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Autore: Ghost Writer TNCS    03/09/2022    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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21. La prima armata

«Se non vi dispiace, vorrei scambiare qualche parola con voi» affermò Nambera. Notando le espressioni diffidenti dei due demoni – e in particolare quella vagamente ostile di Tenko –, proseguì: «Vi prego, non sono qui per combattere.»

La giovane non allontanò la mano dalla spada. «Parlare di cosa?»

L’anziana orchessa si guardò intorno. «Venite, andiamo in un posto più tranquillo.»

I due demoni si scambiarono uno sguardo, poi si decisero a seguire Nambera. Lasciarono insieme il campo e poi si allontanarono ancora, fermandosi solo quando furono a debita distanza.

«Allora?» la esortò Tenko in tono ancora diffidente. «Di cosa vuoi parlare?»

«A voi non piace quello che Havard sta facendo. Lo pensavo già prima, e, da quanto ho sentito, direi che ho ragione.» Fece una breve pausa. Una pausa velata di incertezza. Si portò una mano al petto. «Il fatto è che voi non conoscete Havard come lo conosco io. È vero, è sempre stato un po’ arrogante, ma vi assicuro che è anche altruista, giusto, e tutto quello che fa, lo fa per migliorare il mondo. Solo…»

«Solo che sta diventando un tiranno?» la imbeccò Tenko.

Zabar le rivolse un’occhiata di tenue rimprovero.

«Forse» ammise l’orchessa. «Capisco il suo punto di vista, non può migliorare il mondo se il mondo finisce nel caos, però… Lui può essere migliore di così.» Dalle sue parole traspariva tutta la sua dedizione e il suo amore per il figlio di Hel. «Forse… Force c’è un altro modo.»

«Continuo a non capire cosa c’entriamo noi due» ammise Tenko, quasi noncurante delle emozioni dell’anziana.

«Vorrei che parlaste con Havard. Sinceramente.» Scosse il capo. «Non potete mentirgli. Lui sa già cosa pensate davvero. E…» Esitò. «Havard è pronto a uccidervi se vi riterrà una minaccia.»

Scintille di rabbia si accesero negli occhi rosa di Tenko.

Nambera si affrettò a proseguire. «Quindi, vi prego, parlatevi! Adesso, prima che sia tardi!»

«Parlagli?!» esclamò la demone. «Dovrei dirgli che secondo me è uno stronzo arrogante, e che per quanto mi riguarda non è diverso dagli altri dei?! Questo dovrei dirgli?!»

Zabar provò a calmarla. «Tenko, ti prego. Stiamo solo parlando.»

«Ma l’hai sentita?! Ha detto che il suo amico è pronto a ucciderci!»

«Da quanto ho sentito, anche voi siete pronti a ucciderlo» ribatté Nambera in tono calmo ma fermo. «E comunque Havard non vi ucciderà. Non se sarete sinceri con lui. Ditegli la verità. Fategli capire che sta sbagliando. Potreste essere gli unici in grado di farlo.»

La demone serrò i pugni. «E se non funzionasse?! Hai visto cosa fa a chi non gli va a genio!»

L’orchessa scosse il capo. «Quello era per dimostrarsi forte davanti a tutti. Se gli parlate in privato, non avrà motivo di farvi del male.»

«Tenko, credo che dovremmo provare» esalò Zabar. «Io…» Annuì. «Io sono convinto che ci ascolterà.»

La demone sbuffò. «È una pessima idea!» Si voltò dall’altra parte, ma non se ne andò, anzi continuò a pensarci. A riflettere. Forse quello era l’unico modo per mettere a tacere i suoi dubbi una volta per tutte.

Scosse il capo. «Oh, e va bene! Andiamo a recuperare Icarus, la sua parlantina ci farà comodo.»

Nambera sollevò una mano. «A dire il vero, credo sia meglio se andiate solo voi due. Havard… non si fida del tutto del vostro amico.»

«Perché no?» chiese Zabar, stupito.

«Perché gli ha mentito. Ve l’ho detto: Havard è in grado di capire queste cose.»

I due demoni parvero stupiti.

«Mentito su cosa?» chiese Tenko.

«Non lo so a dire il vero. Qualcosa che ha detto al vostro primo incontro.»

Tenko e Zabar si scambiarono uno sguardo interrogativo.

«Non ve ne eravate accorti?»

I due demoni erano sempre più stupiti: avevano ascoltato il racconto del faunomorfo e non avevano individuato alcuna incongruenza in esso.

Un rumore improvviso interruppe il loro discorso: era un corno d’allarme. A cui ne seguirono diversi altri.

«Cosa sta succedendo?» chiese Zabar, preoccupato.

«Nemici» affermò Nambera. «Qualcuno ci sta attaccando. Dobbiamo tornare indietro.»

 I tre si affrettarono a raggiungere il campo, poi proseguirono attraverso la città fino a che non trovarono Havard. L’orco pallido si trovava vicino alla stalla dei draghidi e stava dando disposizioni ai capitani per organizzare le difese.

«La vostra priorità deve essere la difesa del portone» stava dicendo a Bah’soit, il leader della squadra di troll. «All’attacco ci penseranno i cavalieri e la fanteria leggera.»

«Ricevuto, sommo Havard» annuì l’imponente guerriero, alto più di quattro metri. «Non lasceremo passare nessuno.»

«Qraxàr» proseguì il figlio di Hel rivolto al goblin che aveva sostituito Vayàm-fadìr, «preparatevi sulle mura: dovrete aiutare i troll a difendere il portone. Utilizzate tutte le bacchette necessarie, non possiamo permetterci di risparmiare le forze.»

«Sì, sommo Havard.»

«Bene, è tutto» affermò il figlio di Hel. «Il nemico è più numeroso, quindi sconfiggiamolo e prendiamoci anche questo trionfo!»

I suoi guerrieri risposero con un grido di guerra e corsero verso il portone per informare le loro truppe e prepararsi alla battaglia.

«Nambera e Zabar, voi due potete unirvi ai guaritori. Terremo il cancello aperto per far uscire i guerrieri e far rientrare i feriti, quindi state pronti a curarli: non sarà una battaglia facile. Né una breve.»

«Certo, Havard» confermò l’orchessa.

Anche Zabar annuì. Essendo stato devoto a Dían Cécht[14], conosceva diversi incantesimi di guarigione.

«Buona fo-» Si interruppe ricordando le parole di Havard: “Non mi serve la fortuna per vincere. Solo la vostra fiducia e le vostre capacità.”

«Vincete» si raccomandò il demone blu prima di allontanarsi insieme all’orchessa.

«Tenko, andiamo. Il nemico ha quattro draghi, dovremo fare attenzione.»

La giovane non riuscì a nascondere una punta di stupore misto a preoccupazione. Ma non disse nulla. Le parole di Nambera echeggiavano ancora nella sua testa, anche se sapeva che non era il momento di pensarci.

Si infilò l’elmo. La aspettava una dura battaglia, non poteva farsi distrare da nulla.

Una volta all’interno della grande stalla, la demone si diresse subito verso la sua viverna. Anche le cavalcature di Zabar e Icarus erano lì, e in quel momento sulle loro selle c’erano due orchi: dopo lo scontro con gli inquisitori di Darnaka, Havard aveva stabilito che dovevano schierare tutti i draghidi disponibili, e così aveva selezionato due esperti cavalieri nomadi che erano in grado di usare le bacchette magiche.

Appena furono pronti, uno dopo l’altro i quattro cavalieri spiccarono il volo. Tenko osservò il cielo che si avvicinava, assaporò i sospiri del vento mentre prendevano quota, e poi guardò verso terra. Verso il nemico. E il suo cuore perse un colpo.

In un istante tutti i suoi grattacapi su Havard e i suoi metodi erano svaniti: un esercito di oltre un migliaio di orchi faceva apparire insignificante qualsiasi altro problema. Per non parlare dei tre draghi che volavano sopra l’armata, e dell’enorme drago corazzato che la guidava.

La sua viverna, forse intuendo la sua paura, emise un verso amichevole.

La demone prese un bel respiro e le diede un paio di pacche sul collo. «Cerchiamo di non morire almeno noi due, ok?»

Le truppe di Havard si erano già schierate all’esterno di Kyrehsa, così il drago corazzato si fermò a distanza di sicurezza e lasciò che la colonna si aprisse in due ali ai suoi fianchi. L’armata nemica era composta esclusivamente di fanti, infatti – ad eccezione dei draghi – non disponevano di nessun’altra cavalcatura. Il loro equipaggiamento non era omogeneo, ma tutti quanti disponevano di un’armatura di cuoio e di un’arma, generalmente una spada o una mazza. A prima vista nessuno di loro portava uno scudo, e solo gli inquisitori potevano vantare una corazza di metallo.

Sotto questo punto di vista le truppe di Havard, seppur meno numerose, sembravano in vantaggio: avevano più di cento cavalieri su monoceratopi, e tutti i fanti – volenti o nolenti – portavano un robusto scudo.

Forse non erano ancora spacciati.

Dalle fila nemiche si sollevò il roboante fragore di un corno, seguito dall’ancora più fragoroso ruggito del drago corazzato. Era il segnale: i guerrieri del Clero partirono alla carica urlando e sollevando le loro armi, probabilmente per intimorire i difensori.

Tenko provò a capire la loro strategia, ma anche dalla sua visuale privilegiata non riuscì a individuare alcuna logica nella loro corsa disordinata. Al contrario le truppe di Havard cominciarono a muoversi in maniera molto più ragionata: la cavalleria si allargò e caricò dal fianco, mentre la fanteria leggera rimase compatta e con gli scudi alti. L’impatto tra i due schieramenti fu spaventosamente violento, e i guerrieri del Clero ebbero nettamente la peggio: nonostante la disparità numerica, la strategia e l’addestramento delle truppe di Havard si stavano rivelando determinanti.

Un verso acuto e uno scossone riportarono la demone alla realtà: gli inquisitori erano partiti all’attacco. E al contrario delle truppe a terra, i tre erano tutto fuorché disorganizzati.

Uno di loro stava tenendo occupato Havard, mentre un altro lanciò una fiammata in mezzo alle viverne, costringendole a separarsi. Il terzo inquisitore attaccò subito dopo ed evocò una barriera di fumo per isolare uno dei cavalieri nomadi.

L’inquisitore che aveva evocato il fumo si gettò all’attacco sul nemico isolato, ma la viverna schivò di lato. Il rettile era ancora piegato quando il secondo drago lo aggredì e gli azzannò un’ala. La viverna urlò di dolore, l’orco in sella puntò la bacchetta, ma l’inquisitore lo colpì con una palla di fuoco. Il drago sbatté la testa così forte da spezzare l’ala della viverna, poi mollò la presa, lasciando che la sua vittima precipitasse tra i lamenti.

Era successo tutto così in fretta che Tenko non aveva avuto nemmeno il tempo di reagire. E non era finita.

L’altro cavaliere nomade usò la bacchetta per lanciare una palla di fuoco, ma il suo bersaglio schivò abilmente e partì al contrattacco. La viverna si lanciò in picchiata per evitare la fiammata del drago nemico, ma in un attimo l’altro inquisitore la affiancò. Il rettile più piccolo provò a virare, ma il drago allungò gli artigli possenti e aprì degli squarci nelle ali della vittima.

L’orco in sella fece tutto quello che poteva per aiutare la sua viverna, che ormai non poteva più volare. Erano quasi riusciti ad atterrare quando un torrente di fuoco li investì, seguito da un altro altrettanto intenso. Quando i due draghi si allontanarono, dietro di loro restavano solo dei resti carbonizzati.

Tenko sapeva che sarebbe stata la prossima. Lo sapeva anche prima che i due draghi cominciassero a volare verso di lei.

Non voleva morire.

Tirò le redini della sua viverna, spronandola ad allontanarsi. Ma dove poteva fuggire? La prateria era troppo aperta, doveva trovare un rifugio in città.

Fece abbassare la viverna così che volasse lungo una delle strade, e intanto si guardò disperatamente intorno.

Qualsiasi nascondiglio, qualsiasi buco sarebbe andato bene. Qualsiasi cosa pur di…

Il drago di un inquisitore apparve dal nulla, le tagliò la strada e spalancò le fauci. L’ultima cosa che Tenko riuscì a distinguere fu il bagliore in fondo alla gola del rettile.

Havard evocò una barriera per respingere l’assalto dell’inquisitore, poi usò la magia di putrefazione contro il drago del nemico. Questa volta il rettile non riuscì a schivare e urlò di dolore mentre il suo corpo cominciava a decomporsi.

Il figlio di Hel, che con la coda dell’occhio poteva vedere gli altri due inquisitori avere la meglio sui suoi cavalieri, si voltò un istante verso il campo di battaglia: anche se perdeva le viverne, la battaglia non sarebbe finita. E le sue truppe a terra stavano avendo la meglio.

La fanteria stava respingendo i guerrieri grazie agli scudi e alla formazione compatta, i troll davanti alla porta stavano bloccando qualsiasi incursione, e i cavalieri sui monoceratopi stavano falcidiando i nemici con attacchi rapidi e precisi. I loro nemici erano ancora più numerosi, ma una volta eliminati gli inquisitori, Havard e i suoi avrebbero avuto buone probabilità di vittoria.

Il pallido stava per partire all’attacco dei draghi quando una strana sensazione lo costrinse a voltarsi verso il campo di battaglia.

Il figlio di Hel si era chiesto come mai l’inquisitore sul drago corazzato non avesse ancora preso parte alla battaglia, e ora ne capiva il motivo: dal suo corpo aveva appena cominciato a diffondersi una forma di energia insolita, nettamente diversa dalla benedizione di un dio.

In poco tempo tale energia benefica si propagò per tutto il campo di battaglia, guarendo i guerrieri del Clero e dando loro nuovo vigore. Non c’era ferita che quel potere non fosse in grado di curare. Nemmeno le più gravi, nemmeno quelle letali.

Havard riusciva ad avvertire distintamente le anime, dapprima perdute, che rifluivano nei loro corpi per ricominciare a combattere. Perfino il drago che lui stesso aveva ferito stava guarendo a vista d’occhio e presto sarebbe stato di nuovo in grado di volare.

Serrò la presa sul suo bastone d’ossa.

Doveva uccidere quell’inquisitore, o non avrebbero avuto nessuna possibilità di vittoria.

Con un ordine mentale fece scattare il suo drago corazzato, che si avventò senza paura contro il suo simile. L’altro esemplare, più grosso e probabilmente più vecchio, sollevò le zampe anteriori per bloccare l’assalto.

Gli occhi di Havard incrociarono quelli dell’inquisitore.

Il figlio di Hel allungò la mano libera e strinse la presa sull’anima del nemico. La tirò a sé, ma per la prima volta in vita sua avvertì una resistenza. C’era qualcosa in quell’anima che gli impediva di strapparla al suo proprietario.

L’inquisitore lo guardò con severità dall’alto della sua sella. «La tua stupida rivolta finisce qui, assassino.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo abbiamo diversi spunti interessanti.

Innanzitutto c’è il discorso di Nambera con Tenko e Zabar. L’orchessa ha esternato le sue preoccupazioni, e ha anche rivelato ai due demoni che Havard ha riconosciuto le menzogne di Icarus (cosa che, evidentemente, ai due invece era sfuggita).

Poi vediamo il nuovo attacco ad opera del Clero. E non solo gli inquisitori sono riusciti ad abbattere le viverne dei cavalieri di Havard (Tenko inclusa), ma uno di loro possiede addirittura una magia di guarigione in grado di risollevare un’intera armata.

Riuscirà il pallido a guidare nuovamente i suoi alla vittoria?

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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[14] Dían Cécht è un guaritore divino della mitologia irlandese.

   
 
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