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Autore: Flying_lotus95    30/07/2022    1 recensioni
"Aveva quasi come l’impressione di essere tornato indietro nel tempo.
Un piacevole dejà vu che sapeva di liceo, giovinezza e spensieratezza.
Non era da lui essere nostalgico, ma di tempo, in effetti, ne era passato parecchio.
« Cosa c’è, Nishinoya-kun? » La domanda incuriosita di Shimizu lo riportò al presente.
«Nulla» Commentò Yū facendo spallucce. «Stavo solo pensando a quante ne avessero passate quei tre per arrivare fin qui».
Kiyoko osservò Maria, Asahi e Daichi solo per un breve istante e non rispose.
Non c’era davvero bisogno di troppe parole."

~~~
La storia di Maria e di come abbia imparato ad amare sé stessa e il prossimo, oltre le paure e i traumi del passato.
La storia dell'amicizia indissolubile di tre ragazzi, cresciuti con l'amore per la pallavolo, divisi dalla vita e ritrovati dall'affetto.
La storia di Hikaru e del suo sogno di diventare, un giorno, un grande pallavolista.
E la storia di come gli errori di ieri possono diventare la speranza di un domani migliore.
[Storia scritta a quattro mani con effe_95]
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Asahi Azumane, Daichi Sawamura, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1.Hāfu.

-Prima parte-
 
“Un bel di, vedremo levarsi un fil di fumo sull’estremo confin del mare … “
Se avesse chiuso gli occhi anche solo per un istante, Maria era sicura che qualsiasi cosa in quella stanza silenziosa avrebbe perso ogni significato evidente per lei.
Ogni minimo dettaglio, come il raggio di sole del primo pomeriggio che le accarezzava gentilmente la nuca, il ronzio fastidioso di una mosca sulla parete o il frusciare delle tende mosse dal piacevole vento primaverile, tutto sarebbe svanito dalla sua mente.
Svanito per lasciar posto solamente a quelle parole, a quella voce.
Chinò leggermente il capo di lato e picchiettò l’indice sottile della mano destra sul foglio dello spartito, che aveva appoggiato sulle sue gambe penzolanti nel vuoto.
L’aula di musica era inondata di luce quel tiepido pomeriggio di inizio Maggio, dalla finestra semiaperta Maria riusciva a sentire gli schiamazzi degli altri ragazzi intenti nelle attività dei rispettivi club; sistemò con insistenza la cuffietta nell’orecchio destro e tracciò qualcosa con la matita su una nota particolarmente ostica da solfeggiare.
Le attività del suo club, quello di musica, erano state sospese anche quel pomeriggio, ma per Maria imparare quel pezzo era una questione di priorità assoluta, era dal primo anno di liceo che desiderava provare a cantare un pezzo della “Madame Butterfly” di Puccini.
«E poi la nave appare-» Cominciò a canticchiare nel suo italiano scorretto, per poi bloccarsi di colpo quando gli schiamazzi divennero troppo fastidiosi.
Scontenta bloccò la canzone e strappò la cuffietta dall’orecchio, per poi scendere dalla cattedra su cui era seduta con un colpo di reni ben piazzato.
Appoggiò lo spartito sulla superficie bianca e lucida, rassettò la gonna grigia e si avviò alla finestra con tutta l’intenzione di chiuderla, avrebbe fatto molto più caldo nella stanza ma non le importava. Voleva solamente studiare il brano senza essere disturbata.
Quando afferrò la maniglia di plastica con la mano destra la trovò riscaldata dal sole, la tenda le sfiorava il braccio spinta dal vento e i raggi del sole si infrangevano sul suo maglioncino beige e sulla camicia bianca quasi ne venissero catturati naturalmente.
Una brezza leggera le scostò i capelli scuri dalla fronte solleticandole la pelle.
Maria sospirò pesantemente e chiuse la finestra di botto, aveva sempre trovato fastidioso il baccano che facevano quelli degli altri club, sembravano non avere rispetto per nessuno.
Sospirando profondamente Maria rivolse uno sguardo all’orologio sulla parete, aveva ancora un paio d’ore prima di tornare a casa, e non aveva intenzione di sprecarle.
La musica lirica era importante per lei, era vita.
Aveva appena afferrato nuovamente lo spartito quando un vociare fastidioso proveniente dal corridoio la fece trasalire.
Maria conosceva quelle voci e le detestava, le facevano venire i brividi.
Senza pensarci troppo, colta dal panico, afferrò velocemente lo spartito e l’iPod, ficcò tutto nella borsa e spalancò la porta prima ancora di averla sistemata come si deve sulla spalla.
Le voci dei soliti bulli che la importunavano si facevano sempre più vicine, se non si fosse data una mossa avrebbero girato l’angolo e l’avrebbero vista lì, da sola.
Maria non poteva sopportare un incontro con loro in quel momento.
Non avrebbe sopportato i soliti commenti maligni sui suoi occhi azzurri o sulle sue origini.
Senza nemmeno chiudersi la porta alle spalle cominciò a camminare con passo affrettato nella direzione opposta, dall’altra parte del corridoio, il cuore a mille e la mano al petto.
Svoltò l’angolo giusto in tempo, un istante prima di sentire quei commenti lontani.
«Oh, chi ha detto che la troietta era nell’aula di musica? Qui non c’è nessuno!».
«Ti ho detto che l’ho vista mentre chiudeva la finestra!».
«Beh, qui non c’è! Che palle!».
«Ci rifaremo un’altra volta».
«Peccato però, infastidire quella sporca hāfu è il mio passatempo preferito!».
Maria si tappò le orecchie e corse più forte che poté, con quella maledetta parola che le rimbombava senza sosta nelle orecchie.
Ascoltata così tante volte da sembrare incisa sulla pelle come una cicatrice.
 
«Maria-chan! Ehi, Maria-chan! Cosa ci fai in palestra?».
Maria sussultò vistosamente quando qualcuno le picchiettò gentilmente su una spalla.
Era talmente assorta, con la musica al massimo volume, che non si era nemmeno resa conto di quanto fosse tardi. Sollevò lo sguardo e fissò la sua interlocutrice sbattendo le palpebre.
Shimizu la guardava fisso, con le braccia incrociate al petto e l’espressione impassibile.
Maria non ricordava esattamente come avesse fatto ad arrivare in palestra.
Correva senza una meta precisa, aveva visto la porta aperta e si era fiondata sugli spalti senza nemmeno pensarci troppo, sistemandosi nell’angolo più lontano e meno in vista.
In realtà, non era la prima volta che faceva una cosa simile.
Le era già capitato di rifugiarsi in palestra durante gli allenamenti della squadra di pallavolo.
Probabilmente anche quella volta le gambe avevano scelto la meta da sole.
«Kiyoko-san! Non ti avevo vista …» Commentò distrattamente Maria sfilandosi le cuffie, era riuscita a fare molto più di quanto si aspettasse nascosta in quell’angolo.
Aveva smesso di pensare, di aver paura o ansia di essere inseguita.
Shimizu la scrutò attentamente per un po’, indossava la tuta nera del club di pallavolo, con la felpa totalmente aperta su una maglietta bianca un po’ stropicciata, i soliti occhiali.
«Sei venuta di nuovo a studiare in palestra?» Domandò sedendosi accanto a lei.
Maria fece spallucce e cominciò a sistemare con tranquillità la sua borsa.
Non se n’era nemmeno accorta, ma fuori il sole infiammava l’orizzonte d’arancione, dovevano essere le otto passate eppure i giocatori in campo, a cui Maria aveva prestato zero attenzioni, continuavano ad allenarsi e a far casino senza mostrare segni di cedimento.
«Nell’aula di musica c’era troppo casino, non riuscivo a concentrarmi».
Il commento distratto di Maria sembrò non convincere del tutto Shimizu, che seduta accanto a lei continuava a scrutarla con quella severità gentile che l’aveva sempre caratterizzata.
«Sei stata di nuovo infastidita da quei tipi, Maria-chan?».
Maria non rimase troppo sorpresa da quella domanda, dopotutto lei e Shimizu si conoscevano da così tanti anni che nasconderle qualcosa le risultava piuttosto difficile, se non impossibile. Erano diventate amiche all’asilo, quasi per caso.
Maria era stata immediatamente presa di mira dagli altri bambini a causa dei suoi tratti occidentali, quegli occhi azzurri non del tutto a mandorla che detestava con tutta sé stessa.
Sarebbe scoppiata a piangere, odiandosi ancora di più, se quel giorno Shimizu non l’avesse presa per mano senza dirle una sola parola, senza chiedere mai.
Da quel giorno quella mano Maria non l’aveva più lasciata.
Aveva fatto di tutto per seguire Kiyoko passo passo, era entrata anche lei al Karasuno con tanta fatica, e al loro terzo anno finalmente era capitata in classe con la sua migliore amica.
«Non preoccuparti Kiyoko-san, nessuno mi ha importunato».
Commentò chiudendo finalmente la cartella, nascose le mani sotto le cosce e guardò distrattamente il campo, dove alcuni ragazzi con una maglietta bianca zuppa di sudore si agitavano come grilli tentando di colpire la palla.
Maria non aveva mai davvero capito perché Shimizu fosse così devota al suo club.
Era sempre indaffarata, non aveva mai molto tempo da passare con lei, se non in tarda serata quelle poche volte che riuscivano entrambe ad essere libere dagli impegni.
«Maria-chan, lo sai che-».
«Shimizu-san, abbiamo finito!».
L’imminente invettiva di Kiyoko venne prontamente interrotta dall’arrivo di un ragazzo.
Era sudato, ciocche di capelli grigi gli si arricciavano sulle tempie, la maglietta bianca era leggermente attaccata al petto, mentre gli occhi castani chiari, sereni, scrutavano le due ragazze.
Kōshi Sugawara, terzo anno come lei e fidanzato storico di Shimizu, Maria aveva sempre provato simpatia per lui. Non avevano una grande confidenza, ma si rispettavano.
Inoltre, era anche l’unico membro della squadra di pallavolo che conoscesse.
«Oh, Sugawara-kun! Arrivo subito» Replicò Shimizu, non prima di rivolgere un’occhiata incerta all’amica. Maria la conosceva abbastanza bene da sapere che, nonostante l’aria impassibile, era combattuta tra il desiderio di andare e quello di non lasciarla sola.
«Non preoccuparti Kiyoko-san, vai pure. Io raccolgo le mie cose e vado via».
Shimizu la osservò per alcuni secondi, mentre si tirava lentamente in piedi.
Maria resse fiera il suo sguardo, fredda e determinata come sempre, niente sarebbe venuto fuori senza permesso: nessuna paura, nessuna incertezza, nessun rimpianto.
«Va bene, ci vediamo domani allora» Si arrese infine Shimizu.
«Alla prossima Taniguchi-san» La salutò cortesemente Sugawara con un piccolo inchino, sul viso un sorriso sereno, mentre ricambiava il saluto Maria si ritrovò a pensare che fosse uno dei pochi sorrisi sinceri che qualcuno le avesse mai rivolto.
Un altro motivo per cui Sugawara le era sempre piaciuto, nonostante lo conoscesse poco, riguardava il modo in cui la fissava, senza accusa, o domande implicite negli occhi.
«Fai attenzione Maria-chan!».
La voce di Shimizu la raggiunse mentre si affrettava a scendere le scale degli spalti, Maria si girò velocemente, solo per un istante, e salutò la sua migliore amica con un cenno della mano. Pochi secondi dopo si ritrovò alla luce del sole calante, con la brezza serale a baciarle i capelli.
 
«Sono a casa!»
Non appena aveva messo piede nel piccolo ingresso, il naso di Maria era stato investito da una serie di odori piuttosto piacevoli: cipolla, zenzero e qualcos’altro che non riusciva ad identificare. Si sfilò velocemente le scarpe, lasciandole accanto alle altre che occupavano il piccolo spazio nell’ingresso, e abbandonata la cartella si fiondò in cucina.
Come aveva immaginato, sua nonna Mariko stava cucinando, mentre nonno Akio leggeva un giornale, seduto tutto ingobbito attorno al tavolino, le gambe incrociate con i calzini bianchi in bella vista e le sopracciglia folte corrucciate.
«Mari-chan, sei tornata!»
«Proprio adesso nonna, cosa stai preparando di buono?».
Maria pronunciò quelle parole stringendo calorosamente le braccia attorno alle esili spalle della nonna, tutta affaccendata a preparare la cena. Mariko barcollò leggermente, ma lasciò che la nipote le appoggiasse affettuosamente la testa sulla spalla.
«Stasera ho preparato i takoyaki» Commentò fiera la donna.
«Davvero?! Nonna sei la migliore!» Esplose Maria stampando un bacio sulla guancia della donna, Mariko si lamentò un po’ con il sorriso sulle labbra.
«Quanta energia che ha questa benedetta ragazza!»
Al commento del nonno, che aveva finalmente abbassato il giornale, Maria lasciò finalmente libera la nonna e andò a sedersi accanto al vecchio, scompostamente.
«Beh? Che ci fai ancora in divisa? Fila a fare il bagno!» La rimproverò Akio indicando con il dito bitorzoluto e pieno di calli la tromba delle scale, visibile oltre la porta.
Maria sorrise divertita e afferrò il braccio del nonno tenendolo stretto.
Quel teatrino si ripeteva più o meno tutte le sere, la nonna che si lamentava, il nonno che faceva il burbero con lei … se non avesse avuto loro Maria non avrebbe saputo cosa farsene della sua vita. Era più o meno quello il pensiero che la sfiorava ogni volta.
«Ora vado nonno! Fammi stare un po’ qui con voi, uhm?».
Pronunciò quelle parole rivolgendo al vecchio un sorriso da bambina birichina, Akio mise su un cipiglio severo, con le folte sopracciglia grigiastre contratte e la ruga nel mezzo.
«Uhm, ragazza testarda» Bofonchiò, facendola ridere.
«È andato tutto bene oggi a scuola Mari-chan?».
Alla domanda della nonna Maria vide bene di non cambiare l’espressione del suo viso, ma ormai le risultava così facile far finta di nulla, era sempre stata brava a recitare quella parte.
Era qualcosa che dopotutto le veniva piuttosto naturale.
«Tutto alla grande!» Dichiarò lasciando andare il braccio al nonno.
Si era messa a sedere composta, con le gambe incrociate e le mani sulla gonna.
«Sei stata con Shimizu-san?» Continuò imperterrita Mariko, scrutando la nipote di sottecchi con i suoi occhi scuri mentre preparava le polpette.
Maria annuì solennemente, non avrebbe mai detto alla nonna e al nonno che con Kiyoko riusciva a passare poco tempo, e che per lo più se ne stava da sola cercando di scappare.
«Sono a casa».
Il teatrino familiare venne interrotto dall’arrivo di un uomo, appena entrato in cucina.
Era alto, ben piazzato, sulla testa una massa di capelli scuri come la pece gli incorniciava il capo, sembrava stanco dopo il lavoro, ma aveva comunque un sorriso cordiale sul viso.
«Bentornato» Commentò Maria a voce bassa, tentando un sorriso.
Fujio Taniguchi, suo padre.
Maria amava suo padre, ai suoi occhi era l’uomo migliore del mondo, ma aveva sempre trovato piuttosto difficile parlargli a cuore aperto, forse per quello che era successo, forse perché lui non la guardava mai davvero negli occhi …
«Maria … prima mi ha chiamato Simona».
Un’altra cosa che Maria non capiva di suo padre era proprio quella, la capacità che aveva di buttare tutto fuori nel momento sbagliato, di dire certe cose senza preoccuparsi.
Senza preoccuparsi dei sentimenti di nessuno.
Nel sentire quel nome fu come se nella stanza fosse calato un silenzio mortale.
«La richiamerò più tardi» Fu la laconica risposta di Maria, non l’avrebbe fatto davvero.
Fujio annuì distrattamente e si mise seduto accanto al padre, arrotolando le maniche della camicia bianca che indossava quella sera.
Maria contò fino a dieci, poi si tirò in piedi con calma.
«Vado nella mia stanza a togliere la divisa» Annunciò, e prima che chiunque potesse replicare aveva già raggiunto le scale, salendole a due a due.
Simona, non sopportava proprio quel nome, non ne sopportava il suono e le origini.
Non sopportava proprio niente di quella madre italiana che l’aveva abbandonata.
 
 
Quando il giorno successivo Maria andò a sbattere contro il capo dei bulli, in pieno pomeriggio, mentre camminava verso la palestra, disse a sé stessa che avrebbe dovuto aspettarselo.
La giornata era andata troppo bene perché potesse finire in quel modo.
Aveva pensato che anche quel pomeriggio sarebbe stata una buona idea andare a studiare solfeggio in palestra, durante il club di pallavolo, lì nessuno la disturbava.
Avrebbe tratto più profitto dallo starsene lì seduta sugli spalti, ben nascosta, che nell’aula di musica, dove ancora una volta i suoi compagni del club non si erano presentati.
Probabilmente era stata la musica a distrarla, il volume troppo alto, il fatto che guardasse per terra invece di avere lo sguardo sollevato …
Ad ogni modo, sapeva solo di essere andata a sbattere dritto sul petto duro del bullo che non sembrava volerle dar pace da tre anni a quella parte.
Maria aveva sollevato lo sguardo quasi con aria impassibile, incredula della sua sfortuna.
«Ohi, ohi, ma guarda un po’ chi abbiamo qui, la piccola troietta hāfu»
Poi aveva sentito quelle parole, si era vista afferrare per le spalle e aveva realizzato.
Oh cazzo.
 
«Asahi-san, hai fatto tardi anche oggi!»
Asahi ascoltò pazientemente lo strepitio indignato e rumoroso di Nishinoya.
Aveva ancora le mani sporche di gesso dopo aver pulito la lavagna, le sfregava continuamente sui pantaloni ma quella sensazione fastidiosa non sarebbe sparita facilmente.
«Scusa Noya-san, le pulizie sono durate più del previsto».
Commentò Asahi grattandosi la nuca, con voce bassa e una punta di imbarazzo.
Yū aveva preso l’abitudine di aspettarlo fuori classe ogni giorno, faceva tantissimo chiasso e Asahi finiva sempre con il combinare qualche guaio per affrettarsi, come inciampare in un banco o sporcare nuovamente il pavimento appena pulito rovesciando la pattumiera, esattamente ciò che era successo quel giorno (il reale motivo del loro ritardo).
«Se arriviamo tardi il capitano ci sgriderà».
Nishinoya pronunciò quelle parole con troppa allegria per i gusti di Asahi, lui trasalì al solo pensiero di vedere la faccia spaventosa che metteva su uno dei suoi migliori amici quando perdeva le staffe. Rabbrividì e scosse la testa, affrettando il passo.
Non aveva più tanta voglia di far tardi agli allenamenti del club.
Avevano appena raggiunto l’angolo del corridoio, che sentirono uno schiamazzo tremendo.
Asahi rallentò il passo quasi inconsciamente, mentre gli occhi gli si posarono su una banda di ragazzi, tra il secondo ed il terzo anno, tutti raggruppati attorno ad un esile figura di cui riusciva a distinguere solamente una massa di capelli scuri.
Doveva essere una ragazza, schiacciata contro la parete.
Al suo fianco Nishinoya si fermò a sua volta e fischiò sonoramente, impressionato.
«Ma che sta succedendo? Qualcosa non va?».
La domanda uscì dalla bocca di Asahi quasi con naturalezza, sovrastando di qualche tono quelle sovrapposte di tutti gli altri, aveva avuto come l’impressione che quella povera ragazza si stesse sentendo male e che tutti gli altri la stessero soccorrendo.
Non poteva far finta di nulla in quella situazione.
Gli occhi di tutti i presenti si posarono su di lui e Nishinoya, ancora fermi impalati.
«Tu che cazzo vuoi, piantagrane?!» Sbottò uno in particolare.
Si staccò dal gruppo, aveva i capelli tinti e un orecchino vistoso, sorrideva con disprezzo, le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa un po’ troppo calanti.
Asahi lo guardò interdetto per alcuni secondi, sbattendo le palpebre.
Lo sconosciuto avanzò ancora di un passo prima che uno dei suoi compagni lo afferrasse per un braccio, bloccandolo, sembrava stranamente terrorizzato.
«Ohi Takumi, lascia perdere! Quello è Azumane!»
Quelle parole sembrarono sortire uno strano effetto su quel Takumi, perché si arrestò a sua volta e sbiancò, sotto lo sguardo sempre più stranito e avvilito di Asahi.
«Quell’Azumane?!» Bisbigliò a voce un po’ troppo alta, poi lo fissò di nuovo con fare ostile, ma gli si leggeva chiaramente la paura sul viso «Tsz, non finisce qui!» Balbettò, e preso il suo compagno per la collottola della maglietta si allontanò, seguito dalla sua banda.
Asahi rimase a fissare la scena per un po’, incredulo.
Non era sicuro di aver davvero capito bene cosa fosse successo.
Al suo fianco Nishinoya scoppiò a ridere senza ritegno, sbellicandosi come se avesse appena assistito alla scena più divertente del mondo, mentre Asahi si deprimeva come non mai.
Aveva come l’impressione che se Suga-san l’avesse visto in quel momento, avrebbe preso a rimproverarlo e a chiamarlo “emo barbuto” senza pietà.
«Ma ho semplicemente chiesto se andasse tutto bene …» Mormorò depresso.
Nishinoya si asciugò frettolosamente gli occhi, dandogli una gomitata nello stomaco.
«Sei spaventoso come sempre Asahi-san!» Lo prese in giro.
Asahi fece per replicare qualcosa, quando intravide una figura con la coda dell’occhio e girò il capo di colpo, sorpreso.
«Ehm … grazie».
A balbettare era stata la ragazza accerchiata, nella confusione sia Asahi che Yū si erano completamente dimenticati di lei. Se ne stava davanti a loro con i capelli un po’ scombinati, la camicia sgualcita sulle spalle e le mani raccolte davanti al grembo, imbarazzata.
Nishinoya fischiò sonoramente quando la vide.
La sconosciuta sollevò il viso a quel rumore e Asahi trasalì, irrigidendosi tutto.
Erano gli occhi più belli che avesse mai visto, azzurri, leggermente a mandorla e grandi.
Non seppe cosa rispondere, non articolò nemmeno una parola, neanche quando la ragazza chinò leggermente il capo e gli voltò le spalle, camminando in maniera affrettata.
Fu la gomitata di Nishinoya a farlo riprendere, piuttosto dolorosa proprio tra le costole.
«Che bella tipa! Com’è che è passata inosservata per tutto questo tempo? Non potrei mai tradire il mio amore per Kiyoko-san, ma devo proprio dirlo a Ryu!».
Asahi ascoltò solo metà del farneticare senza senso dell’amico.
«Su Asahi-san, andiamo in palestra. Altrimenti Daichi-san ci ammazza!».
Nishinoya lo afferrò per un braccio, tirandolo, Asahi incespicò nei passi, stordito.
Aveva ancora quegli occhi stampati nella retina, e come la sensazione che non li avrebbe dimenticati molto facilmente.


 
Salve a tutti 😊
Oggi è Effe_95 che vi scrive.
Come ha già detto la mia fantastica amica nelle note al prologo, io ho prestato solo la mia penna per la stesura di questa storia.
Motivo per cui, ci fosse qualche rimostranza sul modo di scrivere e sullo stile, dovete insultare me :D
In questo ufficiale primo capitolo siamo tornati indietro nel tempo, al principio dei fatti che condurranno poi a quello che succede nel prologo. Viene introdotta Maria, e si comincia a scoprire già qualcosa di lei.
Come è stato già specificato nelle note precedenti, noterete subito che questa trama non segue del tutto quella del manga.
Ci teniamo a specificarlo ancora, nel caso qualcuno se lo sia perso e possa rimanerci male.
Inoltre, questa storia è nata nel lontano 2017 – il manga non era ancora terminato (abbiamo già più di 30 capitoli pronti) e molte cose del finale non compaiono affatto o sono, ovviamente, diverse.
Ma dette queste piccolezze, speriamo comunque che la storia possa piacervi. Personalmente do’ il benvenuto a chi vorrà iniziare questa avventura con noi.
Alla prossima e grazie.
 
Effe_95 e Flying_lotus95
   
 
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