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Autore: EleAB98    16/08/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo IV – Resterò Sempre Accanto A Te
 
 

Presi a mescolare con disinvoltura la zolletta di zucchero che avevo gettato nella tazza di caffè, i miei occhi fissi in un punto indefinito della cucina. La sera prima mi ero addormentato come un bambino sul divano e avevo riaperto gli occhi alle sette in punto del mattino, sbirciando immediatamente il cellulare. Non c'era alcun nuovo messaggio, perciò avevo pensato di andare subito in cucina e preparami una colazione sostanziosa in vista della giornata che mi attendeva. Non conoscevo i gusti di Megan, perciò presi le prime cose che mi capitarono a tiro e le posai su un vassoietto di plastica. Cornetto semplice, spremuta d'arancia e fette biscottate con annessa marmellata di lamponi. Avevo aperto la credenza e preparato il tutto cercando di fare il minimo rumore, convinto del fatto che lei stesse ancora dormendo. O meglio, cercavo di convincermi che fosse così, ma in verità la pensavo del tutto sveglia, magari stava persino rimuginando sulla serata trascorsa insieme. Su come la stessa fosse terminata. Su quel poco che ci eravamo raccontati.

Arricciai il naso. Lei rimaneva un mistero, per me. Un mistero che forse sarebbe rimasto insoluto, un mistero che non si premurava di svelare. Sapevo che in lei c'era dell'altro, molto altro, e se all'inizio quel suo modo di fare così sfuggente mi attraeva, adesso provocava in me una forte repulsione. Avrei voluto che si confidasse con me, se davvero voleva guadagnarsi la possibilità di far funzionare le cose. Ma le cose, tra di noi, avrebbero mai potuto funzionare? Lasciai quella domanda in sospeso e, mentre fluttuava nella mia mente, sentii il rumore di una porta. Quella porta.

Smisi di bere il caffè e guardai dinanzi a me, in attesa. Il rumore dei suoi passi era appena percepibile. «Buongiorno, Malcom.» La scandagliai da cima a fondo. Maglietta a mezze maniche rigata con uno stemma floreale, pantaloncini lunghi di cotone, capelli raccolti. Era vestita in modo semplice e questo si confaceva molto all'immagine che mi ero fatto di lei agli inizi, senza contare che nel suo sguardo vidi impressa una serietà tale che mi sembrò quasi di trovarmi a un funerale. La cosa mi dispiaceva, non potevo negarlo, ma al tempo stesso sentivo che quel sentimento non mi apparteneva del tutto.

«Come ti senti?» le chiesi, facendole cenno di sedersi. «Mi sono permesso di preparare qualcosa. Ho preso tutto dalla dispensa e—»

«Ti ringrazio tanto. È stato un gesto molto carino da parte tua.» Fece un mezzo sorriso e si sedette di fronte a me, lo sguardo rivolto al cornetto. Lo addentò di malavoglia e notai che faceva di tutto per non guardarmi. Il silenzio che regnava in quella cucina faceva più rumore dei pensieri che stavo coltivando dentro di me.

«Megan, noi due dobbiamo—»

Il mio telefonino trillò all'improvviso. Sobbalzai dalla sedia. Lo afferrai e, senza pensarci, risposi immediatamente. Spalancai gli occhi. «Sì? Ehi, ciao. Adesso? Certo che sì, dammi venti minuti e sono da te. D'accordo. A tra poco.» Mi sgranchii le gambe e riposi il cellulare in tasca, un ultimo morso alla fetta biscottata e un buon sorso di caffè.

Megan abbozzò un sorriso amaro. «Era lei, non è così?»

Mi grattai la nuca, decisamente imbarazzato. «Sì. Sai, mi ha chiesto un aiuto e—»

«Vai pure. Non voglio certo tenerti in ostaggio qui. Semmai vorrai dirmi qualcosa d'importante, potrai farlo più tardi.»

Afferrai d'istinto la confezione di sigarette dalla tasca e me la rigirai tra le mani. «Megan, ascolta... mi dispiace tanto per ieri sera. Davvero. Non avrei dovuto cedere, credo sia stato un errore.»

Lei sostenne, a fatica, il mio sguardo. «Lo penso anch'io. Anche perché si sentiva che non eri del tutto a tuo agio in... in quel momento. Eri sin troppo concentrato su te stesso. Ma, allo stesso tempo, ti ho sentito distante come non mai.»

«Mi devi dare tempo, Megan. Te l'ho detto.»

«Ho capito, niente più sesso. Sta' tranquillo. Avevo già deciso ieri sera che non ti avrei più messo le mani addosso a meno che non fossi stato tu a volerlo.»

Abbassai lo sguardo. A quel niente più sesso, il Malcom di qualche anno fa avrebbe dato in escandescenze e ristabilito immediatamente l'ordine naturale delle cose. Adesso, invece, si sentiva più che sollevato.

«Quello che mi chiedo è», riattaccò, «tu hai davvero bisogno di questo fantomatico tempo? Oppure hai già maturato una risposta dentro di te ma non hai il coraggio di farci i conti?»

«E tu? Tu sei davvero convinta di avere questa risposta?»

«So soltanto che mi sono innamorata di te, Malcom. Tutto il resto non conta.»

Non sapevo spiegarmi il perché, ma le sue parole non mi convincevano appieno. Se davvero mi amava come diceva, per quale motivo non riusciva ad andare oltre provando a confidarsi, a raccontarsi? Dipendeva sul serio dalla mia freddezza, dalla mia scarsa convinzione di voler ricominciare con lei? «Mi dispiace non averti messo in condizione di esprimerti a cuore aperto. Ieri sera ci ho provato, ma a quanto pare ti ostini a ergere un muro, una barriera impenetrabile.»

«Tu non hai forse fatto lo stesso?»

«Hai ragione. Non riusciamo a essere totalmente noi stessi quando siamo insieme.»

«Questo perché non provi le stesse cose che provo io.»

«Può darsi. Ma come ti ho detto, credo ci sia dell'altro. E io posso darti il tempo di esprimere questo altro.»

Megan trasse un lungo sospiro. «D'accordo. Ti racconterò qualunque cosa tu voglia sapere. E lo farò stasera stessa. A meno che tu non abbia altri impegni.»

«Cercherò di sganciarmi per venire da te, d'accordo?»

«Allora a più tardi.»

La salutai con un cenno e sorpassai la cucina; giunto all'ingresso, aprii la porta di casa e la richiusi dietro di me. In tutta fretta, scesi le scale e raggiunsi la macchina. Poco prima di metterla in moto, il mio sguardo cadde sul sedile del passeggero. Quel libercolo era ancora lì, pronto per essere sfogliato e assaporato in ogni sua parola. Lo presi tra le mani e ne sfiorai i contorni, per poi metterlo dentro la ventiquattrore in pelle poggiata sul sedile posteriore.
Accesi la radio e mi accorsi di aver inserito il CD Look At Yourself degli Uriah Heep*. Istintivamente, mi chiesi se pure Benedetta conoscesse questa rock band e mi sfuggì un sorriso. Con estrema calma, mi avventurai nel traffico cittadino e mi accorsi che erano già passati dieci minuti. Probabilmente avrei fatto più tardi del previsto, ma la cosa non avrebbe stupito la mia assistente. Era più che abituata ai miei orari, eppure questa volta sentii il bisogno di avvertirla. Dopo un paio di squilli, mi rispose.

«Lo sposo tarderà anche stamane, non è così?» mi domandò, senza aspettare spiegazioni da parte mia.

Mi scappò un altro sorriso. «Conosci bene questo sposo», constatai, falsamente sorpreso.

«Più di quanto pensi. A ogni modo, non ti preoccupare. Ti aspetterò con pazienza.»

«Ecco, brava.»

«Cosa ascolti di bello stamattina?»

Spalancai gli occhi. Aveva fatto bingo anche stavolta. «Preferisco tenerti sulle spine», le risposi, divertito.

«Ah sì? E perché mai, si può sapere?»

La immaginai sorridente dall'altro capo del telefono e mi sfuggì una risatina. «Non voglio rovinarti la sorpresa.»

«D'accordo, in questo caso... non insisterò.»

«A tra poco.» Riagganciai il telefono e svoltai sulla destra, premendo finalmente sull'acceleratore. Nel frattempo, mi accesi una sigaretta e l'aspirai con dolcezza.

Per una volta, mi sentivo in pace con me stesso.

 

*


«Ho fatto prima che ho potuto», esalai poco dopo, entrando tutto trafelato nell'ufficio di Benedetta. Lei, che nel frattempo era in piedi accanto alla fotocopiatrice, un paio di pantaloncini leggeri color beige con annessa canottierina bianca, mi regalò un sorriso a trentadue denti all'istante. Un sorriso pieno di gratitudine.

Ci scambiammo un bacio sulla guancia e le strinsi le spalle. «Allora, di cos'hai bisogno?»

Lei abbassò per un momento lo sguardo per poi scostarsi da me. «Come hai trascorso il fine settimana? Spero davvero di non averti disturbato ieri sera.»

«Non devi preoccuparti, sul serio. Anzi, mi ha fatto molto piacere il tuo messaggio. Per il resto... nulla di particolarmente rilevante da raccontare.»

«L'hai rivista?» domandò, senza guardarmi e cercando chissà cosa in uno dei cassetti della scrivania. «Spero che le cose stiano procedendo bene, almeno.»

«Work in progress», biascicai, tagliando corto. «A ogni modo, non è così importante, adesso. Anche perché volevo darti questo.»

Lei alzò finalmente lo sguardo, e nel mentre estrassi il famoso libello dalla ventiquattrore. «Tieni. Un piccolo pensiero per te.»

Lei spalancò la bocca, gli occhi pieni di felicità e altrettanta sorpresa. «Malcom... non dovevi! Sai quanto io adori i libri, ma davvero, non ce n'era bisogno!»

«Invece sì. Appena l'ho visto ho pensato a te e al tuo grande sogno, che spero possa realizzarsi. Mi auguro che questo libro possa esserti utile e... magari aiutarti con la stesura del tuo romanzo o fornirti degli spunti per cercare un editore serio non appena l'avrai terminato. Ti confesso che muoio dalla voglia di leggerlo.»

Benedetta accarezzò con affetto la copertina del libro senza smettere di guardarlo. Né di sorridere. Di riflesso sorrisi anch'io e mi sentii felice. Dalla morte di Melissa, non avevo più fatto regali a nessuna donna, ma sentivo che Benedetta era diversa e che si meritava almeno una piccola ricompensa per essermi stata vicino sin da quando era apparsa nella mia vita.

«Non so se me lo merito, Malcom. Ma grazie di cuore, sul serio. Mi sembra un libro bellissimo.»

Increspai la fronte, preoccupato e non meno confuso. «E perché mai pensi di non meritarlo?»

Lei posò il libro sullo scrittoio e tornò a guardarmi. «Sai benissimo perché. Io... ti ho fatto credere una cosa per un'altra. E mi dispiace enormemente averti messo così in difficoltà, non volevo che tu—»

«Ehi!» D'istinto, mi avvicinai a lei e posai con delicatezza i palmi sulle sue guance per incontrare il suo sguardo. Fremette a quel contatto e per qualche ragione fremetti anch'io, così ristabilii le dovute distanze. «Non pensarci più, okay? Per me è stata una bella parentesi, davvero. Mi hai fatto vivere dei bei momenti e questo non posso cancellarlo. Ne avevo bisogno, in fondo. Ma ti ho anche promesso che questo non avrebbe più intaccato la nostra amicizia. Infatti, eccoci qui. Quindi tranquilla, d'accordo?»

Lei allungò il braccio verso di me e mi strinse appena la spalla a mo' di ringraziamento, lasciandosi andare a un imbarazzato sorriso.

Le feci l'occhiolino. «Allora, cos'è che dovevi farmi vedere?» Poco prima che Benedetta potesse scostare del tutto la mano, che aveva appena lasciato scivolare sul mio braccio, gliel'afferrai prontamente, senza pensarci, e mi lasciai guidare verso la sua postazione. Diedi un'ultima stretta ai suoi morbidi polpastrelli e lei fece lo stesso, quindi si sedette e mise mano sul computer, l'espressione concentrata. Io mi sistemai dietro di lei, chinandomi verso il monitor. «Ecco, non riesco proprio a capire perché il server non mi permette di accedere alla cartella Archivi 2021. Mi servirebbe un vecchio articolo da citare nella bibliografia del nuovo numero di Orizons, sarà da almeno un'ora che cerco di reperirlo.»

«Mmm... davvero molto strano. Avrei giurato di aver condiviso con tutti i miei dipendenti le cartelle degli archivi.»

Benedetta sbuffò. «Lo vedi? Mi dà Accesso negato

«Aspetta, prova a cliccare qui.» Misi la mano nella sua e la guidai verso le impostazioni. Sembrava tutto a posto. Incrociai le braccia. «Davvero strano. Qualcuno deve aver cambiato la password, immagino. Ma chi potrebbe essere stato?»

«Non lo so. Non ho idea di chi possa essere entrato nel mio ufficio.»

«Forse Zonin?»

Benedetta s'irrigidì di colpo. «Come mai hai pensato proprio a lui?»

«Non te lo immagini? Quello lì ne combina sempre una!»

«In effetti hai ragione.»

«Appena arriva se vuoi prova a dirglielo, così magari ti aiuta lui a sbloccare il server», insistei, senza smettere di guardarla con sospetto. C'era qualcosa che non andava, potevo percepirlo.

Benedetta scosse sonoramente la testa e non mi sfuggì il suo cipiglio allarmato, gli occhi fissi sul computer. «Preferisco di no, scusami.»

Presi una sedia dall'angolo della stanza e mi sedetti vicino a lei. «Benedetta», sussurrai, mentre la tensione sul suo volto si era fatta ancora più marcata. «Qualcosa non va? A cosa pensi?»

«Sto pensando che... che è meglio di no, tutto qui.»

«Tutto qui? Sicura?»

Le sua mano destra cominciò a tremare visibilmente e io gliela strinsi forte. «Ehi. Sono qui. Respira.»

«L-lui è...» Benedetta si bloccò di nuovo.

«Cosa?» le chiesi con dolcezza, cingendole la spalla sinistra mentre continuavo a disegnare cerchi immaginari sulla sua mano. Non era per nulla tranquilla e mi stavo agitando anch'io, però dovevo mantenere il controllo.

«La scorsa settimana, lui ci ha provato con me», mi rispose, quasi balbettando.

Percepii una rabbia crescente dentro di me. «Ti ha molestata?» domandai, a denti stretti.

«Non si è spinto fisicamente ed è rimasto a debita distanza, però... ha fatto degli apprezzamenti su di me che non ho proprio gradito. Anzi, mi hanno fatto ribollire lo stomaco.»

Proprio in quel momento, si sentì un breve trillò provenire dal computer. Guardammo sullo schermo e vedemmo comparire proprio una notifica di Gianmarco Zonin. Benedetta si coprì gli occhi all'istante, mentre i miei erano iniettati di rabbia. Continuando a tenerla stretta, cliccai sul messaggio.

Ciao, mia cara Benedetta, il mio sogno proibito. Questa è la prima e-mail che ti scrivo, e spero tanto che ne seguiranno molte altre e che tu possa finalmente accettare di uscire con me. Questa notte ti ho sognata e... Dio... sei stata fantastica, in quella veste. Ho sempre sognato di fare sesso con te, fin dal primo momento che ti ho vista, e se già questo semplice sogno ha smosso il mio corpo come le mie aspettative, non oso pensare a come sarebbe se lo facessimo davvero. Ti muovevi su di me con una tale disinvoltura, che ancora adesso quell'immagine di te mi tormenta, mi alimenta, mi consuma. Ti prego, esci con me... ti assicuro che non te ne pentirai.

Strabuzzai gli occhi a ogni singola parola. Quel porco voleva adescare Benedetta. La mia Benedetta!

«Appena arriva quel coglione mi sentirà! Gli darò una lezione che non dimenticherà mai», esclamai, inoltrando quella e-mail al mio indirizzo di posta elettronica a mo' di prova per poi eliminarle dalla posta di Benedetta, che stava singhiozzando sempre di più. Ringraziai il cielo per il fatto lei non avesse letto nemmeno una parola. «E lo farò licenziare immediatamente. Non voglio maniaci sessuali nel mio ufficio.» Pregai Benedetta di calmarsi, per quanto anch'io mi sentissi nervoso, arrabbiato e non meno disgustato da quella scoperta. Quel ragazzo, che sembrava tanto a posto, altrettanto sciocco e ingenuo, in realtà era soltanto uno squilibrato, e io ero stato tanto cieco da non accorgermene. «Sta' tranquilla, piccola. Si risolverà tutto, vedrai.» Le diedi un bacio sulla fronte e lei si strinse ancora più a me, biascicando un non mi lasciare che mi fece tremare il cuore.

«Certo che non ti lascio», le risposi, d'istinto. «Resterò sempre accanto a te. Anche questa è una promessa.»

 

*

 

«Allora, come ti senti? Spero un pochino meglio.» Per l'ennesima volta, allungai la mano verso la sua e gliela strinsi senza indugio. Dopo aver dato una sonora lezione a quel Zonin – gli avrei spaccato il muso se soltanto non ci fosse stato Ryan a contenere la mia rabbia cieca –, avevo proposto a Benedetta di rilassarci un po' facendo una capatina al Griffith Park, proprio dove ci eravamo conosciuti. Lei aveva accettato di buon grado la mia proposta, anche se era piuttosto silenziosa e di sicuro ancora scossa per quanto successo.

La condussi verso una panchina e ci sedemmo per qualche istante, del tutto avvolti dalla frescura degli alberi e dal verde che ci attorniava.

«Sì, sto molto meglio, grazie. Non so cosa avrei fatto senza di te.»

«Sei una ragazza forte. Te la saresti cavata bene anche senza di me, anche se avresti dovuto dirmelo subito. Avrei preso quel pazzo a suon di calci e forse mi sarebbe rimasto persino alle mani.»

«Allora sono contenta di non aver fiatato prima.»

La guardai severamente. «Stai scherzando?»

«Tu non sei una persona violenta, Malcom. Non posso pensarti come qualcuno che crede che si possa risolvere tutto con la forza.»

«Infatti non la penso così. Ma quando qualcuno si azzarda a toccare le persone a cui tengo, divento una bestia.»

Lei scostò lo sguardo. «Ti prego, non mi dire così che poi ci credo sul serio.»

«Devi crederci. Tengo molto a te.»

Lei scosse la testa, più incredula che mai. E nemmeno mi guardò.

«Senta un po', mi sta forse dando del bugiardo, signorina Carisi?»

Finalmente le strappai una risatina, alleggerendo l'atmosfera.

«Non è questo. È che alle volte la solitudine si fa sentire e questo mi fa paura.»

«Lo so. Ci sono passato anch'io. Ma vedrai che finirà. Ribadisco quello che ho detto, però. Tengo molto a te. Non potrei mai perdonarmi se ti succedesse qualcosa.»

«Nemmeno io se succedesse a te. Non voglio che tu soffra, Malcom. E vorrei tanto che trovassi la tua metà. Nessuno più di te meriterebbe di essere felice.» Mi sfiorò le dita con dolcezza e in quel tocco percepii tanto amore. Le sue parole mi colpirono moltissimo. Nonostante tutto, desiderava il meglio per me.

«L'importante è che tu sia più tranquilla ora. Cerca di dimenticare tutta questa brutta storia, okay?»

«Era così terribile il messaggio che mi ha mandato?»

Serrai la macella. Se avessi potuto, sarei andato dritto dalla polizia soltanto per schiaffeggiare quel bastardo da due soldi. «Non pensarci più. Pensa al nostro messaggio di ieri, piuttosto.»

Lei riprese a sorridere. «Dicevi sul serio prima? O quella era solo una frase dettata dalle circostanze?»

«A cosa ti riferisci?»

«Mi hai detto che saresti rimasto accanto a me per sempre.»

Mi alzai dalla panchina e lei fece lo stesso. Le rivolsi un'occhiata severa. «Che cosa dovrei fare per convincerti che non parlo a vanvera?»

«Meglio che non te lo dica», azzardò lei, sfiorando la corteccia degli alberi con la punta delle dita. «Però... chi arriva per ultimo a quell'albero paga il prossimo pranzo!» disse all'improvviso. Prese a correre e io, colto di sorpresa, la seguii a ruota soltanto qualche secondo dopo.

«Certo che sei proprio una lumaca!» gridò lei, guardandosi per un attimo indietro.

«Guarda che hai fatto tu la furba partendo dieci secondi prima di me», farfugliai ridendo, avvinto però da un fiatone pazzesco.

Corsi per un altro tratto e, quando la raggiunsi, le cinsi la vita riuscendo a bloccarla delicatamente contro l'albero di arrivo. «Ti ho presa finalmente!» esclamai, unendomi alle sue contagiose risate. Dopo qualche secondo, però, mi accorsi di quanto fossimo vicini e mi scostai. Le strinsi la mano con affetto per dissimulare normalità, anche se per qualche motivo sentii di aver fatto il passo più lungo della gamba. «Scusami tanto, mi sono lasciato un po' trasportare.» Scrutai il laghetto che avevo davanti e mi sentii un inetto.

«Non devi scusarti, Malcom.» Mi riafferrò la mano e io non ebbi la forza di sottrarmi a quel tocco. «È tutto a posto. Penso che... che questa vicinanza faccia bene a entrambi. Non devi soffocare l'istinto.»

Sospirai e tornai a guardarla. Le presi entrambe le mani. «Tengo davvero tanto a te. E non te lo ripeterò una terza volta», mi limitai a risponderle, con tutta la serietà di cui ero capace.

Gli occhi di Benedetta si illuminarono. «Adesso lo so, Malcom.» Ricambiò la stretta e poi s'incamminò per un tratto, prendendo a guardarsi intorno. «Grazie di cuore per avermi portata qui. Questo parco è incantevole.»

Osservai l'infinita distesa di alberi secolari che circondava la zona in cui avevamo fatto una piccola sosta e, di riflesso, sorrisi, beandomi del dolce canto degli uccelli. Effettivamente, lo era davvero. «Non c'è di che.» Misi le mani in tasca e feci spallucce. «Allora... presumo tocchi a me pagare il prossimo pranzo», la schernii, guardandola di sottecchi.

«Perché non facciamo metà e metà?»

«Mmm, mi sembra un ottimo compromesso. Affare fatto.» Le porsi la mano. «Allora vogliamo andare?

Senza indugio, intrecciò le dita alle mie e, in perfetto silenzio, ci avviammo verso l'uscita del parco. Il mio cellulare vibrò, ma lo ignorai. Non avrei sciolto quel contatto per nulla al mondo.


 

*Look At Yourself: canzone afferente all'album omonimo degli Uriah Heep (1971), gruppo prog/hard rock britannico.

   
 
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