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Autore: Soe Mame    18/08/2022    1 recensioni
C'era una volta un tritone che pensava che gli umani fossero stupidi. L'incontro con un pirata spagnolo lo convincerà di avere ragione.
[La millemilionesima rivisitazione de La Sirenetta feat. un sacco di robe pesciose e non.]
Genere: Generale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VI
Die Fische ~ Voglio mangiare tonno, voglio mangiare tonno, voglio mangiare pesce fresco!


«Dove state andando, a quest'ora?»
Manon si voltò, e Lovino con lei. Gilbert era all'ingresso con Abel e il bastardo, e sembrava quasi confuso di trovare lì anche loro.
«A Sorrento!» Manon tirò su il cappuccio rosso della sua mantella. Sorrideva, luminosa come il sole appena sorto alle loro spalle.
«Non credo i negozi siano aperti, ora.» Sì, Gilbert era visibilmente confuso. Lovino non sapeva cosa pensare: la sera prima, Manon gli aveva detto soltanto che sarebbero andati a far compere a Sorrento.
«Ma per le undici sì.» Manon sollevò un dito. «Ora scusaci, il treno partirà tra poco!»
«Sono quasi le sette, che diamine-» L'albino si bloccò. Sgranò gli occhi. «Non vorrai mica-»
«Torneremo in un momento imprecisato tra le tre e le cinque!» Manon prese Lovino sottobraccio e lo spronò a camminare. «Ciao ciao!»
In verità, anche lui cominciava ad essere confuso. Il cretino e Abel erano rimasti in silenzio, Gilbert sembrava turbato. Lanciò un'occhiata a Manon: non avesse avuto lui attaccato al braccio, avrebbe saltellato fino alla sua destinazione. Non proprio l'atteggiamento di una persona spaventata. Forse gli elfi non provavano paura.
«Tranquillo, Romano!» Doveva aver notato il suo sguardo dubbioso. «La Circumvesuviana è un'esperienza che va vissuta in prima persona!»

Erano trascorsi sette giorni dal suo arrivo al castello. Dato che si era rifiutato di spiegare da dove venisse e di andarsene da lì, i cinque abitanti dell'abominio architettonico avevano deciso che si sarebbe guadagnato vitto e alloggio lavorando come domestico. Manon era stata la più veloce e l'aveva subito preteso come collega. Lovino era stato felicissimo della cosa. Poi lei aveva cercato di fargli indossare un vestito da cameriera più nei gusti di Feliciano che dei suoi e Lovino aveva optato per la fuga. Avrebbe benissimo fatto il cameriere con i suoi vestiti. Era un lavoro ottimo. Eccellente, avrebbe detto.

«Non trovo più i miei stivali.»
«Ah, mi chiedevo perché fossi scalzo.»
«Manon, hai visto i miei stivali?»
«Uh? No, perché avrei dovuto?»
«Romano, sai dove sono i miei stivali?»
«"..."»
«Romano, dove hai messo i miei stivali?»
«"..."»
«Vabbè, non è una tragedia, mettitene un altro paio.»
«Intendevo... Dove sono
tutti i miei stivali?»


Fare il cameriere gli permetteva molta più libertà di quanto avesse potuto sperare. Soprattutto perché Manon era stata molto brava nel dividere equamente i loro compiti: lei si sarebbe occupata delle camere dei suoi fratelli, di Gilbert e delle quattro di sua autoproclamata proprietà - Dunque la sua era compresa -, mentre lui si sarebbe occupato di quella del bastardo. Non era sicurissimo fosse una divisione matematicamente perfetta ma, se Manon era contenta così, chi era lui per opporsi?

«Sai, Manon...»
«Cosa, Antonio?»
«A volte ho l'impressione che tu ti stia divertendo alle mie spalle.»
«Oh, ma io non riderei mai di qualcosa che ti dispiace!»


Per quanto riguardava il resto del castello, Lovino aveva scoperto il segreto di Manon: un giorno - Lei gli aveva spiegato che lo faceva una volta a settimana -, usciva di buon mattino, e tornava con una ventina di donne abbigliate tutte allo stesso modo, dall'aria decisa e dalle braccia da far invidia a Ludwig. Nel giro di una mattinata, lustravano il castello da cima a fondo. Al momento di andarsene, Manon dava a ciascuna una cospicua quantità di dischetti dorati.
Lovino si era sentito rassicurato: Manon non era costretta a pulire l'intero castello da sola - né sarebbe stato costretto lui. L'elfa era senz'altro una donna saggia e lungimirante.
Poteva dire lo stesso anche dei suoi fratelli. Ne aveva avuto una prova ascoltando un discorso tra Abel e Capitan Cazzone.

«Purtroppo è così. Non possiamo più sostenere i costi delle terre alle pendici del vulcano Heruptione Hymminen.»
«Dovrò vendere anche quelle?»
«Temo proprio di sì.»
«È triste, ma almeno ci guadagnerò qualcosa.»
«Guarda, non voglio rovinarti l'umore, ma non posso non farti notare che sarà estremamente difficile trovare qualcuno che ti compri roba da quelle parti.»
«Dobbiamo comunque provare. Quelle terre valgono molti soldi, non è un affare da buttar via.»
«Antò, già è difficile, se le metti a molti soldi puoi star certo che non le vorrà nessuno.»
«E allora cosa posso fare?»
«Te le compro io.»
Un lungo, lunghissimo istante di silenzio.
«Come quelle sulla Scogliera Sgretolante, eh?»
«E quelle sui Monti Dispersi.»
«Va bene. Dammi molti soldi e sono tue.»
«Non se ne parla. Accontentati di un po' di soldi.»
«Un po' di soldi? Assolutamente no! Un po' molti soldi, invece?»
«Troppo. Un po' meno di molti.»
«Un po' molti di meno?»
«Un po' molti di meno di molti.»
«Affare fatto!» Un altro lunghissimo istante di silenzio. «Anche se ho come l'impressione che ci sia qualcosa di sbagliato.»
«A me non sembra.»


Il castello era un posto un po' strano. Però non era sgradevole, e quattro abitanti su cinque erano accettabili. Inoltre, la sua vendetta procedeva senza intoppi. Pensandoci bene, non vedeva alcun motivo per cui pensare che le cose non sarebbero andate per il verso giusto.

*



I timori di Feliciano e Francis si erano rivelati fondati: era impossibile avvicinarsi al principe Lovino.
Ludwig e Feliciano avevano tenuto sotto controllo il castello per sette giorni. In quella settimana, avevano scoperto che quel luogo era abitato da cinque persone - Il famigerato Antonio, di solito vestito di rosso, un uomo vestito di nero che spesso accompagnava il capitano, un gigante, un giovane abbigliato in modo elegante e una donna - e il principe Lovino era sempre insieme ad almeno una di quelle cinque persone - Soprattutto la donna e, strano a dirsi, il capitano. Anche quando non usciva dal castello, l'edificio era occupato sempre da almeno un'altra persona. Se fosse un piano, la casualità o la sfiga, non seppero dirlo.
In compenso, avevano tracciato gli orari di uscita e di rientro dei vari inquilini. Ciò che tornava più spesso era la tendenza a lasciare completamente vuoto il castello una mattina sì e una no. Il capitano e l'uomo in nero erano quelli che si assentavano più spesso, seguiti dal gigante, dalla donna e, infine, dal giovane. Il principe Lovino si adeguava ai tempi del suo accompagnatore, e faceva una certa impressione vederlo camminare su due gambe - Vederlo senza scaglie o pinne, umano come mai sarebbe voluto essere.
Ad onor del vero, Ludwig vedeva tutti da lontano, perché Feliciano non sembrava intenzionato a restituirgli il binocolo. L'importante, tuttavia, era il fatto che fossero stati in grado di attuare un piano.
Quella mattina si era rivelata perfetta per mettere in atto il Piano B. (Il Piano A era di Feliciano, e consisteva nel portare in superficie un cannone trovato in un qualche relitto e usarlo per sparare uno squalo nel castello. Il piano era fallito ancor prima di iniziare in quanto nessuno squalo si era offerto volontario, e Feliciano non aveva cuore di costringere nessuno a partecipare ad un piano tanto stupido rischioso. Interrogato sul perché un piano del genere avrebbe potuto avere un qualche effetto, Feliciano aveva semplicemente detto che Lovino non avrebbe mai potuto dubitare che quella fosse opera sua, e che quindi fosse ovvio che stesse cercando di contattarlo.) Il Piano B prevedeva che il castello fosse deserto: a quel punto, Ludwig si sarebbe introdotto nella fortezza, e avrebbe cercato la camera assegnata al principe; una volta trovata, avrebbe adagiato da qualche parte un'alga con un messaggio per lui - "Stiamo cercando di contattarti.". (Feliciano avrebbe voluto scrivergli qualcosa di più profondo, ma Ludwig gli aveva fatto notare che avrebbero potuto sbagliare stanza, di fatto facendo sì che il principe fosse scoperto. Aveva però chiesto a Feliciano di scrivere il messaggio di suo pugno - La sua sarebbe stata l'unica calligrafia che avrebbe impedito a Lovino di stracciare l'alga.) Un messaggio semplice e diretto, a cui sarebbe stato facile rispondere - Sarebbe bastato presentarsi sulla spiaggia, o affacciarsi ad una finestra. Se il principe non li avesse voluti intorno, il suo ignorarli sarebbe bastato a lasciarlo intendere.
Quella mattina, il castello era vuoto e, secondo i loro calcoli, la prima a tornare sarebbe dovuta essere la donna, verso le due del pomeriggio. C'era una buona possibilità che tornasse prima il giovane, verso mezzogiorno, ma era meno probabile. In tal caso, avrebbero avuto due ore di tempo. Sembrava abbastanza per vagare in un edificio e analizzarne le stanze, in modo da individuare quella che avesse più probabilità di appartenere al principe Lovino.
Il castello aveva un'entrata principale sulla strada degli umani, una che dava sul mare che sembrava più una trappola mortale che un ingresso e una molto più piccola e nascosta - A giudicare dal fatto che ci passavano solo se avevano grosse buste cariche di cibo, doveva trattarsi della porta della cucina. Era laterale e abbastanza nascosta e, soprattutto, non era mai chiusa. C'erano tre possibili motivi per cui quella porta non venisse mai chiusa. Il primo era puramente tecnico: forse la porta era rotta e non avevano mai pensato di sistemarla. Il secondo era più incosciente: forse quella che veniva chiusa a chiave era la porta che dava dalla cucina al resto del castello, e nessuno aveva sentito il bisogno di occuparsi anche di quella che dalla cucina dava all'esterno. Il terzo era più preoccupante: semplicemente, erano tutti abbastanza sicuri di uscire vincitori da un incontro ravvicinato con un malintenzionato. Il terzo punto era preoccupante perché, a conti fatti, Ludwig si apprestava ad introdursi in un edificio non invitato, passando da una porta seminascosta, cosa che avrebbe potuto farlo scambiare per un malintenzionato. Doveva essere rapido e deciso. Nessuna esitazione e nessun errore.
«Feliciano...»
«Sì, Ludwig?»
«Potresti allentare un po' la presa sul collo?»
«Veee~»
Ludwig si era opposto alla decisione di Feliciano di seguirlo. Oltre ad essere un compito pericoloso, le code e le pinne di Feliciano non erano fatte per camminare sulla terraferma. Ludwig si era opposto, si era opposto con tutte le sue forze, era dovuto ricorrere al suo tono più severo e al suo sguardo più intransigente, e ora il secondogenito era abbracciato saldo alla sua schiena.

La porta era difettosa. Dunque la motivazione era quella più tecnica. Nulla vietava, tuttavia, che fosse corretta anche la terza.
La cucina era molto più piccola di quella del castello del Regno del Mare. Non superava i quattro metri d'altezza, ed era ampia abbastanza da farci sdraiare una megattera. Il perimetro era ricoperto di banconi, dispense e ripiani assortiti. La parte centrale era occupata da due tavoli e, nonostante le sedie, era più probabile servissero alle attività culinarie che al mangiare effettivo.
Arrivarono nella stanza dopo aver percorso un breve corridoio buio, buio per nessun motivo se non per una probabile dimenticanza di luci. Erano spuntati nell'angolo in basso a sinistra della stanza e la porta per il resto del castello era in alto a destra. Bizzarra planimetria.
«Ludwig!»
Ludwig scattò sull'attenti, la mano andò alla frusta. «Cosa?»
«Quello è un tritasassi vero!»
Ludwig si rilassò. Feliciano stava indicando quello che secondo Francis era un mattarello, che serviva a stendere l'impasto per l'amata pasta di Feliciano e tante altre belle cose. Per qualche motivo, Feliciano si era convinto che servisse a picchiare i sassi fino a triturarli - E che potesse essere usato anche contro le persone, magari senza triturarle.
«D'accordo che non c'è nessuno,» Ripose la frusta. «ma non per questo dobbiamo urlare. Cerca di prestare attenzione a ciò che vedi-»
«È quello che sto-»
«-e che ti possa ricordare il principe Lovino. Ogni indizio circa l'ubicazione della sua stanza è prezioso.»
Sentì Feliciano annuire. Ogni indizio era prezioso per accorciare il tempo, sia per timore che rientrassero gli umani, sia perché non sapeva quando l'altro avrebbe iniziato ad essiccarsi. Non era un giorno torrido, ma era senza dubbio caldo.
Percorse la cucina e giunse alla porta in alto a destra. Girò la maniglia e quella non si oppose - Anche quella veniva lasciata aperta? O quelle persone erano spaventose, o erano un branco di incoscienti. Aprì la porta.
Scale.
Scale ovunque.
Scale in verticale, in diagonale, persino in orizzontale - Tutto era scale, la visione d'insieme dell'interno del castello sfumava nel concetto stesso dell'unione dei singoli gradini. E andavano in alto, molto in alto, troppo in alto.
Sentì Feliciano allentare la presa. Anche lui fu sul punto di arrendersi. «Scheiße.» Richiuse la porta. Doveva essere forte. Doveva essere forte soprattutto per Feliciano.
«Feliciano.»
«Ve?»
«Non credo sia fattibile.»
«Non credo.» La sua voce si era svuotata di ogni entusiasmo.
Sulla terraferma, i loro corpi erano fissati al suolo e non potevano andare ovunque volessero - Dovevano sottostare alle leggi della fisica. Ispezionare ogni singola stanza avrebbe richiesto del tempo, ma percorrere tutti quei gradini avrebbe allungato le tempistiche di almeno il doppio, se non il triplo. Ovviamente, Feliciano non sarebbe mai stato in grado di affrontare le scale. Ludwig avrebbe potuto, ma non era certo che il suo addestramento sarebbe stato abbastanza per non farlo collassare in un punto imprecisato - Con Feliciano sulle spalle, poi, sarebbe stato ancora più difficile.
Si riprese. Doveva risistemare le idee. «Dobbiamo pensare ad un Piano Bβ.»
«Non C?»
«No, il piano B va benissimo.» Tornò indietro e si inginocchiò con le spalle ad una sedia. Feliciano si lasciò cadere e Ludwig potè rialzarsi senza passeggeri. In troppi sottovalutavano il reale peso delle code delle sirene e dei tritoni. «Ma dobbiamo apportare delle modifiche. Esplorare ogni stanza è fuori questione e andare a caso sarebbe solo una perdita di tempo.»
«Potremmo esplorarne un po' per volta?»
Ludwig scosse la testa. Si lasciò andare contro uno dei banconi. «Questo è un piano rischioso, non è il caso di prolungare la sua esecuzione per diversi giorni. Inoltre, nulla ci garantisce che, nel mentre, al principe non venga assegnata un'altra stanza, magari una di quelle che avremmo già visto.»
Feliciano annuì, piano. Era abbattuto, ma Ludwig non aveva idea di cosa dire o fare per tirarlo su di morale. Veder crollare un piano ad un passo dalla sua riuscita era una cosa terribile - Senza contare l'ansia che doveva star provando per suo fratello. Non fosse che il principe Lovino non aveva chiesto la loro interferenza, si sarebbe arrabbiato con lui. Ma quella situazione era troppo paradossale, troppo pericolosa per poter pensare di arrabbiarsi con qualcuno.
No, d'accordo, avrebbe voluto fare la più lunga ed elaborata delle strigliate al principe Lovino, tirare un ceffone allo Stregone del Mare e tirarne due al capitano Antonio. Non avrebbe potuto fare nessuna delle tre, ma ne assaporava l'idea nella mente.
«Ci sarebbe il Piano A...»
«Feliciano, non attueremo il Piano A.»
Qualunque cosa potessero pensare, però, rimaneva il fatto che il Piano B fosse andato a rotoli e che nessuno di loro due sembrava avere neppure un abbozzo di idea per un Piano Bβ. Non che Ludwig pensasse che Feliciano potesse ideare un Piano Bβ coerente e fattibile, ma avrebbe potuto offrire qualche idea utilizzabile in un contesto più-
Si fermò. Qualcuno era entrato. Feliciano fissava l'entrata. Da dove era seduto, vedeva il corridoio nella sua interezza, ingresso compreso. E, nel vedere i suoi occhi sbarrati, era ovvio che qualcuno stesse ricambiando il suo sguardo.
Doveva trattarsi di uno degli umani. Gli umani avevano diverse armi, ma la sua corazza sarebbe dovuta essere in grado di proteggerlo da all'incirca tutte. Lo spazio tra il bancone, il tavolo, la sedia e la porta era troppo stretto e, se avesse usato la frusta, avrebbe rischiato di colpire Feliciano. A meno che non si fosse trattato del gigante, Ludwig poteva dirsi certo di essere fisicamente più forte di chiunque fosse nel corridoio. La cosa migliore da usare erano le tenaglie.
La persona nel corridoio avanzava piano. Non sentiva i suoi passi, ma non doveva star abbandonando lo sguardo di Feliciano. Era abituata a non farsi sentire, ma doveva aver sentito loro e, quasi certamente, doveva aver visto dove Feliciano stesse guardando fino ad un attimo prima. Era ovvio che volesse uscire di colpo dal corridoio e aggredire l'altro intruso. Lo sguardo fisso di Feliciano non poteva che significare che l'umano stava brandendo un'arma.
Un lampo nero. Ludwig scattò in avanti e afferrò un collo grande quanto uno solo dei suoi pugni. La pistola cozzò contro la sua armatura, ma non ci fu nessuno sparo. Due occhi rossi, dei capelli bianchi e un volto pallido che conosceva.
«Was-»
«Ludwig?» L'uomo in nero aveva pronunciato il suo nome. La voce era soffocata per ovvi motivi, ma quel tono rauco e gracchiante l'aveva già sentito.
«Gilbert?»
Per quanto il mondo degli umani fosse strano, era impossibile che esistesse un altro albino dalla voce gracchiante che lo chiamava per nome e aveva la faccia di suo fratello.

*



Manon aveva ragione. Quel viaggio era stato un'esperienza che non avrebbe dimenticato tanto facilmente. Aveva passato diversi minuti a fissare della verdura appesa sopra i sedili, mentre nell'aria l'odore di un qualche tipo di cipolla si mischiava ad un bizzarro odore di bruciato. Durante il tragitto, il rumoroso regaleco di ferro si era fermato in un luogo dove soffiava la bora e, leggeri, cadevano dei fiocchi di neve, anche se era piena estate. Aveva imparato il termine "materiale rotabile" - Non aveva capito cosa significasse, sapeva solo che, qualsiasi cosa fosse, mancava. Era stato confuso nel seguire alcune persone che discutevano dello stato di esistenza delle cose - Tipo che tale Poggiomarino non fosse Sorrento, o qualcosa del genere. Poi, Manon gli aveva detto di tenersi forte, e le era stato grato perché, quando il regaleco di ferro si era fermato la prima volta, degli sventurati erano volati un metro più avanti. In tutto quello, la curiosa tendenza della creatura ferrosa a fermarsi nei luoghi più disparati, a volte senza ragione alcuna, gli aveva permesso di guardare quel mondo asciutto, fatto di pietra, alberi e aria. Le nuvole erano lontane anche lassù, le montagne rimanevano enormi anche lassù. Che cosa bizzarra.
Tornato a Napoli, era così assorto da metterci qualche secondo a realizzare la presenza di Abel e del cretino all'uscita della stazione.
«Romano è sopravvissuto.» commentò Abel. Se non altro, non sembrava troppo stupito.
«Sono le quattro e mezza.» Manon guardò prima suo fratello, poi l'altro scemo. «Ci state aspettando dalle tre?»
«Nah.» L'idiota alzò le spalle. «Abbiamo finito ora anche noi. Mi sembrava giusto che Abel ti riaccompagnasse a casa. Non pesa troppo, tutta quella roba?»
Lovino era certo che mancassero almeno due collegamenti logici in quelle frasi. In ogni caso, scosse la testa. Manon aveva un carrello e i carrelli di superficie avevano le ruote, quindi non c'era alcun problema nel trasportare quei diciassette bustoni di spesa - quattordici dei quali straripavano di limoni, limoncelli, bottiglie a tema limone, dolci al limone e calamite a forma di limone. Aveva supposto che gli elfi amassero molto i limoni, ma c'era da dire che la città stessa in cui erano stati era capace di convincere il prossimo che i limoni fossero fondamentali per la sopravvivenza.
Anche Manon aveva scosso la testa. Si guardò intorno. «Gilletje?»
«Stamattina è andato alla Birreria della Birraglia Birracchi. Credo volesse la birra e perculare gli agenti di polizia. Non so dove sia ora. E» aggiunse subito il cretino: «Lucilin sta portando avanti il suo Monopoli 3D. Sta gestendo un'asta per la Banca di Barbabarca.»
«Che carino!» Non il commento che avrebbe fatto Lovino, ma Manon era libera di commentare come voleva.
«Su, Abel.» L'idiota fece un cenno al carrello. «Fa' il gentiluomo.»
«Il gentiluomo.» Abel trattenne un sorriso troppo simile ad un ghigno. «Certo.» Si rivolse a Manon. «Manonnetje, il capitano ti ringrazia per le tue sfavillanti doti di guida turistica.» Prese il carrello con una mano e lo spinse verso l'uscita. Manon guardò l'imbecille, interrogativa.
«Come capitano e padrone di casa,» Un sorriso un po' troppo soddisfatto, per quello che stava dicendo. «ora mi occuperò io di Romano. Tu va' pure con Abel.»
«"Nessuno mi ha interpellato a riguardo."» Lo scrisse sulla tavoletta, ma nessuno si degnò di leggerlo.
Manon, invece di difenderlo a spada tratta, sorrise, gli fece «Ciao ciao!» e saltellò dietro al fratello. Forse, l'elfa aveva capito quale fosse il suo scopo e, con grande saggezza, aveva permesso che rimanesse da solo con lui per poter attuare la sua vendetta. Che donna piena di arguzia!
«Avete pranzato?»
Lovino scoccò un'occhiataccia al deficiente. Non era una domanda assurda, ma non avrebbe reagito in altro modo a qualsiasi sua domanda.
«Direi di no.» Gli porse il braccio. Lovino, come sempre, lo rifiutò. «So dove portarti. Seguimi.» Lovino, come sempre, lo seguì senza scrivere una parola, ma osservandolo con tutto l'odio di cui era capace.

Aveva già sentito parlare di Catriona la Figona. Lucilin gli aveva spiegato che era lì che risiedeva la ciurma del bastardo. A prima vista, sembrava un normalissimo luogo di ristorazione, con tanto di tavolini all'aperto. Ed era ad uno dei tavolini all'aperto che Lovino era seduto, tavola magica in grembo e sguardo sullo strano cibo che gli era stato portato - Ordinato dal cretino, senza interpellarlo, dicendogli solo che: «Dato che ti piace mangiare con le mani e il pomodoro, questa ti piacerà senz'altro!».
Era rotondo, e copriva il piatto alla perfezione. Il bordo era più alto di almeno due dita, una pasta bianco-gialla-marroncina con piccole chiazze bruciacchiate. Al centro, per la quasi totalità della sua estensione, la salsa rossa chiamata sugo di pomodoro, delle spugne bianche e delle foglioline verdi. L'odore era ipnotico. Qualcosa di ancora più potente del canto di una sirena.
Si sarebbe volentieri lanciato su quello strano cibo, ma la presenza del cretino lo distraeva. Lui aveva già mangiato, quindi si limitava ad aspettare di vedere se lui si sarebbe lanciato su quella pasta rotonda che si mangiava con le mani e aveva un odore fin troppo buono.
«Mangia, o si fredda!»
«"Ti hanno mai detto che è inquietante guardare la gente che mangia?"»
Il cretino non parve imbarazzarsi neppure un po'. «Non sono così inquietante. Voglio sapere se ti piace, poi ti lascerei stare.» Lovino aveva i suoi profondissimi dubbi.
D'un tratto, il bastardo parve accorgersi di qualcosa. Si voltò, guardò in alto. Lovino seguì il suo sguardo. C'era qualcosa, su una delle finestre del piano superiore del locale: tre lenzuola legate tra loro fluttuavano senza vento, dirette verso il cielo.
«Capitano!»
Lovino abbassò lo sguardo. Un uomo era arrivato al tavolino di corsa, l'espressione sconvolta. Il tizio si accorse di lui, sorrise e chinò la testa: «Buon pomeriggio, signore!». Tornò a guardare quello che la sfortuna aveva voluto fosse il suo capitano, la faccia di nuovo spaventata.
«Cosa succede?» Capitano che, stranamente, era serio.
«Le lenzuola stanno cercando di evadere!» Ormai l'uomo boccheggiava. «José e Pedro stanno facendo di tutto per trattenerle, ma sono troppo forti!»
«Raul? Dov'è Raul?»
«Le lenzuola l'hanno chiuso in bagno, capitano.»
«E che cazzo, Raul.»
«Pablo crede che potrebbero diventare violente e prendere qualcuno in ostaggio.»
«Non dire altro.» Il bastardo si alzò. Si rivolse a Lovino, con il suo solito sorriso ebete. «Tu mangia pure, Romano, mi dirai quando torno!» Quando tornò all'uomo, il suo volto era cupo e in mano aveva un'alabarda. Da dove e quando l'avesse presa, era ignoto. «Portami da loro.»
Dato che quel demente si era tolto dalle palle, Lovino poteva dedicarsi al cibo - Ah, pizza, si chiamava! Ora ricordava! Era curioso di provarla, in effetti. Era già tagliata a fette, quindi la assaggiò.
Gli umani erano senz'altro sciocchi, ma non potevano essere malvagi. Come può qualcosa di malvagio creare qualcosa di così bello?
Forse, la misteriosa Catriona era una divinità. Pensandoci bene, però, c'erano tantissime persone in grado di fare quel pasto - Dunque, in realtà, Napoli era abitata da divinità? O che fosse stata Partenope, la sua divina antenata, a donare agli uomini il segreto della creazione dell'ambrosia? Come sarebbe potuto tornare nel mare, ora che aveva assaggiato il frutto proibito che già mise nei guai Eva e Proserpina?
No, pensandoci bene, la frutta avrebbe fatto schifo, là sopra. Il pomodoro, le spugne bianche e le foglioline verdi erano perfette. Aveva notato diverse combinazioni, in realtà, ma non aveva mai approfondito - Non poteva sapere se quel cibo gli sarebbe piaciuto, allora era troppo ingenuo per comprendere la natura superiore di quel dono divino.
«Romano, il piatto non si mangia.»
Lovino tornò al mondo terreno. Il bastardo era tornato, la pizza era sparita e lui stava addentando il piatto. Ripose il piatto sul tavolo e si pulì con il fazzoletto - Ci aveva messo solo due giorni a capire a cosa servisse il ritaglio di stoffa sulla tavola! Solo che quello che aveva ora non era stoffa vera, era molto più ruvida.
«Direi che avevo ragione!» L'imbecille sembrava compiaciuto. Poverino, per una volta che aveva ragione nella sua triste esistenza. Lovino lo lasciò fare. Con la coda dell'occhio, notò che non c'era più alcuna traccia di lenzuola volanti.
«Dato che tu non dormi, dopo pranzo...»
Lovino si alzò prima che il bastardo potesse porgergli il braccio o la mano.
«C'è un altro posto in cui vorrei portarti.»
Sarebbe voluto essere titubante, guardarlo male come sempre, però l'aveva portato in un luogo benedetto dalle divinità, quindi le probabilità che fosse un posto interessante volgevano a suo favore. Sarebbe comunque rimasto guardingo. Era pur sempre il bastardo.

Pensava fosse una grande scatola sulla costa, invece era un museo pieno di navi. Non era esattamente come il Cimitero dei Relitti: le navi a casa sua erano rotte e per la maggior parte nuova patria di svariate forme di vita acquatica, quelle là dentro erano ancora intere - Non sapeva pronunciarsi riguardo al funzionanti, ma tanto erano in una grossa scatola sulla costa, e non sarebbero mai passate per la porta d'ingresso. La cosa più affascinante era la presenza di navi così piccole che non potevano che essere state costruite da gnomi o da fate. Perché fossero in un museo umano, non lo sapeva e la targhetta non diceva niente a riguardo - Parlava solo di scale con numeri divisi da due punti.
Doveva essere un luogo interessante, per un umano poco avvezzo alle navi. Per lui, era normale amministrazione. Più che altro, perché il cretino, un pirata proprietario di un vasto numero di navi (affondate), sarebbe dovuto entrare lì dentro?
Ebbe la sua risposta quando arrivò ad una certa sala. Nessuna nave intera, solo pezzi staccati o ritagliati male dalla chiglia o dalla carena, brandelli di vele, un timone intero, un paio di bandiere e frammenti di scogli. Le forme a checazzogono gli garantirono che si trattava di frammenti di Scogli Scomodamente Stazionati. Sulla parete di fronte all'entrata spiccava un quadro alto un paio di metri, che ritraeva una squinzia nuda spiaggiata con le gambe avvolte da un panno blu. Accanto all'entrata, invece, un cartellone illustrava la storia della Sirena degli Scogli, con una dovizia di particolari che garantiva il suo corrispondere a fatti realmente accaduti - Giusto la descrizione della sirena come splendida donna dai lunghi capelli biondi e grandi occhi blu stonava un po', ma questo potevano saperlo solo Lovino e il bastardo.
Dunque era quella la sala dedicata a lui al museo nautico. Trattenne un sorriso. Quello era lo specchio in superficie della sua collezione sottomarina. Non fosse stato costretto a nascondere la propria identità, avrebbe preteso che la squinzia svergognata fosse fatta sparire e che il quadro fosse sostituito da una statua megalitica raffigurante le sue meravigliose fattezze.
«Sai,» Il bastardo prese la parola. Guardava il quadro. «in realtà, la Sirena degli Scogli non somiglia affatto a quella là.»
Lovino non aveva idea di che reazione avere a quell'affermazione. L'unica cosa che sapeva era che doveva aumentare il numero di centimetri di distanza dal cretino, ché le loro braccia quasi si sfioravano. Eseguito il suo dovere morale, decise che la cosa migliore da fare fosse guardare il quadro a sua volta, magari con un'espressione che sperava sembrasse pensierosa.
«Anzi,» Sentì il cretino trattenere una risata. «a guardarla bene, è molto meno bella della Sirena.»
Era la seconda volta, quel giorno, che concordava con quell'imbecille. La straordinarietà dell'evento poteva ridursi alla semplice constatazione che, nonostante la stupidità, il capitano avesse quantomeno un gusto eccellente in fatto di bellezza fisica.
«Io l'ho incontrata, sai?»
Sì, era sottinteso dalle sue parole. Un dubbio. Forse non era poi così normale, per gli umani, incontrare una sirena. Forse l'idiota gliel'aveva detto per suscitare in lui una qualche reazione di stupore, o di ammirazione. Se le cose stavano in quel modo, non poteva permettersi di non sfotterlo. Mise mano alla tavola.
«"Certo, come no."»
«Dico sul serio!» Non sembrava offeso. Sembrava, anzi, divertito. Non che Lovino avesse (troppo) sperato il contrario.
Scrisse un'altra frase. Gliel'aveva servita come neppure la nobile Catriona gli aveva servito la divina pizza. «"E magari lei si è perdutamente innamorata di te."»
«No, in realtà mi odia.» Semplice, diretto e, soprattutto, corrispondente al vero. «Cioè,» Il cretino inarcò appena le sopracciglia, nel difficile tentativo di pensare. «all'inizio non ci stavamo simpatici. Dopo siamo andati d'accordo. E ora lui mi odia.»
Non si poteva negare che quella vicenda si fosse evoluta in modi quantomai bizzarri, e con una certa rapidità. Lovino non aveva idea di che espressione avesse, ma doveva essere qualcosa che una persona poco sveglia avrebbe identificato come interrogativa.
«Ci siamo incontrati un mese fa. Circa.»
Era in vena di racconti, a quanto sembrava. Lovino si fece attento - Era curioso di sapere in che modo assurdo quel bastardo avrebbe manipolato la realtà, per poter apparire come la povera vittima martirizzata di un mostro spietato e senz'anima. Se non altro, sarebbe stato solo lui a sentire quella sequela di puttanate, data l'assenza di qualsiasi altra forma di vita in quella stanza.
«Più che incontrati, ci siamo scontrati.»
"No, tu mi hai attirato in una grotta del cazzo con un insulto di trappola. Non che io sia caduto nella tua trappola, ero solo impietosito." Già iniziava a distorcere i fatti. Si iniziava bene.
«Lui mi aveva fatto un torto,» E questo poteva essere considerato vero. «e io volevo fermarlo.» Anche questo, più o meno. «Già che c'ero, mi ero detto che avrei potuto studiarlo. Non capita tutti i giorni di incontrare una sirena!»
Gli aveva confermato che non fosse normale incontrare gli abitanti del Regno del Mare. Quindi, Lovino avrebbe dovuto continuare a comportarsi come se l'altro stesse dicendo una marea di cazzate, e la cosa non avrebbe richiesto il minimo sforzo.
«Alla fine, però, siamo giunti ad un accordo pacifico.» Il bastardo alzò le spalle.
«"Accordo pacifico?"»
Il cretino non si scompose. «Affascinamento da sirena.» Accennò ad un sorriso, ma molto meno ampio di quanto si sarebbe aspettato. «Dubito crederesti al resto.»
Se aveva capito come funzionavano gli umani, in effetti nessuno avrebbe creduto ad un pirata che andava dicendo di essersi fatto una sirena.
«Un giorno, gli ho detto una cosa che non gli è piaciuta.» Mise le mani in tasca e tornò con lo sguardo al dipinto. Non lo stava vedendo davvero. «Mi ha proclamato odio eterno e mi ha promesso di vendicarsi.» Incontrò il suo sguardo. «Mi credi?»
Lovino serrò le dita attorno alla tavola. Avrebbe dovuto sentire una gran voglia di fracassargliela sulla testa, o di imprimergli il calco della sua, di testa, sulla fronte, magari spappolandogli la faccia. Invece, scrisse una frase.
«"Che cosa gli hai detto?"»
Il bastardo lesse la frase con più lentezza del dovuto. Ovvio ci avesse messo un secondo, erano gli altri cinque ad essere superflui. Alla fine, alzò lo sguardo su di lui.
«Che non aveva un'anima.»
Nessun dramma, nessun tentativo di compatimento, neppure un po' di rabbia, o testardaggine. La sua voce era solo terribilmente fredda.
Lovino cancellò la scritta e conficcò il pennino sulla superficie. Sentì degli stridii, ma non gli importava, anche se la tavola non era sua e avrebbe dovuto restituirla, prima o poi - Ma, tanto, sarebbe stata colpa del bastardo, se fosse rimasta rigata o se si fosse rotta.
«"È OVVIO CHE SI SIA INCAZZATO CHE CAZZO DI FRASE È MA SEI COGLIONE"»
L'imbecille non cambiò espressione. Sembrava solo aver preso atto della sua scritta. «Non sei il primo a dirmelo.»
Bene, almeno conosceva persone intelligenti. Povere persone intelligenti, costrette a stare a contatto con un simile plancton cerebrale.
«"Tiferò per lui, quando si vendicherà e a te non rimarrà che tornartene da dove sei venuto!"» Lovino si bloccò, il pennino a mezz'aria. C'era un dettaglio che non tornava, in tutto quello. Scrisse, stavolta più piano. La tavola non sembrava essersi rigata, e la cosa lo tranquillizzò. «"Ma tu perché sei ancora qui? Non abiti in Spagna?"» Tra l'altro, se ben ricordava, Gilbert lo aveva più volte spronato a tornare, segno che non avesse nulla da fare, a Napoli.
Finalmente il bastardo cambiò un po' espressione. Era una parvenza di stupore. Il silenzio che seguì gli fece capire che non era tanto per la domanda, quanto per il rendersi conto della risposta. Povero cretino, si stupiva dei suoi stessi pensieri.
«È che...» Parlava piano. «Sembrerà assurdo, ma non voglio andarmene senza prima aver sistemato questa faccenda.»
"Ma davvero?" Non lo scrisse. Scrisse altro, più velenoso. «"Perché hai paura che, se te ne andassi e poi tornassi qui a Napoli, ti farebbe naufragare tutte le navi, vero? Vuoi tenertelo buono per salvaguardare i tuoi tesori."»
Il bastardo lesse. E qualcosa dovette esplodere nel suo cervello, perché in nessun modo a quelle affermazioni si sarebbe potuto rispondere con una risata divertita.
«Ma come ti viene in mente, Romano?»
In quel momento, del tutto a caso, Lovino impiegò qualche secondo nel realizzare che "Romano" fosse lui.
«La sirena ha già affondato trenta delle mie navi, non può arrecarmi più danno economico di quanto già non me ne abbia fatto!» Ottimo a sapersi. Un po' triste, ma ottimo che gli avesse inflitto un colpo così pesante. «Ma come hai fatto ad intuire che fossi andato a cercarla perché mi aveva affondato le navi?»
Lovino trasalì. «"In che senso?"»
«Non ho mai detto che queste» Bussò contro un pezzo di carena. Nessuno rispose - Per fortuna. «fossero mie.»
L'allarme orca incazzata gli perforò la mente, senza che neppure ci fosse un allarme orca incazzata. Scrisse qualcosa sulla tavola, e sperò che fosse abbastanza credibile. «"Che cazzo di domande fai? Questa non è la stanza riservata alla sirena che affonda le navi? E che cazzo di torto avrebbe dovuto farti? Sei povero da far schifo, è ovvio che sia colpa sua!"» Era stato tentatissimo dallo scrivere "merito suo", ma forse sarebbe sembrato più sospetto che perculatorio.
«Sei davvero astuto, Romano!»
«"No, sono solo una persona normale."» Guardò il pezzo di carena che avevano accanto. «"Tu sei talmente idiota che hai donato pezzi delle navi al museo, piuttosto che rivenderli. Fai schifo con l'economia. Meno male che se ne occupano Abel e Lucilin."»
Il bastardo alzò un dito, l'espressione appena colpevole. Parlò a bassa voce, ed era una cosa stupida, perché non c'era nessuno - Ed era una cosa irritante, perché fu costretto ad avvicinarsi. «Non posso rivendicarle. Temo non fossero esattamente, pienamente, totalmente legalmente mie.»
L'unica cosa che si meritava era una lunga, lunghissima occhiata di sufficienza. «"Fallito."»
Non lo prese come un insulto. Doveva stare iniziando ad assuefarsi, e ciò era male. Dopo un paio di secondi, l'idiota parlò di nuovo. «Se tu fossi la sirena» E già partiva malissimo. «cosa penseresti dovrei fare?»
Soltanto in quel momento Lovino si rese conto di un dettaglio minuscolo ma fondamentale di tutta quella situazione. Si diede dell'imbecille, perché soltanto un imbecille non si sarebbe fatto quella domanda appena messo piede in quella sala. Perché cazzo l'aveva portato lì?
Era assurdo che l'altro l'avesse scoperto - Certo, non aveva fatto assolutamente nulla per nascondere la sua identità, ma il capitano era stupido, la cosa non avrebbe dovuto costituire un problema. Forse era stato Gilbert a capirlo, e gliel'aveva fatto notare. Escluse i tre elfi, perché la probabilità che l'avessero scoperto era alta, la probabilità che l'avessero detto al loro capo era quasi nulla. Ad ogni modo, c'era il rischio che qualcuno lo avesse scoperto e lui non poteva permettere che il cretino avesse prove materiali dei suoi sospetti - Dei sospetti di probabilmente Gilbert. L'unica cosa che poteva fare, in quel momento, era fingere totale estraneità.
«"Quale sirena?"» No, quella era troppa estraneità. Non fece vedere la scritta al bastardo, e si affrettò a cambiarla. «"Riguardo cosa? Il farti perdonare? Potresti iniziare andando alla spiaggia e invocando il suo perdono, promettendogli di fare le più cruente penitenze per poter ottenere anche solo una sua occhiata meno crudele."»
L'altro lesse. Inarcò appena le sopracciglia. Sembrava perplesso. Quando tornò a guardarlo, abbozzò quello che sembrava un sorriso di scuse. «Per quanto tu e Gil possiate dirmi il contrario,» Ah, bene, la persona intelligente era Gilbert. «non credo di essere nel torto.» Ma allora era proprio coglione. «Vorrei solo» Esitava, quasi. Doveva star esaurendo la forza per dire cazzate. «placarlo.»
Lovino si affrettò a scrivere. «"Potresti iniziare smettendo di essere un deficiente."»
«Una risposta un po' vaga.»
Dovette dargli ragione, e si odiò per questo. Scrisse di nuovo. «"Se tu hai un'anima, perché non può averla anche lui? Solo perché l'hai detto tu?"»
«Non l'ho detto io.» Una risposta tranquillissima. «È sapere comune.»
Era un sapere di merda. «"Magari per la sirena è sapere comune che gli umani sono tutti stronzi."»
L'idiota guardò quelle parole per troppi secondi. Quando ormai Lovino era certo di iniziare a sentire le muffe risalirgli le non-code, il cretino riprese vita. «Quindi lui mi odia» Alzò lo sguardo su di lui. «perché sono andato contro la sua idea morale?»
Che cazzo di frase inutilmente complicata era. Al di là di ciò, poteva dirsi abbastanza azzeccata. Annuì.
«Capisco.» Buon per lui. La sua espressione, però, non era di giubilo per aver scoperto una Grande ed Ovvia Verità della Vita. «Pensavo di essermici abituato.»
Tra le tante cose che Lovino odiava, c'era il non riuscire a seguire una conversazione. Che fosse per distrazione, per difficoltà dei termini o per la stupidità degli interlocutori, la cosa lo irritava. Dato l'evidente combaciare della situazione corrente con il punto tre, scrisse un'unica frase: «"Ma che cazzo?"»
Un accenno di sorriso. Pensare doveva averlo proprio stremato. «A volte mi dimentico che quello che facciamo io e la mia ciurma può avere altri tipi di conseguenze.»
Lovino comprese due cose, e le comprese in un istante. La prima era che quella frase inutilmente complicata doveva essere qualcosa che aveva sentito da terzi e non frutto della sua mente bacata, e la cosa lo tranquillizzò. La seconda era che il sottinteso di ciò che aveva detto lo spaventava. Lo spaventava, perché conosceva benissimo un'altra persona che si era rassegnata a ricevere certi sguardi e certe parole. E non aveva la minima intenzione di metterla a paragone con quel bastardo.
Trasse un respiro profondo. L'idiota si era messo a guardare i sassi, quindi bussò sulla tavoletta per richiamare la sua attenzione. Quando l'imbecille si voltò, trovò un'altra scritta.
«"Perché mi hai portato qui?"»
Nessuno stupore, stavolta. Solo il gran sorriso da deficiente ebete che aveva di solito. «Non mi dispiace, qui!»
No, non era stato scoperto. Nessuno aveva detto niente. La sua identità era involontariamente protetta da quel potente scudo infrangibile che era la stupidità di capitan Carriedo.

*



Feliciano non avrebbe mai immaginato che il loro piano per contattare Lovino si sarebbe trasformato nel ritrovamento del fratello perduto di Ludwig. Il fatto che nessuno avrebbe potuto immaginarlo gli garantiva di non essere tonto lui.
Ad onor del vero, il signor Gilbert gli aveva fatto un po' paura - Il suo sguardo rosso nel buio, il suo aspetto spettrale, la sua pistola puntata contro erano tutti elementi che lo avevano paralizzato sul posto. Però c'era Ludwig, e Ludwig l'aveva sottoposto ad un duro allenamento per resistere a qualsiasi tipo di minaccia da parte di malintenzionati - C'era stato un tempo in cui il nonno aveva temuto che qualcuno potesse rapire i suoi nipotini, per ricattarlo. Con il passare degli anni, non solo nessuno avrebbe avuto il coraggio di rapire Lovino, ma Feliciano sospettava che la totale assenza di potenziali rapitori nei suoi paraggi fosse da ricondurre a Lovino stesso. E Ludwig, perché Ludwig era un'ottima guardia del corpo.
«Perché sei qui?» Il fratello di Ludwig, il signor Gilbert, si era allontanato di due passi - Non per cattiveria, doveva essere stata una cosa inconscia, appena Ludwig gli aveva lasciato andare il collo.
«Dovrei essere io a farti questa domanda.» Forse Ludwig sarebbe voluto suonare deciso e un po' minaccioso, ma il suo stupore e la sua confusione erano talmente palesi da fagocitare qualsiasi altra intenzione. «E poi» Lo osservò, pallido. «sei umano
Questo era, in effetti, un dettaglio bizzarro. Logica avrebbe voluto che il fratello di Ludwig fosse un granchio come lui, ma Feliciano non voleva mettere bocca su cose sconosciute come la biologia.
Il signor Gilbert non rispose. Evitò, anzi, il suo sguardo. Sembrava nervoso. Ludwig non aggiunse altro. Si limitava a fissarlo, come se piantargli gli occhi addosso potesse in qualche modo spingerlo a parlare. Il signor Gilbert, però, si ostinava a fissare una sedia. Feliciano aveva i suoi legittimi dubbi sul fatto che il signor Gilbert sperasse che la sedia iniziasse a parlare, magari in sua difesa. C'era tuttavia da dire che, qualora fosse successo, Ludwig sarebbe rimasto così turbato da permettere al signor Gilbert di fuggire indisturbato. Nessuno dei due ottenne la minima risposta dall'altro o dalla sedia e, nel giro di pochi secondi, l'atmosfera parve solidificarsi tanto da sentirla pesare sulle spalle.
Feliciano strinse i pugni. Sapeva che non era corretto intromettersi negli affari altrui, ma le alternative erano lasciarsi schiacciare dalla tensione o recuperare un pesce sega e affettare l'aria. «Dunque è lei il signor Gilbert?»
Il signor Gilbert sobbalzò, in modo quasi comico. Si voltò verso di lui, gli occhi rossi spalancati. Si era dimenticato della sua presenza? Feliciano si trattenne dal gonfiare le guance - Ovvio fosse più preso dal suo fratellino, era giustificabilissimo.
«Ehm» Sembrava faticasse a sostenere anche il suo, di sguardo. «Mi chiamo Gilbert, se è ciò che intendi.»
Feliciano battè le mani e gli rivolse un sorriso ampio e luminoso. «Ludwig mi ha parlato spesso di lei!» rivelò: «La pensavo più simile a lui, sa? E non avrei mai pensato di incontrarla qui, in un'occasione del genere!»
«Ah...» Finalmente, il signor Gilbert si degnò di guardare Ludwig. Fu solo un istante, e tornò a guardare lui. «Q-Quindi Ludwig ti ha parlato di me, eh?»
Feliciano annuì. Ludwig era pietrificato.
«E» Il signor Gilbert sembrava ancora più a disagio. «cosa ti ha, uhm, detto, esattamente?»
«Mi ha raccontato che, quando era piccolo, lei è scomparso.» Giunse le mani in grembo. Non abbandonò il suo sorriso, sperando di sembrare incoraggiante. «Così, da un giorno all'altro, si è persa ogni traccia di lei e della sua Corazza Anti-Magia. In molti l'hanno cercata, ma non sono mai riusciti a trovarla.»
«Il Magnifico Me» lo interruppe il signor Gilbert. Che bizzarro modo di appellarsi. «o la Anti-Magie-Rüstung?»
Feliciano continuò a sorridere. «Sono certo abbiano cercato anche lei!»
«Non hai rispost-»
«Un anno dopo» riprese a narrare: «Ludwig ha deciso di cercarla nel resto dei Sette Mari. Ed è arrivato qui, nel Mediterraneo.» Ricordava quel giorno con una gran vividezza di particolari. Gli piaceva ripensarci. «Era quasi morto, non sapeva dove andare e non aveva più nessuno, dato che lei se n'era andato, quindi il nonno ha deciso di prenderlo a lavorare con sé e ora vive qui felice e contento!»
Ludwig si schiaffò una mano in faccia. Era diventato dello stesso colore della sua corazza. Il signor Gilbert, di contro, era impallidito. Feliciano non seppe come fu possibile ma, evidentemente, esistevano le sfumature di bianco.
«Un racconto molto dettagliato.» fu l'unico commento che fece.
«Gilbert.» Ludwig riprese vita e la sua colorazione originaria. Il suo racconto doveva averlo risvegliato e Feliciano non potè non considerarla una vittoria. «Cos'è successo?»
Il signor Gilbert era ancora perso nel suo mondo - Un mondo non troppo piacevole, a giudicare dall'espressione. Poi, fece un cenno al corridoio. «C'è una busta con delle birre, all'ingresso. Posso andare a prenderne una?»
«No.» Per qualche motivo, la risposta di Ludwig era stata prevedibilissima. «Ne approfitteresti per scappare. La vado a prendere io.» Si rivolse a Feliciano. «Se vedi che prova a fuggire, urla.»
Annuì con decisione. Certo, ora il signor Gilbert era un umano, e lui avrebbe potuto mettersi a cantare e rimbambirlo per un po', ma Ludwig gli aveva chiesto altro, quindi avrebbe obbedito.
Rimase solo con il signor Gilbert. Lui si era seduto su un tavolo, non troppo distante. Lo osservava con un misto di curiosità e... divertimento?
«Siete qui per Romano, vero?» Nonostante il pallore mortale e l'evidente stato di shock, il signor Gilbert sorrise. O meglio, ghignò. Quella era più una faccia da ghigni che da sorrisi.
Feliciano sbattè le palpebre. «Romano?»
«Il signor Non-sono-assolutamente-un-tritone.» Una risata bassa e gracchiante. «Lo ospitiamo da una settimana ed è una delle cose più divertenti che ci siano capitate.»
Doveva trattarsi di Lovino. Non era un'intuizione, era pura ovvietà. Però... «Sa che è un tritone?» Si portò una mano alle labbra. «Sapete tutti che è un tritone?» Il fratellone Francis aveva detto qualcosa a proposito della possibilità che stesse cercando di celare la sua identità, che si fosse sbagliato? O Lovino era in pericolo?
«L'abbiamo capito tutti tranne Antonio.» La risposta del signor Gilbert lo tranquillizzò all'istante. «Avevo i miei onestissimi sospetti quando ho visto come indossava le giacche e ne ho avuto la prova quando l'ho visto zoppicare.» Scosse la testa. «Il pranzo è stata la conferma schiacciante. Non so come Antonio non abbia ricollegato il tizio che lo guarda male, gli parla male, ce l'ha palesemente con lui, zoppica e sembra non conoscere il mondo umano e il tritone che gli ha giurato vendetta tremenda vendetta, ma...» Alzò le spalle. «Ci offre grandi momenti di ilarità.»
Da come parlava, il signor Gilbert non sembrava intenzionato a rivelare l'identità di suo fratello - né sembravano volerlo gli altri inquilini del castello. Evidentemente, l'ingenuità del signor Antonio era davvero troppo comica per privarsene.
«Sono suo fratello.» spiegò Feliciano: «Anche lui era scomparso e-» Si bloccò. Ora aveva capito. Era ovvio. Era ovvio, ed ebbe paura.
«Sì, l'avevo capito che siete parenti.» Il signor Gilbert non sembrava essersene accorto. O, più probabile, stava fingendo. «Siete praticamente uguali! Tranne per» Scosse la testa. «il carattere. Romano è un riccio di mare, tu sembri adorabile!»
Nonostante tutto, Feliciano si sforzò di sorridere. Era buona educazione rispondere ai complimenti.
«Tieni.» Una bottiglia di birra già aperta apparve davanti al signor Gilbert. A tenerla era Ludwig, un'altra bottiglia di birra già aperta nell'altra mano. Ovvio avesse preso le bottiglie trentasei ore prima e fosse rimasto ad origliare. Una volta, Ludwig gli aveva confessato che, per quanto non smaniasse dalla voglia di fargli correre dei rischi, averlo intorno era utile, perché Chiunque era più disposto a parlare, se c'era lui in giro.
«Danke.»
Ludwig non rispose. Prese una sedia, la girò verso il fratello e si sedette. Un granchio grande e grosso da un lato, un tritone tenero e carino dall'altro. Il signor Gilbert era circondato e doveva essersene accorto.
«Gilbert.» Il tono di Ludwig era serio. Il signor Gilbert dovette raccogliere tutte le sue forze per guardarlo, perché sembrava quasi sofferente. «Ora non puoi più rimandare.»
Doveva pensarlo anche il signor Gilbert. Feliciano lo vide tracannare un sorso abbondante dalla bottiglia - Due sorsi abbondanti, forse anche tre. Quando abbassò la bottiglia, ghignò di nuovo. Ma aveva qualcosa di diverso da prima - Non c'era divertimento, neppure un'ombra.
«Romano ha fatto un patto con lo Stregone del Mare, eh?» La bottiglia dondolò, tenuta per il collo. «Quindi lo Stregone del Mare è nel Mediterraneo, ora?»
Feliciano non si chiese come il signor Gilbert l'avesse capito. E, di certo, non se lo chiese neppure Ludwig. Quel che lui stava aspettando era sentire suo fratello dire ad alta voce cose che avevano già capito.
«Gran bastardo, lo Stregone del Mare.» Ridacchiò. «La cosa peggiore è che si limita ad esaudire le richieste di chi è tanto coglione da rivolgerglisi. E il Magnifico Me, quel giorno, sono stato il più coglione tra i coglioni.» Un altro sorso. Quando riabbassò il braccio, per un attimo Feliciano temette stesse per lanciare la bottiglia. «È stata una cosa molto poco magnifica, da parte mia. Ero giovane ed ero sicuro di avere la vittoria in pugno. Quindi» Fece per bere di nuovo. Non lo fece. «sono andato da lui e gli ho chiesto di farmi diventare umano. Lui mi ha chiesto l'Anti-Magie-Rüstung. Dato che non mi sarebbe più servita, gliel'ho data.»
Ludwig si spalmò una mano sulla faccia. La passò tra i capelli, ormai non più ordinati. Feliciano si trattenne dall'andare da lui. Sapere che il tesoro del Baltico del Sud era finito tra le mani dello Stregone del Mare doveva essere tutt'altro che piacevole - Uno dei pochi motivi per cui il re dei Sette Mari non usava impunemente la magia a casa loro, a voler essere precisi. Tuttavia, sapeva che, se si fosse mosso, il signor Gilbert non sarebbe riuscito ad andare avanti.
«Non l'ho detto a nessuno perché volevo tornare vincitore.» La bottiglia dondolava con più velocità. «Non so cosa ci fosse da considerarmi vincitore, dato che avevo barattato l'Anti-Magie-Rüstung ma, per me, aveva perfettamente senso. Curioso, no?» Finalmente, guardò Ludwig negli occhi. «Ero il più degno di avere l'Anti-Magie-Rüstung e guarda che le ho fatto. Il vecchio Fritz avrà voluto uccidermi.»
Ludwig non rispose. Il signor Gilbert proseguì: «Il patto era semplice. Un normalissimo scambio. Non sarei mai tornato un granchio, perché non ne avrei avuto motivo. La mia vita sarebbe stata perfetta, in superficie.» La bottiglia tornò in alto. E, in pochi secondi, non contenne più nulla. Feliciano si sentì girare la testa solo nel vedere trentatré centilitri di birra mandati giù in un paio di tornate. «È andata male. Mi ha invitato al suo matrimonio. Come testimone.»
Ludwig non mostrò alcuna emozione. La cosa peggiore era sapere che ne stava provando, e anche molto violente. «Erzsébet.»
«Liz mi vedeva come un insostituibile rivale.» Bevve di nuovo, ma non trovò niente. Parve stupirsene. «Me l'aveva sempre detto, e io non avevo mai capito. L'ho persino assistita nei suoi piani demenziali per attirare l'attenzione di quel pianista rincoglionito, ma pensavo fosse una cotta passeggera. Perché avrebbe dovuto volere lui, quando poteva avere il Magnifico Me?» Guardò l'etichetta della bottiglia. «Sai quando l'ho capito? L'ho capito quando sono arrivato già pronto per il mio matrimonio, certo che lei mi dicesse di sì. Rod, intanto, le aveva composto non so quante sinfonie sui fiori, i laghi e gli amori omosessuali, e le ha chiesto la mano.» Sorrise. Non era un ghigno. «Liz non ne ha mai saputo niente. Le ho fatto da testimone, e sono scappato. Non potevo tornare a casa. Non potevo rimanere lì. Ero già stato dato per disperso una volta, non sarebbe stato un problema essere disperso una seconda volta.»
Ludwig non aveva toccato la propria bottiglia. Ma non la porse al fratello. Quest'ultimo l'aveva guardata un istante, ma non aveva insistito oltre.
«Ero povero, solo e senza un cazzo di scopo nell'esistenza.» Posò la bottiglia sul tavolo. «E, se qualcuno avesse scoperto che avevo ceduto l'l'Anti-Magie-Rüstung, sarei anche stato ricercato. Avrei potuto trovare asilo presso il re ma» I brividi furono ben visibili. «chi cazzo sarebbe così masochista da andare a fare da schiavo allo Stregone del Mare? Quello è un pazzo squilibrato, potrebbe usare i suoi servi come pedine sacrificali o cavie per i suoi esperimenti culinari!»
Feliciano sperò di risultare impassibile come Ludwig. Il possibile destino di Lovino sembrava ancora più spaventoso di quanto avesse potuto pensare.
«Piuttosto la morte.» Un'affermazione lapidaria. «Quindi, ho vagato un po' senza scopo, finché non sono stato avvicinato da Antonio.» Per qualche motivo, quel ricordo sembrava divertirlo. «Mi aveva visto gonfiare un paio di cretini che pensavano di fare il cazzo che volevano. Mi ha detto che voleva assolutamente avere nella ciurma qualcuno brutale come me e con un aspetto inquietante come il mio.» Si asciugò una lacrima che non c'era. «A quanto sembrava, non aveva un quartiermastro, quindi mi rese tale. Quanti saccheggi, quanti arrembaggi, quanti furti da allora!»
Feliciano sorrise. «È una bella cosa che il capitano Antonio abbia valorizzato le sue qualità più disturbanti e meno raccomandabili!»
«E per questo gli sarò sempre grato.» Il signor Gilbert si portò un pugno al petto. «Forse la pirateria era la mia vera vocazione.»
«Per questo hai barattato un tesoro preziosissimo per qualcosa di effimero.»
Il signor Gilbert incassò la frase gelida di Ludwig. Stavolta, Feliciano si sentì legittimato ad andare da lui. Provò ad alzarsi. Pessima idea. Allungò un braccio verso di lui, lo sventolò appena. Ludwig comprese, si alzò e andò da lui. Si portò dietro la sedia. Il signor Gilbert era un po' più libero - Ma, per qualche motivo, non parve rilassarsi. Se non altro, ora guardava suo fratello.
«So che non te ne faresti un cazzo delle mie scuse.»
Ludwig non era arrabbiato, in realtà. Non aveva la faccia di quando si arrabbiava. Era triste, questo sì. Per questo Feliciano gli accarezzava il braccio, in silenzio.
«E so benissimo di essere stato una merda. Con te, con Liz, con il vecchio Fritz, con chiunque.»
Nessuna risposta. Solo uno sguardo impassibile.
«Però, sai, per quello che può valere una frase del genere da una testa di cazzo molto poco Magnifica,» Accennò a lui. «sono felice che tu ora abbia vicino un amico e non un fratello scellerato.»
«Ludwig non è mio amico.»
Il signor Gilbert spalancò gli occhi. Così erano ancora più inquietanti. Feliciano resse il suo sguardo. Quello era un punto su cui non transigeva.
«Ludwig ed io siamo promessi sposi.»
Ludwig si schiaffò entrambe le mani in faccia.
«Certo, siamo amici, ma non amici nel senso di amici.» Feliciano doveva sempre specificarlo, perché putroppo aveva notato che troppa gente non capiva. Mise le braccia conserte, gonfiò le guance. «Sono mesi che vogliamo sposarci, ma Lovi continua ad opporsi! Sono sicuro che questo suo modo di fare gli si ritorcerà contro. Va bene insultare Ludwig, capisco lui abbia gusti strani nelle simpatie, ma questo suo continuo mettersi in mezzo è-»
«"Lovi"?»
Feliciano si tappò la bocca. Aveva parlato un po' troppo. Glielo dicevano spesso, ma continuava a farlo.
«Il principe Lovino è il fratello di Feliciano.» Ludwig liberò la faccia dalle mani. La sua espressione era ferma, come quando era in servizio. Doveva aver soffocato qualsiasi altra frase nei confronti del fratello.
Feliciano gli si accostò. «È il caso di dirgli tutto?» sussurrò.
Ludwig annuì. «Ora Gilbert abita qui. Potrà aiutarci lui a comunicare con il principe.» Incontrò lo sguardo dell'altro. Non traboccava di dolcezza, e il signor Gilbert lo notò benissimo. «Lo farai, vero?»
«Tutto ciò che posso per esserti utile.» Sembrava sincero. «Solo... "principe"?»
«Sì.»
Lo sguardo del signor Gilbert parve brillare. Una scintilla di emozione positiva in quel mare di rassegnazione e vergogna. «Ma allora anche il piccolo Feliciano è un principe! Ti sei proprio accasato bene!»
In fondo, il signor Gilbert sembrava simpatico. Gli avrebbe proposto di far loro da testimone, se non avesse appena rivelato di avere un trauma con quel ruolo.
«Aspetta.» L'espressione dell'albino si congelò. Doveva aver capito. «Feliciano...»
«Sì?»
«Sei tu il principe ereditario?»
«No.»
Il signor Gilbert serrò le labbra. «Avete altri fratelli o sorelle?»
«No.»
«Cazzo.» Aveva capito, e con una precisione invidiabile. Era proprio il fratello di Ludwig!
«Per questo stiamo cercando di contattarlo.» C'era una nota di urgenza nella voce di Ludwig. «Il patto stretto con lo Stregone del Mare sembra più complesso del tuo, e ciò che c'è in palio è-»
«Antonio si era conquistato i favori del prossimo re del Mediterraneo» Il signor Gilbert abbattè gli stivali a terra e si alzò. «e se li è giocati per fare l'idiota?» Alzò gli occhi al soffitto. «Gott, navigare con la benevolenza del sovrano dei sette mari antichi sarebbe stato così fottutamente perfetto! E ora no, ora siamo piagati dalla sua ira!»
Feliciano e Ludwig lo guardarono. Il signor Gilbert guardò loro. Diede un colpo di tosse e tornò seduto. «Perdonatemi. Mi fa incazzare che Antonio abbia fatto il coglione davanti ad una simile botta di culo.» Gli sembrava di sentire parlare Lovino. Ma dovevano arrivare al punto, dato che avevano già impiegato diverse decine di minuti a parlare.
«Dicevo.» L'espressione di Ludwig zittì qualsiasi altra affermazione del signor Gilbert. «Quello del principe Lovino non è stato uno scambio e basta. Non conosciamo tutti i dettagli, ma sappiamo che ha barattato la sua voce per una natura umana.» Lo sguardo interrogativo dell'altro lo invitò a continuare. «Tuttavia, quel che il principe ha promesso allo Stregone del Mare è» Inspirò. Non era facile da dire. Feliciano gli fu di nuovo vicino. «la legittima proprietà su di sé. E, dunque, sul Regno del Mare.»
Gli occhi del signor Gilbert erano di nuovo due sfere rosse.
«Questo in cambio di una qualche vendetta nei confronti del capitano Antonio.»
Il signor Gilbert giunse le mani, i gomiti contro le ginocchia. Sbuffò, ma era visibilmente inquieto. «Un doppio scambio.» gracchiò: «La voce per le gambe, la vendetta per la libertà. Ma, per avere il Regno del Mare, suppongo dovrà riavere le sue code.»
Feliciano annuì.
«Questo vuol dire che rimarrà umano solo per un certo periodo. È uno scambio con una condizione.» Guardò prima lui, poi suo fratello. «Ci sono buone probabilità lo sia anche l'altro.»
«Un mese.» mormorò Feliciano: «Il fratellone Francis ha detto qualcosa a proposito del fatto che Lovi dovrà cavarsela da solo.»
«Francis?» Il signor Gilbert scosse la testa. «No, magari un'altra volta.» borbottò. Tornò a riflettere. «Dunque ha un mese di tempo per portare a termine la sua vendetta. Non ha alcun senso che lo Stregone l'abbia privato della voce in cambio delle gambe. Se il loro patto implicava barattare la libertà con la vendetta, l'offerta dei mezzi per attuarla sarebbe dovuta essere inclusa.»
«Francis» ricordò Ludwig: «aveva detto qualcosa anche a proposito del non far scoprire la propria identità.»
«Meno male che deve vendicarsi di Antonio, allora.» Il signor Gilbert era molto schietto. «Però, no, questo patto è tutto tranne che lineare.» Il suo sguardo rosso si posò su entrambi. «Parlerò con lui. Devo dirgli che mi mandate voi?»
«Sì, per favore.» Feliciano si sporse appena nella sua direzione. «Se può, può dirgli anche che vorrei parlare con lui di persona? È importante!»
Il signor Gilbert lo fissò. Il suo sguardo mutò lentamente, fino a divenire quasi commosso. «Non è possibile, sei troppo adorabile!»
Ludwig si alzò. Il signor Gilbert scattò indietro sul tavolo. «E-Era solo un commento, non intendevo certo-»
Il capo delle guardie rovesciò la bottiglia di birra, e la versò sulla testa, le spalle e le braccia di Feliciano. Solo in quel momento il principe secondogenito realizzò quanto fosse disidratato, e di come la birra fosse piacevole.
«Perdonami, non ricordo se l'acqua corrente sia già stata inventata.» si scusò Ludwig: «Spero ti vada bene anche questa.»
La birra era piacevolissima. Feliciano annuì con forza. «Dovrei fare più spesso bagni di birra!» Alzò le braccia. «La birra è buonissima!»
«Ludwig...»
«Sì. Sapevo sarebbe successo. Me ne prendo ogni responsabilità.»

*



«Questa» Alfred si accomodò tra due scogli, le braccia conserte. «è l'operazione di spionaggio più noiosissima che abbiamo mai fatto!»
Una volta tanto, Matthew dovette dargli ragione. E sì che Alfred, all'inizio, era più che entusiasta di quella missione - Implicava vendette e suppliche, doveva essere meravigliosamente cruenta e spietata, proprio del genere che piaceva a lui! Matthew non era troppo in disaccordo, ma aveva sperato non si rivelasse anche splatter, perché gli facevano impressione i pezzi staccati e le fontane di interiora.
E invece erano lì da giorni, tra gli scogli, a spiare un castello brutto. Di tanto in tanto, vedevano uscire due umani, tre elfi e il principe Lovino, ma poi li vedevano andare in città e non li vedevano più.
«Perché Artie non ha trasformato in umani anche noi? Avremmo potuto spiarli quando andavano in giro!» Fece un'espressione ferocissima. «O introdurci di nascosto, di notte, nella loro abitazione!»
«Perché sapeva che ti saresti distratto.» Era triste, ma era la verità e Matthew non poteva che dare ragione ad Arthur. «E che ci saremmo senza dubbio infilati nel castello. Sarebbe stato pericoloso.»
«Capirai!» Alfred sbuffò. «Cosa vuoi che ci faccia un tritone zoppo?»
«Credo lo preoccupassero di più i pirati e gli elfi.»
«Ma così è noiosissimo!»
«Abbassa la voce, Al!»
«Volevo gli squartamenti, invece devo stare ad aspettare che arrivi un tritone umano ricoperto di sangue ad annunciare al mare - cioè a noi, cioè ad Artie - che ha compiuto la sua vendetta!» Si spalmò sulla roccia. «Perché tutte le cose interessanti succedono off-screen
«Perché così compri l'edizione integrale in blu-ray a prezzo maggiorato.»
«E Artie ci ha pure vietato di parlare con papà Francis per tutta la durata della missione.» Alfred portò le braccia dietro la testa, a mo' di cuscino. «Siamo solo io e te, appostati nei dintorni di un castello brutto in cui non succede niente, e dove rischiamo persino di vedere adulti che si sbaciucchiano!»
«Forse» azzardò Matthew: «potremmo comunicare con papà Francis con i gesti?»
Alfred si fece attento.
«Mi manca tanto la boullabaisse.»
«E le mouclade charentaise.»
«E la quenelle de brochet.»
«Ehi, Matt!» Alfred scattò dritto. «Ho un'idea!»
Aveva una mezza idea di quale fosse questa idea, ma Matthew rispose lo stesso. «Dimmi.»
«E se noi» Suo fratello si avvicinò, gli occhi brillanti e i dentini affilati in mostra. «comunicassimo con papà Francis con i gesti?»
Matthew sospirò. Ovviamente. «È quello che ho detto, Al.»
«Finalmente» Alfred gli afferrò le manine. «saremo liberi dal suo burned fish and rocky chips
Annuì. Nonostante tutto, era quella la cosa più importante.

.

Note:
* Il titolo del capitolo viene da I want to eat a tuna (Maguro tabetai), canzone composta da Saitamanist e cantata da Luka Megurine (e Tako Luka, che è bellissima).
L'altro titolo viene da Les Poissoins, solo che non si parla di francesi ma di tedeschi (!).
* Manon ha una mantella con il cappuccio rosso perché l'Hetaween 2011 è bellissimo.
* La descrizione del viaggio in Circumvesuviana viene dagli appassionanti racconti di Amykettah e dalla pagina Facebook Circumvesuviana Mon Amour. Io ho avuto occasione di prenderla meno volte delle dita di una mano, quindi mi sono affidata a testimonianze più solide. (!)
* In teoria, il quartiermastro era eletto dalla ciurma e non scelto arbitrariamente dal capitano, ma mi pare ormai chiaro che la nave di Antonio non funzioni secondo la logica.
* Due appunti riguardo la pizzeria: 1. Catriona la Figona è sempre aperta, quindi fa le pizze anche alle quattro del pomeriggio. 2. Non dite a Lovino che il pomodoro è un frutto.


Si ritorna dopo due settimane con, uhm, l'ultimo capitolo che non ho dovuto dividere in due perché ridicolmente lungo. Oh, beh~

Mi rendo conto che il titolo possa risultare fuorviante: non ci sono tonni, né gente che vuole mangiare pesce fresco, né cuochi francesi esauriti che distruggono la cucina per inseguire granchi volanti - Però si parla indubbiamente di pesci, italiani e tedeschi! (O meglio, pesci italiani e crostacei tedeschi. Vabbè, avete capito.)

Ebbene sì, qualora ci fossero stati dei dubbi la parentela di Ludwig e Gilbert trascende l'AU e la biologia. Qualsiasi eventuale domanda troverà risposta nei prossimi capitoli - Tipo, perché Eliza non abbia mai casualmente notato che Gilbert non fosse umano. (... Almeno, l'idea è dare una risposta a qualsiasi eventuale domanda POI NON LO SO ARGH-)
Confesso di non essere proprio 100% sicurissimissima di aver reso bene Gilbert e tutta la sua scena in generale. ( ;°Д°) Mi dà un po' una sensazione da "tirata via", ma non riesco a capire dove sia esattamente il problema. (?)

Per il resto, come detto nel capitolo precedente, si è giunti a metà della storia che mamma mia come andrà a finire ah no aspetta la fiaba originale ha un lieto fine molto bizzarro vabbè facciamo finta di nulla. Lovino riuscirà a vendicarsi, o sarà troppo distratto dalla persona di cui si deve vendicare e che gli offre in dono della pizza? Feliciano si perderà sulla via dell'alcolismo? Gilbert arriverà alla fine di questa fanfiction con le sue sembianze o come supplì? Ci sarà mai qualche altra scena di Arthur e Francis insieme o continueranno a comunicare via figli? Manon riuscirà mai a vestire Lovino da maid? Abel finirà mai di raggirare Antonio? Lucilin avrà mai qualche altra battuta? Alfred e Matthew potranno mai avere una cena decente? Antonio si accorgerà mai di essere l'unico umano nel raggio di svariati metri? Ma, soprattutto, la frutta, al di là del pomodoro, sta davvero così male sulla pizza?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!
  
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