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Autore: Orso Scrive    02/09/2022    2 recensioni
In una nebbiosa notte d’autunno, due agenti del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale sono appostati in una strada deserta, in attesa dell’arrivo di un ladro di antichità. Ma non è un quadro come un altro, quello di cui il delinquente si è impadronito: una lunga scia di morti orribili lo ha sempre accompagnato…
Scritta: ottobre 2021; rivista: luglio - agosto 2022
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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9.

 

 

 

Ceccarelli tremava. A stento riusciva a impedire che i denti cozzassero gli uni contro gli altri. Era stato costretto a infilare le mani in tasca per tenerle ferme. Aveva soltanto voglia di essere mille miglia lontano da quella stanza.

Come da istruzioni, la notte precedente aveva raggiunto il magazzino, che in apparenza non sembrava avere nulla di anomalo, visto dall’esterno: un capannone in mezzo ad altri capannoni, nel pieno di una squallida e puzzolente zona industriale di periferia. Ma l’interno aveva rivelato la più grande sorpresa. Era stipato di opere d’arte rubate, pronte a partire per l’estero. Una caverna delle meraviglie di stampo postmoderno. Una vera manna dal cielo, roba da diventare miliardario. Ma gli era stato caldamente suggerito di non toccare nulla all’infuori di ciò che era stato spedito a prendere. La voce al telefono gli aveva detto che era roba che scottava e che non sarebbe mai riuscito a piazzarla da nessuna parte.

«Ne ricaveresti soltanto un biglietto per l’inferno», disse la voce, profonda, vellutata di terrore. Minacciosa.

Ceccarelli era un uomo intelligente. Si era attenuto alle istruzioni. Non aveva ceduto a nessuna tentazione. Aveva visto pezzi pregiati, inestimabili, ma ai suoi sguardi non avevano fatto seguito azioni. Era sopravvissuto a troppe prove per sapere che un gesto sbagliato avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte. Lo aveva solo stupito il fatto che, a un simile tesoro, non fosse di guardia nessuno. Ma la voce lo aveva avvisato anche di quello, dopotutto.

«Non troverai nessuno a cercare di ostacolarti, ma non per questo devi rinunciare alla cautela.»

E, infatti, Ceccarelli aveva compiuto un lavoro a regola d’arte, poteva ben vantarsene. Seguendo le indicazioni che gli erano state date, si era fatto largo nel magazzino. Gli scaffali erano disposti nell’ordine preciso che gli era stato comunicato e contenevano esattamente gli oggetti che gli erano stati detti. Li aveva guardati, ammirati. Di un paio di loro si era perdutamente innamorato. Ma la voce al telefono era stata categorica, e gli aveva infuso un senso di profondo timore. C’era qualcosa di sbagliato, in quella voce. Così aveva ignorato ogni singolo reperto.

Era salito al primo piano.

Anche quello era un ricettacolo di opere d’arte d’ogni sorta e d’ogni epoca. Sembrava un museo privato maltenuto. L’ambiente umido e freddo, il buio quasi assoluto. A tratti gli era persino parso di sentire risuonare dei suoni simili a mormorii. Come se quegli oggetti e quei quadri stessero sussurrando in una lingua antica e dimenticata.

Fantasie, si era detto. È la pioggia che tamburella sul tetto e rimbomba.

Aveva proseguito la sua ricerca.

In realtà non aveva dovuto cercare proprio niente. Come seguendo la mappa di un tesoro nascosto, gli era bastato percorrere l’itinerario che gli era stato spiegato nei minimi dettagli e aveva trovato ciò che stava cercando.

Il quadro.

Era coperto da un telo bianco. La voce, al telefono, gli aveva ordinato di alzare un lembo soltanto per accertarsi che fosse proprio quello, che non ci fossero errori. Poi lo avrebbe dovuto coprire e non guardarlo mai più.

«Come capirò che è proprio quello che cerco?» aveva domandato Ceccarelli. «Che cosa è raffigurato, sopra il quadro?»

«La bellezza», aveva risposto la voce, intensa ed enigmatica.

Anche a questo punto, Ceccarelli si era scrupolosamente adeguato agli ordini. Era abituato a stare attento alle consegne. Questo gli aveva permesso, nella sua lunga carriera di ladro, di cavarsela sempre – il massimo che gli fosse capitato era stato di ricevere qualche sganassone: marchi del lavoro, come amava chiamarli lui – nonché di non conoscere mai troppo a lungo le pareti di una cella. Solo che, quando aveva alzato il lembo per guardare, era accaduto qualcosa.

Qualcosa che non si aspettava.

L’immagine sul quadro… quell’immagine era viva, ne era certo. Lo aveva folgorato. Non voleva smettere di fissarla, voleva perdersi in quello sguardo, in quel corpo. Voleva fondersi con la tela e con l’olio, diventare un tutt’uno con la materia che aveva innanzi agli occhi.

Forse sarebbe rimasto immobilizzato in quell’attitudine per il resto dei suoi giorni. Non valeva la pena pensare ad altro all’infuori del quadro. Ma un rumore lo riscosse. Passi. C’era qualcuno nel magazzino.

In tutta fretta, il ladro coprì il quadro, lo tolse dal cavalletto e lo mise sotto il braccio. Restò in attesa, ma non arrivò nessuno. Probabilmente si era sbagliato. Ma ormai l’incanto era spezzato e poteva andarsene.

E così aveva fatto.

C’era qualcosa di strano, in quel quadro. Qualcosa che non andava. Non andava per niente. Proprio per questo aveva fatto come gli era stato ordinato, senza più farsi cogliere dalla curiosità di sbirciare ancora.

Aveva portato il quadro a casa e lo aveva nascosto nello stanzino segreto. Il suo personale capolavoro antisbirri. Nemmeno il più furbo di loro avrebbe mai trovato quel piccolo rifugio. Neppure quella rompipalle della Bresciani, che un giorno era venuta a ficcare il naso dappertutto dopo averlo minacciato di una morte lenta e dolorosa se non le avesse permesso di farlo, era riuscito a scovarlo. Era nascosto troppo bene. Avrebbero dovuto abbattere casa sua a cannonate, per poterlo scoprire.

Poi era andato a letto, in attesa.

Non era riuscito a prendere sonno. Si girava e rigirava tra le coperte. Il rumore ticchettante della pioggia che continuava a cadere, anziché contribuire a rilassarlo come faceva di solito, lo aveva tenuto sveglio. L’immagine del quadro lo tormentava… non vedeva l’ora di sbarazzarsene. La voce gli aveva dato appuntamento alla villa, per le tre e trenta di notte del primo novembre.

Finalmente, dopo un giorno che gli era parso eterno, era arrivato il momento di mettersi in moto. Aveva continuato a piovere fino alla sera tardi. Dopo la pioggia era arrivata pure la nebbia. Che razza di situazione. Portato a termine quel lavoro si sarebbe preso almeno un mese di ferie. Se le era meritate.

Era arrivato all’appuntamento con mezz’oretta di anticipo. Forse il cliente non avrebbe avuto troppo da ridire. In fondo gli aveva portato quello che voleva, no?

Si era guardato attorno nella strada. A causa della nebbia non aveva potuto vedere granché. C’era qualche macchina parcheggiata. Una macchina con i vetri appannati: forse una coppietta in camporella. Nulla di allarmante. Sopra un muretto una zucca di Halloween, la cui fiammella si era spenta. Si diceva che portasse male. La fiamma doveva bruciare fino all’alba, altrimenti la protezione contro gli spiriti maligni non sarebbe stata efficace…

Basta dire cretinate, pensò.

Si era lasciato influenzare da quello strano quadro e ora vedeva tutto nero. Non doveva farsela sotto dalla paura. Nel suo lavoro, certe cose non erano affatto contemplabili.

Aveva la chiave del cancello. Ci impiegò molto più del necessario a far scattare la serratura. Anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, non aveva nessuna voglia di entrare in quella villa fatiscente.

Sembrava una costruzione uscita da un film dell’orrore, accidenti.

Le mura di pietra, annerite dal tempo e screziate di umidità, si innalzavano al cielo, confondendosi nella nebbia fino a perdersi e scomparire. Le finestre buie sembravano orbite vuote nel volto pallido e rinsecchito di un morto. Il portone d’ingresso, scuro, alto, attorniato da una cornice che riproduceva ghirigori deliranti tra cui si inseguivano animali fantastici – draghi, serpenti, creature di ogni sorta a cui il ladruncolo non seppe dare un nome – sembrava davvero la porta dell’Inferno. Mentre si avvicinava con il passo lento di un condannato a morte, cercando di ignorare il buio intenso che emanava dal giardino inselvatichito, Ceccarelli non poté fare a meno di domandarsi se, sopra la porta, avrebbe trovato inciso parole quali Per me si va ne l’etterno dolore e via discorrendo.

Lasciando da parte quei pensieri lugubri, il ladro si avvicinò al portone. Ovviamente non c’era scritto nulla. In compenso, si rese conto che la porta non era chiusa, solo accostata.

Proprio come l’ingresso infernale, che resta sempre aperto.

Con la mano libera, Ceccarelli spinse l’uscio. L’interno dell’edificio odorava di polvere, umidità, vecchiume. Era immerso nell’oscurità più totale. Ma la cosa non doveva impressionarlo, no? Era entrato in luoghi ancora più tetri e sudici di quello, per portarne via qualcosa di prezioso. Una volta o due, era persino disceso in una cripta piena di scheletri e aveva aperto i sarcofagi per scoprire che cosa contenessero. Però, di solito, entrava per rubare. Mai nessuno gli aveva chiesto di portare un pezzo di refurtiva in un luogo del genere.

Chi diavolo può essere tanto pazzo da abitare in una simile catapecchia fatiscente?

Gli era stato detto di salire al primo piano. Le scale si trovavano alla sua sinistra. Cominciò a muoversi adagio, sollevando nuvolette di polvere dal pavimento di pietra.

Giunto alla base della scalinata, guardò in alto. Sopra, il buio era assoluto. Una nera parete, quasi tangibile. Non si vedeva e non si sentiva nulla. Cominciò sul serio a domandarsi se il cliente non avesse cambiato idea.

Esitò.

«Sei in anticipo. Non importa. Sali.»

Quella voce lo colse di sorpresa, facendolo sobbalzare. Proveniva da qualche parte da sopra le scale. Era la voce che gli aveva parlato al telefono. Una voce maschile, seducente, sarcastica… terribile. Sentirla tanto vicino, dal vivo… questo gli strappò un brivido che gli solcò la spina dorsale. Tuttavia, un passo dopo l’altro, cominciò a salire i gelidi e sporchi gradini di marmo.

Più saliva, e più il freddo morso della paura gli attanagliava lo stomaco. Se non aveva ancora gettato via il quadro e non se l’era data a gambe, era perché la ricompensa lo aspettava al piano di sopra.

«Oro», gli aveva detto la voce al telefono, quando Ceccarelli, raccolto il coraggio, aveva domandato quanto e come lo avrebbe pagato. «Avrai oro in quantità. Più di quanto tu possa portarne o spenderne in una vita intera. Oro puro. Lingotti e monili antichi. Rivendendolo un poco alla volta, senza suscitare pericolose curiosità da parte di qualcuno, diverrai ricchissimo e potrai soddisfare ogni tuo capriccio per il resto della tua esistenza.»

«Niente denaro contante?» aveva osato domandare.

A rispondergli era stato una specie di ringhio sordo, che lo aveva raggelato. Poi la voce aveva parlato di nuovo.

«L’oro è un elemento della natura. Il valore che possiede gli è stato attribuito dall’uomo; avete scelto l’oro, avreste potuto fare lo stesso con mille altri materiali. Sono affari vostri, quelli. Il denaro, invece… quello è uno strumento del demonio. In suo nome si compiono le più turpi azioni. Io non lo maneggio, è stato creato per gli uomini, compete a loro. Se il sole emana calore, non ha bisogno di riceverne. Col denaro è lo stesso, per me.»

Ceccarelli non aveva capito fino in fondo quella frase sibillina, ma non aveva nemmeno voluto indagare oltre. I brividi che gli aveva provocato erano stati una risposta più che esaustiva. Aveva lasciato perdere. L’oro gli andava più che bene.

Era arrivato in cima alle scale. Sulla propria sinistra notò una porta aperta. L’istinto gli suggerì di fuggire, la ragione gli disse che era lì dentro, che doveva andare.

Seguì la ragione.

Entrò.

Nel centro della stanza c’era una poltrona foderata di velluto verdognolo, dallo schienale alto. Non riuscì a scorgere l’uomo che vi sedeva, soltanto una sagoma scura appoggiata ai braccioli. Davanti alla poltrona era posizionato un cavalletto vuoto.

«È un bene che tu sia arrivato prima», disse l’uomo, a bassa voce. «Senza guardare me e senza guardare la tela, metti il quadro sul cavalletto e scoprilo. Poi avvicinati al caminetto e accendi il fuoco. I fiammiferi sono sulla mensola.»

Ceccarelli avrebbe preferito essere pagato subito e farla finita. Ma non fiatò. Quell’uomo seduto emanava paura a fiotti. Obbedì, ripetendo meccanicamente ogni gesto che gli era stato ordinato di fare.

Appoggiare il quadro sul cavalletto fu come liberarsi da un peso opprimente che gli gravava sul cuore. Sperò che attizzare il fuoco avrebbe contribuito a rischiarargli la mente e a infondergli un poco di calore. Non bastò. Il fuocherello illuminò la stanza, rivelandogli la figura in ombra. Ma non portò alcun calore.

Ora Ceccarelli tremava, le mani infilate in tasca. Avrebbe voluto essere lontanissimo. Non capiva che cosa stessero aspettando.

L’uomo seduto era bello, non c’era altro modo per poterlo definire. Di una bellezza impareggiabile. Probabilmente l’uomo più bello che si fosse mai visto al mondo. Ogni tratto del suo viso era di proporzioni perfette e armoniche. Doveva essere sulla trentina, e molto alto. Aveva capelli nerissimi, proprio come i suoi occhi. La pelle era quasi diafana. A un certo punto, Ceccarelli fu attraversato dall’idea pazzesca di trovarsi al cospetto di un vampiro.

Non aveva ancora finito di pensarlo, che l’uomo rise.

«Un vampiro?» domandò, con tono beffardo. Il suo sguardo, fisso sul quadro, non si mosse di un solo millimetro. «Faccio quindi l’effetto del principe delle tenebre? Ma anch’esso mi appartiene. Io sono il signore del giorno e della notte, mia è la tenebra come la luce, il mondo di qua come quello al di là. Il fuoco e l’acqua mi competono allo stesso modo. Io sono molto più di un vampiro. Io emano.»

Ceccarelli pensò di aver capito male. Doveva essere andata così. Quell’uomo non poteva avergli letto nella mente, vero? A meno che, naturalmente, in preda al nervoso non avesse pensato ad alta voce. Gli capitava, qualche volta. Cattiva abitudine. Una volta aveva pensato male di una donna parecchio corpulenta che aveva davanti al supermercato, in fila alla cassa.

«E muoviti a togliere la roba dal carrello, culona!» aveva pensato. Solo che non lo aveva soltanto pensato, lo aveva anche detto, senza accorgersene. Quella si era voltata e gli aveva rifilato uno schiaffo tale da rovesciarlo a terra. Adesso doveva essere successa la stessa cosa…

«Non hai bisogno di parlare, perché io sappia», disse l’uomo, interrompendo i suoi pensieri. «Sarebbe impossibile celare qualcosa a me. Io sono colui che tutto vede e tutto sa. Io ho conosciuto il passato e il futuro. Io sono il signore del presente. E sono tornato per riprendermi ciò che è mio.»

L’uomo si alzò. Ceccarelli tremò ancora più forte.

La curatissima mano dell’uomo si appoggiò sulla figura ritratta sopra la tela e l’accarezzò. Ceccarelli fu certo di aver udito un mugolio di piacere sollevarsi da quella direzione.

«Secoli or sono concessi a un pittore la facoltà di imprigionare sulla tela la Bellezza. La sua anima in cambio della perfezione. Lo confesso: qualche volta vengo gabbato anche io. Troppo tardi mi resi conto di non aver guadagnato nulla, ma solo di aver perso: cosa poteva essere mai, un’anima dannata in più, se per averla rinunciai all’amore? Non è forse l’Amore, il potere più grande di tutti? Madonna Fiammetta fu creata per sedere al mio fianco, per illuminare con la sua meravigliosa presenza il trono delle tenebre. Nei millenni gli uomini la conobbero con nomi differenti: chi la chiamò Persefone, chi Ereškigal. Altri ancora le diedero il nome di Vanth, o di Iside. Ma la verità, una e sola, è che ella è sempre stata la mia sposa e io, scioccamente, la cedetti per un nonnulla.»

Ceccarelli aveva cessato di ascoltare. Udiva soltanto un sordo ronzio, mentre il cervello gli ripeteva: scappa, scappa, SCAPPA!

Troppo facile, pensare di scappare. Il difficile era farlo.

Impossibile, non difficile.

Ceccarelli era immobilizzato.

L’uomo, adesso, sembrava ancora più alto, più bello, più seducente. Era chino sul quadro, lo abbracciava, lo baciava.

«Per secoli», riprese a parlare, «ho cercato di riaverla. Ma non potevo. Ho tentato in ogni modo, ma la sola cosa che ho ottenuto è stato di creare una lunga scia di sangue. Mi palesavo, tendevo le mani, la gente impazziva nel trovarsi al mio cospetto… e non potevo fare altro. Ero legato da un patto. Persino io, il Signore, il Padrone, il Costrittore dei Mondi, non posso sottrarmi a un vincolo! Avevo avuto un’anima! Ero obbligato nei suoi confronti!»

Gli occhi dell’uomo scattarono su Ceccarelli. Erano rossi come la brace. Il ladruncolo fu certo di essere giunto al capolinea. Mentalmente, cominciò a dire le sue ultime preghiere. Si rivolse al Padre perché lo perdonasse…

«Ahhh, zitto!» sbottò l’uomo, infastidito. «Non nominare quel tizio petulante, capriccioso e infantile in mia presenza! Già è difficile sopportarlo con le sue lagne continue e la sua ossessione di non essere adorato abbastanza, figurarsi se mi tocca ascoltare un’orazione nei suoi confronti! Le preghiere devono essere rivolte al benefattore dell’umanità, non al suo nemico più assoluto! E, comunque, non ne hai bisogno!»

Ceccarelli, suo malgrado, svuotò la mente e smise di pregare.

«Ecco, bravo…» riprese l’uomo, ricontrollandosi. «Dicevo che avevo l’Obbligo. Avevo avuto un’anima, non potevo rinunciare, le mie mani erano legate. Ma a tutto c’è un rimedio. Il diavolo non ha bisogno di avvocati, checché se ne dica. Possediamo biblioteche antiche e amplissime, in cui è raccolto il sapere dei tempi. E la soluzione, più semplice che mai, mi si è presentata. Per un’anima avuta, un’anima resa, e il vincolo sarà rotto.»

Lo sguardo fiammeggiante dell’uomo tornò a volgersi sopra il quadro.

«Questo significava rinunciare a qualcuno, in sostanza. Ma a chi? Assassini? Stupratori? Corrotti? Davvero avrei perso tutto questo? Poi ho pensato a te. C’è un posticino che ti attende da quando sei entrato per la prima volta in un tempio per trafugarne un quadretto votivo. Più rubavi, più la punizione aumentava… non sarebbe stata eterna, no. Quasi per nessuno lo è. Alla fine, dopo l’Espiazione, c’è il Nuovo Inizio: stessa anima, nuovo corpo, un mondo che chissà se è questo o un altro. Ma sarebbe durata un tempo consono alle tue azioni: mille anni di tormenti per ogni oggetto rubato.»

Ceccarelli era un uomo intelligente. Ne sapeva anche parecchio di matematica. Non gli ci volle molto a fare una rapida moltiplicazione. Si trattava di almeno mezzo miliardo di anni di torture.

Accidenti

«Sei stato bravo. Hai obbedito ai miei comandi. Non hai preso dal magazzino in cui si trovava il quadro altro all’infuori di ciò che ti ho detto. Se lo avessi fatto, questa notte non mi avresti trovato qui, e la tua punizione sarebbe stata inesorabile. Ora i tuoi peccati passati sono condonati. Non quelli futuri, però: bada bene a ciò che farai. Ho rinunciato alla tua anima per ciò che ha fatto, non per ciò che farà.»

L’uomo lo guardò ancora. Era beffardo, ironico, sinistro.

«Quindi bada a te: sei ricco, ora. Ma se cadrai di nuovo in tentazione… sarai mio!» Il suo tono si abbassò lievemente, pur mantenendo il medesimo accento sarcastico. «Nessuno la fa in barba al diavolo per due volte.»

Detto questo, si volse per l’ennesima volta al quadro. Il suo volto, per quanto fosse possibile, si raddolcì. Forse anche il demonio provava sentimenti d’affetto. Nello stesso momento, una pendola che si trovava in un angolo della stanza cominciò a battere. Ceccarelli la guardò, stupefatto: segnava l’orario più strambo che avesse mai visto. Le tre e trentatré.

La pendola scandì appunto trentatré rintocchi. Al trentatreesimo, l’uomo fece schioccare le dita e, all’improvviso, la tela prese fuoco. Avvampò tutto in un momento, fino a consumarsi completamente.

Abbagliato, Ceccarelli tolse la mano di tasca e se la portò davanti agli occhi per proteggersi. Vide delle immagini confuse. Per un momento, gli sembrò di avere scorto una donna di incredibile bellezza avvolgersi attorno al corpo dell’uomo e baciarlo con voluttà e ardore.

Fu questione di un attimo.

Le fiamme scomparvero con la velocità con cui erano apparse. L’uomo, impassibile, restò fermo davanti a ciò che restava del quadro: una cornice annerita da cui pendevano pochi brandelli di tela incenerita.

«Ci sono due tutori dell’ordine appostati in corridoio», rivelò l’uomo, immobile. I suoi occhi avevano riassunto la tonalità nera. «Non opporti all’arresto. Ricorda… basta un niente, e sarai di nuovo mio. Ti condurranno in caserma, ma non potranno trattenerti. Non hanno prove di qualche tua colpevolezza e non ne troveranno. Se perquisendo casa tua scopriranno un ricco deposito d’oro, non potranno sequestrartelo: il notaio Lucifero Satanassi, di Casa del Diavolo a Perugia, testimonierà che si tratta di una legittima eredità lasciatati da un tuo zio americano. Le tasse di successione sono già state pagate.»

L’uomo fece schioccare di nuovo le dita. Il poco che era sopravvissuto del quadro maledetto di Francesco il Bianco si ridusse in cenere finissima.

«Ora devo andare», rivelò. «Dialogare con te è senza dubbio interessante, per quanto abbia parlato soltanto io… ma vorrai scusarmi. La mia sposa mi attende da secoli e dobbiamo soddisfare la nostra libidine. Ci aspetta, come dire, un amplesso infernale.» Ridacchiò piano della sua battuta. «Le brame d’amore le proviamo tutti, mio caro.»

Ci fu un guizzo. Le fiamme nel camino si spensero completamente, ripiombando la stanza nel buio più assoluto.

Ceccarelli sbatté le palpebre, ma quando tornò a guardarsi attorno scoprì di essere rimasto solo.

 
   
 
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