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Autore: Part of the Masterplan    10/08/2022    2 recensioni
“Sally”
“Sì?” sputo nel microfono. Sento la sigaretta bruciare fino al filtro e iniziare a pizzicarmi le dita.
“Vieni a Londra. Adesso.”
“Il concerto? – ”
“Ho lasciato gli Oasis. Per sempre”
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Until Sally I was never happy.'
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Camminiamo spedite lungo l’infinito corridoio del LAX Airport. Gente in infradito che trascina i piedi, assonnata, turisti incontenibili che corrono verso l’uscita, una ragazza emozionata attende il fidanzato con un cartello divertente, un autista tiene svogliatamente in mano un foglio. Io e Audrey, ormai abituate alle trasferte insieme, procediamo a memoria con delle dinamiche ormai ampiamente consolidate e tutte nostre.
Le indico lo Starbucks che giganteggia poco lontano.
All the coffees are available” sorrido.
“Eh?”
“E’ ciò che ripete in continuazione Noel quando gli dico che voglio andare da Starbucks.”
Lei sorride, scuotendo la testa. “Ogni tanto mi chiedo se esista al mondo più amore di quello che tu provi per Noel Gallagher.”
“Certo che esiste. Il nostro amore per il City”, avanzo nella coda. “Buongiorno, un caffè extra large e…” mi volto verso Audrey invitandola a ordinare. “Uh, per me un cappuccino e un muffin al cioccolato”, sorride portandosi l’indice alle labbra.
“Grazie mamma Rolling Stone”, striscio la carta aziendale attendendo il nostro ordine. Audrey, intanto, prende posto ad un tavolino poco lontano, concentrandosi poi sullo schermo del suo telefono.
“Tutto ok, babe?”
Mugugna, afferrando il suo cappuccino formato famiglia. Il telefono inizia a squillare. “Arrivo subito.”
La osservo allontanarsi e discutere animatamente con il suo interlocutore. Osservo anche io il mio telefono, attenta più del solito alle notifiche sul mio schermo. In questi giorni è Noel a lasciare che le mie chiamate perse si accumulino e mi è necessario più di un lungo respiro per ricordarmi la sacralità dello spazio che ci siamo concessi. O che mi sono presa.
“Chi era?”
“L’albergo… Ci hanno tolto le stanze nell’attico.”
“Che rottura di coglioni”, sbotto infilando gli occhiali da sole. “E perché?”
“Apparentemente dei VIP all’ultimo momento hanno richiesto quella parte di albergo.”
“Chi cazzo è, Obama? Il fottuto Bill Clinton? David Bowie? Vabbè, poco male, babe… Un motivo in più per tornare ancora prima a Frisco e non starcene troppo qui.”
“Pensavo ti piacesse Los Angeles”, infila un dito in bocca dopo aver raccolto meticolosamente le briciole del suo dolcetto dal tovagliolo.
“Mi piace… Ma è alienante, no? Siamo quasi a Natale e qui sono tutti in infradito. E’ una buffonata.”
Quella ride, “Beh, da voi fa freddo tutto l’anno, piove, è grigio…”
“Aiuta l’introspezione”, sorrido bevendo un altro sorso.
“Ritorni a Manchester per Natale?”
Scuoto la testa, “Non credo. Abbiamo tanto lavoro, mia mamma verrà qui, siamo stati invitati tutti a casa di Jackie a festeggiare con il clan dei Baker a Tiburon.”
“E il tuo futuro marito?”, il viso scompare nel bicchiere.
“Quello che da qualche giorno ignora le mie chiamate? Starà sul divano di casa a grugnire contro le feste comandate aspettando le partite del Boxing Day.”
Poso lo sguardo sulla gente che scorre intorno a noi. Ogni tanto, da qualche parte, un groppo di tristezza infinita mi attanaglia lo stomaco. E’ come se avessi le vertigini per un profondo vuoto all’altezza del cuore. Ho bisogno di respirare con la bocca aperta, incamerare aria. A volte temo siano gli attacchi di panico che ritornano, la cocaina che vuole ancora dire la sua. Poi razionalizzo. E’ il passato, l’effetto ancora impercettibile ma ben presente della centrifuga degli anni Novanta. Tengo stretto ogni ricordo perché ogni singolo momento è stato bellissimo. E l’ho amato con tutta me stessa.
“A cosa pensi?”
“La mia prima volta negli Stati Uniti. 1994. Io e Noel in ogni aeroporto ci mettevamo a osservare gli aerei che atterravano e decollavano. Abbiamo scoperto il mondo così.”
“Io non lo so perché hai messo questa distanza tra voi, ma secondo me a lui non piace.”
“Non piace neanche a me, babe. Ma ho vissuto riflettendo la sua luce per vent’anni.”
Lascio cadere quest’amara riflessione tra noi come il telefono nella borsa.
“Davvero?”, si pulisce le labbra. “Perché a me sembra che tu abbia le capacità di brillare anche senza Gallagher senior.”
Sorrido, sistemando la carta di credito aziendale tra le altre.
“Andiamo? All’UCLA ci stanno aspettando.”
Audrey annuisce sovrappensiero, controllando ancora una volta il telefono.
 
“Buonasera. Rolling Stone, avevamo le camere nell’attico –”
“Oh, mi dispiace moltissimo. Ho parlato questa mattina con la persona che ha fatto le prenotazioni. E’ stata un’emergenza, abbiamo dei VIP che ci hanno chiesto categoricamente di riservare l’attico… Vi abbiamo comunque assegnato delle camere eccellenti”, il manager dell’albergo lussuosissimo e centrale che il nostro magazine ci riserva ogni volta che ci troviamo a Los Angeles è formale, ma comunque molto dispiaciuto.
“Me l’ha detto la mia collega, ma… VIP? C’è Barack Obama nel nostro albergo?”
Arrossisce, portandosi una mano alle labbra, “Non posso rivelarglielo, mi dispiace.”
“Insomma, se c’è il nostro Presidente credo di avere diritto a sapere… Oppure c’è l’FBI che ci controlla?”, ridacchio.
“Niente di tutto questo… No, niente di tutto questo, signora.”
“Allora non è Barack Obama”, gioco con la carta magnetica della stanza.
“Però troverà un regalo nella sua stanza, signora.”
“Un regalo?”
“Sì, gli ospiti dell’attico vorrebbero scusarsi per il disguido.”
Scoppio a ridere, “Maledetto Barack, che gentiluomo. La mia collega le ha già prenotato la cena, vero?”
“Sì, signora. Avete un tavolo già riservato per le 20.”
“Vado a vedere il regalo”, sorrido.
Passo spedita davanti ad una porta chiusa su cui una targhetta recita “PRIVATO – NON ENTRARE”. Dietro alla porta due persone stanno dialogando, rallento il passo nella speranza di accontentare la mia curiosità.
“Ha dimenticato qualcosa, signora?” alle mie spalle l’instancabile direttore mi controlla meglio dei servizi segreti.
“Non trovavo l’ascensore!”, rispondo senza voltarmi. Audrey, intanto, mi raggiunge trafelata dal parcheggio. “Hai già chiesto per la cena?”
“Confermata alle 20. Sembra che quelli che ci hanno rubato le stanze nell’attico ci abbiano lasciato un regalo.”
“Figo”, i suoi occhi si illuminano. “Mi faccio una doccia e vengo da te, così parliamo degli appuntamenti di oggi.”
L’ascensore inizia a salire.
“Brad Pitt ha confermato per lo shooting?”
Quella annuisce, recuperando il telefono dalla tasca posteriore dei jeans. “La cover con Sean Penn è piaciuta un sacco.”
“E ci mancherebbe.”
Sorride, “Come ti è sembrato oggi?”
“Bello, no?” dlin, procediamo lungo il corridoio verso le nostre stanze. “Poi chi mai avrebbe pensato che mi avrebbero offerto un workshop in università. Dovrò affinare il mio accento yankee.”
“Ne hai di pratica da fare, allora”, ride.
Strisciamo le carte magnetiche sulle porte delle rispettive stanze comunicanti e vengo investita da un intenso profumo di fiori freschi. Mi affaccio sul salottino che precede la camera da letto e mi manca il fiato: la camera è tappezzata di rose rosse. Un biglietto stampato, sul tavolino accanto allo svuotatasche di design, recita: Spero che le rose possano regalare una vista migliore di quella dell’attico. Grazie per la comprensione.
“Comprensione un cazzo”, sussurro a denti stretti, osservando più da vicino le rose che riempiono ogni spazio vuoto tra gli arredamenti.
“Qui non c’è nessun regalo!” sento piagnucolare Audrey dietro la porta scorrevole che fa comunicare le due stanze.
“Guarda qua”, la invito a entrare. Si ferma con la bocca aperta, esclamando solo “Che cazzo! Hai idea di chi sia?”
Le allungo il bigliettino, lei lo legge e lo rilegge. “Non ci sono indizi. Però sembra una persona gentile.”
“Già.”
“Io un’idea ce l’ho”, alza un sopracciglio maliziosa.
“Chi?”
“Un certo attore tenebroso inglese che da qualche anno fa il pirata e l’ultima volta che ti ha vista non ti ha tolto gli occhi dalle tette.”
“Johnny Depp?”, scoppio a ridere. “Ma cosa dici…”
“Intanto delle tette io me ne sono accorta e tu no… Eri troppo impegnata a spiegargli come immaginavi lo shooting.”
“E’ il mio lavoro.”
“Anche bere gintonic insieme dopo le sette di sera è lavoro?”
“Conosco Johnny dagli anni Novanta…”
“E lui conosce te”, mi fa l’occhiolino. “Vado a farmi la doccia.”
Sgambetta nell’altra stanza canticchiando.
“Secondo te Barack Obama potrebbe mandare tutte queste rose?”
“Johnny Deeeeep!” la sento urlare ridendo.
 
Negli alberghi in giro per il mondo non siamo mai stati gli ospiti modello. Una volta Noel lanciò fuori dalla finestra un televisore, Liam molto spesso sparava Revolution al massimo e si metteva a ballare con i fan, adoranti, sotto il balcone. Dopo un po’ di tempo lo si percepiva nelle espressioni dei volti dello staff, il fatto che fossimo un uragano. Arrivavamo, e che Dio gliela mandasse buona per sopravviverci con meno danni possibili.
Con la maturità di questi anni mi rendo conto che potevamo essere insopportabili, sicuramente imprevedibili, ma non riesco a non giustificarci. Era tutto lì, sul piatto. Se volevamo, bastava chiedere di più. Io solitamente mi accontentavo della stanza più semplice che ci fosse, a patto che fosse pulita. Liam no. Liam pretendeva gli eccessi e il lusso. Noel esigeva che tutto procedesse come voleva lui, dalla consegna delle camere al servizio dei pasti. A ridosso dei concerti, quando non era così fatto da perdere la concezione del tempo, ci metteva in riga come un esercito.
Ci siamo abituati rapidamente agli hotel extra lusso e ad ogni comodità immaginabile, eppure i ricordi più belli che ho sono quelli in cui scappavamo, o in cui facevamo cose normali. Stare seduti per terra a fumare e mangiare patatine direttamente dal pacchetto, sgattaiolare fuori nel bel mezzo della notte a insaputa di Tim e Alan per vagare per la città, sbronzarci in qualche bar in cui non saremmo stati riconosciuti, dividerci in squadre e giocare a nascondino nei corridoi, improvvisare concerti e ballare fino a quando non ci girava la testa. Mi mancano gli Oasis, ammetto a me stessa con nostalgia.
“Non hai la sensazione di essere osservata?”
Audrey addenta un pezzo di carne, “A dire il vero no. Mi sa che è tutto nella tua testa.”
“Sarà…”
“E’ figo quello che ci hanno proposto per gli eventi, ma un workshop alla UCLA tutto tuo è ancora più incredibile”, porta il bicchiere alle labbra, il Chianti che ho ordinato viene dimezzato.
“Il contatto era di Jackie, ha proposto questa cosa ed è piaciuta.”
“Beh, so che sono di parte, ma la vostra rubrica è uno spasso.”
“Grazie, babe. E i tuoi progetti come vanno?”, addento un cubetto di avocado.
Scrolla le spalle, “Bene. Bene? Non lo so. E’ incredibile essere una fotografa a RS, anche se ancora agli inizi… Però non so, sbaglio a voler fare qualcosa di più? Qualche live in più, magari un tour?”
“Uh, non pensavo diventasse una riunione interna”, le sorrido. “Scherzo, stai tranquilla. Farò in modo di assegnarti più live, ma ti mando in tour con una band solo se diventi una libera professionista assunta da una band. E conosco più di una band che trarrebbe molto giovamento da una presenza come la tua.”
“I Beady Eye?” le si illuminano gli occhi.
“No, Liam ha già i suoi fotografi e non ti metterei mai nelle diatribe famigliari dei Gallagher… Ma ci sono tanti contatti, parecchi li hai anche tu in prima persona. Decidi cosa vuoi fare, però.”
“A me piace lavorare con te.”
“Anche a me, sweetie, ma se lo vuoi, dobbiamo pensare alla tua carriera.”
“E se facessimo qualcosa insieme?”
“Un progetto insieme?”
“Perché no… In fondo mi hai aiutata per la mia tesi.”
“Sì, è vero, l’ho fatto…”
“Una Guinness, signora”, il cameriere lascia un boccale pieno di birra di fronte al mio piatto.
“Non l’ho ordinata, anche se la apprezzo molto.”
“E’ un regalo di un nostro ospite.”
“E chi è?” mi guardo intorno curiosa. “E’ qui?”
“Non posso dirglielo, signora. Buona serata.”
“Sono i fottuti servizi segreti, Audrey. Io ne sono certa, io –”
In fondo alla stanza, al bancone del bar, due occhi mi fissano divertiti. Non so se è sempre stato lì o se lo vedo in questo momento per la prima volta.
Accanto alla Guinness c’è un bigliettino che recita: Vuoi vedere l’attico più tardi?
Sorrido, complice. Porto il boccale alle labbra, gustando un lungo sorso. “Il nettare degli dèi.”
“Sei diventata strana”, osserva Audrey. “E’ Johnny Depp vero? Cosa dice il bigliettino? E poi, comunque, sinceramente, da amica… Depp rispetto a Gallagher è un universo diverso.”
“Perché mi tratti come se fossi single?”
Guardo alle sue spalle. Ha piegato la testa, la bocca socchiusa in un ghigno.
“Perché lo sei. Sei in pausa… E’ il preludio ad essere single.”
“Chi lo dice?”
“Chiunque sia stato in una relazione più di una settimana.”
“E tutto il discorso del mio amore per Gallagher come l’unico esistente al mondo?”
“Sal, perdonami, ma una sana scopata con Depp non te la faresti? Sei in pausa…”, scrolla le spalle ridacchiando.
“Mettiamo che sia Johnny Depp, che per inciso ho visto nudo in un lontano 1997 –”
“ – No, no, no, slow down. Tu, tu hai visto nudo Johnny Divino Depp e siamo qui da anni a struggerci per Noel Gallagher? Porco cazzo, Sal”, beve l’ennesimo bicchiere di vino.
“Non era la nudità il punto”, gioco con le dita intorno all’orlo della birra. Alzo lo sguardo, mi sento così osservata da arrossire. “Mettiamo che sia Johnny Depp, dicevo… Dopo una sana scopata cosa accade?”
“Ma che ne so, te ne fai un’altra. E poi ci dimentichiamo Gallagher. Non esiste niente di più facile di una pausa da smaltire dall’altra parte del mondo. Lui sarà irrimediabilmente triste”, si porta una mano al petto melodrammatica “e scriverà un sacco di canzoni lamentose e si comprerà una nuova casa.”
“Lo fai sembrare Eddie Vedder.”
Mi indica con il coltello, “A proposito di gente con cui farsi una sana scopata!”
“Taglialegna del cazzo, lui e le sue camicie a quadri. Chissà quando si rivelerà l’autore di tutti questi regali…”, la stuzzico.
“Io sono certa ti aspetti più tardi nel suo attico, il buon Jack Sparrow. Tanto domani abbiamo l’aereo di ritorno tardi.”
“Non volevi parlare di lavoro? O continuiamo a immaginare la mia vita sessuale con Johnny Depp?”
Due occhi tanto profondi da sembrare brillanti mi si sono piantati addosso da un po’, accompagnati da un sorriso divertito ed estremamente sexy. Sento caldo e mi passo una mano tra i capelli, spingendo il petto in fuori volutamente teatrale, fingendo di stiracchiarmi. Gioco con una ciocca di capelli, mi conosce a memoria, sa di cosa profumano i miei boccoli biondi e come gli scivolano tra le dita. Come se qualcuno l’avesse colpito alle spalle, lo vedo fare uno scatto in avanti. Sorride di nuovo, riprende a fissarmi, passandosi il pollice sul labbro inferiore.
Si ferma il tempo.
 
Esco dall’ascensore su di giri. Meglio della cocaina, penso tra me e me, elettrizzata e con il cuore in gola. Mi fermo, la mano a mezz’aria per bussare. Inspiro, espiro. La luce calda del corridoio ronza nel silenzio. Nello stesso istante si apre la porta, rivelando una camicia bianca risvoltata ai gomiti, i pantaloni scuri e un sorriso strafottente e bellissimo.
“Stavo per iniziare da solo.”
“Non ci provare.”
Non mi lascia finire la frase, tirandomi a sé con forza, le mani sul mio sedere. Il bacio più irruente, violento e sensuale che potrebbe darmi. La sua bocca cerca la mia con insistenza, come se la scoprisse per la prima volta. Mi manca l’aria.
“Le rose?”
“Dovevo andare all in.”
Lo zittisco con un bacio, le mie mani hanno già iniziato ad esplorare il suo corpo.
“Non ho mai amato parlare”, sussurra.
“Non avrei voglia di ascoltarti”, sorrido delineando il suo profilo con la punta dell’indice.
“Quanto mi sei mancata, blondie.”
Gli sto già sbottonando la camicia, concentrata sulla sua pelle chiara. “Come feed me, and then bring me down”, sussurro prima di condurlo per mano verso la camera da letto padronale in un attico vista Los Angeles.
 
Da una certa età in poi, gran parte dei miei risvegli sono stati accompagnati da melodie più o meno conosciute. Le percepivo prima ancora di svegliarmi davvero, ogni tanto si mescolavano ai miei sogni, a immagini a cui cercavo di rimanere aggrappata ancora un po’.
Una luce bianca e accecante mi investe dalle finestre che affacciano sulla città. Sussurro un improperio prima di rendermi conto che al mio fianco non c’è nessuno, le lenzuola sono arrotolate al fondo del letto. Los Angeles è un paradosso, scorre ma sembra sempre immobile. Nel traffico, negli stereotipi, nella megalomania.
Mi alzo sbadigliando e mi avvolgo nel lenzuolo, trascinando i piedi sul pavimento. La figura che conosco meglio al mondo, casa mia. Due spalle strette piegate su un pezzo di carta e una chitarra accanto.
“Buongiorno Noelie.”
Si volta sorridendo. Il sorriso più bello che io abbia mai visto. Si alza, in silenzio, e mi regala un bacio lungo e appassionato. “Tu non dovresti essere qui.”
“Hai ragione”, sbuffo. “Che cazzo di ore sono? Devo recuperare Audrey e tornare a Frisco e –”
“ – Intendevo che devi tornare di là, con me”, ha già preso l’orlo del lenzuolo tirandolo verso di sé.
“Forse dovremmo parlare”, inizio a baciarlo sul collo, percorrendo il bordo della t-shirt blu. “Parlare delle tue sorprese… Della nostra pausa… Di Johnny Depp…”
“Cosa cazzo c’entra il fottuto Johnny Depp adesso?”
Scoppio a ridere. “Poi te lo racconto. Posso raccontartelo dopo?”
“Cosa devi fare adesso?”
“Cosa devi fare tu, adesso.”
 
“E così non era Johnny Depp”, Audrey non se ne capacita, giocando con la bottiglietta d’acqua tra le mani.
“Vorrei ricordarti che sono qui presente, fotografa dei miei coglioni”, sbotta colui che non è Johnny Depp dall’altra parte del corridoio tra i sedili della prima classe.
“Ehi!” riprendo Noel. “Tu lascia stare Audrey e tu, sweetie, dagli tregua.”
Quella si mette a ridere. “Sei così tanto dittatoriale e così tanto insicuro, Noel Gallagher?”
“Con tutti i soldi che ho, luv, non so cosa farmene delle insicurezze. Hai visto che cazzo di sventola ho per moglie?”
“Non è ancora tua moglie. Magari le viene voglia di rivedere nudo Johnny Depp.”
“Hai visto Johnny Depp nudo?”, il suo tono di voce si alza appena.
“1997, ritorno da Mustique, tu e Meg Mathews eravate in un idillio d’amore –”
“ – Cosa cazzo c’entra quel fenomeno da baraccone con te e Johnny Depp?”
“Che a Mustique ci sono stata anche io, ospite di Johnny e Mossie. Lo sai che si faceva il bagno nudi da quelle parti…”, sorrido.
“Ah, quindi anche lui ha visto te nuda. Molto bene.”
“Si vede che la stai prendendo bene, Chief!”, dal suo cantuccio accanto al finestrino Audrey rincara la dose. Lui la incenerisce con lo sguardo.
“Noelie…”
“Non Noelie-me.”
“Smettila e pensa che stai tornando a San Francisco con me e prima e dopo quel 1997 mi hai vista nuda qualche volta in più di Johnny Depp.”
Audrey si tappa le orecchie chiudendo gli occhi, “Non voglio ascoltarvi!”
Lui si volta con uno scatto, recuperando l’aria da gatto sornione. “Dovrei rimpinguare le mie miglia in prima classe, mi accompagni in bagno? Credo che la nostra piccola petulante californiana sappia sopravvivere anche senza di noi.”
 
  
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