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Autore: Milkyna    28/07/2022    0 recensioni
Tom avrebbe potuto avere una vita tranquilla, normale. Avrebbe potuto sposarsi con Filomena e fare il padre di famiglia, avrebbe potuto vivere grazie al suo emporio. E invece no, il destino prima l'ha gettato a terra e poi l'ha sollevato fino a fargli toccare le stelle. Peccato che le ombre non siano mai scomparse dal suo cammino...
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Filomena, Nook, Nuovo personaggio, Volpolo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Furry, Tematiche delicate, Violenza
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Trascorsero due anni pacifici.

Tom e Volpolo avevano stretto un’amicizia intensa, e piano piano nei loro discorsi con gli altri ospiti del Raggio di Sole era stato introdotto il termine di “migliore amico” per identificare l’uno o l’altro.

Volpolo aveva voluto creare una squadra di calcio, e l’aveva chiamata “Raggio di Luna” in contrasto con il nome dell’istituto.

Lui faceva il portiere, mentre Tom il difensore. Si divertivano e si sentivano coesi, uniti da una passione sportiva molto forte.

Il volpacchiotto era soddisfatto della sua nuova vita, e anche quando, pensando a sua madre, s’incupiva, gli bastava incrociare il sorriso di Tom per ritrovare l’allegria.

Non era preparato, però, a subire un’intrusione nella sua routine.

Il primo giorno dell’anno 1982, a Leafy arrivò una macchina azzurra carica di bagagli, seguita da un camioncino bianco dei traslochi.

Era una famiglia di ricci con due figlie, una di dieci e l’altra di due anni.

La famiglia Abile, sarti di notevole fama, venuta a stare in quel di Leafy.

Quel trasloco mosse parecchio gossip tra i ragazzi del Raggio di Sole, anche perché i signori Abile erano venuti, qualche giorno dopo il loro arrivo, a donare abiti agli orfani, il che li fece vedere dai ragazzi come figure angelicate.

“Voi avete visto le figlie?”

“No, e voi?”

“Nemmeno.”

Tom si alzava ogni mattina e lungo i corridoi c’era qualcuno intento a mormorare qualcosa sulla famiglia Abile. Lui non provava particolare curiosità, gli faceva semplicemente piacere che fosse gente cordiale e amorevole.

Ironicamente, fu proprio lui il primo degli orfani a conoscere la primogenita degli Abile, Filomena.

Era di ritorno dal consueto giro al cimitero accompagnato da Susan, quando aveva incontrato la riccetta e sua madre, le quali erano andate a comprare il pane e il latte.

“Oh, ma che sorpresa, Miss Susan!” l’aveva salutata la donna.

“Buongiorno, signora Abile! Fa piuttosto freddo oggi, eh?” le domandò la cagnolina, fregando tra di loro le mani guantate.

“Oh sì, non me lo dica! Continua a ghiacciarsi l’acqua del pozzo!”

Mentre le due donne discorrevano del meteo e di Leafy, i due bambini rimasero per qualche minuto a squadrarsi, senza dire una parola.

Passato il primo attimo di timidezza, Tom indicò le calze di nylon di Filomena.

“Che bel disegno che hanno!” disse.

“Grazie, le ha cucite la mamma!” rispose la piccola, afferrando i lembi della sua gonnellina di tartan e arrossendo un poco.

“Devono tenere caldo…”

“Oh sì, e sono pure morbide.”

Fu quello, il primo passo che sancì una nuova amicizia per il piccolo tanuki.

Da quel giorno, infatti, Tom prese a frequentare abitualmente la casa degli Abile durante le pause dalle lezioni, con il consenso di Susan.

Volpolo non lo accompagnava, preferiva dedicarsi al disegno e ad allenarsi assieme ai compagni della Raggio di Luna. Non poteva certo dire che Tom disertasse gli allenamenti, ma il tempo che passava con lui era certamente diminuito. La cosa gli dava un notevole fastidio.

Al piccolo tanuki piaceva osservare la signora Luisa, la mamma di Filomena, mentre cuciva e ricamava con cura magistrale. Era come osservare una magia compiersi davanti ai suoi occhi.

Filomena era orgogliosa dei suoi genitori, e sperava un giorno di poterli eguagliare:

“Quando sarò grande questo sarà il mio negozio!” esclamava, piena d’entusiasmo, e Tom l’ammirava. Quando parlava di cucito, di abiti o del negozio dei suoi genitori, le sue guance prendevano colore e la sua aria di bambina timida e introversa spariva, facendola apparire una farfalla variopinta. Quel pensiero fece avvampare il tanuki.

I due ragazzini trascorrevano interi pomeriggi a bere tè coi biscotti, a creare nuove idee per la signora Luisa, oppure a fare due passi con la piccola Beatrice nel giardino di casa.

“Sembriamo una mamma e un papà con la loro bimba!” aveva pensato un giorno Filomena, diventando rossa dal primo aculeo all’ultimo pelo della coda.

Quando Tom rientrava in orfanotrofio, rimbambiva di chiacchiere il suo compare su quanto fosse carina la sorellina di Filomena, su quanto fosse simpatica la stessa Filomena, su quanto gentili fossero i signori Abile e su quanto gli avrebbe fatto piacere che lui si aggregasse a loro.

Il solo pensiero faceva rizzare il pelo del kitsune; non aveva alcuna voglia di entrare in una casa graziosa, piena di smancerie e fiocchetti ovunque.

Non voleva ammetterlo neanche con se stesso, ma non sopportava l’idea di fare paragoni con il tugurio osceno in cui era vissuto nei primi anni della sua esistenza.

Così, mentre il suo amico parlava, lui riponeva nel suo armadietto l’occorrente per il calcio.

“Scusa, Tom, sono molto stanco, vorrei dormire.”

E così dicendo, s’infilava sotto le coperte del letto a castello che condivideva con Tom, ora che Billy aveva trovato una famiglia.

Sospirando, anche il cane procione si metteva il pigiama e saliva le scalette del letto.

Non riusciva a capire la riluttanza di Volpolo a crearsi una nuova amicizia, ma avrebbe insistito. Di sicuro, una volta conosciuta Filomena, avrebbe finito per apprezzarla pure lui.

Ogni sera, con rinnovato spirito, Tom chiudeva gli occhi e sprofondava in un sonno tranquillo.

Dopo qualche tempo, il ragazzino castano tornò alla carica:

“Oggi vieni a giocare con me e Filomena?”

Volpolo smise di leggere il manualetto sul calcio che Susan gli aveva regalato per il suo decimo compleanno.

“E a cosa giochiamo? A farci truccare?”

Il volpacchiotto non aveva mai nascosto una certa antipatia per la riccetta, pur non avendoci mai parlato. Gli dava stranamente fastidio continuare a sentirne parlare dal suo amico, e forse anche Tom era stato particolarmente martellante in quei due mesi di frequentazione della famiglia Abile.

“Ma no! Potremmo anche fare due tiri col pallone!” rispose il tanuki, entusiasta.

Volpolo lo guardò scettico, con quel luccichio negli occhi d’ossidiana che Tom trovava divertente.

“Eddai, Vol! Filomena è simpatica, te lo giuro! Non ti annoierai, promesso!”

Volpolo sbuffò; non riusciva a dire di no al suo migliore amico, anche se avrebbe volentieri indossato gli scarpini da calcio per un nuovo allenamento piuttosto che trascorrere quel pomeriggio libero con una femminuccia tutta trine e pizzi.

Quando Volpolo vide Filomena, nella sua testa si accese un campanello d’allarme.

Non capiva cosa potesse essere, forse l’aria da signorina perbene, forse i fiocchetti che aveva alla base delle orecchie, forse la sua risatina timida, o forse il suo abitino a quadri verdi e bianchi con tanto di calzette candide e scarpette di vernice nera.

In poche parole: il ritratto della figlia perfetta, della bambina che tutti vorrebbero avere, dell’amichetta che va d’accordo con tutti, di quella che monopolizza l’attenzione del proprio migliore amico.

Era a casa sua da neppure mezz’ora e Volpolo aveva già deciso che aveva ragione, che Filomena non gli sarebbe mai piaciuta.

Stavano giocando con la sua cucinetta e i ragazzi facevano gli ospiti, con la differenza che il tè e i biscotti per merenda gli erano stati serviti davvero, con la cortesia di Luisa.

“Gradisci un altro po’ di tè, Tom?” aveva cinguettato la bambina, con voce dolce e timida.

“Oh, sì, grazie!” aveva risposto lui, con gentilezza.

Ridendo lievemente, la riccia aveva versato dell’altro liquido ambrato dalla bella teiera di porcellana bianca nella tazza decorata a magnolie di Tom.

Volpolo aveva voltato la faccia a quella scenetta zuccherosa, maledicendosi per non essersi messo in porta a parare palloni assieme ai suoi compagni della Raggio di Luna.

“Ne vuoi anche tu, Volpolo?”

“No, grazie, sono a posto.” aveva borbottato lui, con la viva speranza di andarsene in fretta da Casa Abile.

Il pomeriggio proseguì senza intoppi, e Filomena volle togliersi le scarpette di vernice e indossare le scarpe da ginnastica per fare qualche passaggio di calcio con Tom. Volpolo non partecipò a quel quadretto idilliaco, ma si sedette in giardino, afferrando i fili d’erba e staccandoli con gesti secchi; vedere i passaggetti loffi della bambina e Tom ridere come un ebete lo mandava letteralmente ai pazzi. Ma che ci trovava in quella smorfiosetta?

“Oh, Volpolo… Non giochi a calcio?”

La signora Luisa era uscita in giardino ad innaffiare i tulipani.

“No… Sono un po’ stanco.”

La donna sorrise e si mise a dare l’acqua ai fiori; poco dopo dalla porta d’ingresso uscirono il signor Giuseppe e la piccola Beatrice, una scricciolina di due anni desiderosa di correre dappertutto.

Beatrice assomigliava a sua sorella maggiore, ma gli aculei tendevano al prugna e non aveva le lentiggini.

“Bea, aspetta!”

Giuseppe, un signore distinto dagli aculei marrone scuro e i baffi, rideva mentre rincorreva la sua secondogenita, che con le sue gambette raggiunse Volpolo e gli afferrò le ginocchia.

“Scusala, è una peste!”

“Non si preoccupi!” gli rispose subito il ragazzino.

Stranamente, quella bimbetta alta sì e no settanta centimetri non lo indisponeva tanto quanto sua sorella, perciò le fece qualche carezza sulla testina e la prese per la zampetta, accompagnandola dal papà. Beatrice, però, non voleva lasciare la mano del suo nuovo amico, così Giuseppe la prese in braccio.

“Sembra che tu sia simpatico a Bea!” gli disse, e il volpacchiotto sorrise leggermente, in maniera genuina, dimentico del malumore di prima.

“Allora, signorinella… Andiamo a farci un bagnetto?” domandò il padre alla bimba, ottenendo in risposta un gorgheggio allegro.

Una volta rientrati, però, Volpolo si girò verso i suoi due amici e sospirò, vedendoli completamente immersi nel gioco del calcio. Sembrava quasi che si fossero dimenticati di lui. Ora lui si sentiva triste, fiacco, più che arrabbiato.

“Tom!” lo chiamò, sentendo in lontananza sei rintocchi di campana.

Il tanuki fermò il pallone con il piede.

“E’ tardi, dobbiamo rientrare.” disse Volpolo, perentorio.

“Hai ragione. Grazie, Filomena, siamo stati veramente bene. Ci vediamo presto!”

Rossa in volto, la riccia si avvicinò al suo amico e gli scoccò un bacino vicino al naso. Tom non se l’aspettava, e anche il suo viso prese fuoco.

“A presto…”

Sul viale del ritorno, Volpolo era silenzioso, e Tom sentiva che ce l’aveva con lui per qualche motivo.

“Non ti sei divertito da Filomena?”

L’amico non rispose, limitandosi a prendere un filo d’erba e a metterselo in bocca.

“Dai, Vol, parlami.”

“Tu le piaci.” bofonchiò solo, con la graminacea stretta fra i denti.

Tom arrossì ancora un poco al pensiero.

“Tu dici?”

D’un tratto, gli occhi inquisitori di Volpolo si posarono velocemente sull’amico.

“E lei ti piace?”

Pur essendo marzo e non essendoci ancora un clima particolarmente caldo, Tom si sentì sudato.

“Mah… Non lo so… E’ carina, ma…”

Il tanuki non sapeva cosa dire, così si slacciò la felpa e ne sventolò i lembi, come a voler disperdere l’improvviso calore.

Volpolo, dal canto suo, gettò via il gambo della graminacea ed afferrò le spalle del suo migliore amico.

“E’ diventata lei la tua migliore amica adesso?”

Gli occhi color del mare di Tom rischiarono seriamente di far sciogliere la rabbia inespressa del volpino, il quale tuttavia rimase serio.

“Eh? No, figurati… Sei sempre tu!”

“Ah, davvero? Oggi pomeriggio ti sei dimenticato che c’ero anch’io!”

La voce limpida di Volpolo si fece rasposa verso la fine della frase, e a quel punto Tom si mise a ridere, divertito:

“Ma dai! Non dirmi che sei geloso!”

Il ragazzino non rispose, ma guardò altrove; Tom allora gli prese la zampa.

“Dai, non fare così… Filomena è carina ma non mi dimentico di te per questo!”

Tom lo abbracciò di slancio e il volpino restò di stucco, non se lo aspettava.

Dopo qualche istante, però, ricambiò quell’abbraccio. Il suo cuore ne fu rinfrancato.

“Secondo te cosa c’è per cena?” domandò il cane procione all’amico, una volta sciolto l’abbraccio.

“Spero non la solita zuppa di piselli! Io vorrei una bella bistecca!” ridacchiò la volpe, dandogli una gomitata affettuosa.

Quella sera, a cena, Filomena appariva distratta, distante, e mangiava a piccoli bocconi, assorta in chissà quali pensieri.

La madre la richiamò all’attenzione toccandole dolcemente il polso.

“Filomena… Va tutto bene, cara?”

“Stai pensando ad oggi pomeriggio?” le chiese il padre.

La bambina si schermì, sfregandosi le zampette tra di loro con fare timido.

“Sì… Tom è… è…”

Luisa sorrise: aveva capito tutto.

“Ti sei trovata dei buoni amici. Su, ora mangia, altrimenti si raffredda tutto!” la incitò, e la piccola riprese in mano la sua forchetta.

Giuseppe imboccava Beatrice, e la bimbetta mangiava con appetito.

Filomena si teneva stretto il sentimento nascente che le scaldava il petto.

Si stava innamorando di Tom.

 

 

 

 

 

 

   
 
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