutto bene, cara?”
“Stai pensando ad oggi pomeriggio?” le
chiese il padre.
La bambina si schermì, sfregandosi le
zampette tra di loro con fare timido.
“Sì… Tom è… è…”
Luisa sorrise: aveva capito tutto.
“Ti sei trovata dei buoni amici. Su, ora
mangia, altrimenti si raffredda tutto!” la incitò, e la piccola riprese in mano
la sua forchetta.
Giuseppe imboccava Beatrice, e la bimbetta
mangiava con appetito.
Filomena si teneva stretto il sentimento
nascente che le scaldava il petto.
Si stava innamorando di Tom.