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Autore: Orso Scrive    20/08/2022    2 recensioni
In una nebbiosa notte d’autunno, due agenti del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale sono appostati in una strada deserta, in attesa dell’arrivo di un ladro di antichità. Ma non è un quadro come un altro, quello di cui il delinquente si è impadronito: una lunga scia di morti orribili lo ha sempre accompagnato…
Scritta: ottobre 2021; rivista: luglio - agosto 2022
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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7.

 

 

Guastalla, provincia di Reggio Emilia, 2016

 

 

«Vorrei donare il quadro maledetto al museo comunale», spiegò Sartori, stringendosi le mani senza riuscire a mascherare l’evidente nervosismo che gli dava il solo parlare della tela. «Saranno soltanto leggende, non dico di no… ma quell’affare non ha portato altro che scalogna alla mia famiglia. Mio nonno spese un mezzo patrimonio, per acquistarlo, una quarantina di anni fa, e meno di un anno dopo si suicidò, dopo aver trascorso tre giorni interi a fissarlo. Io… avevo soltanto quindici anni, a quel tempo, però ricordo che era letteralmente impazzito. Delirava, non mangiava più… alla fine si gettò da una finestra, senza nemmeno lasciare un biglietto per spiegare il suo gesto. Dubito che, nelle sue condizioni, fosse ancora in grado di scrivere qualcosa. Mio zio, che lo ereditò per primo, se lo portò a casa, ma dopo nemmeno una settimana morì in un incidente stradale. Mia cugina Carolina… se sapessi, Alberto… la trovammo squartata da capo a piedi, eppure il verdetto fu lampante: aveva fatto tutto da sola. Si… si sventrò con un coltello… con gli occhi rivolti alla tela.»

Sartori scosse la testa e bevve un goccio di grappa, per trovare la forza di continuare.

«Mio… mio padre, allora… decise di chiudere il quadro in una cassa e lo fece mettere nel caveau di una banca… e ce lo lasciò fino a… a quel giorno dell’anno scorso. Poi volle riportarlo a casa. Disse che erano tutte sciocche superstizioni. Sarà… sta di fatto che ora anche lui si è ammazzato e io… non ho nessuna intenzione di fare la stessa fine. Né voglio che la facciano i miei figli.»

Alberto Manfredi incrociò le braccia, osservando con attenzione il padre di Carlo, un suo vecchio compagno dei tempi delle scuole elementari. Dall’ultima volta che lo aveva incontrato, al matrimonio di Carlo, sembrava essere invecchiato di dieci anni, eppure erano trascorsi soltanto sei mesi.

«E quindi, signor Sartori, vorrebbe sbarazzarsi della tela?» domandò.

Sartori si strinse le mani, che avevano cominciato a tremare in maniera convulsa. Sembrava preda di qualche tipo di delirio.

«Io…» mugugnò, «io, sì. Non ce la faccio più ad averlo in casa. Lo tengo sempre coperto, in una stanza chiusa… ma c’è qualcosa… sento come un sussurro, la voce flebile di una donna che vorrebbe indurmi a entrare là dentro… a guardarlo… quel coso è maledetto, per davvero. E ora che Carlo si è sposato, e potrebbe avere dei bambini, non voglio che questa dannazione continui a pesarci addosso.»

Gli occhi di Sartori assunsero una sfumatura spiritata che innervosì Alberto.

Il giovane sottotenente aveva terminato l’Accademia Militare da circa un anno e mezzo ed era entrato da pochi mesi soltanto a far parte del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, ma di storie simili gliene avevano già raccontate a bizzeffe. Per la maggior parte si trattava di semplici favole, inventate ad arte dai colleghi più anziani per mettere in soggezione qualche novellino, come lui. Ma ciò che vide negli occhi di Sartori lo incupì molto di più di quanto avessero fatto in quei mesi tutte le assurde panzane inventate da quell’inguaribile burlone del maresciallo De Crescenzo.

«Dipendesse da me, lo distruggerei senza pensarci due volte», andò avanti Sartori. «Farei a pezzi quella cosa e poi la getterei tra le fiamme…»

«La legislazione sui beni culturali…» cominciò Alberto, ma il padre del suo amico lo interruppe con un cenno.

«Lascia perdere la legislazione», sbottò. «Non me ne frega niente della legge. Se non l’ho distrutto, è solo perché ho come l’impressione che non ci riuscirei… che il quadro mi si rivolterebbe contro. Ma se io lo donassi alla pinacoteca, forse, non dovrei avere problemi, che ne dici?»

Manfredi, a dire il vero, non seppe proprio che cosa dire. Non era abituato a sostenere conversazioni di quel tipo. Sentire parlare di un quadro in grado di opporsi alla propria distruzione non era certo ciò che aveva in mente, quando aveva accettato l’invito del signor Sartori a raggiungerlo a casa sua.

«Be’…» borbottò Alberto.

Provò a richiamare alla memoria i vari articoli sulle donazioni di cui parlava la legislazione competente. Non era mai stato granché ferrato, in giurisprudenza. Tutti quei paroloni, servivano soltanto a confondere le acque, così la gente finiva per commettere illeciti senza nemmeno rendersene conto.

Bastardi tutti gli studiosi di diritto, si disse Alberto. Le pensano tutte, pur di metterti nel sacco con il loro giuridichese incomprensibile.

Inoltre, con quella storia, il signor Sartori gli aveva messo in corpo abbastanza strizza da rendergli difficile pensare a qualsiasi altra cosa.

Di solito, era la sua amica e adesso anche collega Aurora, a sguazzare a pieno agio in storie come quella. Ma nessuno gli aveva anticipato nulla di ciò che lo avrebbe atteso una volta lì, e così non gli era neppure passato per la mente di domandarle di accompagnarlo a quell’incontro.

«Ecco», riprese, cercando di mascherare al meglio il proprio disagio. Non fu certo di esserci riuscito. «Io credo che non ci siano problemi. Basterà che lei si rivolga alla soprintendenza ai beni culturali… ma, comunque, non si preoccupi di nulla. Domani mattina ne parlo con il mio superiore, lui di certo saprà darle dritte migliori di me.»

«Ti ringrazio tanto, Alberto», rispose Sartori, lo sguardo colmo di gratitudine, sebbene ancora non riuscisse a cancellarsi dal volto i segni della paura incalzante. «Ti ringrazio a nome mio, di Carlo e dei suoi figli, per quando ne avrà. Aiutandomi a sbarazzarmi di quel quadro, libererai la mia famiglia dalla più grossa delle sventure…»

 
   
 
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