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Autore: _Agrifoglio_    08/08/2022    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Versailles, Palazzo Jarjayes, luglio 1811
 
– Mi chiedo come tutto questo sia stato possibile! – esclamò Rosalie, guardando la figlia con occhi afflitti – Eppure gli insegnamenti te li ho dati! Ti credevo una ragazza più giudiziosa!
– Sono mortificata, Madre. Non ho giustificazioni – sospirò la ragazza, con un filo di voce e guardando in basso.
– Con un uomo sposato e di una diversa classe sociale, Bernadette! Non ti facevo così sprovveduta! E, poi, si fosse almeno trattato di un brav’uomo… Ma i galantuomini non seducono le ragazze perbene, soprattutto se sono sposati…
– Non ho parole, Madre… Di certo, non ne ho per giustificarmi… Non ci sono scuse per quello che ho fatto… – e scoppiò a piangere come una bambina.
Ripensò a quella notte, quando era fuggita via mano nella mano con lui, fra l’odore intenso dei roseti notturni, il frinire delle cicale e le note di Mozart che si facevano sempre più lontane. L’aveva condotta in una stanza che, adesso, non avrebbe saputo descrivere e anche di quello che era seguito conservava una memoria confusa. Cedere ai sensi, sul momento, non le era dispiaciuto anche se lui non aveva usato alcun riguardo alla condizione di lei e aveva pensato soltanto al proprio appagamento. Quando tutto era finito e l’ebbrezza dei sensi era svanita, si era ritrovata frastornata, indolenzita e in preda alla vergogna, con lui addormentato accanto ed era fuggita via.
Si era confessata in una Chiesa dove nessuno la conosceva, aveva udito le aspre rampogne del prete pioverle sul capo ed era tornata a casa, decisa a troncare di netto quella cosa. Lui, però, non aveva condiviso quelle ritrosie che aveva giudicato testualmente inutili e tardive e aveva iniziato a inondarla di lettere sempre più insistenti e ad appostarsi per incontrarla, tanto che lei si era rinchiusa in casa, dalla quale non era più uscita se non per adempiere il suo incarico alla reggia.
Non aveva parlato ad alcuno di quella notte, fino a tre giorni prima.
– Comunque, quel che è fatto è fatto e non si piange sul latte versato… Per nostra fortuna, i coniugi Lefèvre sono a Parigi, per fare visita alla zia di Monsieur Lefèvre che è ammalata… Si sono detti entusiasti di prendere con sé il bambino…
Marie Gabrielle Laforge, coniugata Lefèvre, era una cugina di Bernard che, in dieci anni di matrimonio, non era riuscita ad avere figli.
– Ho raccontato che il bambino sarebbe nato da una mia lontana parente rimasta vedova e senza mezzi e loro non hanno fatto ulteriori domande – proseguì Rosalie – E, poiché vivono a Marsiglia, non ci saranno occasioni d’incontro, ognuno andrà per la sua strada e, di questa storia, non parlerà più nessuno, siamo intesi?!
Rosalie fece una breve pausa e, poi, sbottò, mettendosi le mani fra i capelli:
– Se penso che Marie Gabrielle Lefèvre è sposata da dieci anni senza risultato mentre a te è bastata una sola notte per rimanere incinta! Ma non si piange sul latte versato…
– E se il bambino lo tenessi io, Madre? Ho dei risparmi. Potrei andare ad abitare da un’altra parte, dove non mi conosce nessuno. Vivrei sotto falso nome, mi inventerei un passato…
– Ma stai scherzando? – esclamò Rosalie, guardando la figlia come se fosse stata un fantasma.
– No, Madre, non sto scherzando – rispose Bernadette, asciugandosi le lacrime – Se, come dite Voi, per me, ormai, contrarre un buon matrimonio è praticamente impossibile, tanto vale che mi tenga l’unico figlio che mi sarà concesso avere e che lo veda crescere.
– Quanto pensi che durerebbero i tuoi risparmi e che lavoro credi che troveresti?  – ribatté Rosalie, serrando i pugni – E, quando scopriranno che sei una ragazza madre, perché lo scopriranno, come pensi di andare avanti? Stirando montagne di panni in un sottoscala umido e buio e consumandoti fino ad ammalarti e a morire?
Tacque per un momento, perché un magone le aveva chiuso la gola mentre, con gli occhi della mente, rivedeva la scarna ed emaciata figura di Nicole, intenta a togliere le pieghe da distese interminabili di lenzuola, con ferri da stiro che, per lei, divenivano ogni giorno più pesanti.
– Non ti ho allevata fra i nobili e non ti ho mandata all’Università per farti finire così! Afflitta dalla miseria, additata e derisa da gente malvagia che non ha un minimo delle tue qualità! – gemette Rosalie – Levati dalla testa i sogni e le fantasticherie e guarda in faccia la realtà! Partorirai nelle campagne di Lille, nel castello che André ha generosamente messo a tua disposizione, dove non ti conosce nessuno. Dopo il parto, tu tornerai a casa, dicendo di esserti rimessa dalla malattia che ti aveva colpita e il bambino prenderà la via di Marsiglia!
– Ma Marsiglia è lontanissima da Versailles! – protestò Bernadette – Così, non rivedrò mai più mio figlio!
– Avresti dovuto pensarci prima! Adesso è tardi per recriminare, si può soltanto rimediare!
– Ma io sono la madre!
– No, tu non sei la madre. Egli è il figlio di Monsieur e di Madame Lefèvre. Monsieur Lefèvre è un affermato commerciante di stoffe e assicurerà un avvenire agiato al bambino. Gli darà un nome, una posizione, un futuro, tutte cose che tu non puoi offrirgli!
Nel sentire queste parole, Bernadette scoppiò di nuovo a piangere. Rosalie si precipitò sulla figlia, la abbracciò e, poi, le asciugò le lacrime e le prese le mani.
– Perdonami, Bernadette, se sono stata brusca, ma sono stata una bastarda per tutta la vita e non voglio questo per mio nipote. La mia povera mamma si è consumata per mantenere tua zia Jeanne e me, finché non è morta… Rivedo ancora le mani scarne e il corpo ossuto che aveva… Non voglio questo per te! Perdonami, ma non ce la faccio!
Bernadette, che aveva smesso di piangere, sollevò lo sguardo, rinfrancata dall’abbraccio materno.
– Oh, Madre! Mi dispiace di averVi dato questo dolore! Mi dispiace di averVi deluso!
– Tu non mi deluderai mai, Bernadette – rispose Rosalie, ridendo dietro le lacrime – Ma, ora, è tempo di tornare coi piedi per terra e di fare progetti realistici. Devi ricacciare dentro il dolore e fare ciò che è meglio per il bambino e per te e non ciò che ti darebbe una gioia momentanea di cui, nel tempo, ti pentiresti amaramente. Questo è ciò che la vita riserva alle donne e noi non possiamo scegliere, ma soltanto rassegnarci e tirare avanti col sorriso sulle labbra.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, luglio 1811
 
Robert Gabriel de Ligne entrò sorridente nello studio del Generale de Jarjayes. Quella era la prima convocazione che riceveva dall’anziano nonno, da che era stato scoperto a origliare i discorsi sul tesoro dei giacobini e, di conseguenza, allontanato e pensava che, dopo più di un anno di Purgatorio, la riabilitazione fosse vicina.
Vide Madame de Jarjayes seduta accanto al marito e Oscar e André in piedi, dietro il Generale e la Contessa. I loro volti erano severi e corrucciati. Il Generale de Jarjayes, in particolare, aveva un’espressione incollerita e dura mentre, dagli occhi della zia, dardeggiavano lampi di furia incontenibile. Il giovane Tenente dei Dragoni iniziò ad avere paura.
– Cosa hai da dire a tua discolpa, Robert? – domandò il Generale de Jarjayes, con voce autoritaria e tagliente.
– A mia discolpa su cosa? – rispose il giovane, mostrando un’espressione di autentica sorpresa.
– A tua discolpa per avere sedotto una ragazza innocente e senza passato che, ora, rimarrà disonorata e sola, perché tu non la puoi sposare – disse il Generale, scandendo ogni singola sillaba quasi fosse stata una sentenza di condanna.
– Ah, è per questo che mi avete convocato, Signor Nonno – rispose il Tenente che finalmente aveva capito – Per la figlia della governante… Ma se è stata lei a incoraggiarmi! Sapete come sono queste giovani, audaci e desiderose di salire la scala sociale!
Scoppiò, quindi, in una risata, per minimizzare e banalizzare.
Nell’udire quelle parole, Oscar mise la mano sull’elsa della spada, ma André, comprendendone le intenzioni, la condusse in un angolo della stanza.
– Cosa intendi fare, Oscar? Sfidare a duello tuo nipote? Pensa allo scandalo che ne deriverebbe! La tua carriera sarebbe macchiata in un periodo estremamente delicato in cui tu, invece, devi ergerti a guida della Francia e Bernadette finirebbe sulla bocca di tutti, pubblicamente disonorata!
Oscar riconobbe la giustezza delle parole del consorte e recuperò la lucidità, pur continuando a guardare il nipote con grande astio.
– Smettila di ridere e stammi a sentire! – tuonò, contemporaneamente, il Generale de Jarjayes – Non sei più il benvenuto in questa casa e non voglio più vederti alla mia presenza. Noi de Jarjayes ci comportiamo sempre con onore, non è questo l’insegnamento che ho dato alle mie figlie!
Fece una pausa per smaltire la collera e, poi, concluse:
– Ho già scritto ai tuoi genitori per metterli a conoscenza della tua cattiva condotta. Da ora in poi, ti consiglio di tenerti stretta la benevolenza di tua moglie, perché, a parte la tua paga di Tenente, molto poco in più riceverai.
Tacque un attimo per la fatica, ma, poi, riprese più determinato che mai:
– Dubito che avrai altre promozioni. Sei uno sfaccendato, la carriera militare non fa per te e, dopo quello che hai fatto, scordati il mio aiuto. Puoi andare.
– Ma Signor Nonno, non è come sembra… Signora Nonna, Signor Zio… – disse, poi, rivolgendosi alla Contessa e ad André, lasciando perdere Oscar, la cui espressione inferocita lo faceva tremare.
André, però, rivolse lo sguardo addolorato e imbarazzato verso il pavimento mentre Madame de Jarjayes mostrò un’espressione dura che in pochi, prima di quel momento, le avevano visto.
– Per quello che mi riguarda, concordo totalmente con mio marito.
Robert Gabriel de Ligne fece un inchino incerto e uscì dalla stanza, privo della sicurezza con cui poco prima vi era entrato.
 
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Lille, luglio 1811
 
Bernadette si era trasferita a Lille da qualche giorno, dopo essersi temporaneamente congedata dal suo incarico alla reggia. Finché la pancia non fosse stata visibile, avrebbe abitato nel palazzo cittadino di André, affacciato sulla piazza principale. Dopo, si sarebbe trasferita nel castello, immerso nella campagna.
Rosalie l’avrebbe raggiunta in prossimità del parto. La donna, infatti, non voleva lasciare immediatamente il lavoro, per senso del dovere e perché aveva bisogno, ora più che mai, di guadagnare. Il Generale e Oscar, per la verità, le avevano offerto la possibilità di ritirarsi subito a Lille per stare vicina alla figlia, conservando la paga piena, ma lei non aveva accettato. Era stata abituata a guadagnarsi da vivere sin dalla prima infanzia e non voleva approfittare della generosità dei padroni.
La ragazza non metteva piede a Lille da quando aveva otto anni e rivedere la città le fece uno strano effetto. Rammentava i palazzi più grandi, le vie cittadine più lunghe e tutto sensibilmente diverso. La gente, ovviamente, non serbava un ricordo di lei e ciò le sarebbe stato immensamente utile. Del resto, se avevano concordato come luogo dell’esilio proprio Lille, anziché Arras o la Normandia, dove si era recata più spesso, anche di recente, la ragione era quella.
Si avvide subito che il clima era più freddo rispetto a Parigi e a Versailles e ciò sarebbe stato un vantaggio, dovendo fronteggiare la stagione estiva con una pancia in crescita costante. Il cielo era spesso nuvoloso e di un azzurro meno intenso e più rarefatto rispetto a quello che sovrastava la Francia in cui era cresciuta e, di mattina, non era infrequente vedere una sottile nebbiolina levarsi dai prati. La gente era tendenzialmente chiusa, ma anche generosa e accogliente, se presa nel giusto modo.
Alla ragazza sarebbe piaciuto calarsi nel tessuto cittadino, capire qualcosa in più della mentalità e dello stile di vita degli abitanti, ma, nelle condizioni in cui si trovava, la priorità era non dare nell’occhio altrimenti ogni sacrificio sarebbe stato nullificato. Desiderava, tuttavia, rendersi utile col personale della casa e, per questo, si offriva spesso di fare delle commissioni, l’unica incombenza domestica, oltre al cucito, che svolgeva a Palazzo Jarjayes e che sapeva fare. Oltre a rendersi utile, era anche estremamente desiderosa di godersi quegli ultimi scampoli di vita libera, a contatto con le persone, prima di rinchiudersi in una stanza per mesi e mesi.
Una sera, il maggiordomo si sentì poco bene e lei si offrì di andare ad acquistare un preparato nella farmacia che faceva servizio notturno. Sbagliò strada e finì in una delle vie più animate e alla moda della città, davanti a un café chantant. L’attenzione della giovane fu ben presto attirata da un gruppo animato, costituito da alcune donne piuttosto vistose, probabilmente delle attrici o delle ballerine di medio livello e da un gentiluomo che rideva in mezzo a loro e, tuttavia, serbava un contegno di gran lunga più misurato e dei modi decisamente più signorili rispetto al resto della comitiva.
Bernadette non tardò a riconoscere in lui il Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin, cognato del Conte di Canterbury e grande amico della famiglia de Jarjayes, soprattutto di André. Lo aveva conosciuto a otto anni, durante il suo soggiorno a Lille e lo aveva rivisto due anni dopo, quando, insieme alla sorella e al cognato, aveva deciso di passare alcune settimane a Palazzo Jarjayes. Ricordava di avere provato per quel giovane uomo venticinquenne molta ammirazione e una viva simpatia, perché, malgrado avesse quindici anni in più, a differenza di molti adulti, non la trattava come un giocattolo o una piccola sciocca, non ne disdegnava la compagnia e, di tanto in tanto, intratteneva lei, Antigone, Honoré e i fratelli de Girodel con giochi spiritosi e racconti interessanti. Di lui le erano piaciuti gli occhi buoni, il viso aperto e schietto come quello di un bambino e i modi cordiali ed eleganti senza affettazione. Poi, non si erano più rivisti e la memoria si era attenuata. Aveva sentito dire, alcuni anni dopo, che il giovane Marchese si era innamorato perdutamente della bellissima e capricciosa Paolina, la sorella prediletta di Napoleone e che questa lo aveva fatto soffrire. Poi, più nulla.
Lo guardò ancora, riflettendo tristemente sulle conseguenze dell’amore. Provò una stretta al cuore nel constatare che, di quel giovane franco e buono, era rimasto soltanto un nobile gaudente che scialacquava il suo patrimonio e dimenticava la morale, intrattenendosi con donne dalla dubbia reputazione. Poi, chinò lo sguardo sul suo ventre e smise di giudicare.
 
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Castello di Louveciennes, fine luglio 1811
 
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Oscar scese dalla carrozza dei Jarjayes e rivolse lo sguardo al massiccio castello dalle pareti color crema e dal tetto grigio che si stagliava davanti a lei, con le sue ampie finestre, i balconi, gli abbaini e le torrette cilindriche, sormontate da coni svettanti. Tutto intorno al caseggiato, si estendeva un ampio parco ricco di alberi, aiuole, viali, siepi, statue e fontane.
Trasse un profondo sospiro, stanca per il viaggio e la grande afa. Luglio stava morendo in un oceano di caldo soffocante, accompagnato dal frinire delle cicale e dall’assalto degli insetti. Lo scroscio degli zampilli d’acqua delle fontane le richiamò alla mente quelle di Palazzo Jarjayes, alle quali aveva la libertà di aspergersi il volto e il laghetto della tenuta, nel quale tanti bagni aveva fatto e continuava a fare.
Scacciò quei ricordi confortanti e si avvicinò al portone d’ingresso, dove un valletto in livrea l’attendeva, pronto ad accompagnarla dal maggiordomo. Quest’ultimo la accolse con un sorriso e un lieve inchino.
– La Contessa du Barry Vi attende nel salone principale, Generale de Jarjayes.
Entrata nel salone, Oscar rivide la Contessa per la prima volta dopo trentasette anni, da quel lontano 10 maggio 1774, quando, sola e in disgrazia, l’aveva scortata fuori della reggia, verso il convento al quale era stata destinata.
La dama, nel vederla, si alzò dal divano e tese le braccia verso di lei, a significarle che i vecchi rancori non avevano più importanza.
Avvicinandosi, Oscar poté osservarla meglio: sessantotto anni portati meravigliosamente, ciglia ancora folte sull’incarnato delicato e diverse vestigia dell’antica bellezza ben presenti sul volto ovale quasi libero da rughe. La moda stile impero le donava particolarmente, avendo conservato un fisico snello e flessuoso. Più di quarant’anni prima, quella donna aveva fatto perdere la testa a un Re e nessuno, ancora oggi, vedendola, se ne sarebbe stupito.
Giunta davanti a lei, le fece un inchino al quale la signora si affrettò a rispondere.
– Mi rincresce di averVi fatto fare tanta strada con questo clima torrido, Generale de Jarjayes. Posso offriVi un sorbetto al limone?
Dopo che il valletto ebbe portato due sorbetti e diversi pasticcini, le due donne scambiarono alcuni convenevoli. Uscita dall’ambiente di corte, la Contessa era diventata una persona diversa, più serena e amichevole. Non si doveva più azzuffare con alcuno per schivare intrighi e conservare il favore del Re e trascorreva le giornate come preferiva, in un castello in cui viveva benissimo e dove riceveva amici, artisti ed esponenti dell’alta nobiltà. Uno di questi, il Duca di Cossé-Brissac, ne era l’amante da moltissimi anni.
Dopo un quarto d’ora di conversazione, la Contessa disse:
– Ho saputo del gesto compiuto dal Duca d’Orléans e dal Cardinale de Rohan. Io non sono ricca come loro, ma mi metto, comunque, a disposizione della corte.
Appoggiando, poi, la mano su uno scrigno posto sul tavolino a fianco, proseguì:
– Questi sono i miei diamanti, usateli per il bene della Francia.
– Madame, io… non so che dire…
– Non dovete dire niente, Generale – concluse la Contessa, prendendo lo scrigno e porgendolo a Oscar – Questa è la mia volontà, desidero rendermi utile. E, ora, lasciate che Vi mostri il padiglione della musica, così, quando riprenderete la strada di casa, si sarà fatta sera e la temperatura sarà diventata più sopportabile.
 
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Reggia di Versailles, inizio agosto 1811
 
Maria Antonietta sedeva su una poltrona posta nella sala dove teneva le sue udienze private, da quando la nuova Regina consorte si era insediata nella reggia.
Stava per compiere un gesto importante che, un tempo, le sarebbe pesato incommensurabilmente e che, probabilmente, neanche avrebbe fatto. Ora, però, era una donna di mezz’età e riteneva quel comportamento doveroso. Tutta la corte non faceva che parlarne da giorni e lei ne era consapevole.
La porta della sala si aprì e la Contessa du Barry fece il suo ingresso, incedendo con grazia e inchinandosi alla Regina Madre, sotto gli occhi della Principessa di Lamballe, della Marchesa di Tourzel, di Madame de Girodel e di Antigone, anche loro presenti.
Maria Antonietta non tardò a constatare che il tempo era stato molto più clemente con l’antica rivale che con lei, malgrado i dodici anni di differenza d’età a carico della Contessa. Quella circostanza, che un tempo l’avrebbe ferita mortalmente, la lasciò, ora, del tutto indifferente. Altre erano le preoccupazioni, altri erano i dolori, altre erano le priorità.
Dopo che la dama si fu rialzata, Maria Antonietta le sorrise gentilmente e le disse:
– Il Re e io Vi siamo profondamente grati per il Vostro nobile gesto, Contessa du Barry.
La donna non accolse quelle parole con una risata trionfante e sgangherata, ma con un sorriso modesto e gentile.
– E io Vi ringrazio, Maestà, per l’onore che mi avete fatto, ricevendomi. Spero che i miei diamanti saranno utili allo Stato.
Dopo alcuni minuti di conversazione, la Contessa du Barry si scusò per le sue intemperanze passate e per i disagi che aveva arrecato.
– Non Vi preoccupate, Contessa – la rassicurò Maria Antonietta – Le liti sono per i giovani. I vecchi sono impegnati a vivere.
 
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Versailles, Palazzo de Girodel, inizio agosto 1811
 
Erano trascorsi tredici mesi e mezzo dalla tragica morte del Generale de Girodel ed essendo, quindi, maturato l’anno di lutto richiesto dalle usanze, Honoré si stava apprestando a compiere il grande passo. Prima di rivolgere la domanda ufficiale al vecchio Conte, però, voleva discuterne con lei, la diretta interessata. Le avrebbe confessato tutto il suo amore e, poi, l’avrebbe chiesta in sposa al nonno.
Il vecchio Conte e Madame de Girodel avevano intuito la ragione della visita e, dopo un anno di grande dolore, quella era la prima gioia che attraversava i loro cuori. Honoré François de Jarjayes et de Lille era un ottimo giovane oltre che uno splendido partito e avrebbe fatto la felicità di Élisabeth Clotilde sotto ogni riguardo.
Honoré entrò nella stanza dove la ragazza lo aspettava e le fece un profondo inchino. Lei era visibilmente agitata e a disagio, ma, essendolo anche lui, non se ne accorse.
– Mademoiselle Élisabeth Clotilde – iniziò, impacciato e rosso in viso, il giovane – Ci conosciamo da sempre e da sempre condividiamo gli stessi sentimenti e interessi. Io Vi amo profondamente da che ho memoria e credo che anche per Voi sia così… Io Vi prego di farmi l’onore di diventare la mia sposa…
La voce del ragazzo era esitante, ma lui si sforzava di mantenerla ferma. Neanche di fronte ai cannoni e ai moschetti dei nemici, aveva tremato così.
E avvenne l’impensabile.
Élisabeth Clotilde de Girodel chinò lo sguardo e, con voce ancora più tremante di quella di lui e tanto bassa da essere appena udibile, disse:
– Mi dispiace, Monsieur de Jarjayes et de Lille, ma non posso accettare la Vostra proposta.
– Cosa?! – esclamò, incredulo, Honoré.
– Io non posso sposarVi – ripeté, con volto pallido e voce fioca, la fanciulla.
– Ma perché? – esclamò Honoré – Noi ci siamo sempre amati, sin da bambini! A cosa è dovuto questo cambiamento repentino? Sono stato precipitoso? Siete ancora affranta per la morte di Vostro Padre, al punto di non poter immaginare un futuro da sposa e da madre?
– Io intendo prendere il velo – mormorò la ragazza, trattenendo a stento le lacrime – Vi prego di perdonarmi.
Uscì dalla stanza, lasciandolo solo.
Honoré era inebetito, quasi fosse stato colpito da una scarica elettrica. Dopo alcuni istanti, si riebbe parzialmente e prese la via delle scuderie, lasciando padroni di casa e servitori allibiti.
 
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Lille, 11 agosto 1811
 
Ti sei mai chiesta cosa sta facendo lui,
Come mai tutto si è rivelato una menzogna?
A volte penso sia meglio
non chiedersi mai il perché
 
Dove c’è il desiderio ci sarà una fiamma
Dove c’è una fiamma qualcuno è destinato a bruciarsi
Ma solo perché brucia, non vuol dire che morirai
 
Devi alzarti e provare, provare e provare…
 
E’ strano come il cuore possa essere ingannevole
Più di un paio di volte
Perché ci si innamora così facilmente,
Anche quando non è giusto?
 
Dove c’è il desiderio ci sarà una fiamma
Dove c’è una fiamma qualcuno è destinato a bruciarsi
Ma solo perché brucia, non vuol dire che morirai
 
Devi alzarti e provare, provare e provare…
 
Ti sei mai preoccupata che tutto potesse rovinarsi?
E questa sensazione ti ha mai
fatto venir voglia di piangere?
Quando sei là fuori a fare quello che fai,
Stai solo cercando di cavartela?
Dimmi, stai solo cercando di cavartela?
 
Dove c’è il desiderio ci sarà una fiamma
Dove c’è una fiamma qualcuno è destinato a bruciarsi
Ma solo perché brucia, non vuol dire che morirai
 
Devi alzarti e provare, provare e provare…
 
(Traduzione del singolo “Try” di P!nk)
 
Bernadette passeggiava sulle colline che ondeggiavano vicino al castello di Lille, dove si era trasferita un paio di giorni prima, perché era entrata nel quarto mese di gravidanza e, malgrado fosse una ragazza snella, un lieve gonfiore era iniziato a vedersi. Indossava un abito largo, degli stivali comodi e un cappello di paglia per proteggersi dal sole mentre, nella mano destra, stringeva un bastone per scacciare le vipere e, all’occorrenza, mantenere l’equilibrio.
Pensava a quanto fosse strana e crudele la vita.
Pensava al giovane Lavoisier, l’amore fresco e puro degli anni universitari che, contro ogni aspettativa, si era rivelato un debole e alla madre di lui che, di sicuro, avrebbe brindato allo scampato pericolo, se avesse saputo.
Pensava al Tenente de Ligne che, da ragazzina, aveva amato e che, da giovane donna, aveva desiderato e a tutto quello che era successo fra loro. Pensava alla corte insistente, a quella notte di follia amorosa e di sospensione di ogni freno morale e a come lui l’avesse braccata nei mesi successivi, nella speranza di continuare quella relazione clandestina, finché la gelosissima moglie non lo avesse scoperto o lui non si fosse stancato. Aveva provato un senso di liberazione a Lille, potendo finalmente uscire di casa tranquillamente, senza timore di vederselo comparire davanti e, tuttavia, quello per lei era un esilio, il luogo dove nascondere la vergogna.
Pensava a quel bambino che cresceva dentro di lei e che non poteva considerare suo figlio, ma soltanto il coinquilino di un breve periodo. Si sforzava di non affezionarcisi e di fare finta di niente e, intanto, continuava a pensarci.
Pensava a sua madre, alla delusione che le aveva dato, alle preoccupazioni che l’affliggevano, a quella forza che non l’avrebbe abbandonata e a quell’amore che mai le avrebbe negato. Era rimasta vedova da giovane, aveva perso l’unico uomo che avesse amato e aveva concentrato ogni speranza e tutto l’amore su di lei e così l’aveva ripagata. Avrebbe voluto sollevarla da ogni pena e ricolmarla di gioie e di soddisfazioni enormi.
Pensava alla sua vita ormai rovinata, ai suoi principi andati a monte per qualche attimo di follia e all’ingiustizia di fondo, perché lui se ne stava tranquillo a casa, a contare le tacche delle sue conquiste mentre lei doveva fare i conti con i cocci del suo presente e con l’angoscia di un futuro che le si presentava quanto mai incerto.
Pensava a quella stella cadente che aveva visto il giorno prima, durante la notte di San Lorenzo e a quella superstizione in cui aveva creduto da bambina, quando, nella notte del dieci agosto, faceva a gara con Honoré e Antigone a chi scovava più stelle ed esprimeva più desideri. Ora, il tempo dell’infanzia e dell’innocenza era definitivamente tramontato e non c’era più spazio per quelle sciocche leggende. Non aveva espresso alcun desiderio e, tuttavia, era salita sui merli del castello di Lille e aveva guardato in alto.
Mentre era avvolta in questi pensieri, vide arrivare, dalla direzione opposta, un uomo in tenuta da caccia. Riconobbe subito in lui il Marchese de Saint Quentin e, senza sapere perché, provò un lieve disagio, come se fosse stata colta in fallo. Era come se, avendolo visto con quelle donne, si fosse intrufolata nell’intimità di lui, commettendo qualcosa di sbagliato.
Egli si avvicinò e aveva ancora gli occhi buoni che lei tanto aveva apprezzato e il volto franco e aperto di un bambino, malgrado la vita disordinata in cui la delusione lo aveva precipitato. Sembrava molto più giovane dei suoi trentasei anni e Antigone non avrebbe esitato a definirlo un uomo bellissimo.
La salutò con un lieve inchino e lei fece altrettanto.
– Ci siamo incontrati di sfuggita alcune settimane fa, davanti al café chantant – disse lui – Eravate Voi, vero?
Bernadette arrossì come un papavero. Dunque, anche lui aveva notato lei, malgrado fosse circondato da tante persone e, sicuramente, aveva visto che lo guardava. Si sentì sprofondare, come se fosse stata scoperta nell’atto di rubare qualcosa.
– Sì – fu l’unica risposta che riuscì a dare, con un filo di voce.
– Siete Bernadette, la figlia di Rosalie?
La ragazza sgranò gli occhi, non credendo alle sue orecchie.
– Siete rimasta la stessa, lo stesso sguardo, la stessa espressione.
Mentre lo diceva, era timido, malgrado, alcune settimane prima, lo avesse visto insieme a delle donne che di timido nulla avevano. E aveva gli occhi buoni. Buoni e tristi.
– Ma perdonatemi, non mi sono presentato. Io sono…
– Il Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin – disse lei tutto d’un fiato, senza fargli terminare la frase.
   
 
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