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Autore: EleAB98    13/08/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
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Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo II – Think Of Me With Kindness

 

Consumare un'altra notte di pura passione non rientrava nei miei piani, ma ammettevo che, ogni qualvolta mi soffermavo a guardarla, un brivido di pura eccitazione si diramava, dalla schiena, sempre più in basso; e il tutto accadeva in meno di un secondo.
Sospettavo che Megan stesse puntando tutto sul sesso, sull'avvenenza fisica di cui riusciva a fregiarsi. I suoi atteggiamenti lasciavano quantomeno presagire scenari non proprio consoni a una bella chiacchierata, magari di fronte a un buon caffè.
Certo, eravamo appena stati a cena, ma la scelta del locale – Gram's House – non era stata così ottimale. La musica a palla non ci aveva permesso di discutere.
In verità, era stata proprio lei a chiamarmi per fissare un altro appuntamento. Sulle prime, mi convinsi che volesse parlarmi dell'altra notte, ma poi, visto l'atteggiamento che aveva tenuto nei miei riguardi, avevo capito subito che avrebbe volentieri rimandato la discussione a data da destinarsi.
O meglio... voleva prima fare altro, e poi, magari, passare al resto.

Doveva essere cambiata molto negli ultimi anni, o forse era rimasta sempre la stessa persona, ma io non l'avevo minimamente vista per quella che era davvero.
Dal non volersi mai mostrare troppo per timore che un uomo potesse fare chissà che pensieri su di lei (queste erano state le sue parole sin dal primo istante in cui l'avevo conosciuta), aveva cominciato a indossare vestiti anche troppo succinti, che accentuavano quella sensualità innata e, per certi versi, subdola.
Durante la cena, seppur con molta difficoltà a causa del volume troppo alto della musica, avevo tentato di spiegarle che la notte scorsa mi ero lasciato trascinare, che non avevo più sfruttato il mio corpo per fini sessuali e che quindi, per ben tre anni, mi fossi esonerato dal vivere l'intimità con qualsiasi altra donna.

«Ho puntato tutto sul lavoro», le spiegai per l'ennesima volta usciti dal locale, mentre lei mi rifilava uno sguardo in cui stavolta percepii tenerezza.

«Sono disposta ad aspettare, Malcom.
Te l'ho detto. Non importa se non provi più le sensazioni di allora. Voglio solo che tu non ti faccia troppi scrupoli e che segua i dettami del tuo corpo. Io ti desidero, e so che anche per te è lo stesso.»
Mi sfiorò sensualmente il colletto della camicia e lo sguardo da subdola tentatrice ritornò, trionfante, a rivestire il suo viso.
La lasciai fare, se non altro per cercare di notare dell'altro, in quello sguardo. Ancora una volta, però, mi sembrò di combattere con una perfetta estranea. Eppure, non riuscivo ad allontanarla, quell'estranea.
Per quanto volessi contraddirla, il mio corpo mi tradiva, e lo sentivo ribollire sotto i vestiti. Tornai a guardare Megan con occhio analitico.

Mi ero presto reso conto di quanto il suo matrimonio fosse stato infelice e, di sicuro, poco avvezzo a effusioni di natura intima – o almeno così aveva lasciato intendere.

«Non che lui non volesse, ero... ero io il problema», mi aveva confidato poco prima.

Da quelle parole, capii che Megan aveva un forte bisogno di sentirsi di nuovo donna, e per certi versi aveva trovato in me l'uomo che poteva risvegliare i suoi sensi, quell'uomo con cui poter attuare tutte le sue fantasie, anche le più spinte.

Ammetto che quelle parole attivarono un campanello d'allarme nella mia mente.
Non avevo mai avuto in testa idee "troppo particolari" inerenti al discorso sessualità, malgrado la mia indole fortemente passionale. Non amavo certe... pratiche, se così potevo definirle, soprattutto quelle estreme. Eppure, avevo la netta impressione che Megan non avrebbe disdegnato provarne alcune.
Non che trovassi poi così strana la cosa e che non pensassi che anche le donne meritassero il loro spazio, come di esprimere a cuore aperto i propri desideri. Quello che più mi stupiva era la sua ambivalenza, il modo con cui era riuscita a nascondere ai miei occhi la sua vera indole.
Io, dal canto mio, per quanto riguardava quell'argomento, per certi versi ritenuto ai più semi-goliardico, potevo al massimo limitarmi a sperimentare una caterva di posizioni interessanti per variare il menù – di una simile varietà ero un grande appassionato, dovevo ammetterlo –, ma di certo non avevo mai proposto chissà cosa a Melissa, tantomeno alle altre donne.

Non ne avevo mai sentito la necessità, e, per inciso, pretendevo che i momenti di intimità si consumassero dove dovevano, senza dare spettacolo.
Preferivo di gran lunga il calore e l'accoglienza di un bell'appartamento come di una stanza d'albergo – o magari di un privé, dove spesso io e Melissa ci rintanavamo dopo che lei aveva terminato di esibirsi in passerella –, quella sensazione di familiarità che pervadeva gli amanti quando si trovavano soli e in combutta con i reciproci desideri.

Nonostante fossi aperto e vanitoso per natura, anche su quell'aspetto dimostravo, a detta di amici d'infanzia incredibilmente, di mantenere una certa riservatezza, e a nulla valevano i richiami dei suddetti amici, che avrebbero fatto qualsiasi follia pur di conoscere dettagli di cui non avevo mai fatto parola con nessuno.

«D'altronde, tu conosci molto bene i nostri», mi dicevano, con il solo proposito di spingermi a raccontarmi da quel punto di vista.
Io mi limitavo a sorridere, la sigaretta tra le labbra, come a voler dire: e chi vi obbliga a parlarne?

Avevo sviluppato, contrariamente alle mie aspettative, una certa rigidità morale riguardo quell'argomento; credevo vi fosse insita una certa sacralità nell'atto di fare l'amore, e l'intimità che sperimentavo con Melissa si era sempre appellata al cosiddetto segreto professionale – così affermavo sempre io, strappando agli amici una risata nervosa e un cipiglio deluso.
Se una cosa era privata, tale doveva restare.

No, in generale non ero proprio avvezzo a spingermi oltre quando c'era di mezzo un discorso delicato come quello, e non importava se facessi sesso per puro passatempo o per mera compensazione.
Megan, invece... sembrava non si facesse problemi nel provare a coinvolgermi in qualche gioco che, lo sapevo per certo, mi avrebbe portato a perdere il totale controllo.

Mio malgrado, sotto quell'aspetto mi ero fatto conoscere bene, anche se non avevo ancora messo i famigerati puntini sulle i. Certo, adoravo flirtare anch'io, più o meno velatamente, prima di arrivare al dunque, ma questo dunque non intendevo certo consumarlo nel primo posto che mi fosse capitato a tiro – gli sguardi che Megan mi lanciava, sfioramenti furtivi a parte, lasciavano presagire, da parte sua, questo e anche di più.
E non c'entrava affatto il discorso differenza d'età. Era la differenza di vedute, quello che più mi tartassava.
Da uomo fatto, sentivo di non essere più avvezzo a gesti faraonici.

Se proprio dovevo sollazzarmi con una scopata – ancora una volta, non riuscivo a definire diversamente una simile eventualità – saremmo andati nel suo appartamento in affitto, perché nel mio, be'... non desideravo andarci in dolce compagnia, tutto qui.

Però, ammettevo che ciò che più mi bloccava dal comportarmi come avrei fatto tempo prima, nel caso mi piacesse fisicamente una donna, riguardava il nostro passato. Quello che aveva scandito le nostre interazioni, la notte nefasta in cui lei aveva deciso una volta per tutte di attuare il suo piano di vendetta. E quello che diceva di provare per me.

Lei, invece... non sembrava farsi problemi di sorta.

Che non l'avessi conosciuta davvero?

Per l'ennesima volta, quella domanda mi si trapiantò nel cervello e quasi lo sentii spaccarsi a metà, mentre lei continuava a torturarmi le labbra e io, come un perfetto idiota, assecondavo il suo ennesimo moto di passione. Strinsi con forza le mani sul volante, in bilico tra il desiderio di raggiungere casa sua e porre fine a tutto quel marasma interiore.

Svuotare la mente, questo mi serviva.

Dopo il chiarimento con Benedetta, avevo provato una strana sensazione. Una sensazione che non mi aveva più abbandonato, ma che, anzi, mi avvinghiava sempre di più, con una potenza al pari di quella di un leone che, con i suoi artigli, agguanta la preda del giorno senza lasciarle scampo.
Ero felice del fatto che ci fossimo ritrovati, anche se non del tutto. Era come se, dopo esserci salutati con un semplice abbraccio innocente, avessi percepito un senso di mancanza, dentro di me.

Megan continuò a catturare le mie labbra nelle sue, senza nascondere il suo desiderio di me. Decisi di concentrarmi su quello.
Mi sentivo lusingato, ovvio, ma... anche fuori posto, per certi versi.
Era come se io e Megan ci fossimo scambiati i ruoli. Adesso era lei la sfacciata. Era lei che mi sfiorava di continuo il collo con le labbra.
Ed era sempre lei che aveva appena preso ad avventurarsi pericolosamente verso il basso, e che, nel frattempo, mi stava sganciando man mano i bottoncini della camicia bluette con annessa cravatta, che aveva già buttato dietro al sedile.
Ero entrato talmente in trance, gli occhi chiusi, la mente in totale subbuglio, che quasi non mi accorsi del fatto che lei mi stesse stampando baci sempre meno casti sul petto, sfiorando mano a mano la peluria non troppo fitta che incontrava, carezzandola con la punta delle dita. Quando pronunciò quel sei uno schianto, mi riscossi d'un colpo. Per tutta la serata, avevo cercato di comportarmi da perfetto gentleman, malgrado lei non avesse smesso, nemmeno per un momento, di tentarmi. Persino con un semplice sguardo.

Perché ci ero di nuovo uscito? Forse per cercare di capire chi fosse davvero, o forse per sentirmi di nuovo tanto desiderabile – quanto irresistibile. Perché adesso, dovevo ammetterlo, non avrei voluto fermarmi.
Mi sentivo ormai eccitato, pronto a scattare, e il mio corpo – alias la parte più egoistica di me – be'... non si risparmiò di farmelo notare un'altra volta.
In quel momento preciso, constatai quando fosse poco forte la mia volontà di chiudere quel rapporto, che stavo iniziando, seppur inconsciamente, a percepire come non troppo sano.
E quanto i dettami del corpo, che avvertivo sempre più teso e in fiamme, stessero prendendo il sopravvento. A nulla sarebbe valso parlare, perché Megan voleva solo prendersi quello che per tanto tempo aveva negato a se stessa. E forse, sotto sotto, volevo prendermelo anch'io.
Erano stati tre anni difficili, avevo sofferto parecchio la solitudine, per quanto mi fosse servita a ritrovare me stesso.
Ed era altrettanto inutile ammettere che la vicinanza fisica con una donna mi era davvero mancata. Sicuramente mancava anche altro, ma in quel momento volevo solo ascoltare il mio istinto più animalesco.

Trascinai la testa di Megan al pari della mia, quindi le scoccai un sonoro bacio alla francese e le ordinai, con estrema serietà, di portarmi a casa sua.
In tutta fretta, mi risistemai la camicia e attivai il navigatore, smanioso di raggiungere la nostra prossima destinazione.

Le luci della città, assieme ai fari della mia macchina, illuminavano a malapena il percorso che stavo compiendo. Accesi la radio per ammazzare il tempo, visto che nessuno dei due maturò l'intenzione di rivedere la decisione appena presa.

Un soave pezzo dei Gentle Giant*, per qualche minuto, mi regalò pace assoluta.
Think of me with kindness, recitava, con incredibile delicatezza, la canzone, dal titolo omonimo. Mi lasciai cullare da quelle note e quasi non mi accorsi che fossimo arrivati a destinazione. Per quanto fossi un patito di hard rock, non disdegnavo pezzi più melodici, e grazie a mio padre mi ero fatto una grande cultura in merito.

Megan mi risvegliò seduta stante da quei pensieri, quindi allungò subito il braccio e spense la radio.

Non ebbi neanche il tempo di slacciare la cintura che mi si fiondò di nuovo addosso, i suoi sospiri a squarciare l'aria tiepida e silenziosa della notte. Scendemmo dall'auto, un piccolo giardino – appena illuminato dalla luce lunare – circondava il perimetro della casetta. A malapena guardai il resto dell'ambiente.
Megan estrasse le chiavi dalla tasca della sua borsa e, del tutto soggiogato dai suoi movimenti frenetici, la spiaccicai contro la porta non appena la richiuse dentro di sé. Le agguantai le cosce seminude e cominciai ad assaporare quel contatto in tutti i modi possibili.
Mi fiondai sul suo collo e ne succhiai la pelle con avidità. Ero ormai fuori di me, e non vedevo l'ora di sbarazzarmi di quei vestiti.

Fui accontentato quasi all'istante, perché Megan non desiderava altro che regalarmi piacere. Si inginocchiò di fronte a me, armeggiò con la cintura dei pantaloni e ne abbassò la cerniera, mentre io abbandonavo la camicia sul pavimento.
Mi sfuggì un'imprecazione non appena sentii fluire in me quella piacevole sensazione di stordimento che aveva iniziato a procurarmi una volta privato dei boxer neri. A quella stimolazione irriverente, mi scappò una serie di gemiti inarticolati che ci fecero perdere del tutto la bussola.
Mi sentivo del tutto sovrastato da quella sensazione, e non potevo staccarmene. I suoi movimenti erano ipnotizzanti, proprio come i suoi occhi azzurri, più dilatati che mai. Mi spinsi ancora un po' contro di lei, mosso da un istinto irrefrenabile, quindi la fermai appena in tempo.
La sollevai per le braccia e, con un semplice gesto, la privai del microvestito argentato che indossava, e quindi di tutto il resto. Con il suo trattamento di favore, aveva finito per annebbiarmi del tutto la mente, tant'è che ormai ero guidato da una lussuria sfrenata.
La spalmai di nuovo sulla porta – lo sguardo fisso nel suo – e le agguantai i seni con forza.
Megan sospirò e mi avvicinai al suo viso, per poi morderle il lobo dell'orecchio destro, e quindi anche l'altro, finendo per collidere con le sue labbra.
Percepii il mio più intimo sapore non appena presi a rotolare la mia lingua contro la sua, quindi scattai.
Con aria sfrontata, continuai a tenerla stretta e mi avventurai sempre più in basso facendo appello alla mia bocca, più che desiderosa di assaggiare ogni parte di lei.
Mi scontrai con i suoi turgidi capezzoli e presi a mordicchiarli, mentre lei mi afferrava una ciocca di capelli scuri, ormai del tutto scompigliati – pareva che anche loro fossero stati travolti da una passione dirompente –, alternando una pressione più o meno decisa a carezze assai delicate, gesti che lasciavano intendere quale ritmo dovessi adottare per restituirle almeno parte del piacere che mi aveva donato.

Proprio quando stavo per avvicinarmi all'interno coscia e procedere oltre, un familiare quanto breve tintinnio mi riscosse quasi del tutto. Con la coda dell'occhio, notai che il display del mio telefonino, poggiato sopra ai pantaloni classici che riversavano a terra, aveva ricevuto un nuovo messaggio.
Non riuscii a leggerne il mittente, eppure... quella cosa, pur essendo insignificante, raffreddò, almeno per un istante, i miei bollenti spiriti. Allontanando eventuali pensieri distraenti, mi risollevai e riportai le mie labbra sul seno di Megan, ma non mi sfuggì la sua contrarietà – o forse delusione?
Lei mi aveva donato tutta se stessa, mentre io... scossi la testa, deciso a non pensarci.
Optai di stimolarla con le dita per un po', fingendo più impegno di quanto non stessi davvero adottando, e Megan sembrò recuperare l'entusiasmo, regalandomi gemiti sempre più intensi.
Sembrava mi stesse pregando di non fermarsi, di continuare a torturarla con decisione. Si spinse in avanti con bramosia, e a quel punto non mi trattenni più.
Mi allontanai solo un attimo per arraffare un preservativo dalla tasca dei pantaloni, e anche se una parte di me era tentata dal guardare chi mi avesse mandato un messaggio a quell'ora, a pochi minuti dalla mezzanotte, non lo feci e tornai su Megan.

Qualcos'altro, però, scattò.

Appunto per questo credevo meritassi una donna più degna di quella che hai scelto. Avresti potuto avere chiunque!

Io non ho scelto nessuna donna! Mi sono limitato ad assecondare i miei bisogni...

Quelle parole furono come una doccia fredda.
Tutt'a un tratto, mi ero rivisto con Benedetta nel mio ufficio e... e tutto il resto pareva avesse perso d'importanza.
Strinsi i pugni, deciso a non dar credito a quel pensiero.
Infilai il preservativo e non indugiai oltre.
Con un colpo secco, cominciai a danzare con Megan sulle note di una passionale – e non meno rumorosa – melodia.
I nostri corpi, però, si scontravano senza incastrarsi davvero, e forse... nemmeno le nostre anime ci sarebbero riuscite.

Ansimai, quasi infastidito da quella constatazione.
Tutt'a un tratto, non mi sembrò più così allettante guardare Megan. Fuoriuscii da lei e la voltai di scatto. Megan si piegò quel tanto che bastava ad agevolare il mio ingresso, le mani addossate alla porta, il viso rivolto alla sua destra. Tornai a muovermi contro di lei, cercando di concentrarmi solo sul mio piacere e infischiandomene del resto.
Sapevo quanto fosse sbagliato, quanto quella serata avesse preso, ancora una volta, la piega sbagliata.

Eppure, non ero riuscito a placare la sete del corpo.
Anche se lo spirito, di certo, ne stava risentendo pesantemente.
Le parole di Benedetta non mi erano rimaste indifferenti.

Nulla, di lei, mi era rimasto indifferente.

A quel pensiero, mi affannai a raggiungere l'apice con sonora disperazione, e tutto per dare almeno un senso a quella serata. Un senso che, seppur superficiale, potesse lasciare un chiaro segno del suo passaggio. Megan seguì il mio dondolare senza indugi di sorta, raggiungendo così la terra promessa.
Qualche minuto dopo, e quindi più tardi del previsto, la raggiunsi anch'io. Col respiro affannato, mi resi spaventosamente conto di quanto fosse deleterio non spegnere il cervello in certi momenti.
Perché quei pensieri ritardavano un processo più che naturale, quell'evento di cui il corpo non poteva non ringraziare.

Fuoriuscii da lei seduta stante. Avevamo appena fatto sesso contro una porta, e la cosa mi sembrò ancora più assurda. Decisamente poco romantica. Decisamente scomoda.

Scossi la testa. Da quando in qua mi preoccupavo se un qualcosa potesse essere giudicato o meno come romantico?
Megan si voltò verso di me, insicura sulle sue stesse gambe. Anche stavolta, era priva di forze. La presi per mano e la guidai sul divano del soggiorno, dove presi posto anch'io.

Per qualche minuto, rimasi in perfetto silenzio, lo sguardo vacuo.

«A cosa stai pensando?» mi chiese lei, facendomi sussultare.

Il mio sguardo era ancora fisso sul telefonino, su quella porzione di pavimento cui avevo gettato camicia e pantaloni. Avevo una voglia matta di prendere quell'aggeggio tra le mani e...
«Non credo di averti mai conosciuta veramente», asserii voltandomi verso di lei, in un moto di assurdo coraggio. Non avevo risposto alla domanda, eppure... avevo dato voce a quel pensiero che mi tartassava ormai da settimane.

«Io sono quella che vedi, Malcom.»

«Non lo so. Non so chi io abbia visto prima, e non sono nemmeno sicuro di sapere chi stia davvero vedendo adesso.»

«Questo perché non ti lasci andare. Ti ho sentito teso, poco fa. A cosa stavi pensando? O meglio... a chi pensavi?»

Sussultai. Si era accorta di ogni cosa. A nessuno. «Pensavo solo—»

«Sì?»

Sospirai, sconfitto. «Il sesso non risolve le cose, Megan.  E penso che tu sia d'accordo con me. Io... io credo che avremmo dovuto prendercela più con calma sin dall'inizio. O comunque, approfondire determinate questioni.»

«Per esempio?»

«Cosa ti aspetti da me?»

«Niente. Te l'ho detto prima che non voglio farti pressioni, no?»

«Megan, io... io penso che alla lunga ci faremo soltanto del male.»

«Abbiamo un'intesa impressionante, Malcom. Non puoi negarlo.»

«Tu credi? Tu credi che un'intesa di... di questo tipo» – indicai i vestiti sparpagliati a terra – «sia davvero quello che cerchiamo in una relazione a lungo termine? È davvero quello che vuoi?»

«Le cose possono cambiare—»

«Oppure no.»

Lei mi guardò, l'aria quasi spaventata. «Credi davvero che noi non—»

«Non lo so, Megan. So solo che sono confuso. Tu sei bellissima, non c'è niente che non va in questo. Ma... ma non credo che questo mi basti. Non più.»

Lei allungò la mano verso la mia. Non riuscii a percepire un qualcosa che andasse oltre alla semplice differenza di temperatura tra le nostre mani. La sua era caldissima.

«Hai la mano così fredda», commentò lei, stupita. Me la strinse più forte, come a volerla scaldare.

Tornai a guardarla e mi scappò un sorriso nostalgico.
In quel momento, mi ritornò in mente un famoso principio della Fisica; un principio che mio fratello Jeremy aveva tentato di spiegarmi almeno una dozzina di volte (per mia sfortuna, e a differenza sua, ero davvero una capra nelle materie scientifiche).
Non si può trasmettere calore da un corpo freddo a un corpo caldo. Il passaggio di tale calore avviene sempre da un corpo più caldo a uno più freddoE quando i due corpi raggiungono la medesima temperatura, il sistema è in equilibrio.

Guardai per un attimo la mia mano semi-intrecciata nella sua. Io e Megan non avremmo mai raggiunto un simile equilibrio.
Tra me e lei c'era una sorta di barriera. Una barriera forse impenetrabile. La mia mano non si sarebbe mai scaldata, a contatto con la sua. Eravamo due sistemi isolati, e forse... saremmo rimasti tali per sempre.

«Non mi hai mai raccontato delle tue storie precedenti», dichiarai, tentando di fare conversazione. «Mi piacerebbe saperne qualcosa di più. Sì, insomma... conoscerti meglio da questo punto di vista.»

Lei si adombrò all'istante. «Tu non mi hai mai detto troppo su tua moglie, però. Direi che siamo pari.»

«Non è propriamente la stessa cosa, ma se vuoi metterla così...» Scrollai le spalle, lo sguardo perso in un sorriso.
«Melissa è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata. Quello che ho provato per lei non potrei riprovarlo mai più, e per nessun'altra. Ma è anche vero che trovo ingiusto comparare un sentimento nuovo con quello del passato. Tu, invece? Ce l'hai avuto un grande amore?»

Megan mi lasciò la mano. All'improvviso, sembrò che il gelo fosse definitivamente calato tra di noi.

Ed eccoli lì, i due sistemi isolati per eccellenza.

«Vado a dormire, Malcom. Scusami, ma sono molto stanca. Se vuoi, raggiungimi pure. Ma se vuoi andartene, be'...» Fece spallucce. Puoi benissimo tornare a casa tua. Non posso obbligarti a parlare del presente, tantomeno a rimanere qui.»

Riprese i suoi vestiti e fece per andarsene, quindi mi decisi a parlare. «Scusa. Non volevo rievocare in te dei brutti ricordi. Solo che—»

«Quello che non capisco è... sì, insomma, non capisco se mi hai davvero perdonata o no.»

«Certo che l'ho fatto. Altrimenti non sarei venuto qui da te e non avrei tentato di riallacciare i rapporti, non credi?»

«Hai appena detto che il nostro rapporto, o almeno l'hai lasciato intendere, è superficiale e di poca importanza. Non mi sembra che le cose stiano procedendo bene. Tu sei freddo, sei tremendamente scostante...»

Mi alzai dal divano, incurante di essere ancora completamente nudo. «Megan, ascolta... volevo solo conoscerti un po' di più. Non volevo farmi gli affari tuoi. Volevo andare un po' oltre a... a tutto questo. E ribadisco di non provare più rancore nei tuoi confronti. Certo, non ho dimenticato e non sono più quello di prima, ma questo non vuol dire che io ti disprezzi come donna. Se sono freddo è solo perché sto combattendo ancora con me stesso. E perché sto cercando di scoprire cosa voglio e chi ho di fronte. E credo che tu, in fondo in fondo, stia facendo lo stesso con me. Perché non ci conosciamo davvero, e lo sai anche tu. Io... io non capisco chi sia la vera Megan. La vera Megan è quella che tende a scappare nei momenti di difficoltà, oppure quella abituata a prendersi ciò che considera suo? La vera Megan è quella che ho conosciuto tre anni fa, che sfuggiva in tutti i modi alle mie stupide avances, o quella che ha cercato in tutti i modi di sedurmi?»

Lei abbassò lo sguardo. «Forse sono tante cose, Malcom. Forse sono tutto quello che hai detto.»

Scossi la testa, quindi le sfiorai la guancia con delicatezza. «Io non credo. Penso che dentro di te ci sia tanto altro. E credo anche che questo altro lo abbia visto l'uomo che c'è stato prima di me.»

Strabuzzò gli occhi a quelle parole. Se poco prima si era persa nella mia carezza, poco dopo era tornata a ergere un muro. Quel muro che, mio malgrado, conoscevo molto bene. Quel muro che avevo eretto con tutte le donne che avevo conosciuto.
Tranne che con Benedetta.

«Non importa se non sei pronta a parlarmene adesso. Aspetterò. Ma ti chiedo anch'io di aspettare me. Cerchiamo di capire cosa vogliamo davvero, okay?»

Lei non mi rispose e si limitò a raggiungere la camera da letto. Il violento tonfo di una porta mi suggerì che, in realtà, volesse stare sola. E non potevo certo biasimarla. Il passato poteva fare male. Molto male.
E nemmeno io avrei voluto riviverlo così d'improvviso. Tornai con lo sguardo sul telefonino. Mi avvicinai e lo presi tra le mani. Non appena illuminai il display, un chiaro e tondo Benedetta Carisi mi comparì nella barra delle notifiche.

Spalancai gli occhi e buttai il cellulare sul divano, come scottato. Mi rivestii immediatamente. Per qualche strano motivo, mi sentivo a disagio nel leggere un suo eventuale messaggio dopo aver... dopo aver fatto danno insieme a Megan. Forse, nel profondo, provavo una certa vergogna ed essere nudo, chiaramente, non aiutava. Smanioso di sapere cos'avesse da dirmi, mi ributtai sul divano e sbloccai lo smartphone.


Ciao, Malcom, come stai? Spero tanto di non disturbarti a quest'ora della notte...
Pochi minuti fa, hanno trasmetto su Radio Deejay un bellissimo pezzo dei Gentle Giant.
So che non sono esattamente la tua passione, ma vorrei che lo ascoltassi per darmi una tua sincera opinione in merito.
Mi mancano tanto le nostre chiacchierate sulla musica...

Un caro saluto, e scusami ancora per averti disturbato.

Benedetta

 

Sorrisi come un perfetto idiota davanti al cellulare. Ne accarezzai persino lo schermo, quasi senza accorgermene. Il link della canzone mi riportò proprio alla stessa che avevo ascoltato in macchina.

Think Of Me With Kindness.

Cominciai a canticchiarla e, come d'incanto, mi sentii più sereno che mai.

«Think of me with kindness, please remember all my days... and you know... and you know...»

Tornai con lo sguardo sul telefono.

Think Of Me With Kindness.

"Pensami con tenerezza."

Strinsi il cellulare tra le mani. Ogni singola volta che avevo pensato a Benedetta, io l'avevo fatto proprio con tenerezza.
Ma l'altro lato della medaglia mi aveva anche fatto desiderare di assaporare con lei una... una certa passione. O almeno, negli ultimi tempi era stato così.
Malgrado pensassi che la donna misteriosa non fosse lei, io l'avevo desiderata senza saperlo, e con tutto me stesso.
E adesso... quasi potevo sentire il suo sguardo dolce e penetrante accarezzare il mio, la sua mano sfiorare con timidezza la mia, esattamente com'era accaduto qualche mattina fa.
Quella piccola, grande donna, aveva pensato a me e non aveva esitato dall'inviarmi un messaggio. Proprio quella sera.
Io, invece, che l'avevo pensata altrettante volte, non l'avevo mai fatto. Forse per codardia, forse per paura di farla soffrire, o forse per non intaccare del tutto quella tenerezza e quel senso di protezione che avevo sempre nutrito verso di lei. E di cui mi ero sempre fatto portavoce.
Almeno fino a qualche mese prima.

Sbloccai di nuovo lo schermo e cominciai a digitare sulla tastiera.

Ciao, Benedetta. Non mi posso lamentare troppo, ti ringrazio. Spero che anche tu stia bene.
Penso proprio che la canzone dei GG sia straordinaria, tanto dolce quanto malinconica. Come al solito, devo togliermi il cappello davanti ai tuoi ottimi gusti musicali...
È mancato anche a me discutere insieme di musica. E ti prometto che torneremo a farlo.

A presto,
Malcom

Ps: Tu non disturbi mai. Anzi, se puoi fallo più spesso! :P
 

Non sapevo perché avessi aggiunto quella faccetta – non ero certo un fan delle emoticon – ma, per qualche strano motivo, con lei tornavo a sentirmi quel Malcom spontaneo che per tanti anni avevo soffocato.

Tornavo a sentirmi vivo, e quasi non me ne avvedevo. Senza indugiare oltre, inviai quel messaggio e mi sentii immediatamente più leggero. Rigettai il telefonino sul divano, lo sguardo perso sul soffitto.

Incredibile a dirsi, alla fine mi addormentai con il sorriso sulle labbra.

 
   
 
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