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Autore: 0421_Lacie_Baskerville    31/07/2022    1 recensioni
"Deku si trovò a trattenere il fiato nella stretta navata carica dell’odore di fiori appassiti e cera sciolta. Nella luce danzante della fiammella gli occhi socchiusi di Kacchan erano pieni di ombre e la sua bocca si arricciò in un piccolo sorriso sghembo nel vedere che Izuku non indietreggiava. Sulle sue labbra era rimasta una lieve traccia di quel bacio e aveva il sapore di Kacchan."
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Halloween quest'anno, ha il gusto di una sfida di coraggio fra le ombre di un cimitero antico e la fioca luce dei ceri bruciati su un altare. È il profumo dolciastro dei fiori appassiti e il sapore di un bacio allungo desiderato…
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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9.

Oh, this house of glass was never made to last

Got the windows stained with memories from our past

And as we drift apart, it all begins to crack

It took so long to build but all fell down so fast

( House of glass, Jon Caryl )


 

All'inizio delle vacanze estive, Ochaco aveva ricevuto l'inaspettata visita dei suoi genitori e la notizia peggiore della sua giovane vita. Tutto nello stesso momento e con nessun preavviso che l'aiutasse a prepararsi a ciò che l'aspettava.

Nell'aria calda aleggiava il profumo della salvia e il brusio degli studenti intenti a percorrere il vialetto d'accesso per tornare alle rispettive famiglie, con le valige che sussultavano accanto e gli abiti informali addosso, a sostituire le ordinate divise che avevano indossato per i mesi di scuola.

Nel finire di impacchettare le sue cose nella camera all'interno del dormitorio, Ochaco si guardò attorno con una strana nostalgia a stringere lo stomaco. Le sarebbe mancata quella stanza - ora svuotata dalle sue cose - e ancora di più, avrebbe sentito la mancanza delle notti passate in compagnia di Momo e Tsuyu a cercare di rendere lo studio più divertente o a fare nottata parlando di ragazzi e sogni nel cassetto con Mina e Toru.

Ma era anche felice all'idea di rivedere di persona i suoi genitori e poter trascorrere qualche giorno con loro, in tranquillità, prima di cominciare con il tirocinio estivo. Stava ancora sorridendo quando avvertì un movimento alle sue spalle.

≪ Ochaco? ≫

La voce di Izuku suonava dolce come sempre mentre si voltava a guardarlo, trovandolo affacciato nel vano della porta a sbirciare dentro la camera con Iida accanto. Gli occhi verdi alla luce del sole si accendevano di mille sfumature sotto l'ombra dei riccioli disordinati che gli sfioravano il viso.

A Ochaco piaceva il modo in cui mutavano tonalità a seconda della luminosità dei pensieri del suo proprietario e catturavano la luce nella stanza. ≪ Ehi, pensavo foste già andati via. ≫ li accolse, con un sorriso a cui Tenya rispose con un movimento di diniego della testa. ≪ Aspettavamo te, ma visto che tardavi a scendere... ≫ Scrollò le spalle con un mezzo sorriso sulle labbra. ≪ Pensavamo di andare tutti e tre insieme dato che questa sarà l'ultima occasione di vederci per un po' di giorni. ≫

≪ Vuoi una mano a portarle? ≫ chiese Izuku, con un sorriso gentile a curvare le labbra, accennando con la testa alle valigie disseminate per la stanza. ≪ Hai più roba di quanto non mi fossi accorto. ≫

≪ Mai quanto te, Deku. ≫ rise Ochaco, sventolando una mano in un gesto vago e un sorriso birichino a curvare le labbra. ≪ Ho visto quanti scatoloni hanno richiesto la tua collezione di action figures. ≫ replicò, facendogli la linguaccia come una bambina. Le guance lentigginose di lui si accesero di un caldo rossore, ma Ochaco non ci badò, troppo presa a chinarsi ad afferrare una delle sue valige. ≪ E comunque, non avete già le vostre da portare? ≫

La bocca le si era arricciata in una smorfia nel far strisciare sul parquet lucido il pesante borsone che aveva riempito e che non riusciva a sollevare. Era un po' vecchio e qualche cucitura aveva iniziato a cedere, perciò doveva muoverlo con cautela se sperava di riuscire a tenerlo integro almeno fino a casa dei suoi.

Forse poteva azzerarne la gravità e se avesse incontrato Aizawa, sostenere che si trattava di allenamento extra prima di lasciare lo stabilimento scolastico.

Una ruga era comparsa a segnarle lo spazio fra le sopracciglia mentre Izuku si faceva avanti, scuotendo la testa. ≪ Io ho spedito tutto ieri sera. Mi sono lasciato solo una borsa da viaggio. ≫ ammise con un sorriso, imbarazzato. Accanto a lui, Iida spuntava per la sua molle e nel sollevare la mano per sistemarsi gli occhiali, gli occhi azzurri si persero ad osservare la stanza invasa dal sole. ≪ Anche io ho già provveduto. Mia madre ha mandato dei facchini a impacchettare le mie cose per portarle a casa. Dovrebbero aver mandato qualcuno a prendermi con la macchina di famiglia per le ultime cose. ≫

Ochaco e Izuku si erano scambiati uno sguardo a quelle parole. Tenya era un bravo ragazzo e cercava sempre di non far pesare sugli altri la sua condizione di figlio di buona famiglia. Non aveva quel distacco gelido che caratterizzava Shouto Todoroki, così composto e silenzioso da rendere difficile coinvolgerlo in qualsiasi cosa e che gli conferiva un'aura da intoccabile, quasi potessero sporcargli gli abiti firmati se solo si fossero azzardati a sfiorarlo con la punta delle dita.

Non era nemmeno come Momo e la disinvolta sicurezza con cui sfoggiava la sua carta di credito o se ne usciva con frasi da alta borghesia che riuscivano a far sentire Ochaco l'ultima dei senza tetto senza che la sua amica volesse farlo.

Entrambi si muovevano come se sapessero di avere il mondo a portata di Visa e che sarebbe bastato il suono dei loro nomi di famiglia a spalancare tutte le porte, con buona pace dei comuni mortali costretti a sgobbare per ottenere qualsivoglia cosa.

Iida Tenya era diverso e Ochaco l'adorava per quella sua modestia innata, per l'impegno che metteva a conformarsi a tutti gli altri e farli sentire come non ci fosse alcuna differenza fra loro. Eppure, qualche volta anche lui si lasciava sfuggire qualcosa che ricordava loro quanto fosse diverso il mondo in cui era cresciuto dal loro.

La cosa peggiore era che Ochaco sapeva che lui non voleva farlo e ci sarebbe rimasto male se gliel'avesse fatto notare, perciò fece finta di nulla. Nel guardarlo allungare la mano per prenderle la vecchia sacca dalle mani, però, non poté fare a meno di pensare a come dovesse essere più facile la vita di un ragazzo di buona famiglia che non doveva nemmeno preoccuparsi di farsi le valige da solo rispetto alla sua.

≪ Ho pensato di tenermi libero per aiutarti, 'Chako. ≫ le disse Tenya, con un sorriso gentile che si scoprì a ricambiare senza nemmeno accorgersene. ≪ Mi rattrista pensare che avresti spostato tutta questa roba da sola. Le ragazze non dovrebbero fare certi lavori. ≫

≪ Grazie. ≫ sussurrò Ochaco, imbarazzata perché poteva benissimo spostarli anche da sola quei dannati scatoloni, non era così impedita. Izuku, alle spalle del ragazzo, scrollò le spalle come a dire "che ci vuoi fare? È fatto così." e afferrò a sua volta uno degli scatoloni sotto lo sguardo truce della ragazza. ≪ Comunque, a noi fa piacere. Specie se avessi ancora quei biscotti buonissimi che hai comprato la settimana scorsa e volessi offrircene qualcuno. ≫

≪ Ah! ≫ strillò lei, facendo sussultare i due ragazzi, gli occhi castani scintillanti di divertimento. ≪ Lo sapevo io che c'era sotto qualcosa. ≫ esclamò, soffocando a stento il sorriso che era sorto sulle labbra e allungando la mano per dare un colpetto alla schiena dell'amico. ≪ Sei un pozzo senza fondo, Izuku! ≫

≪ Sono in via di sviluppo. ≫ replicò lui, caricandosi di un'altra scatola e soffocando una risata mentre Ochaco roteava gli occhi, sotto lo sguardo divertito di Tenya che sorrideva ad entrambi con spensierata allegria. ≪ Si, certo. Come no. ≫ commentò, ironica. ≪ L'età dello sviluppo dovresti averla superata da un pezzo. ≫

Nel lasciarsi alle spalle il dormitorio con la valigia che sussultava alle proprie spalle e i due ragazzi al fianco - carichi di scatole e con le borse da viaggio a tracolla - si era sentita montare dentro una certa euforia. L'estate era alle porte e loro avevano fatto tanti progetti per trascorrerla al meglio, non vedeva l'ora di poterli realizzare. Ne avevano parlato allungo durante le notti che precedevano la chiusura della scuola, seduti sui gradini d'ingresso del dormitorio a far scoppiare i petardi o intenti ad apparecchiare una tavola sull'erba fresca per mangiare sotto le stelle.

Toru aveva scoperto un piccolo chiosco sulla spiaggia, un posticcino piacevole in cui si radunavano molti loro coetanei a fare serata e non vedeva l'ora di portarli lì. Momo sarebbe andata in Francia con la sua famiglia e Kyoka aveva una lista di concerti a cui voleva partecipare e per cui aveva già prenotato di biglietti. Ochaco le aveva dato di gomito con un sorrisino saputo sulle labbra, quando Kaminari aveva espresso il desiderio di andare insieme a lei ad alcune delle esibizioni dei suoi idoli musicali, facendola arrossire.

Anche Ochaco aveva dei progetti per l'estate.

Avrebbe fatto il tirocinio all'agenzia di Riukyu – in cui sperava di essere assunta dopo il diploma come sidekick a tempo pieno – e per il resto, si era già messa d'accordo con tutti i suoi amici per impegnare il resto delle vacanze estive.

Infondo, quello sarebbe stato il loro ultimo anno come studenti e nessuno poteva sapere dove sarebbero stati l'anno successivo.

Alcuni sarebbero riusciti a farsi assumere in città, altri forse si sarebbero trasferiti in prefetture più distanti o addirittura in un'altra regione. Qualcuno progettava già di viaggiare all'estero e collaborare con eroi stranieri. In ogni caso, il loro ultimo anno assomigliava a un limbo in cui la spensieratezza di avere ancora diciott'anni e tutta la vita davanti si mescolava alla consapevolezza che la vita adulta incombeva su di loro, con tutto il peso delle responsabilità che comportava e delle speranze disattese per un futuro che rischiava di scivolare via dalle loro mani a ogni passo.

Ochaco, forse, era l'unica a sapere già cosa questo significava e non voleva sprecare il poco tempo rimastole per lasciarsi sfuggire quegli ultimi momenti di spensieratezza che rimanevano. Per questo, era stata entusiasta di organizzarsi con tutti quanti per impegnare ogni momento libero prima di dover dire addio ai suoi amici.

Izuku voleva andare al nuovo parco dei divertimenti acquatici e quando ne aveva parlato agli altri, in piedi nella sala comune, gli scintillavano gli occhi. Almeno finché la voce aspra di Bakugou non si era alzata dalla zona dei divani alle loro spalle per commentare sprezzante. ≪ Si, certo. Così ti prende un accidente sulle montagne russe acquatiche e inizi a piangere e frignare come un poppante.

Ochaco l'aveva guardato storto come se avesse colpito lei invece che l'amico. Uno sbuffo seccato era sfuggito dalle labbra di Katsuki nel veder avvampare le guance di Izuku, dipingendo un'espressione offesa sul suo viso lentigginoso. ≪ Solo perché è successo una volta quando eravamo piccoli, non significa che... ≫ aveva provato a dire, ma la voce aspra di Katsuki aveva coperto la sua, un ghigno sprezzante a curvare la bocca e gli occhi rossi ornati di ombre scure. ≪ Lascia perdere. Se vuoi conservare un briciolo di dignità, Deku, faresti meglio a stare lontano da quei posti.

Ochaco non capiva proprio perché Bakugou Katsuki dovesse essere così insopportabile delle volte. Almeno, Shouto Todoroki era educato e si era limitato a scuotere la testa, dando una pacca affettuosa sulle spalle di Deku. ≪ Non ci pensare, Midoriya. ≫ gli aveva detto con la voce bassa e qualcosa di rassegnato in viso. ≪ Lascialo semplicemente perdere.

Bakugou gli aveva guardati con gli occhi sfiorati dalla luce dorata del lampadario, scostante e scortese come sempre. Specie con Deku. Un sorriso strafottente a curvargli la bocca mentre gli occhi verdi dell'altro lo fissavano accesi di un'intensità che Ochaco non comprendeva. La bocca arricciata in un broncio scontento di Deku si era contratta nel mormorare con voce rauca. ≪ Allora, vieni anche tu.

Ochaco aveva sussultato. Qualcuno nella stanza si era zittito. Più di uno sguardo si era posato sul ragazzo in piedi con i pugni serrati lungo i fianchi fasciati dai corti pantaloncini, gli occhi verdi fissi sul viso impenetrabile di Bakugou e sulle sue iridi rosse. ≪ Ah? ≫

Un suono aspro e basso, quasi vibrante era risalito dal fondo della gola di Bakugou che aveva socchiuso gli occhi e aggrottato le sopracciglia con un'ombra malevola a oscurare il viso. ≪ Cosa hai detto?

Deku, non credo... ≫ aveva sussurrato Ochaco, agitata, ma Deku aveva scacciato le sue parole scuotendo la testa. Gli occhi brucianti di ombre e determinazione fissi in quelli rubino di Bakugou e la voce che si sollevava per risuonare nella stanza comune, al di sopra della confusione. ≪ Ho detto: vieni anche tu. Ti dimostrerò quanto ti sbagli.

Ripensandoci ora, dopo mesi, Ochaco si rendeva conto che avrebbe dovuto capirlo già allora cosa Deku provava per quel ragazzo. Avrebbe dovuto cogliere la verità nel verde scuro dei suoi occhi e nella piega decisa delle sue labbra morbide, in quel rossore che gli affiorava sulle guance in modo quasi impercettibile.

Invece, si era limitata a guardarlo con le labbra schiuse per la sorpresa. Gli occhi castani che sbirciavano nervosi il ragazzo biondo seduto sui divani, il braccio piegato sullo schienale, gli occhi rossi socchiusi e un'ombra sul viso a rendere illeggibile la sua espressione.

Il silenzio nella stanza vibrava della tensione che emanavano i loro corpi, di quella sorta di aspettativa che lo sguardo di tutti tradiva e che si era infranto al suono rauco della voce di Bakugou. ≪ Con il cazzo che butto anche solo un'ora del mio tempo libero per sopportarti. aveva sbuffato, gli occhi rossi divampanti come fiamme nella luce dorata. ≪ È già tanto che debba vedere la tua brutta faccia sul lavoro, figurati se ho intenzione di farlo nel tempo libero.

Tutta la tensione che aveva riempito Deku si era sgonfiata al suono di quelle parole aspre. Le sue spalle avevano ceduto, piegandosi come gli angoli della sua bocca e un intenso rossore gli aveva colorato le guance mentre Bakugou storceva la bocca in una smorfia e gli voltava le spalle, sprofondando nel divano. ≪ L'unica ragione per cui ti sopporto è Endevour. Non butto all'aria l'opportunità di imparare dal migliore per una nullità come te.

Ochaco aveva sentito la rabbia divampare dentro e accendergli le guance di un intenso calore, facendogli formicolare i palmi delle mani dalla voglia di prendere a ceffoni quel ragazzo insopportabile.

Come le sarebbe piaciuto metterlo a tacere in quel modo!

Menomale che nessuno sentirà la tua mancanza, Bakugou. ≫ aveva sibilato, afferrando il braccio di Deku. I muscoli sotto le sue dita erano duri e contratti, percorsi da un lieve tremito nervoso che teneva le sue mani serrate a pugno.

Ochaco percepiva il suo silenzio come una lama che scivolava sulla pelle, carezzandola senza tagliarla, incoraggiando la sua lingua a muoversi e sputare il veleno che sentiva agitarsi nel fondo dello stomaco. ≪ Anzi, direi che saremo tutti sollevati di non doverti sopportare un minuto in più del necessario.

Se le sue parole avessero avuto il potere di ferire Bakugou Katsuki ne sarebbe stata felice. Gli sarebbe bastato vedere un tremito, il retro della sua nuca bionda che si chinava o i muscoli del collo tendersi. Qualsiasi cosa che dimostrasse come fosse riuscita a colpirlo. Ma lui si era limitato a emettere uno sbuffo che suonava quasi come una risata di scherno e a urlare il nome di Kirishima mentre si sporgeva ad afferrare il joystick sul tavolino.

Come se Ochaco non esistesse.

Come se nessuno di loro potesse in alcun modo colpirlo o interessarlo e la loro stessa esistenza fosse cessata nel momento in cui aveva voltato loro le spalle.

Si, comprendere come Deku potesse essersi innamorato di un tipo così andava oltre la sua umana comprensione. Eppure, forse nessuno di loro aveva mai avuto controllo o possibilità di scelta. Avevano solo potuto incassare il colpo e venirne travolti, accettare che la persona per cui avevano perso la testa era sbagliata per loro anche quando ogni parte dei loro corpi gridava il contrario.

Ci vengo io, se non ti dispiace.

La voce di Todoroki era pacata e controllata come sempre, gli occhi spagliati avevano cercato quelli verdi di Deku con una cauta domanda dipinta nelle iridi. ≪ Non sono mai stato in un parco dei divertimenti acquatici.

Ma come...?! ≫ aveva esclamato Deku, riscuotendosi dai suoi pensieri e voltandosi a guardare l'amico con un'espressione sbalordita dipinta sul viso arrossato, le labbra schiuse e gli occhi sgranati. ≪ Shouto a volte mi stupisci. È ovvio che voglio che tu venga, solo non pensavo che fosse il tuo genere di cose. Scusami se non te l'ho chiesto subito.

Non preoccuparti di questo. ≫ aveva risposto lui con lieve sorriso a curvare le labbra. E se in quel momento qualcuno avesse detto a Ochaco che un giorno la vista di quel sorriso sarebbe riuscito ad annodarle lo stomaco e far fremere qualcosa dentro il suo ventre, si sarebbe preoccupata di chiamare un analista che aiutasse quel folle.

Perché Shouto Todoroki era come il satellite di un pianeta lontano, qualcosa di bello e affascinante da guardare ma che brillava di una luce fredda per cui non avrebbe mai potuto provare nulla.

Avrebbe voluto che le cose restassero così, ma non era stata tanto fortunata.


 

 

Era stato sul marciapiede della scuola che Ochaco aveva rivisto i suoi genitori dopo mesi di lontananza. L'aspettavano accanto a un taxi giallo limone parcheggiato fra le lussuose limosine e le lexus luccicanti dei studenti più facoltosi dell'accademia. I visi stanchi su cui si allargava un caldo sorriso e lo sguardo che scorreva sulla folla di studenti alla sua ricerca con trepidazione.

Nel momento in cui gli aveva notati - spiccare nella folla di ricconi come girasoli in un campo di rose - aveva sentito il cuore sussultare in petto, per un misto di meraviglia e gioia. Non le importava della folla di studenti in abiti dai colori sgargianti che bloccavano il marciapiede o dello strombazzare dei clacsono, delle voci concitate ed euforiche o che i suoi genitori sembrassero stonare nel mezzo di quelle auto lussuose quasi fossero macchie di colore in un quadro dalle tonalità discrete.

≪ Siete venuti fin qui, non ci credo! Ma come...? ≫ strillò, lasciando cadere la valigia a terra per correre a gettarsi fra le braccia spalancate di suo padre. Il suo petto ampio l'aveva accolta, caldo e famigliare come sempre, lasciando che vi nascondesse il viso e vibrando di una bassa risata. ≪ Come potevamo non venire? Non vedevamo l'ora di riabbracciarti. ≫

≪ Ci sei mancata tanto, tesoro. ≫ aveva detto sua madre, accarezzandogli la sommità della nuca con un sorriso a curvarle le labbra e gli occhi nocciola scintillanti alla luce del sole. E Ochaco aveva sorriso a sua volta, avvolta nel caldo rifugio di quel petto ampio che l'aveva protetta fin da bambina, con una risata sulle labbra e gli occhi abbagliati dal sole estivo che si rifletteva sui vetri e le carrozzerie delle macchine intorno.

≪ Voi di più. ≫

Poteva sentire il battito sordo del cuore di suo padre contro l'orecchio, quel ritmo che negli anni aveva cercato per calmare l'ansia e scacciare la tristezza che a tradimento l'assalivano. Forse per questo, quando aveva reclinato la testa per guardare il viso ampio di suo padre, il suo sorriso pieno di affetto e il suo sguardo caldo e aveva scorto le profonde occhiaie sotto i suoi occhi vispi, le rughe che gli scavavano la pelle bruciata dal sole e dalle intemperie, aveva pensato a turni massacranti di duro lavoro e alla fatica del viaggio.

L'aveva turbata constatare quanto sembrasse più vecchio e stanco dell'uomo che aveva salutato solo qualche mese prima. Scorgere del grigio sulle sue tempie e nei fili della corta barba. L'ombra dell'apprensione riflesso nei suoi occhi affettuosi che la scrutavano mentre le accarezzava le guance con il pollice ruvido e calloso.

I suoi genitori erano stati entusiasti di salutare anche Deku e Iida che conoscevano sin dal primo anno di scuola, intrattenendosi a parlare con loro. Sua madre sorrideva con dolcezza a Iida mentre suo padre sistemava i bagagli sul retro del taxi con l'aiuto di Deku, parlandogli con affetto nemmeno fosse stato suo parente.

È un ragazzo così carino e ben educato. State così bene insieme. ≫ le aveva detto spesso, sua madre, nella tranquillità della loro casa, causandole una contrazione alla base dello stomaco e facendole storcere la bocca in una smorfia. Mamma!

Che c'è? Sono sposata mica cieca. Gli occhi castani di sua madre luccicavano di divertimento nel guardarla e suo padre aveva annuito con un mezzo sorriso sulle labbra. ≪ Se devo essere sincero, l'idea che un altro uomo si prenda la mia bambina non mi piace per nulla. aveva ammesso, piegando il giornale sulle ginocchia con un fruscio della carta. ≪ Ma Midoriya è un ragazzo apposto. Non mi dispiacerebbe averlo come genero.

Oh, ma io parlavo di Iida, caro. ≫ replicava sua madre, voltandosi a guardarlo con un'espressione fintamente sorpresa in volto e il suono allegro di una risata a indugiare sulle labbra schiuse. ≪ È un così bel ragazzo di buona famiglia. Sono sicura che potrebbe darti una vita serena e felice.

A Ochaco non era del tutto chiaro se scherzasse o meno, se la prendesse in giro con quelle allusioni perché erano anni che loro tre formavano una sorta di trio a parte o se si era semplicemente resa conto che c'era stato un tempo in cui Ochaco aveva provato qualcosa per quel ragazzo timido e determinato che era Deku.

Quello che sapeva era che Iida era fidanzato con una ragazza di un altro dipartimento - una storia che sembrava funzionare per quanto lei sembrasse totalmente pazza – e Deku era gay fino al midollo e la sola vista di una ragazza lo gettava nel panico più totale. Ma anche se non fosse stato così, quei sentimenti che aveva nutrito per lui erano mutato in qualcosa di diverso e ormai, quando guardava a quei due ragazzi vedeva i fratelli che avrebbe voluto avere da sempre. Qualcuno che adorava e a cui voleva bene dal profondo del cuore, ma per cui non nutritiva alcuna attrazione fisica.

Quel giorno però non c'erano scherzi o discorsi allusivi. Solo suo padre che batteva la grossa mano sulla spalla di Deku e sua madre che abbracciava entrambi i ragazzi con affetto. ≪ Grazie di prendervi cura della nostra bambina. ≫

Ochaco arrossì per l'imbarazzo, cogliendo una luce divertita nel fondo degli occhi verdi di Deku. ≪ In realtà, è lei che si prende cura di noi. ≫

≪ Bugiardo. ≫ rispose Ochaco, muovendo solo le labbra senza emettere suono e ricevendo come risposta un sorriso divertito da Deku. Si erano salutati davanti al taxi in attesa, sotto i raggi caldi del sole d'inizio di estate, ripromettendosi di chiamarsi la sera stesa e le loro strade si erano divise.

Deku e Iida si erano mescolati alla folla di studenti e genitori, diretti a casa e lei era salita sul sedile posteriore del taxi, fra i suoi genitori, conscia che l'aspettavano ancora diverse ore di viaggio prima di poter godere di una doccia rinfrescante e del suo morbido letto.

Nel momento in cui il taxi si fermò davanti a una vecchia pensione dai muri macchiati di muffa, Ochaco avvertì una sorta di presagio stringerle il petto. Guardò sua madre nel sedile accanto a lei e poi suo padre, sull'altro lato, ma nessuno dei due sollevò il viso per ricambiare il suo sguardo e cogliere la muta domanda sul suo viso.

≪ C-che cosa...? ≫ sussurrò nel caldo abitacolo, lanciando uno sguardo inquieto al viso dolce di sua madre e cogliendo le rughe profonde che lo segnavano. Era sempre apparsa così stanca e vecchia o era lei che aveva conservato un ricordo più indulgente del suo aspetto?

≪ Mamma? ≫ la chiamò con una nota incerta nella voce, la bocca secca e le mani che stringevano l'orlo dei corti pantaloncini. ≪ Che cosa sta succedendo? ≫

Un sospiro stanco sfuggì dalle labbra di suo padre che sollevò il volto per guardare dritto davanti a sé. ≪ Aiutami a portare le valigie. Ne parliamo dentro. ≫

Il cuore di Ochaco batteva rapido mentre scendeva dal veicolo e aiutava suo padre a scaricare i bagagli. Sua madre pagò il taxi. Ochaco non disse una parola nel toccare con i polpastrelli umidi di sudore l'unica valigia dei suoi genitori e i propri bagagli, così da azzerarne la gravità e renderli più semplici da trasportare.

La piccola stanza che avevano affittato era in stile tradizionale con il tatami ruvido e scheggiato, le pareti macchiate di umidità emanavano un lieve odore dolciastro e la vecchietta che diede la chiave a suo padre disse qualcosa su tubature arrugginite che richiedevano tempo per dare l'acqua. Quando la porta si chiuse alle spalle della vecchia, lasciandoli soli nell'unica stanza, Ochaco sentì l'angoscia nel suo petto pesare come un macigno che le toglieva il fiato.

Si voltò a guardare i suoi genitori, i loro visi stanchi che evitavano di sollevarsi per incrociare il suo sguardo. ≪ Siamo nei guai, vero? ≫ chiese con voce soffocata e avrebbe voluto poter cancellare il tremito che rivelava come si sentisse una bambina spaventata davanti a una montagna troppo alta da scalare. ≪ La ditta di papà... la ditta edile è di nuovo in crisi, vero? ≫

Il silenzio nella stanza era rotto solo dal fruscio delle campanelle a vento alla finestra e dal sospiro stanco che sfuggì dalla bocca di suo padre quando si lasciò cadere sul tatami, accanto a sua moglie. ≪ Siediti, Ochaco. Dobbiamo parlare. ≫

Un brivido inquieto le risalì lungo la spina dorsale a quelle parole soffocate. Non le serviva nemmeno una risposta più articolata per capire. Non era la prima volta che la ditta entrava in crisi per i costi elevati di gestione e lei e sua madre si trovavano costrette a cercare un qualche lavoro che gli permettesse di tirare avanti.

Era tutta la vita che Ochaco combatteva contro la scarsità di denaro della sua famiglia e conviveva con la consapevolezza di non potersi permettere la stessa spensieratezza delle sue amiche.

≪ Lavorerò nei cantieri con te, papà. ≫ disse con decisione, sollevando il mento come a sfidare suo padre a negarglielo. A privarla della determinazione a volerli aiutare e contribuire al loro sostentamento. ≪ Annullerò tutti gli altri impegni e dopo le ore di tirocinio verrò ad aiutarti. Anzi, rinuncerò pure a quello se è necessario. Ne verremo fuori anche stavolta. ≫

La bocca di suo padre si contrasse in una linea dura, il viso basso e un'ombra a oscurarne il viso. Sua madre non la guardò nel portarsi una mano al petto e sfiorare l'anello che aveva appeso alla catenella. L'unico ricordo che le restava di sua nonna.

I pugni lungo i fianchi di Ochaco si serrarono con tanta forza da far sbiancare le nocche, ma i suoi genitori non sollevarono il viso per guardarla nemmeno quando lei compì un passo verso di loro. ≪ Ti ho sempre detto che il mio quirk poteva esserti d'aiuto e se ti aiuto per tutta l'estate vedrai che riusciremo a rimettere in carreggiata la ditta e pagare qualsiasi debito... ≫

≪ La ditta... non c'è più. ≫

La voce di suo padre si confuse alla sua, soffocata e stanca, gravata da un'amarezza che Ochaco non gli aveva mai sentito esprimere. Eppure, il significato delle sue parole le giunse con chiarezza, causandole un dolore sordo al petto.

La ditta che suo padre aveva costruito con il suo sangue e il sudore, che si era presa tutte le sue energie, consumandolo con preoccupazioni crescenti e angosce. La ditta che era la loro unica fonte di reddito e per cui suo padre aveva combattuto, garantendo loro del cibo caldo da mangiare anche quando le bollette non pagate e le cartelle esattoriali avevano iniziato ad accumularsi... Non poteva crederci.

≪ Cosa...? Cosa significa che n-non... che non c'è più? ≫ sussurrò, trattenendo il respiro e fissando supplichevole i suoi genitori dall'alto, le mani strette a pugno che tremavano appena. Sotto il suo sguardo sua madre scosse piano la testa, gli occhi castani velati di tristezza e disillusione si sollevarono per cercare i suoi. ≪ Tuo padre ha fatto tutto il possibile per impedirlo, ma... ≫

≪ Ho fallito. ≫ concluse lui per lei, gli occhi bassi che evitavano quelli di Ochaco e le grosse mani irruvidite da anni di lavoro abbandonate sulle gambe piegate. ≪ L'unica possibilità che mi è restata è stato dichiarare fallimento. ≫

Un respiro tremulo sfuggì dalle labbra di Ochaco che si lasciò ricadere lentamente a terra. Gli occhi castani fissarono il volto ampio di suo padre su cui la luce del sole disegnava un gioco di ombre, scorgendo il velo della disperazione e della vergogna che le impediva di guardarla. ≪ Mi dispiace, Ochaco. Ho fatto tutto ciò che potevo... ci ho provato, ma le spese si accumulavano e non avevamo denaro. Nessuno era più disposto a concedermi un nuovo prestito e... ≫ Un verso strozzato risalì dalla gola di suo padre, spezzandosi sulle sue labbra tremanti. Un luccichio di lacrime gli inumidì le corte ciglia. ≪ Vi ho deluse. Mi dispiace. Vi ho deluse entrambe. ≫

≪ Non dire così. ≫ sussurrò sua moglie, voltandosi a guardarlo con un'ombra a scurire gli occhi castani e la bocca serrata in una linea decisa. ≪ Hai fatto tutto ciò che potevi. ≫

≪ Okay. ≫ mormorò Ochaco, passandosi una mano sul viso con la sensazione di avere un macigno a schiacciarle il petto e renderle difficile respirare. ≪ Okay, possiamo ricominciare. Anche senza la ditta. ≫

Sul viso di sua madre l'angoscia scavava solchi profondi. Suo padre tacque, la testa china e gli occhi fissi sui palmi ruvidi delle sue mani. Il senso di oppressione che serrava il petto di Ochaco sembrò accentuarsi davanti a quel silenzio rassegnato, al loro rifiuto a reagire o fingere una rassicurazione di cui aveva bisogno.

≪ Ci sarà qualcuno disposto ad assumerti nonostante l'età. ≫ disse a suo padre, poggiando le mani sul tatami scheggiato e sporgendosi verso di lui, con gli occhi castani che cercavano disperatamente di incrociare quelli di lui e leggervi una rassicurazione che non poteva dargli.

≪ I soldi che ho mandato a mamma il mese scorso grazie al tirocinio? ≫ domandò con un tremito nella voce e un velo d'ansia. ≪ Possiamo usarli anche tutti. So che non sono molti però... ≫ Scosse la testa e le corte ciocche castane dei suoi capelli gli sfiorarono le guance pallide.

Si rendeva conto anche da sola che non stava pensando con lucidità e che la ridicola somma guadagnata dal suo tirocinio era già stata spesa. Eppure, doveva fare qualcosa. Doveva esserci qualcosa che potesse fare per i suoi genitori.

≪ Posso chiedere un anticipo su quelli del prossimo mese. Si, in qualche modo ce la caveremo. ≫ Il suo viso si accese di una flebile speranza nel voltarsi verso sua madre con quell'idea in testa e cercare il suo appoggio.

Ryukyu avrebbe capito se gliel'avesse spiegato, forse avrebbe accettato di darle più turni retribuiti e anche se per un po' avrebbero dovuto tirare la cinghia, se la sarebbero cavata. Come sempre. Come avevano sempre fatto.

≪ Ochaco, tu non capisci. ≫ le disse suo padre con una nota dura nella voce bassa che la ferì, perché non le aveva mai parlato in quel modo prima. ≪ Spiegami, allora. Cosa c'è che non capisco? ≫

La bocca di suo padre si serrò in una linea dura prima di schiudersi in un sospiro stanco. ≪ Io lo so che tu vuoi essermi d'aiuto. Sei una brava bambina e hai sempre cercato di aiutare me e la mamma mandandoci quel poco che potevi, ma questa volta è diverso. ≫

La mano che poggiava contro la coscia si contrasse, chiudendosi a pugno. Sua madre la coprì con la propria, stringendola forte come se così facendo potesse evitare di venir travolta dalla realtà della situazione in cui si trovavano. ≪ Ochaco con la ditta abbiamo perso tutto. ≫

≪ La nostra casa... ≫ mormorò suo padre, serrando gli occhi e lacrime di rabbia caddero a bagnare il dorso della mano di sua moglie che stringeva la sua. ≪ La possibilità di darti un futuro. Noi... mi dispiace, non possiamo. ≫

In quel momento, Ochaco avvertì nell'aria il rumore che fanno le cose quando si rompono. Il suono dei suoi sogni e delle speranze coltivate, delle ore e dei giorni sacrificati per esaudirli, per renderli un po' più reali e tangibili. Tutte le energie impiegate in quel solo compito, l'impegno messo nel realizzarlo, che in un solo istante venivano vanificati dal suono della voce rauca di suo padre che sussurrava. ≪ Non possiamo pagare i debiti rimasti e... nemmeno la retta della Yuei. ≫

Tutti quegli anni sacrificati a studiare senza sosta quel paragrafo che non le entrava in testa solo per superare un esame. I lividi che si era fatta, la nausea per aver usato troppo il suo quirk, perfino il dolore degli arti e delle ossa rotte ricompensato solo dal sorriso di un estraneo. Dalla consapevolezza di aver fatto la differenza per qualcuno. Dalla speranza che un giorno sarebbe diventata un'eroina capace di salvare qualcuno e di poter dare a sé stessa e ai suoi genitori quella sicurezza economica che non avevano mai avuto.

≪ La nonna ha accettato di ospitarci a casa sua per un breve periodo e aiutarci a rimetterci in piedi. ≫ La voce di sua madre suonava alle orecchie di Ochaco distante come provenisse da molto lontano, mille e mille leghe sotto un mare di gelida insensibilità. ≪ Vorremo che venissi con noi dal momento che... non possiamo più mantenere i costi dello Yuei. ≫

Tutta quella fatica e il duro lavoro, pensò con amarezza Ochaco fissando senza vederli davvero i visi dei suoi genitori. Tutto ciò che aveva sognato e per cui si era impegnata al punto da passare intere notti in bianco, angosciandosi per una verifica, combattendo la frustrazione per non essere all'altezza e la paura di fallire.

Tutto andò in frantumi come vetro al suolo e Ochaco seppe come si sentiva suo padre a vedere la sua vita spazzata via da un unico, disgraziato, evento.

≪ No. ≫ sussurrò con un filo di voce, appena udibile nella stanza spoglia. Ma era un rifiuto inutile che non aveva il potere di cambiare nulla. La supplica di una bambina che non poteva accettare la verità delle cose e che poteva solo sentire il sapore amaro delle lacrime infondo alla gola risalire a pungerle gli occhi e toglierle il fiato.

≪ Un anno. ≫ sussurrò con voce impastata e qualcosa nel suo petto si contrasse, causandole un dolore sordo. Per la prima volta in vita sua, provò così tanta rabbia da voler spaccare qualcosa con le proprie mani. Afferrare qualcosa e fracassarla a terra. Urlare fino a graffiarsi la gola e liberarsi del senso di frustrazione che le chiudeva la gola perché c'era così vicina.

Vicina a realizzare i suoi sogni. Vicina a raggiungere l'indipendenza e costruire quella sicurezza di cui aveva sempre sentito la mancanza. Vicina a vedere tutti i suoi sforzi e i sacrifici dare finalmente indietro i loro frutti.

≪ Manca solo un anno e sarò un'eroina. ≫ sussurrò e lacrime amare caddero a rigarle le guance piene mentre le labbra le tremarono. I suoi genitori non la guardarono. Non la guardavano mai quando parlavano di soldi, quando litigavano per le bollette che non potevano pagare, per i vestiti che non potevano comprare o le scarpe consumate che non potevano sostituire.

Non la guardavano mai mentre li ascoltava urlare, accovacciata in un angolo della stanza come un'ombra fra le tante. Un oggetto inanimato che assisteva impotente alle loro decisioni e sorrideva come se non le importasse di dover rinunciare a quella gita a cui tutti gli altri sarebbero andati, al cinema il sabato sera o a quel maglioncino che voleva. Fingendo che non le facesse male essere costretta a imporsi di non desiderare più di quel che si potessero permettere ed essere la brava bambina di cui i suoi genitori avevano bisogno.

Quella che avrebbe compreso anche se era troppo giovane per capire. Quella che avrebbe trovato il lato positivo e sfoggiato un sorriso allegro anche se voleva solo piangere e urlare. Perché non era colpa dei suoi genitori se non potevano darle di più. Era la vita ad essere ingiusta e questo Ochaco l'aveva sempre saputo.

Era la vita ad essere crudele.

Eppure, anche se l'aveva sempre saputo non riuscì a trovare la forza per sorridere e consolare i suoi genitori. Per dire loro che andava bene e non importava. Che non era colpa loro se le cose erano andate così e che anche se le faceva male il petto, anche se sentiva la rabbia ribollirle dentro, gli voleva bene come sempre.

Per la prima volta in vita sua, Ochaco aveva scoperto di non riuscire a trovare la forza di essere coraggiosa per sé stessa e le persone che amava ed era fuggita da quella stanza che puzzava di muffa, con le lacrime che le bagnavano il viso e la gola serrata in una morsa. Ignorando le voci dei suoi genitori che la chiamavano, i passi concitati che cercavano di seguirla e lo stesso battito forsennato del suo cuore che sentiva pulsava fin dentro le tempie.

Aveva vagato per strade che non riconosceva, senza sapere dove andare - senza avere alcun posto dove andare – finché le lacrime che le rigavano il viso si erano asciugate all'aria calda del tardo pomeriggio e i singhiozzi che la scuotevano si erano trasformati in un lieve tremito spossato.

Non aveva con sé né il cellulare né il portafoglio, ma non c'era un solo nome nella sua mente che desiderasse chiamare. Nessuno con cui volesse confidarsi o che volesse la vedesse in quello stato. Aveva così tanti amici a cui avrebbe potuto rivolgersi e non si era mai sentita più sola di così.

Nel sollevare lo sguardo sull'ingresso della stazione si chiese cosa sarebbe successo se fosse semplicemente scomparsa nel nulla. Se fosse fuggita e avesse fatto perdere le sue tracce. Forse esisteva un qualche posto nel mondo in cui avrebbe potuto ricominciare e avere la vita che aveva sempre sognato.

Ma già mentre lo pensava sapeva che non l'avrebbe fatto. I legami che la trattenevano erano troppo saldi e forti per permetterle di scappare e non esisteva posto al mondo in cui avrebbe potuto nascondersi da sé stessa.

Aveva vagato finché la luce del sole non si era fatta aranciata e le gambe non erano diventate pensanti. Le facevano male i piedi e il quartiere in cui era finita aveva strade strette e acciottolate che si erpicavano su una collina boscosa. Attraverso le fronde verdeggianti e la pietra modellata si scorgevano le fattezze di un antico tempio shintoista verso cui si dirigevano diverse persone.

L'odore di cibo caldo indugiava nell'aria, fra le vetrine illuminate di prodotti tradizionali e negozi di souvenir, e le fece brontolare lo stomaco. Alcuni mettevano in mostra campanelle a vento e altri manufatti tradizionali che attiravano turisti e altri curiosi, suonando una melodia fatta di note cristalline e tintinnì nell'aria calda.

Qualcuno le passò accanto e la superò, sfiorandole la spalla e chiamò con una nota di stupore nella voce bassa al di sopra del lieve brusio. Ochaco passò accanto a un muretto ricoperto di muschio su cui riposava un grosso gatto nero e un ristorante ghermito da una lunga coda di clienti in attesa, senza fare caso alle persone che le camminavano intorno.

Il giorno stava volgendo al termine, il sole tramontava oltre l'orizzonte e lei era stanca. C'era un'atmosfera tranquilla in quelle vie ancorate al passato, una sorta di pacifica serenità che la spingeva a continuare a vagare senza meta. Qualcuno la chiamò per nome, ma non ci fece caso e passò oltre, solo per bloccarsi nel mezzo della via quando una mano le afferrò il braccio nudo, trattenendola.

Si voltò lentamente a guardarsi indietro, la fronte corrugata e gli occhi castani che si sollevavano stanchi a fissare le iridi spagliate sotto l'ombra della frangia leggera che gli sfiorava il bel viso impenetrabile. La luce del sole morente accendeva il rosso dei suoi capelli di mille riflessi e disegnava una sfumatura rosata sul candore delle ciocche che ricadevano a sfiorare l'occhio grigio, spalancato insieme a quello azzurro a fissarla.

≪ Stai bene, Uraraka? ≫ le chiese con una nota incerta nella voce pacata e in quella luce crepuscolare, la cicatrice che deturpava la sua pelle sembrava più rossa e infiammata del solito. ≪ Non mi hai sentito chiamarti quando mi sei passata accanto? ≫

Ochaco non rispose, la bocca morbida socchiusa per la confusione crescente nel trovarsi davanti quel viso famigliare e inatteso. La mano di lui era fresca sulla sua pelle accaldata. L'aveva afferrata con quella destra e le lunghe dita eleganti chiudevano l'avambraccio quasi racchiudendolo del tutto. Le aveva fatto uno strano effetto vedere da così vicino la cicatrice che gli circondava l'occhio azzurro e realizzare che per quanto fosse orrenda, non riuscisse a cancellare del tutto la bellezza del suo volto.

Il respiro le morì sulle labbra in un sospiro stanco. Todoroki la guardò dall'alto, sbattendo le palpebre nello studiare con maggiore attenzione il suo viso e cogliere il rossore degli occhi, i segni delle lacrime che le segnavano le guance arrossate e qualcosa nell'espressione del suo viso fece balenare nel fondo delle sue iridi diverse un lampo di stupore.

≪ Cosa ti è successo? ≫ le domandò con voce soffocata e i tratti eleganti del suo viso si ammorbidirono nel chinare la testa di lato per osservarla meglio. Ciocche candide come neve al sole e rosse come fiamme ondeggiarono nell'aria calda, mescolandosi. ≪ Hai l'aria di aver pianto un bel po'. ≫

Ochaco non aveva intenzione di dirgli nulla, ma le parole corsero sulle sue labbra con le lacrime che salivano a riempirle gli occhi. ≪ Io... non lo so. ≫ sussurrò con un filo di voce e il respiro le si spezzò sulle labbra in un verso strozzato. Una lacrima cadde dalle lunghe ciglia percorrendole la guancia arrossata. ≪ È finito tutto e non so dove sono né come aggiustare le cose. Non so... cosa devo fare. ≫

Todoroki sbatté le palpebre un'unica volta, fissandola con i grandi occhi sbarrati. Nel suo bel viso inespressivo, confusione e stupore disegnarono una ruga nello spazio fra le sottili sopracciglia di due colori diversi e conferivano una nuova morbidezza ai tratti eleganti. ≪ Di cosa stai parlando? ≫

Ochaco scosse piano la testa, distogliendo lo sguardo dal suo con le labbra che le tremavano. Sollevò la mano libera per strofinarsi la guancia umida di lacrime e chiuse gli occhi, cercando di recuperare un briciolo di lucidità. Cosa stava facendo nel mezzo di un quartiere sconosciuto a piangersi addosso? Sarebbe dovuto essere a casa, dai suoi genitori, a dire loro che andava tutto bene.

Una fitta le attraversò il petto nel ricordare che una casa non ce l'aveva più. Era andata persa insieme alla ditta di suo padre, insieme al suo futuro e a quelle poche certezze che avesse mai avuto. ≪ Io... non lo so. ≫ mormorò, riaprendo gli occhi e incrociando quelli di lui che la fissavano con crescente preoccupazione.

In un'altra occasione, avrebbe trovato l'espressione di lui buffa. In tre anni che lo conosceva non l'aveva mai guardata così.

≪ Scusa, Todoroki, n-non so che cosa sto dicendo. ≫ Un angolo della bocca si tese con un tremito in una parvenza di sorriso. ≪ N-non farci caso, per favore. ≫

Avrebbe dovuto tornare dai suoi genitori, in quella stanza sconosciuta, a rassicurarli. Avrebbe dovuto salutare quel ragazzo e tornare indietro. Ma i piedi non ne volevano sapere di muoversi e nel liberare il braccio dalla sua stretta e sforzarsi di accennare un sorriso convincente, la voce e le labbra le tremarono. ≪ Credo di essere un poco confusa. Sono ore che vago e non so dove sono né come ci sono arrivata. Scusami se non ti ho salutato subito. ≫

Todoroki la guardò per un'istante ancora con preoccupazione, la mano destra sospesa nello spazio fra loro, prima che il suo viso si chiudesse come una porta, tornando a celarle la natura dei suoi pensieri. ≪ No... scusami tu. Non volevo importunarti, mi è solo sembrato strano il tuo comportamento. ≫ mormorò con voce pacata, allacciando il pollice destro alla tasca dei jeans e accennando un sorriso cortese. ≪ Mi stupiva il fatto che mi fossi passata accanto senza nemmeno ricambiare il saluto. Non è da te ignorare qualcuno. ≫

Ochaco scrollò le spalle. ≪ Io... non ti avevo notato. ≫ ammise e una risata un poco stridula le sfuggì dalle labbra. ≪ Assurdo, vero? Devo essere l'unica ragazza che non nota Todoroki Shouto mentre se ne va a spasso come qualsiasi altra persona normale al mondo. ≫

≪ Cosa vorresti dire? ≫

La domanda la spiazzò o forse fu la sincera confusione che balenò per il tempo di un battito di ciglia sul viso di lui, la nota tagliente nella sua voce controllata che la fece incespicare nelle parole e nei suoi stessi pensieri. ≪ Nulla, solo che... non è facile non accorgersi di te, ma ero così confusa che non mi sono nemmeno resa conto che mi avessi chiamato o che mi fossi passato accanto. ≫

La luce del tramonto conferiva una sfumatura rosata alla sua pelle chiara, proiettando l'ombra del colletto della camicia sulla clavicola marcata. Il dolce tintinnio delle campanelle a vento risuonava nell'aria. Un sopracciglio ramato si inarcò verso l'alto mentre lei si passava una mano fra i capelli castani, spingendoli indietro. ≪ Non so dove ho la testa. ≫

≪ Sei sicura di stare bene, Uraraka? ≫ le domandò, scrutandola con gli occhi diversi che la luce crepuscolare riempiva di ombre mutevoli. C'era qualcosa nella sua voce, nel modo in cui gli parlava che le suonava strano, quasi stesse cercando di avvicinare un gattino spaventato senza farlo scappare. ≪ Se vuoi posso accompagnarti alla stazione più vicina. È facile perdere l'orientamento fra queste stradine tutte uguali. ≫

Ochaco si trovò a guardarlo senza riuscire ad arginare il pianto che cercava di risalirle dal fondo della gola, gli occhi castani lucidi di lacrime e le labbra tremanti che si sforzavano di tendersi in un sorriso. ≪ Io... si, grazie. No, anzi. No. ≫

Scosse la testa, sfiorando il labbro inferiore con i polpastrelli e la voce le uscì inclinata nell'aria calda della sera. ≪ Non ho nemmeno il portafoglio o il cellulare. Sono uscita senza prenderli e oddio, i miei devono essere in pensiero. Staranno impazzendo dalla preoccupazione. D-devo tornare subito. Scusami, Todoroki. ≫

Si voltò di scatto, incespicando con i sandali sulle lisce pietre, gli occhi castani che scivolavano sulle vetrine dei negozi intorno e i bassi muretti ricoperti di muschio senza nemmeno sapere da che parte dovesse andare. Il suo stomaco brontolò, solleticato dall'odore di cibo caldo che indugiava nell'aria tiepida.

I lampioni si accesero con uno sfarfallio mescolandosi alla luce del tramonto e delineando le ombre dei passanti sui ciottoli piatti. La mano sinistra di Todoroki le afferrò la spalla, trattenendola. ≪ Aspetta. ≫

Ochaco si voltò lentamente a guardarlo, gli occhi castani socchiusi nella luce crepuscolare e le lunghe ciocche castane dei capelli a sfiorarle il viso. Nell'aria le campanelle a vento formavano una melodia fatta di tintinnì e note cristalline che si confusero con la voce sommessa di lui. ≪ Ti andrebbe di bere qualcosa insieme a me? ≫

La luce del crepuscolo disegnava ombre scure sul viso elegante di lui, le lunghe dita callose premettero sulla pelle accaldata di lei, attraverso il cottone leggero della canottiera, fino ad avvertire le ossa sottili al di sotto. ≪ Possiamo andarci a sedere da qualche parte e chiamare i tuoi con il mio cellulare per rassicurarli che stai bene. ≫

≪ Io... ≫ sussurrò incerta lei, arricciando le labbra umide in una smorfia petulante e fissando la mano di lui sulla propria spalla. Non riusciva a ricordare se si fossero mai anche solo sfiorati prima di quel momento e lo conosceva da tre anni buoni.

Todoroki però non ritrasse la mano, gli occhi spagliati che la fissavano da sotto l'ombra delle lunghe ciglia senza lasciar intravedere nemmeno la sagoma dei suoi pensieri. ≪ Sai, avrei dovuto incontrarmi con mio fratello Natsuo e la sua ragazza per cenare insieme a loro, ma mi hanno dato buca all'ultimo e mi farebbe davvero piacere se mi facessi compagnia. ≫. Un lieve sorriso fece capolino sul viso elegante di lui, delicato e candido come quello di un bambino e altrettanto timido. ≪ Detesto cenare da solo. ≫

Anche a distanza di mesi Ochaco non era sicura di sapere che cosa la spinse ad annuire e mormorare un debole ≪ Okay. ≫ con le labbra tremanti e le ciglia umide di lacrime non versate. Lasciare che lui la guidasse lungo la via invasa di turisti e luci dorate, con la mano tiepida che nel ricadere lungo il fianco le sfiorò la scapola nuda al di sopra della cucitura della canottiera.

Lei e Todoroki non erano nemmeno amici, solo due compagni di classe che condividevano alcune amicizie in comune. Lui era molto legato a Deku e Momo era perdutamente innamorata di lui fin dal primo anno. Ochaco era la migliore amica di entrambi, conosceva le storie su di lui, il modo in cui appariva ai loro occhi e non le stava nemmeno tanto simpatico. Eppure, si trovò a camminargli accanto nella luce della sera in un silenzio rotto solo dal dolce tintinnare delle campanelle a vento.

 

   
 
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