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Autore: Persefone26998    31/08/2022    0 recensioni
Una serie di flashfic ispirate alle lettere dell'evento "Hidden strife"
Che vi piacciano o meno Kaeya e Diluc, la loro storia è talmente complessa ed emotivamente coinvolgente che non si può non essere ispirati a scrivere
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Diluc Ragnvindr, Kaeya Alberich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Una tempesta è in fermento tra i Cavalieri di Favonious...”

Suo padre è morto.

È una realtà che alla soglia dei suoi diciott’anni Diluc non si sente pronto ad affrontare, non senza il peso continuo e ripetuto dei suoi occhi che gli si spegnevano davanti, non senza quell’immagine impressa come un ferro rovente sul fondo delle sue retine che pare divertirsi a tormentarlo ogni volta che chiude le palpebre; suo padre è morto e la persona che considerava più parte di sé di un suo braccio o del suo cuore è una spia di una terra morta e mostruosa, è l’incarnazione multiforme di una favola nata per spaventare i bambini incarnata nell’orrore della loro macchine e della tracotanza verso Celestia. Suo padre è morto, Kaeya è una spia e la terra sembra voler piangere con lui ad ogni scrosciata d’acqua che gli cade sulla testa.

Piove come se la sua casa in quel momento fosse il centro di un tifone, piove e la pioggia è una frusta gelida in quel bilico da funambulo in cui la sua mente si trova, un’oscillare ubriaco tra incredulità e dolore che gli blocca il fiato in gola in una sorta di pendolo perverso; l’acqua gli corre lungo i capelli, si infila negli spazi stretti al di sotto dei vestiti zuppi e arricciati sulla pelle, incespica nelle pieghe dei suoi movimenti mentre si strofina le mani sotto la fonte al di fuori della sua tenuta. Sangue le ricopre, anche se ha passato gli ultimi quaranta minuti della sua esistenza a strofinarle fino a spaccare la pelle, anche se la pioggia è una sferza impetuosa, anche se il sangue vecchio – quello di suo padre, quello di Kaeya – è ormai scivolato via ed è il suo sangue a sostituirlo.

Certa sporcizia è semplicemente impossibile da lavare via perché si insinua sotto la carne, corrode come acido finché non riesce ad arrivare all’osso nudo della propria anima, lì dove può attecchire e bruciare per anni, forse anche per tutta la vita, come un fuoco inestinguibile; perché la natura dei sensi di colpa è fatta di quella sporcizia che Diluc non si leverà mai di dosso, è fatta degli occhi morenti di un padre che non è stato in grado di proteggere – nonostante la sua forza, nonostante quel gingillo che si porta appeso alla vita e che per tutti è la prova che Celestia ha visto il suo valore – è fatta degli occhi di Kaeya che paiono ghiaccio zigrinato e non smettono di guardarlo con lo stesso scintillio delle stelle anche dopo che l’ha quasi accecato, come se quel concentrato di rabbia e sensi di colpa piegato a lavarsi inutilmente le mani fosse degno di amore.

Gli si attorciglia lo stomaco quando pensa agli occhi di Kaeya, al sangue e a quella figura trasfigurata che non era più Diluc e che ha ferito il centimetro più importante di sé, come un mostro che egli stesso ha creato e che adesso, mentre si scortica la pelle sotto la fonte, vorrebbe poter afferrare per i capelli tornando in dietro nel tempo; avrebbe voluto che qualcuno gli avesse insegnato che i veri mostri non hanno occhi azzurri e il profumo di altre terre, che non sanno di ghiaccio e di legami, che non hanno la scrittura più bella che Diluc abbia mai visto e il mondo non sembra fermarsi incantato quando ridono, ma che gli avessero detto che i mostri hanno ciocche rosse e il sapore acido della bile ancora sulla punta della lingua.

Avrebbe voluto che qualcuno gli avesse insegnato che ci si impegna così tanto a credersi puri di cuore da diventare miopi al marcio di se stessi.
  
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