Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: innominetuo    05/08/2022    8 recensioni
Essere medico in un reparto militare composto da potenziali martiri non dev’essere di certo una passeggiata. Meti questo lo sa bene.
Ma si sa: ci sono vocazioni e vocazioni, non sono tutte uguali.
Alcune sono un po’ più folli e disperate di altre.
Ma può andar bene… anche così.
(Questa fanfiction è scritta per puro diletto e senza scopo di lucro alcuno, nel pieno rispetto del diritto d'Autore)
N.B. La presente fan fiction è pressoché ultimata, ragion per cui le pubblicazioni saranno - salvo imprevisti di varia natura - regolari e nel fine settimana.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cuori in volo'
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Qualche giorno dopo…

«Quindi… nulla di nuovo? Non sono arrivate le risposte che aspettavamo?»

Erwin rimase in attesa.

A volte per Shadis era difficile confrontarsi, dire la sua. Essendo un uomo schietto, abituato ad esprimersi più con le azioni che con le parole, occorreva avere molta pazienza e molto tatto, per poter interagire con lui.

Erwin, invece, con le parole non aveva problemi: pur non essendo un gran chiacchierone, era dotato di una discreta parlantina, dote naturale forse trasmessagli dal padre, che era stato un valido insegnante. Sapeva quasi sempre dire la cosa giusta al momento giusto, e convincere l’interlocutore alle sue tesi: questo sempre con modi garbati e misurati, pur essendo, all’occorrenza, un ufficiale severo e dagli ordini concisi.

Shadis, se possibile, si irrigidì ancora di più.

Si sentiva sempre sotto esame, anche quando non ve n’era ragione.

Pur essendo lui il Comandante, provava, suo malgrado, una sorta di soggezione nei confronti del giovane e brillante Caposquadra, che pareva sempre arrivare prima a capire le cose, e batterlo sul tempo. Questa cosa lo irritava oltre ogni dire. La sua dedizione alla causa, il suo coraggio, gli sforzi profusi per riuscire a riconquistare gli esterni delle tre Cerchie… parevano del tutto inutili. Soprattutto ad ogni maledetto ritorno dalle ricognizioni, con i cadaveri dei soldati –- o quel che ne restava… - trasportati sui carri.

«Nessun risultato.» sillabò, a fatica, come se per tirargli fuori le parole ci volessero delle tenaglie per cavar denti. Questa frase era diventata, oramai, il suo tragico mantra. Un silenzio spesso come una coltre scese sui due uomini, rinchiusi nello studio del Comandante. Sentirono bussare, con tocco leggero. Shadis dimostrò stupore prima e disappunto poi, una volta palesatosi il nuovo convenuto.

«Mi avete fatta chiamare?»

La stessa Meti non aveva idea del motivo per cui Smith avesse chiesto la sua presenza alla riunione, dato che il Comandante era solito convocare i Capisquadra, Erwin Smith, soprattutto. Quella era la prima volta.

«Sì, grazie. Accomodati pure.»

Smith le indicò una sedia al lungo tavolo delle riunioni, ove era seduto insieme a Keith. Il medico si sistemò in silenzio. Con un rapido sguardo, incrociò gli occhi gelidi ed infossati del Comandante. «Credo che sia necessario che tu partecipi a questa riunione.» esordì Smith, con tono tranquillo. «Sarebbe utile che tu incontrassi una persona, a Mitras. Abbiamo bisogno di risposte alle nostre richieste, quelle ufficiali, intendo. E di risposte anche alle nostre richieste… ufficiose

«Ma… perché proprio io?» mormorò Meti, cominciando però ad intuire le vere intenzioni di Smith.

Le vennero i sudori freddi, impallidendo visibilmente: tutti segnali prontamente colti dagli astanti: da Erwin, soprattutto. La donna cercava di bluffare, ma molto male. Erwin inarcò le sopracciglia con un segno di ironico disappunto.

«Secondo te?»

Al che, il Comandante balzò in piedi, in tutta la sua imponenza di quasi due metri di statura. Quei due non gliela raccontavano giusta, la femmina in particolar modo.

«Si può sapere che accidenti state borbottando, voi due? Smith,» si rivolse al Caposquadra «mi vuoi spiegare cosa c’entra la dottoressa, adesso?»

«Beh, se mi rivolgo all’Ufficiale Medico Meti Narses è una cosa… ma se, per ipotesi, mi rivolgessi invece a Lady Alphaiametis Athiassy, credo che farei la differenza. Non credi anche tu?» sganciò quindi la bomba, in tutta risposta, voltando il capo verso l’interpellata, che, se possibile, impallidì ancora di più, essendo già piuttosto chiara di carnagione di suo: non per nulla, da bimba la chiamavano “il fantasmino”.

Un silenzio glaciale parve quindi bloccare il respiro agli astanti, alla donna soprattutto.

«E così… lo hai scoperto.» sussurrò poi il medico, quando riuscì a riprendere l’uso della lingua, che le si era seccata.

All’improvviso si sentì stanca.

Da anni aveva deciso di cambiar vita, nome compreso, adottando il cognome del marito defunto e il proprio nome, sì, ma in forma accorpata. Per quanto la riguardava, il passato era passato e non c’era nulla di male nel voler vivere in un modo diverso rispetto alle proprie origini: era una questione di scelta, dopo tutto… oltre che una mezza bugia, circa la propria identità. Di questo però ne era consapevole.

«Meti… o anche Alphaiametis… per me non fa differenza alcuna. Non ho nulla da ridire su uno dei nostri ufficiali medici e credo che lo stesso sia per il Comandante. Così dovrebbe, o sbaglio?»

In realtà, per il Comandante la rivelazione non era stata affatto una bazzecola. Scuro in volto, si alzò per accostarsi alla finestra più lontana per guardare fuori, con ostentata indifferenza verso gli astanti. Era come se non volesse neppure mantenere il contatto visivo con gli altri due: con la donna, soprattutto.

«Me lo sentivo. Ho sempre saputo di non potermi fidare di lei. Ed eccone la prova.»

Meti si alzò in piedi, e con qualche falcata, furiosa, piombò sul Comandante, con tutte le unghie di fuori.

«Dimmi un po’: cos’hai contro di me? Cosa ti ho fatto? Non ho sempre fatto il mio dovere, come medico? E guardami in faccia!» urlò, tirandolo per il braccio in modo da farlo voltare per poi afferrarlo per il bavero della divisa, traendolo a sé con forza. Lo stesso Shadis rimase colpito dall’impeto violento di Meti, che, prima di allora, non aveva mai osato tanto, neppure nelle loro discussioni più accese. Né si sarebbe mai immaginato una forza simile in quella cosina tutta occhi e capelli.

Rimase talmente stupefatto da non avere il tempo di reagire. Lo fece Smith, per lui: si precipitò prontamente a strattonare la donna, afferrandola alla vita e strappandola via dal Comandante.

«Smettila, sei impazzita?»

A Meti parve che un cerchio di ferro la stritolasse alla vita.

La reazione del Comandante non si fece attendere. «Dieci giorni agli arresti. Da ora. E, naturalmente, farò rapporto di quanto accaduto. Di fronte alla Corte Marziale vedremo bene che contegno terrai, Ufficiale Medico» enunciò, glaciale, squadrando il medico dall’alto in basso, e quasi sputando fuori il grado di Meti.

«Sei pazzo? Vengo offesa e umiliata, e devo andare in consegna? Ma scherziamo?» sibilò Meti, oramai fuori controllo. Veniva convocata, sbugiardata ed ora pure punita. Ma anche no.

Smith pose fine alla spiacevole situazione, trascinandosi via la donna fuori dalla stanza. Non era affatto soddisfatto dell’esito della riunione, che aveva preso una piega assolutamente inaspettata, e non solo per colpa di Meti. A volte la rigidità, tutta militare, di Shadis rasentava la stupidità. Quella donna gli serviva, accidenti! E adesso avrebbero sprecato tanti giorni per un ottuso puntiglio del Comandante… come se di discussioni, tra quei due, e pure aspre, non ce ne fosse mai stata l’ombra, prima di allora!

Meti, furibonda, si incamminò a passo svelto, quando l’antica ferita all’anca la fece rallentare, suo malgrado. Si costrinse a camminare con passo più cadenzato, a parte la leggera zoppia che le prese il sopravvento, cosa per lei solita quando era particolarmente stanca, stressata e in piedi da troppe ore. Smith le si affiancò, osservandola preoccupato.

«Ti avevo convocato per una ragione precisa… ma pazienza, ora ti farai dei giorni in consegna. Ne riparleremo con calma, in un altro momento. Ovviamente, non ti porterò nella cella d’ordinanza: sarà sufficiente che tu te ne stia agli arresti domiciliari, presso le tue stanze. Cibo e qualsiasi cosa di necessità te li farò avere ogni giorno, non temere. A Shadis ci parlo io, per evitare conseguenze.» le spiegò, a voce bassa e tranquilla, nel tragitto sino agli alloggi degli ufficiali.

«Ma certo. Oramai il Comandante pende dalle tue labbra. Ne farai di strada, tu. Di acume hai tutto quello che manca a Keith, ragioni tu per tutti e due.» replicò Meti in tono acido, scostandosi dal biondo Caposquadra.

Svoltando un angolo, Smith afferrò Meti per un braccio, traendosela quasi addosso. «Ascoltami bene. Tu sei un militare. Anche se medico, sei un ufficiale, esattamente come me, come Shadis ed altri, qui. Ci sono delle regole ben precise. Le tue intemperanze hanno passato il segno. No, fammi finire,» le intimò, il viso vicinissimo a quello della donna, cercando questa di controbattere «So benissimo che Keith ha dei… grossi limiti. Ma è lui il Comandante… per ora. Anche se commette errori di valutazione, finché avrà in mano il comando, bisogna accettare e rispettare le sue decisioni.» il suo tono si raddolcì «Per favore, Meti: non mi mettere nella spiacevole condizione di costringermi a farmi da parte, e di lasciar provvedere Shadis nei tuoi confronti come vorrebbe fare, e sul serio. Tu non gli piaci, e non può essere altrimenti, perché non perdi occasione di fargli rilevare le sue pecche e i suoi errori. Ma questo giochino, alla lunga, non ti sarà di aiuto… anche se ti chiami Athiassy.» finì col sussurrare a bassa voce, fissandola negli occhi.

Il tempo parve sospendersi, per un istante infinito. In Meti prese il sopravvento un senso di strano disagio e abbassò il capo. Per il momento, non poteva fare altro.

«Va bene. Obbedisco. Ma voglio che tu sappia una cosa,» Al che rialzò la testa, sfidandolo col blu feroce dei suoi grandi occhi. «Le decisioni che ho preso nella mia vita non sono state facili, ma necessarie per la mia serenità. Per me, quel lignaggio non significa più nulla da molti anni. Ora sono e resto Meti Narses, e questa identità è la sola in cui mi riconosco. Spero che questo ti sia chiaro. E adesso rinchiudimi pure nelle mie stanze.»

Nel recarsi, in silenzio, sino all’alloggio di Meti, si imbatterono in Levi e Farlan, di ritorno dalle scuderie, ove si erano occupati dei cavalli loro assegnati, in vista della ormai imminente ricognizione esterna. Levi aveva provato una sorta di sollievo, nell’occuparsi del bel baio, docile e tranquillo. Gli animali gli piacevano molto, i cavalli soprattutto, pur non avendo mai avuto modo di averne uno, nei Sotterranei. Del resto, spesso è meglio godere della compagnia di un animale, che dei propri simili… soprattutto di certuni.

Farlan si mise prontamente sull’attenti, cercando di tenere un comportamento appropriato. Ovviamente, Levi non ritenne di seguirne l’esempio. Smith spianò il viso, e fece loro un cenno, in segno di saluto, mentre una Meti rannuvolata borbottò un "‘sera" appena intelligibile. Incontrò quindi lo sguardo di Levi, che non mutò espressione. Ad un certo punto, forse anche per indispettire Smith, che aveva così tanta premura di condurla agli arresti, il medico interpellò quei due.

«Scusatemi… vi chiedo di riferire a Isabel che domattina vorrei parlarle. Dopo la prima colazione, ditele di venire da me, per favore.»

«Certa… certamente.» bofonchiò Farlan rimettendosi sugli attenti con fare compito.

«Riposo, soldato. Grazie e buona notte.» Meti sorrise. Il ragazzo biondo si era comportato, sin da subito, con estrema buona educazione. Pur accompagnandosi a Levi, era molto diverso, per atteggiamento e modo di porsi.

Tsk, sibilò Levi, con fare stizzito. Quanti salamelecchi inutili. La rompiscatole in camice bianco cosa cavolo poteva mai volere dalla loro Isabel?

Come se potesse leggergli nel pensiero, Meti gli si rivolse in tono gentile: «Nulla di particolare, avrei solo bisogno di una piccola cortesia da parte della vostra amica. Grazie ancora, ragazzi.» Al che si allontanò, accompagnata da Smith. Rimasero in silenzio fin quando non arrivarono all’alloggio di Meti.

«Se solo tu ti scusassi… credo che Shadis revocherebbe la punizione.» suggerì il Caposquadra.

Nell’aprire la porta, la donna gli sorrise amaramente. Oramai non ci teneva neppure più a mascherare lo stato di sofferenza fisica: zoppicava vistosamente.

«Dovresti andare a letto… Stai lavorando troppo, ultimamente. Lo scorbuto che, di recente, ha colpito molti dei nostri soldati ti ha fatto triplicare i turni. E con Hervert in malattia hai avuto molte difficoltà…a gestire i malati» le disse l’uomo, in tono accorato.

Meti alzò le spalle, sospirando. Lo invitò ad entrare con un lieve cenno. Erwin si accomodò in silenzio su un piccolo canapè. La donna gli porse un piccolo calice con un cordiale all’angelica, per poi sederglisi accanto: nel tempo libero si dilettava a distillare liquori di erbe, cosa che aveva suscitato, in più occasioni, l’ilarità di Zoe (“… e bravo il nostro dottore, che si fa i cicchetti!”). Anche il profumo di lavanda che tanto piaceva a Mike Zacharias era opera sua.

Sospirando, Meti si gustò il rosolio alla goccia.

«Sai benissimo perché il Comandante mi detesta, e non è solo per le discussioni che ho avuto con lui. Posso anche scusarmi con Keith, perché forse ho davvero esagerato, stavolta. Non avrei dovuto mettergli le mani addosso. Ma a quell’uomo non vado a genio perché, come mi disse chiaramente una volta, io il grado “non me lo sono guadagnato sul campo, ma grazie al titolo di studio”. Il Comandante disprezza tutti coloro che non fanno attivamente parte della Ricognizione, li considera mediocri.»

«Nessuno può mettere in dubbio il tuo valore, Meti… La tua abnegazione e la tua dedizione sono fuori discussione. Io non potrei mai farlo…» le disse Erwin, fissandola intensamente. Posato il calice sul tavolino, appoggiò con delicatezza la mano sulla spalla della donna, cosa che la fece arrossire leggermente. Da quanto tempo non riceveva una simile attenzione, da parte di un uomo? Meti si alzò per ricomporsi, con la scusa di riporre la bottiglia di liquore.

«Ti ringrazio. Davvero. Ma la sostanza non cambia. E poi… in fondo è la verità. Sono entrata nell’Armata Ricognitiva solo una volta finita la Scuola di Medicina e di certo all’addestramento non ero già più una ragazzina, a differenza delle reclute, che ormai sono sempre più giovani. Non ho mai eccelso nel movimento tridimensionale, anche se il mio desiderio non era e non è quello di combattere i Giganti, ma di curare i feriti e i malati fra i soldati. Ho sempre voluto dare anch’io il mio contributo alla Lotta, anche se in un altro modo. E anche dopo questa», al che, si sfiorò l’anca destra.

Smith l’ascoltò in silenzio. Era la prima volta che Meti gli si apriva in questo modo. Fra di loro c’era sempre stato un certo cameratismo, come un senso di appartenenza e di spirito di corpo, anche se spesso il silenzio aveva fatto parte dei loro incontri, a parte le vicendevoli comunicazioni di direttive di ordine organizzativo e militare. Ma da qualche tempo i loro rapporti si stavano particolarmente rinsaldando.

«L’Umanità si è preso anche il tuo, di cuore. È inevitabile, quando ci si impegna in questa missione folle, feroce… ma meravigliosa. Adesso riposati… Parleremo, ancora. Quando avrai scontato la tua punizione, ti spiegherò l’idea che ho in mente.»

****

Levi, appoggiato alla parete, era intento ad affilare accuratamente i suoi coltelli, cosa che era solito fare quando era pensieroso o preoccupato.

Farlan aveva appena raccomandato Isabel di andare dalla Narses il mattino seguente, cosa che la ragazzina aveva accolto con gridolini di gioia.

«Chissà cosa vorrà da me… beh, non importa, vedrò Princess!!»

«E chi sarebbe questa Princess? le chiese Farlan, incuriosito.» mentre beveva un po’ d’acqua presa in refettorio. La serata era abbastanza calda, e si era premunito di una fiaschetta, per superare la notte senza l’assillo della sete.

Levi sollevò per un attimo lo sguardo, aggrottando la fronte, senza dir nulla.

«La dottoressa ha Princess, una gatta bellissima, bianca e morbida! Mi ha fatto le fusa, sapete! Non vedo l’ora di riprenderla in braccio e di coccolarla!»

Tutti e tre, nonostante l’ora tarda, se ne stavano nel retro di un capannone ad uso magazzino, per scambiarsi le impressioni del giorno.

«Vi ricordo che non siamo qui per spassarcela, ma che abbiamo una missione da compiere. Non dobbiamo familiarizzare troppo con questa gente: anzi, dobbiamo passare inosservati, restare ignorati. Se adesso tu fai amicizia con quel medico,» e qui Levi si rivolse direttamente a Isabel «poi ti sarà più difficile portare a termine quello che dobbiamo fare. Avete visto, no? Smith e la Narses, o come accidenti si chiama, sono amici o chissà cos’altro: quando faremo fuori il caposquadra, come pensate che reagirà quella tizia?»

Nel vedere gli occhioni verdi di Isabel che guardavano a terra, Levi sbuffò. Non ce la poteva fare, quando baka faceva così, accidenti a lei!

«Domani vai pure a sentire cosa cazzo vuole da te quella ficcanaso, per non farla insospettire, ma non darle confidenza! Resta sulle tue. Capito?»

«Sì, fratellone… ho capito.» mormorò la ragazzina.

«Ad ogni modo, la nostra permanenza qui finirà a breve. Tra un paio di settimane ci sarà una ricognizione esterna, per cercare i Giganti. Ne approfitterò della confusione per portare a termine la cosa, una volta per tutte. E finalmente potremo lasciare questo posto di merda e vivere nella capitale, come ci è stato promesso.»

Farlan sbuffò, contrariato.

«Ne abbiamo già parlato, Levi: noi verremo con te. Smettila di parlare in prima persona della missione esplorativa, perché non ci andrai da solo, ci saremo anche noi.

«Appunto: ne abbiamo già parlato. Voi due resterete qui. Non ha senso che rischiate pure voi, basto io, per quello che è necessario fare. Fine della discussione.» replicò secco l’altro, smettendo di affilare anche l’ultimo dei suoi coltelli, riponendoselo sotto il giacchetto, in una tasca interna cucita appositamente.

«Ma Levi…» cercò di controbattere Farlan.

L’interpellato voltò le spalle e si allontanò, in silenzio.
  
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