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Autore: Doppiakappa    19/08/2022    0 recensioni
Roy Steinberg, sedicenne figlio dello scienziato più influente del 2085, si ritrova vittima di un particolare incidente che lo porta al contatto con una misteriosa sostanza extraterrestre. A sua insaputa, si ritroverà coinvolto in una serie di eventi che lo porteranno a dover salvare il mondo da un'enorme minaccia.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Quartier Generale dell’Anonymous Asset, struttura medica.
 
Roy sedeva nel letto della struttura medica dell’Asset, guardando il sole sorgere da dietro i grattacieli di Queen City. Era rimasto incosciente per una settimana, svuotato di tutte le energie, a tal punto che pure il Void necessitò di tempo per tornare alla sua completa funzionalità.
Accanto a lui dormiva Emil, stringendolo in un debole abbraccio. Si era impuntato e aveva deciso di stare vicino al fratello finché non si fosse svegliato. Nessuno riuscì a imporsi.
Roy passò la mano fra i capelli del fratellino, arruffandoglieli dolcemente. Guardava il volto del ragazzino, così calmo e spensierato, sentendo però nel cuore solo un immenso dolore. Non era riuscito a difendere loro padre e si sentiva in colpa, sentiva come di aver strappato Aiden dalla vita del fratello. Un sottile velo di lacrime gli bagnò il volto, mentre a denti stretti cercava di mandare giù quella sensazione di colpa e quel dolore che lo stavano consumando.
Improvvisamente il biondo si sentì stringere la vita. Guardò verso Emil e lo trovò con la faccia affossata nel suo petto, a strattonarlo in un fortissimo abbraccio. Piangeva, lui, singhiozzando e cercando di nascondere il volto al fratello. Roy lo strinse a sua volta, baciandogli il capo e poggiando la testa contro la sua.
 
- È stata colpa mia, cucciolo… solo colpa mia… - disse, chiudendo gli occhi.
 
- N-No… No... T-Tu non hai colpa… - il ragazzino ebbe la forza di alzare lo sguardo, incrociando le sue iridi color zaffiro con quelle arancioni del fratello. – Tu non hai colpa, Roy. È stato quel mostro a uccidere nostro padre… tu ci hai salvato la vita…
 
- Grazie, Emil… grazie… - Roy scoppiò in lacrime, abbracciando il fratellino e stringendolo come stesse stringendo la propria vita.
 
I due rimasero abbracciati per diversi minuti, riprendendosi da quel toccante momento. Emil scese dal letto, indossando rapidamente le scarpe e correndo a chiamare la madre e i due amici del fratello.
I quattro non ci misero molto ad arrivare nella stanza. Erica si fiondò ad abbracciare il figlio, quasi stritolandolo. Gli posò una mano sul viso, con gli occhi carichi di lacrime e gli baciò la fronte, carezzandogli poi la chioma. Roy annuì, sorridendo e riabbracciando la madre.
Seguì immediatamente Ethel, che tremante si gettò fra le braccia del biondo, strappandogli un lungo bacio che assaporò nel pieno dei suoi sensi.
L’ultimo ad avvicinarsi al letto fu Blaze, trascinandosi con le stampelle e la fasciatura alla gamba: il colpo inflittogli da Gunnarson gli aveva perforato il tendine e lo aveva costretto a riposo. I due ragazzi si guardarono negli occhi in silenzio, per un lungo minuto, finché anche Blaze si gettò fra le braccia dell’amico, stringendogli la spalla con la mano. 
 
- Non ce l’avrei fatta senza il tuo aiuto… grazie per essermi stato vicino fino all’ultimo…
 
- Di nuovo con questa storia? – rise. – Avrei dato la vita per te, e lo stesso avresti fatto tu. E comunque non è me che devi ringraziare… - disse poi, voltandosi verso Emil e posandogli una mano sulla spalla. – Se siamo ancora vivi è solo grazie al tuo fratellino. Quel colpo con l’arco è stato spettacolare! - Emil arrossì.
 
Roy guardò stupito il fratello, sorridendo e arruffandogli i capelli. Spostò poi lo sguardo fuori dalla finestra, guardando la città illuminata dal sole mattutino.
- Dov’è il Generale Klein?! – chiese, leggermente preoccupato.
 
- Durante il combattimento ha subito danni ingenti, è stato operato a causa di emorragie interne ed è costretto a letto. Non preoccuparti, le operazioni sono andate alla perfezione e Axel sta bene. – le parole della donna sembrarono tranquillizzare il ragazzo.
- Aren? – il tono di Roy cambiò completamente, risultando quasi autoritario.
 
- Abbiamo provveduto a medicarlo e attualmente è tenuto sotto custodia nelle celle del nostro complesso. Rimane comunque un criminale, anche se ci ha aiutato. – Erica rispose con la massima serietà.
 
- Devo parlargli.
 
- Roy, tesoro, non ti sei ancora ripreso, non è il caso che ti alzi…
 
- Devo. Parlargli. – il ragazzo interruppe la madre, facendo chiaramente capire le proprie intenzioni. Erica si limitò a sospirare, dopotutto era uno Steinberg e gli Steinberg sapevano essere molto testardi. Lei più di chiunque altro lo sapeva.
 
Roy posò i piedi sul tiepido pavimento della stanza, cercando di alzarsi. Cadde inevitabilmente, non riuscendo a reggere il peso del proprio corpo. Emil ed Erica accorsero da lui per aiutarlo, venendo però respinti dal cenno della sua mano. Il biondo voleva rialzarsi da solo. Chiuse gli occhi e concentrò tutte le sue energie, attivando il Void e alzandosi in piedi poco alla volta.
Barcollò per qualche momento, spalancando gli occhi in cerca dell’equilibrio e mostrando nuovamente le sue particolari iridi.
 
- Tutto ok, Roy? Ce la fai a camminare? – chiese preoccupato Emil, guardando il fratello dondolare nel tentativo di mantenersi in piedi.
 
- S-Sì, ho solo bisogno di un appoggio… - senza che potesse finire la frase, si ritrovò Emil a reggerlo in piedi.
 
- Non dovresti usare il Void, Roy, sei ancora troppo debole. – lo rimproverò Ethel, accorrendo per aiutare Emil.
 
- Sto solo facendo in modo che il mio corpo distribuisca meglio le energie, non dovrebbe causarmi problemi…
 
- Roy, possiamo discutere in privato prima che tu vada nel settore delle celle, per piacere? – chiese Erica, chiedendo fra le righe agli altri di lasciarla sola col figlio. Ethel, Blaze ed Emil annuirono.
Roy fece un cenno con la testa, tornando a sedersi sul letto e guardando gli amici e il fratello uscire dalla stanza.
Solo una volta chiusa la porta, Erica si voltò verso il figlio, prendendo una delle sedie al lato della stanza e sedendosi di fronte a lui. Gli prese una mano, stringendola delicatamente e lo guardò con il suo solito sguardo gelido, il suo sguardo da leader.
 
- Siamo in un momento delicato, Roy. Quello che è successo non è potuto passare inosservato ai civili e al momento l’Asset sta cercando di mantenere la riservatezza sull’accaduto, anche se con tutti quei giornalisti sarà impossibile mantenere il segreto. Inoltre, l’Infecta e il Void sono ancora presenti, e questo rappresenta una minaccia alla sicurezza mondiale, che può essere usata contro di noi.
 
- L’Infecta di Aren è rimovibile, ho letto i fascicoli di Gunnarson e gli appunti di papà. Appena potrò riprendere a lavorare in laboratorio posso occuparmene io.
 
- E il Void?
 
Roy rimase in silenzio per qualche attimo. – Il Void ormai è entrato in completa simbiosi con il mio corpo, è fuso al mio DNA e non c’è modo di rimuoverlo… o almeno… un modo ci sarebbe, ma mi costerebbe la vita. – Erica sussultò, guardando terrorizzata il figlio.
- Roy… non penserai…
 
- È l’unico modo per eliminare questa sostanza, mamma, il mondo non è pronto per una scoperta simile! Gunnarson è riuscito a replicarlo analizzando i miei parametri biometrici, cosa impedirebbe a un nuovo Gunnarson di fare lo stesso? Se cadesse nelle mani sbagliate potrebbe essere la fine. – la voce di Roy tremava, mentre il suo sguardo pareva quasi spento.
 
- Ho già perso mio marito e ho quasi rischiato di perdere voi in questa guerra. Non ho intenzione di lasciarti prendere quella decisione, come madre e come comandante dell’Asset.
 
- Che altre possibilità abbiamo, mamma?! – Erica tirò un ceffone al figlio, vedendolo tentennare e ammutolirsi.
 
- Dietro quella porta c’è tuo fratello, che per otto anni non ha potuto vivere con te, ma che ti è stato accanto giorno e notte mentre eri privo di sensi. Dietro quella porta c’è la tua ragazza, c’è il tuo migliore amico… E davanti a te c’è tua madre. Come puoi dire una cosa così egoista, Roy?
 
- Mi dispiace… tutto questo… io non so che fare… - Roy scoppiò in lacrime.
 
- Troveremo un modo, Schatzi… - la donna abbracciò il figlio, placando i suoi singhiozzi come quando era un bambino. Rimasero abbracciati per qualche attimo, poi Roy tornò in sé, asciugandosi le lacrime e posandosi una mano sulla fronte.
 
- Cosa possiamo fare, mamma…?
 
- Innanzitutto, assumerai il comando del centro di ricerca dell’Asset, la posizione che avevamo pensato per tuo padre. Tu sei l’unico che può portare avanti il suo genio, sei l’unico che ha le sue capacità e il suo talento, Roy.
 
- I-Io a comando del centro di ricerca?! È una posizione troppo importante, non puoi affidarla a me!
 
- È proprio questa la chiave, invece. Pensaci, ricoprendo una posizione così alta, sarai al sicuro da indagini e soprattutto potrai selezionare chi avrà accesso al tuo laboratorio. Sono sicura che troverai un modo per tornare alla normalità.
 
- E se non lo trovassi? – il ragazzo guardò la madre con l’espressione più seria che lei avesse mai visto sul volto del figlio.
 
- Lo troverai, te lo assicuro. – disse lei, accarezzandogli la guancia.
 
Roy tornò silenzioso, cercando di metabolizzare tutta la conversazione. Si alzò nuovamente in piedi, facendo scorrere l’energia del Void in tutto il suo corpo, nonostante un fastidioso dolore che lo pervadeva mentre tentava di mantenere l’equilibrio. Scrocchiò le spalle e il collo, muovendosi lentamente verso l’armadio della stanza.
 
- Devo parlare con Aren. Magari facendolo mi schiarirò le idee… - il biondo aprì le ante e iniziò a cambiarsi.
 
- Fai attenzione, non sappiamo se sia in grado di utilizzare l’Infecta anche da bloccato. – disse la donna, con un velo di preoccupazione a macchiarle la voce.
 
- Non farà nulla, mamma. Non ha più motivo di combattere contro di noi. – la rassicurò  lui.
 
- Rimane un criminale, Roy. Fa attenzione. – ripeté Erica, lanciando un’occhiata severa al figlio.
 
- Va bene… - sospirò il biondo, abbottonandosi la camicia e chiudendo poi le ante dell’armadio.
 
Ci mise un po’ a stabilizzarsi, camminando avanti e indietro per la stanza per diversi minuti, finché non prese abbastanza confidenza col proprio corpo.
Uscì dalla stanza, spiegando agli altri dove stesse andando e chiedendo loro di aspettarlo, vedendoli annuire.
Raggiunse il settore delle celle in pochi minuti, sorprendendosi di come le guardie lo considerassero già un loro superiore. Chiese quindi di poter entrare nella cella di Aren, liberandolo e facendolo respirare dalle catene che gli tenevano mani e gambe in una morsa, dopo aver rassicurato le guardie.
Aren si passò una mano su entrambi i polsi, facendo scrocchiare rumorosamente il collo e rimanendo poi seduto in silenzio, con lo sguardo fisso sul pavimento. Roy sedette a terra, guardandolo a sua volta, silenzioso.
 
- Sono nato a Berlino, in un quartiere malfamato pieno di drogati, puttane, stupratori e mafiosi… - iniziò a parlare il castano, in tedesco. - Vivere lì era un inferno. Mia madre era una puttana, una delle tante donne costrette a vendere il corpo per sopravvivere in quel luogo malato. Mio padre la stuprò per poi scappare. Nacqui come un incidente, come una cicatrice… - Roy sentì il peso di quelle parole farlo sprofondare nel terreno. La voce di Aren si fece più debole. – Un giorno… un cliente iniziò a violentarla davanti ai miei occhi… Mi vide nell’angolo, pretendendo di violentare anche me. Mia madre si gettò contro di lui, permettendomi di scappare. La uccise, massacrandola di botte… - Roy sentì mancare il respiro e percepì come una morsa stringergli il cuore.
 
Il biondo rimase in silenzio, non riuscendo a trovare le parole per rispondere.
 
- Avevo solo lei… - riprese Aren. – Rimasi seduto accanto al suo cadavere, non riuscendo nemmeno più a piangere. Pensai che sarei morto di lì a poco, in quel vicolo di merda… Ma lui apparve come un sole in piena notte, di fronte a me…
 
- Simon? – chiese il biondo, l’altro annuì.
 
- Apparve come una visione, facendomi un discorso sul potere, sulla giustizia e sulla società. Ero troppo piccolo per capire, ma quelle parole… quelle parole mi riportarono in vita.
 
- Ti trasformò in un soldato, Aren… Ti ha sempre manipolato.
 
- No, non quando mi prese con sé. Lui era un’altra persona, i suoi ideali erano nobili e le sue azioni parlavano per lui. Io ero solo un mezzo per portare giustizia laddove non ce n’era.
 
- Avete ucciso degli innocenti.
 
- Lo so… e non c’è giorno che io non mi maledica per non essermi rivoltato contro di lui. Per tutto questo tempo mi sono sentito in debito con lui, sentivo l’obbligo di essergli leale, qualsiasi fossero i suoi ordini… Credevo in lui, credevo nei suoi ideali…
 
- E poi cosa è successo? – chiese Roy.
 
- È arrivato Gunnarson. Quell’uomo ha cambiato Simon: lo ha reso un mostro, lo ha manipolato… e ci ha trascinato in quella follia… - Aren scoppiò in lacrime. – Ero terrorizzato da lui… e per colpa sua Drake e Diana sono… - si ammutolì, facendo sprofondare la testa nelle proprie mani e cercando di sopprimere i singhiozzi.
 
Roy guardò il castano, non riuscendo a levarsi di dosso quell’orribile senso di colpa che lo aveva pervaso da quando l’altro aveva iniziato a raccontargli del proprio passato. Si alzò in piedi, sospirando e facendo per uscire dalla cella.
 
- Cosa ne sarà di me…? – la debole voce di Aren lo fermò.
 
- Dovrò estrarre ed eliminare l’Infecta che è nel tuo corpo. Cosa succederà dopo non lo so. – rispose,  voltandosi e sorridendo lievemente al castano. Egli annuì con sguardo vuoto, tornando a raggomitolarsi nell’angolo della cella.
 
 
Quartier Generale dell’Anonymous Asset, tre settimane dopo.
 
L’operazione di rimozione dell’Infecta era riuscita  alla perfezione, mantenendo intatta la creazione di Gunnarson e senza creare alcun problema al corpo di Aren, che fu monitorato per alcuni giorni in una cella medica.
Roy aveva analizzato la sostanza, ricavandone dei preziosi dati indispensabili alla sua ricerca di un metodo per rimuovere il Void, per poi distruggere completamente l’Infecta e ogni dato a esso correlato.
Aveva tenuto sotto controllo Aren per tutta la durata della sua convalescenza, analizzandone i parametri vitali dopo l’operazione.
I due non avevano più parlato da quel giorno.
Una mattina però, il biondo entrò nella cella, facendo cenno ad Aren di seguirlo. Nessuno aveva potuto obbiettare la sua decisione, in quanto possessore di uno dei gradi più alti dell’Asset. Roy si era limitato a giustificare l’uscita di cella di Aren come “necessaria alla riabilitazione del detenuto”.
Aren non poté vedere dove era stato portato, a causa dei vetri oscurati della macchina di Roy, ma al loro arrivo venne sorpreso dal maestoso verde di una collina.
Scese lentamente dalla macchina, guardandosi attorno e assaporando la brezza di quel magnifico posto. Roy fece cenno di seguirlo, portandolo poco più avanti, di fronte a due lapidi in marmo.
Aren si bloccò, venendo sommerso da un’onda incontrollabile di emozioni. Cadde in ginocchio, chinandosi in lacrime sulle lapidi.
 
- Ho voluto che gli venisse data una degna sepoltura. – si limitò a dire il biondo, guardando l’altro.
 
- Ti ringrazio… - disse Aren con voce tremante.
 
Roy cliccò lo schermo del suo bracciale, disattivando all’improvviso le manette che legavano il castano. Questo lo guardò confuso, perdendosi nelle sue iridi ambrate.
 
- P-Perché…? – chiese a fatica.
 
- Hai commesso degli errori nella tua vita, il più grande è stato quello di fidarti di Simon e rimanere nell’Ægis. Ma hai già pagato il prezzo di questi errori. – Roy guardò il castano dritto negli occhi. – Sei stato ingannato e sfruttato per tutta la tua vita, è ora che tu abbia la possibilità di riscattarti. Ti sto dando una seconda occasione per redimerti da tutto il male che hai causato e per utilizzare le tue abilità al fine di salvare vite, non toglierle. – gli porse poi la mano, aiutandolo ad alzarsi.
 
Aren rimase in silenzio, schiacciato dallo sguardo del biondo.
 
- Dirò che sei morto nel tentativo di scappare. – disse poi, porgendogli dei documenti falsi. - Ora vai, lasciati questa vita alle spalle e vivine una nuova votata al salvarne altre. E ricorda, se dovessi fare nuovamente del male, io ti verrò a cercare… e ti troverò. – concluse, voltandosi e facendo per andarsene.
 
Venne fermato dal castano, che lo trattenne per la spalla.
- Dimmi almeno il perché di tutto questo. Perché mi vuoi dare una seconda possibilità? Io non la merito! – chiese, cercando la risposta anche nel suo sguardo.
 
- Mio padre credeva nel buono delle persone, ha dedicato la vita a cercare di tirare fuori il buono da chiunque, donando la propria conoscenza e tutto sé stesso alla società. Anche io credo nel buono delle persone, e in te ho visto il desiderio di riscattarti, di cancellare il male che ti è stato e che hai inflitto. Non potevo perdere l’occasione di tirare fuori il lato buono che è in te, lo devo a mio padre.
 
Aren sorrise, sentendosi sollevato dall’enorme peso che gli schiacciava la coscienza. – Grazie. – si limitò a dire, voltandosi e correndo verso l’orizzonte.
Alle sue spalle lasciava Queen City, maestosa dietro quella piccola collina nella campagna.
Alle sue spalle lasciava Roy, il deus ex machina che nel vero momento più buio gli aveva dato una nuova seconda possibilità.
Alle sue spalle lasciava il sé stesso bambino, seduto accanto alla tomba di Diana e Drake, finalmente libero dalle catene della sua mente.
 
 
Queen City, villetta degli Steinberg, laboratorio di Roy.
 
Roy aveva lo sguardo fisso sull’enorme lavagna che decorava il muro del suo laboratorio, piena di formule e appunti incomprensibili alle persone comuni. Una serie di disegni, numeri e forme coloravano l’immensa tela della sua mente, concentrata come sempre sulla sua ricerca.
Ormai era vicino al traguardo, traguardo che gli avrebbe permesso di tornare normale, liberandosi del fardello del Void.
Dondolò più volte sulla sua sedia, prima di venire riportato alla realtà da Blaze ed Ethel, che entrando nel laboratorio lo fecero cadere.
 
- Ahi! Ragazzi mi avete fatto prendere un colpo! – disse, alzandosi in piedi con il cuore in fibrillazione.
 
- Ti abbiamo chiamato almeno dieci volte, siamo in ritardo! – gridò Blaze, vedendo l’amico impallidire.
 
- Oh cazzo, la gara di Emil! Devo andare a cambiarmi! – esclamò il biondo, correndo verso l’uscita in preda al panico.
 
- Tieni. – lo fermò Ethel, porgendogli il cambio. – Fai presto… - sbuffò poi, tirandogli una pacca sul culo. – Tu accendi la macchina intanto. – ordinò poi a Blaze, vedendolo scoppiare a ridere.
 
- Mi sembra di sentire gli ordini di Klein… - ghignò, facendo il verso alla sorella.
 
- Muovetevi imbecilli, non vorrete mancare alla prima gara olimpica di Emil? – fece pressione lei, vedendo i due scattare fuori dal laboratorio.
 
In quel momento, Roy vide tutti gli eventi degli ultimi due anni passargli davanti e finire alle sue spalle. Sentì come una folata di vento portargli via tutto lo stress accumulato, tutto il dolore e la tristezza provate con la morte del padre. Con Ethel, Blaze ed Emil al suo fianco ora non si sarebbe più sentito solo.
Si voltò un’ultima volta verso gli appunti, sorridendo mentre vedeva la figura di Aiden guardarlo con orgoglio.
Un sole caldo splendeva in quella mattina di luglio.
Caldi erano i colori di quell’estate, che rigogliosi donavano vita al bellissimo giardino della villa.
Caldi erano i canti degli uccellini, appollaiati sulle querce di quel lungo viale.
Roy chiuse a chiave la porta di casa, ora non più fredda, correndo incontro alla vita che aveva sempre sognato.
   
 
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