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Autore: EleAB98    11/08/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XX – Alla Ricerca di Un Nuovo Orizzonte
 

Vuoto. Un senso di vuoto.
Quel vuoto che, a poco a poco, aveva cominciato a dilagarsi nell'animo. Quel vuoto che non si riusciva a riempire, quel vuoto che non credevo potesse presentarsi così presto, quasi all'improvviso, a seguito, per giunta, di un rapporto tanto intenso quanto appagante, perlomeno da un punto di vista prettamente fisico.
Cosa poteva essere cambiato? Forse tutto, forse niente.
Forse, non c'era mai stato alcunché di rilevante fra me e Megan, malgrado non ci fossimo limitati a fredde interazioni professionali, appena punteggiate da un pizzico di vivace cordialità – le solite interazioni che sarebbero dovute esistere tra semplici colleghi, per intenderci.

Rivolsi lo sguardo verso il soffitto della mia stanza. Non riuscivo a smettere di pensarci.

Dopo esserci scatenati per bene, io e Megan ci eravamo guardati negli occhi per un tempo che mi era parso eternità, un tempo scandito soltanto dai nostri respiri, pesanti e irregolari. Nessuno dei due ebbe, in quel particolare momento, il barbaro coraggio di proferire una sola parola.

Io avevo tentato di leggere il suo sguardo, e di sicuro lei aveva provato a leggere il mio.

Vuoto.
Non riuscivo a percepire molto altro, al di là di questo.
Troppi non detti, troppi silenzi, troppi cambiamenti. Tra me e lei c'erano state sin troppe mancanze.

La mia mente mi ripresentò, una per una, immagini non proprio caste di me e lei, nudi e vogliosi l'uno dell'altra, assieme a una corposa serie di fantasie che, pur non avendo espresso a cuore aperto, avevamo soddisfatto più e più volte, fino all'esplosione finale.
Senza dubbio alcuno, quel disperato bisogno di fare sesso – perché di quello, alla fin fine, si era trattato – aveva prevalso su tutto il resto, sulla ragione e sul buonsenso, rimasto invece dell'idea che una sana chiacchierata avrebbe potuto appagarci assai di più, almeno da certi punti di vista.

Io, tra l'altro, non ero stato per nulla accorto con Megan, avevo assecondato il mio istinto animale senza pensarci due volte, ma pure lei non aveva scherzato.
Mi aveva toccato di continuo, con bramosia e desiderio – senza manifestare alcuna vergogna, cosa che non mi sarei aspettato da lei –, mi aveva tenuto stretto a sé pregandomi tacitamente di regalarle l'orgasmo più intenso che potesse mai aver provato.
Nel mentre, probabilmente sotto l'effetto dell'eccitazione, mi aveva persino confessato quanto la facesse impazzire il mio movimento di bacino e come le piacesse essere presa con impeto e passione, affermazione che tuttora mi provocava uno spasmo significativo – non potevo fingere che essere adulato in quel campo specifico non mi facesse piacere – e che mi aveva spinto a riversare in lei tutte le mie frustrazioni, sessuali e non.

Mi rigirai dall'altra parte del letto. Dopo un simile rapporto, non mi ero sentito proprio in vena di fare promesse a Megan, dato che, perlomeno inizialmente, non avevo programmato di finirci tra le lenzuola.
Ma, a ben guardare, avrei forse voluto un altro tipo di serata?
Non lo sapevo. Inconsciamente, temevo che la voglia matta – quanto improvvisa – di tornare a fare sesso mi avesse investito con troppa potenza, perché potessi rigettarla via comportandomi da uomo intransigente.
E temevo anche che quella voglia fosse stata – e fosse tuttora! – più importante del proposito di ricucire – ricucire cosa, esattamente? – con Megan.
Avrei potuto affrontare quella serata in maniera diversa? Avrei potuto evitare tutta quella passione, tutto quel concedermi, tutti quegli accessi di godimento che non mi ero affatto premurato di nascondere?

Sospirai. Come avrei potuto resistere a una donna come Megan?
Non lo avevo mai fatto prima, escludendo il "periodo Melissa". E, a proposito di lei... Non potevo affermare di averla sentita durante il rapporto.
Mi ero semplicemente abbandonato a una wild-sex-session con Megan. Questo, avevo fatto.
La diversità tra Megan e Melissa era sempre esistita, ma solo ora riuscivo a captarla con chiarezza.
La prima volta con Megan era stata piuttosto intensa. Potevo finalmente dire, alla luce di quanto accaduto adesso tra noi due, che un sincero principio di sentimento amoroso l'avevo percepito. E non ero sicuro che fosse legato totalmente all'idea inconscia che Megan fosse la reincarnazione di Melissa. Avevo provato qualcosa per Megan, al di là dei ricordi e al di là di tutto il resto. Al di là del fatto che non avessi pronunciato il suo nome in preda al piacere.
Lei mi aveva colpito con la sua indiscutibile bellezza, ma anche il suo caratterino non era passato inosservato.
Sì, per certi versi avevo rivisto in lei un qualche aspetto – più che altro di natura fisica – della mia Melissa, ma da quando era successo il fattaccio avevo riaperto gli occhi e... poof! La magia era terminata.
Niente più Melissa, niente più ricordi, niente di niente.
Solo Megan. Megan Rossi.

Mi alzai dal letto, quindi spalancai la finestra che dava sul balcone. Che cosa sarebbe successo se Megan non avesse scritto quell'articolo su mio padre? Avrei finito per innamorarmi di lei?
Se un timido ma percepibile principio di sentimento – reminiscenze della mia precedente relazione a parte – si era fatto davvero strada dentro di me, potevo forse affermare che fosse stata Megan a rovinare tutto?

Sbuffai e accesi una sigaretta. La nicotina non mi avrebbe aiutato molto in quella circostanza, lo sapevo bene, ma soltanto il meccanico gesto di portare in bocca quel marchingegno riusciva, almeno per un attimo, a rilassare i miei muscoli tesi, a stordire almeno un poco il mio cervello (negli ultimi tempi ragionavo troppo).
Aspirai di malavoglia e feci più di un tiro, poco prima di rigettare via quel fumo, che quasi mi andò di traverso. Non ero in forma, decisamente.

A questo punto, era probabile che scopare selvaggiamente non mi avesse aiutato granché – d'altro canto, non potevo usare altri termini, inutile che mi sforzassi di giudicare come profondo quell'episodio! –.
E questo era sin troppo strano. Di solito, in quelle occasioni – malgrado la sgradevole sensazione di vuoto cosmico che mi investiva dopo il sesso con le altre donne – mi sentivo comunque abbastanza pimpante per conquistare la preda successiva, mi sentivo anche molto virile. Estremamente potente.
Ma forse, sentirmi un uomo piacente e bravo a letto non mi bastava più. Avevo bisogno di qualcos'altro, perché negli ultimi tre anni era scattato, per l'appunto, qualcos'altro.
In fin dei conti, l'avevo ammesso candidamente a Megan: volevo una donna per la vita, non una squallida avventura.
E non sapevo se stessi imboccando – di nuovo? – la strada sbagliata. Magari dovevo concedermi del tempo per capire.
O forse, il rancore implicito che provavo verso Megan aveva offuscato ogni briciola di sentimento verso di lei?
Spensi la sigaretta.

«Te ne stai andando?» mi aveva chiesto lei appena alzato dal letto.

Avevo raccattato i boxer dal pavimento e, con perfetta naturalezza, li avevo indossati davanti a lei, quindi rimesso su anche i pantaloni con annessa cintura di cuoio. «Credo sia meglio così», avevo mormorato, senza incrociare il suo sguardo.

«Pensavo che... che saresti rimasto a dormire qui.» Il suo tono di voce tradì stupore e altrettanta delusione. Potevo sentire il suo sguardo su di me, i suoi occhi che, da splendenti che erano, si incupivano sempre di più.

«Non mi sembra il caso, scusami tanto.»

«Deduco che non farai l'amore con me una seconda volta, allora.»

A quelle parole, avevo bloccato il mio certosino processo di vestizione – anche se in quel momento ero tutto, tranne che preciso – per concentrarmi su di lei. Credeva davvero che avessimo fatto l'amore?
Perché io – a differenza sua, a quanto pareva – avevo percepito un netto distinguo tra quello che avevamo vissuto la primissima volta e il genere di intimità sperimentata poco prima. Certo, lei aveva detto di essere innamorata di me, però... possibile che s'aspettasse più di quanto le avessi già concesso quella sera?

«Devo metabolizzare questa giornata, Megan. Tutto qui.»

Mi ero sistemato i polsini della camicia bianca e, rivestitomi completamente, avevo preso la giacca e avevo aggiunto: «Mi farò vivo io. Per la prossima volta, s'intende. Domani devo prendere il primo volo per Los Angeles, e così anche tu, però... non me ne volere, ma preferirei partire da solo.»

Megan aveva lasciato cadere il lenzuolo della coperta di flanella seduta stante. Non avrei tuttora saputo dire se si fosse trattato di un gesto calcolato o meno – anche se la sua espressione (aveva la bocca semiaperta) poteva suggerire infinito stupore –, sta di fatto che il mio sguardo si focalizzò ancora una volta su quegli splendidi seni, che quasi mi fecero dimenticare tutto il resto.
Erano tutti da mordere, gustare e accarezzare. Cosa che avevo fatto prima, naturalmente.

«Sul serio vuoi stare da solo?»

Mi ridestai e scostai lo sguardo dal suo corpo. «Lo preferisco, sì. Non fraintendermi, Megan, sono molto attratto da te. E credo...» Mi grattai la nuca. «Di avertelo abbondantemente dimostrato questa notte. Ma ho bisogno di riflettere.»

«Quindi non... non vuoi proprio dormire qui?»

Mi avviai verso la porta. Dormire insieme non era un atto di pura formalità, tantomeno leggerezza; contemplava, anzi, sin troppa intimità, confidenza e complicità, e io non me la sentivo di compiere un gesto simile.
Fino ad allora, non avevo dormito con altre donne che non fossero Melissa. «Buonanotte, Megan. Grazie per la serata», esalai, freddo.

Per un qualche motivo, non desideravo altro che rifugiarmi nella mia stanza.
E adesso, eccomi qui. Ancora vestito di tutto punto, mi ributtai sul letto e raccattai il cellulare dal comodino. Nessuna chiamata persa, nessun messaggio.

Ancora vuoto. Un senso di vuoto che non accennava a scomparire.

Consultai la rubrica senza un motivo apparente. Negli ultimi anni, avevo fatto piazza pulita dei miei contatti, mantenendo soltanto quelli che reputavo più importanti. Il numero di mia madre, di mio fratello Jeremy e di Chris, come quello di alcuni giornalisti con cui avevo lavorato nel corso degli anni – con annessi contatti redazionali.

E poi... il numero di telefono di Benedetta. Sospirai. Chissà come se la stava passando. Scacciai quel sordido pensiero dalla mente.

Durante la mattinata del giorno prima, avevo pensato di mandare un messaggio a Megan ripescando il suo numero di cellulare dal curriculum vitae che avevo trovato su internet, dato che l'avevo cancellato non appena ci eravamo detti addio. Avevo persino scoperto alcune cose sul suo conto, tra cui l'età anagrafica. In precedenza, avevo già ricercato il suo curriculum in rete, se non altro per farmi un'idea della persona con la quale avrei dovuto lavorare, ma avevo trovato scarse informazioni. Ora, invece, me ne erano apparse una caterva.

A trentatré anni, potevo affermare che Megan avesse alle spalle una carriera fruttuosa e degna di nota. E che a letto ci sapesse davvero fare.

Peccato che quell'ultimo pensiero, al netto della passione che ci aveva colto durante quella serata, non mi accendeva troppo. O almeno, non totalmente.
C'era un qualcosa che stonava, in quel quadretto. C'era un qualcosa che non riuscivo ancora a spiegarmi, e che magari non ero disposto a scandagliare da cima a fondo, in tutti i suoi particolari. Almeno fino a quando non sarei riuscito a farmi un'idea chiara del percorso cui mi stavo dirottando.

 

*

 

Ero appena tornato in ufficio e mi sentivo solo. Non ci fu nessuna Benedetta ad accogliermi, soltanto una Michelle Pantano terribilmente irritante.

«Oh, Malcom! Sapessi quanto mi sei mancato ieri!» Quasi mi si era buttata addosso spiaccicandomi al muro – avevo evitato con ogni mezzo che potesse stamparmi un bacio in pieno viso.

«Dio, Michelle! Sono mancato solo un giorno!»

«Ed è stato il giorno più lungo della mia vita!»

Avevo alzato gli occhi al cielo e ristabilito le dovute distanze, cercando di rabbonirla. «Adesso non esageriamo. Dai, torna subito al tuo lavoro o te la vedrai con Ryan.»

«Non con te? Credevo che—»

«Non ne ho bisogno, cara Michelle, ci ha già pensato qualcun'altra.»

Lei aveva spalancato gli occhi e la bocca – rigorosamente imbellettati di ombretto lilla e rossetto coordinato – e, linciandomi con lo sguardo, aveva detto: «Non sai cosa ti perdi, sai?»

Il mio sorrisetto, se possibile, l'aveva irritata ancora di più.

«Okay, me ne vado. Mi arrendo!»

Così, una volta sbattutomi la porta in faccia, ero finalmente tornato a respirare.

Mi morsi le labbra e provai l'impulso irrefrenabile di fumare un'altra sigaretta. Avevo già fatto fuori la terza da quella mattina, e di certo non ne programmavo una quarta. Per quella giornata avevo raggiunto il limite massimo.
In effetti, pur non avendo del tutto smesso di fumare, nell'ultimo anno avevo comprato molti meno pacchetti di sigarette, e pure questo lo dovevo a Benedetta.
«Dovresti fumare un po' di meno, Malcom. È un vero peccato che un uomo come te... sì, insomma, mi dispiace che tu ti faccia del male in questo modo», mi aveva detto dopo pochi mesi di conoscenza reciproca, in una delle tante serate trascorse a casa mia.

«Come mai questo interesse?»

Lei aveva fatto spallucce. «Non mi piace che tu sia così schiavo del fumo, tutto qui.»

A quelle parole, avevo sorriso. E fatto una promessa che tempo prima avrei giudicato assurda, per non dire inconcepibile. Ma con Benedetta era così: era spesso riuscita a tirare fuori il meglio di me.
«Facciamo così. Io fumo circa sette sigarette al giorno... che ne dici se, gradualmente, riducessi il numero a... che so... a tre?»

«Dici davvero?»

«Sì. Dovresti aiutarmi un po', però. Non credo che potrei farcela, altrimenti.»

Lei si era spinta verso di me e mi aveva abbracciato forte. «Ma certo che ti aiuterò! Sono tua amica e... ti terrò sempre d'occhio, da domani in poi!»

Sorrisi ancora a quel ricordo. Mi rigirai la sigaretta tra le mani, quindi la rimisi nel pacchetto. Dovevo mantenere quella promessa, anche se io e Benedetta non ci parlavamo più. Anche se per lei rappresentavo ben più di un amico.
I primi tempi, era stato difficile obbedire all'impulso di non fumare più del dovuto, ma la presenza costante della ragazza in ufficio mi aveva permesso, oltre che insegnarle i trucchi del mestiere di giornalista, di non cedere alla tentazione.
Lei mi teneva spesso occupato, e io, da buon mentore qual ero, non avevo perso battuta nell'assecondare le sue iniziative. Non erano mancate frecciatine taglienti da parte dei colleghi, tutte inerenti al fatto che io e lei fossimo ormai diventati inseparabili, ma entrambi non ci scomponevamo per così poco.
Che pensassero quello che vogliono, mi ero ritrovato a dire, continuando a rispettare il mio programma di disintossicazione parziale da nicotina – così l'avevo segretamente definito.

Tornai con lo sguardo sulle prossime bozze da redigere, e quindi al presente, ma, mio malgrado, non riuscivo proprio a concentrarmi. All'improvviso, qualcuno bussò alla porta.

«Malcom, posso... posso entrare?»

A quella vocina rialzai la testa dai miei appunti. Benedetta era passata a trovarmi!
Istintivamente, mi sistemai meglio la cravatta blu abbinata al doppiopetto gessato del medesimo colore, che indossavo dalla sera prima. «Certo, Benedetta, entra pure», le dissi, senza aggiungere altro. Tutto d'un tratto, mi sentii insolitamente timido davanti a lei, per certi versi vulnerabile. Se non a disagio.

Lei avanzò di qualche passo, incerta. «Come va?»

Alzai le spalle. «Sono un po' sotto stress ultimamente, però non mi posso lamentare. Stavo per fumare la quarta sigaretta della giornata, poi mi sono ricordato del nostro patto e... non ho ceduto.»

Lei sorrise appena. In un'altra circostanza, mi avrebbe detto quanto fosse contenta dei miei progressi, ma stavolta si limitò a parlarmi con gli occhi. Sì, era fiera di me. E mi credeva sulla parola.

«Spero che il tuo appuntamento sia andato bene», riprese poi, tornando seria, non appena si sedette di fronte a me.

Scostai gli occhi dalla sua figura. Come faceva a saperlo?

«L'ho scoperto tramite Gilberto, l'ex marito di Megan Rossi. L'ho incontrato un paio di volte per Firenze e la prima volta a Montreux, dopo che...» Abbassò il capo, un piccolo ciuffo di capelli biondi le ricoprì la fronte. «Dopo che noi due ci siamo baciati.»

Avvertii una scossa a quelle parole. «Ascolta, io non volevo che lo sapessi così. È solo che—»

«Ci sei andato a letto, vero?»

Spalancai gli occhi. «Scusami?»

«Tu e lei... Megan Rossi... Ci sei andato a letto?»

«Benedetta, ascolta—»

Scosse la testa, delusa ma non sorpresa. «Ma certo», disse, con aria insolitamente tranquilla. «Che stupida, che sono stata... Non so proprio come io abbia potuto credere al tuo Ma no, non c'è nessun altra!» esclamò senza troppa enfasi, ripetendo le parole che la scorsa settimana le avevo rifilato.

«Ti ho detto la pura verità», replicai con ardore. «Quando tu... quando tu ti sei dichiarata, tra me e lei non era ancora successo niente e, tanto per la cronaca, non volevo nemmeno che accadesse. È successo tutto ieri sera.»

«Sì, certo...» Lei sospirò. «Malcom, tu non devi giustificarti con me. Tantomeno con altre donne. Il punto è un altro: non sopporto quando un uomo dice che non avrebbe voluto fare una certa cosa, ma poi, puntualmente, ha fatto di tutto e anche di più.» Puntò gli occhi nei miei, il suo tono di voce non tradiva recriminazioni, bensì ferreo controllo.
Ne rimasi spiazzato. E in quel momento, la vidi proprio come una donna. Non come una semplice ragazza. Quella considerazione mi fece scostare lo sguardo. Che fosse molto più matura della sua età l'avevo spesso acclarato, ma non credevo si sarebbe spinta fino a quel punto.

«È successo tutto all'improvviso. Non sono riuscito a sottrarmi perché... perché sì, forse non lo volevo davvero. Anche se, spesse volte... il corpo, a differenza della mente, va un po' per i fatti suoi, non so se puoi capirmi.»

«Non ti sto condannando per esserci stato a letto, Malcom. Volevo solo dire che... mi hai delusa molto. Come ex amica, devo dirtelo. Avevo il diritto di sapere la verità, non credi?»

Quell'ex amica suonò peggio di una coltellata in pieno petto. «Non è così, Benedetta. Sono sempre stato leale nei tuoi confronti. Non ti ho mai lasciato intendere che potesse esserci altro tra di noi, non—»

«Ma come ti piaceva, però, essere adulato dalla "donna misteriosa", eh? Come ti piaceva che io fossi sotto un treno per te, non è così?» Alzò la voce per un istante, poi si riprese. Si passò una mano sul volto, pallido e stanco. «Scusami tanto, non era qui che volevo andare a parare.»

«Io non sapevo che fossi tu», rilanciai, senza preoccuparmi della sua momentanea perdita di controllo. Potevo ben capirla.

«Fa lo stesso», mi disse lei, senza scomporsi. «Come ti ho detto, non è questo il punto. Io voglio la tua felicità, Malcom. Anche se non puoi trovarla insieme a me, non posso che augurarti il meglio. Sono sì un po' arrabbiata, ma soprattutto preoccupata. Non capisco proprio come tu possa stare insieme a una donna che ha denigrato tuo padre in quel modo, davanti a mezzo mondo. Lo trovo pazzesco.»

«Io e lei non stiamo insieme», mi giustificai, lo sguardo rivolto sulla corposa pila di carte che avrei dovuto revisionare. Mi sentivo colpevole e non capivo perché.

«Per ora no. Ma scommetto che alla fine la sposerai.»

Strabuzzai gli occhi e tornai a guardarla. «Io, sposarla? Guarda, ti ringrazio, ma questa volta passo. Ti ho già raccontato la mia storia e mi è bastato quello che ho vissuto.»

«Appunto per questo pensavo che meritassi una donna più degna di quella che hai scelto. Avresti potuto avere chiunque!»

«Io non ho scelto nessuna donna. Io mi sono limitato ad assecondare i miei bisogni. Quella sera, io e lei ci siamo dati appuntamento e... la serata ha preso tutt'altra piega. Ascolta, io non sono l'uomo che credi. Tu hai visto soltanto una minima parte di quello che sono. E ora lo sai. Mi dispiace soltanto che tu abbia perso tutta la stima che provavi nei miei confronti, ma d'altronde non sono perfetto. Quello che mi consola è che almeno hai scoperto che non sono l'uomo per te. Meriti altro, Benedetta.» Non sapevo perché stessi di nuovo ribadendo la mia posizione, dato che ne avevamo già parlato. Volevo forse convincermi di qualcosa? O magari processare un altro genere di sentimento?

«Ti ho detto che non devi giustificarti. Mi spiace solo che tu non ti sia confidato con me riguardo quella donna. Forse hai sempre pensato a lei per tutto questo tempo e—»

«Ti assicuro di no.» La guardai dritto negli occhi, deciso a non mollare. Non volevo che si facesse idee sbagliate.

Lei sorrise, mesta. «Vuoi la verità? Io non riesco a guardarti diversamente soltanto perché hai assecondato l'istinto di intrattenerti con quella donna. Sta' pur certo che, per quanto mi abbia deluso il tuo silenzio, la mia idea su di te non cambia.»

Scossi la testa, esterrefatto. Avevo fatto sesso con un'altra donna, con quell'altra donna, e lei non aveva battuto ciglio. Era rimasta delusa, era preoccupata per me, ma non aveva fatto nessuna scenata. E io, in tutti questi anni, avevo assistito alle peggiori sceneggiate napoletane del mondo. «Se mi conoscessi veramente, non mi guarderesti con quegli occhi», ribadii, forse stavo tentando di rigirare le carte senza neanche provare a capire il suo punto di vista. Mi stavo forse rifiutando di credere all'idea che Benedetta fosse innamorata di un casinista come me?

«Quali occhi?»

Sospirai. «Tu non sei innamorata di me. Tu sei innamorata dell'immagine che ti sei fatta nella tua testa. Un'immagine che, almeno nel mio caso, non corrisponde alla realtà.»

«Tu non puoi sapere quale immagine io mi sia fatta di te. So che sei un uomo diligente, brillante, determinato, spiritoso, passionale, arguto e altrettanto intelligente. Proprio per questo mi sorprende che tu sia finito con quella donna. E poi... chi ti ha detto che io abbia una visione del tutto favolistica dell'amore, Malcom? So come va il mondo, a dispetto della mia poca esperienza.»

«Non ne dubito. Però—»

«Sei innamorato di lei?» mi chiese, senza paura. «Puoi essere sincero, questa volta.»

«No», le risposi, secco. Sostenni il suo sguardo penetrante senza esitazione di sorta. «In me non c'è più posto per questo sentimento, non fino a quando non rimetterò la testa a posto, almeno. Tra l'altro... sei stata tu a farmi capire che non posso – e non voglio – più stare da solo. Ma soprattutto... non credo di poter stare senza una persona che mi ha insegnato e mi ha fatto provare tanto, più di quanto potessi mai aspettarmi.» Allungai la mano verso di lei, e mi accorsi che la sua stava tremando. Ci guardammo intensamente negli occhi. Le strinsi forte il palmo, e in quel momento sentii una voce chiara nel petto. Una voce che mi diceva che non potevo lasciarla andare. «E per me quella persona saresti tu.»
Lei sorrise appena, ma la serietà non lasciò i suoi occhi, tanto malinconici quanto espressivi. In compenso, smise di tremare e si lasciò accarezzare. «Davvero non siamo più amici?»

Lei non ricambiò la mia stretta di mano, ma nemmeno si scostò. «Hai detto tu che non era più possibile esserlo, alla luce dei miei... sentimenti per te.»

«Mi dispiace tanto, Benedetta.» La scrutai appena, contrito e pieno di sensi di colpa. «Ho sbagliato, non avrei dovuto allontanarti così drasticamente. Ma in questo mese, io... io non sono stato poi così bene. E non credo di volermi voltare dall'altra parte. Non più, almeno. Non senza di te. Vorrei... ecco, mi piacerebbe recuperare il rapporto con te. Non pretendo che tutto torni come prima, o sarei un'egoista. Vorrei solo dirti che... puoi contare su di me per qualsiasi cosa. Non pretendo altro.»

«Non so se ci riesco, Malcom.» Questa volta, anche lei mi strinse la mano. Istintivamente, carezzai il dorso della sua. Tutti i brutti pensieri e le turbe mentali sparirono all'istante. Eravamo solo io e lei, le nostre mani strette in un caldo – quanto timido – abbraccio.

«Lo so. Ti capisco. Vorrei solo che tu non mi considerassi un bugiardo. Non potrei sopportarlo.»

«Mi sembra che lei voglia un po' troppe cose, signor Stone», rispose lei, contro ogni mia aspettativa. Il suo sorriso, che finalmente si palesò in tutto il suo splendore, quasi sfociò in una risata divertita.

Non mi trattenni e, per la prima volta dall'inizio della mattinata, risi di cuore. Quella ragazza era straordinaria. «Spero tanto che tu mi creda», le dissi, tornando serio. «Io e Megan ci siamo rivisti per pura coinc—»

«Non roviniamo questo momento, Malcom. Per favore.» Benedetta mi guardò intensamente. E io mi persi nei suoi occhi. Nelle striature verdognole che riuscivo a captarvi, nel suo visino tanto delicato quanto grazioso.
Quando pensavo che avrebbe sciolto il contatto tra noi, mi accorsi, invece, che stava soltanto intrecciando le sue dita affusolate alle mie, e io con lei.
Seguii l'affascinante groviglio che stavamo creando senza nemmeno parlarci. Seguii i movimenti delicati e timorosi di quelle dita che sfioravano le mie, quell'intreccio confortante e non meno desiderato. Un intreccio che sembrava parlasse al nostro posto. Un intreccio che celava in sé qualche promessa – non avrei saputo dire di che tipo.
Quando trovammo l'incastro perfetto, fummo del tutto assorbiti dal calore di quella stretta. Nessuno dei due intendeva staccarsene. Tantomeno rompere quell'incantesimo che si era venuto a creare.

Le sorrisi. E quando lei fece lo stesso, capii di aver appena ritrovato una parte di me stesso. Forse, la più importante.

   
 
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