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Autore: Sweet Pink    03/09/2022    5 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO DICIOTTESIMO

GRANDE SOIRÉE



§

Risplendevano alla tenera luce delle candele accese, il belletto rosso e i frivoli nastrini



A pensarci bene, era accaduto tutto durante una serata molto simile a quella che da lì a poco avrebbe avuto inizio.

“Giratevi da questa parte, mia signorina.”

Senza un breve cenno d’assenso, né una parola, l’interpellata ubbidì e voltò il voluminoso capo di lato, mostrando al pittore che suo padre aveva messo al suo servizio un viso tanto bianco e perlaceo, da far dubitare appartenesse a una persona vivente. Non a caso, gli occhi assorti e concentrati dell’uomo davanti a lei si spalancarono brevemente, pieni di soddisfatta sorpresa, prima che quest’ultimo si protendesse in direzione dei suoi strumenti di lavoro e ne riemergesse con un lungo pennellino stretto fra le dita aggraziate.

“Ora, aggiungiamo un po’ di colore alle vostre belle labbra” disse con educato entusiasmo, prima di chinarsi nuovamente sul suo volto, che comunque non tradì imbarazzo alcuno. “Io suggerirei un bel rosso appassionato, così da far risaltare il vostro incarnato e abbagliare ogni ospite presente.”

Un fremito di timorosa eccitazione attraversò i grandi occhi nocciola della ragazza, il cui colore era per davvero molto simile a un campo di grano in piena estate. Eppure, nessuno – nemmeno suo padre – avrebbe potuto dire di riuscire a indovinare quanto lei effettivamente fosse in fervente attesa del Grande ballo che avevano organizzato, aprendo le porte a più gente di quanta ne avessero mai invitata in vita loro.

Pure allora la villa strabordava di uomini e donne eleganti, mentre una fresca notte stellata dominava il suo sguardo ancora innocente. Ingenuo.

Non che le importasse davvero il numero delle personalità presenti. Non avevano un briciolo della sua attenzione i pietosi signorotti sempre pronti a farle una corte fin troppo interessata alla sua preziosa dote, le dame giovani e vecchie che lanciavano invidiose occhiate cariche di veleno al suo passaggio: la ammirassero o detestassero pure, fin quanto il loro animo desiderava, perché in ogni caso erano e sarebbero rimaste povere comparse al confronto con l’importanza ricoperta nell’Impero dalla sua famiglia.

Ed era un discorso maggiormente veritiero quella sera perché, dopo tanto tempo, avrebbe potuto rivedere lui.

Oh, si disse la ragazza, era talmente ovvia la sua presenza al Grande ballo; in fondo, come avrebbe potuto sottrarsene?

Nulla, nulla era più importante potergli stare accanto un’altra volta.

La giovane dama abbassò leziosamente le palpebre e chiuse gli occhi, schiudendo appena le labbra con l’intento di agevolare l’operato di colui che aveva l’onorevole compito di renderla una perfetta lady alla moda. “Ora rilassate il viso, signorina Chamberlain” le sussurrò il mastro pittore e lei sentì le setole del pennellino imbevuto di fattibello scarlatto premere sul suo labbro inferiore con ferma delicatezza, decisa precisione.

“Questa vostra bocca da nobildonna pronuncia parole pericolose, signorina.”

Un brivido nascosto, dolce e al contempo tremendo, inseguì la spina dorsale di una Catherine seduta dritta sul suo morbido sgabello di velluto, ma internamente impegnata a sopprimere il caos turbolento che minacciava di mandare a gambe all’aria la sua facciata di aristocratica altezzosa. Un insieme di sgradita ansia ed elettrizzata eccitazione serpeggiava sottopelle, attraversando ogni centimetro del suo piccolo corpo esile, facendole di fatto battere il cuore come un sonoro tamburo di guerra, quasi vi fosse chissà quale battaglia all’orizzonte.

Il morbido pennello scivolava sopra le sue labbra lentamente, ricordandole la morbidezza del bacio che lei e quell’uomo si erano scambiati; i tocchi esperti del pittore rievocavano l’intensità con cui due bocche ansanti si erano incontrate ancora e ancora, insaziabili.

Passione sfrenata mischiata al dolce sapore alcolico del liquore.

Era una ragazza del tutto diversa, ai quei tempi.

Catherine socchiuse gli occhi nocciola ed essi rilucerono assenti alla luce dei ricchi candelabri fatti d’oro, mentre la sua elaborata capigliatura rubina parve prendere fuoco, tanto le pietre preziose incastonate fra i capelli riflettevano il colore aranciato delle fiammelle. La futura Lady Chamberlain piantò le unghie limate e tirate a lucido nel lussuoso satin azzurro della sua veste, trattenendo il tessuto fra le dita minute, tentando con scarso successo di uccidere il ricordo che – inevitabilmente – aveva cominciato a farsi strada dentro alla sua mente.

Una stupida ragazzina inconsapevole e ingenua, che aveva incontrato una bocca colma di disperazione.

“Abbiamo finito?” sbottò corrucciata, infine con l’intenzione di allontanare da sé il pensiero di cui aveva più timore, la consapevolezza che in quegli anni aveva chiuso a chiave dentro a un cassetto della sua memoria, ovviamente giurando di non tornare mai ad aprirlo. “Le prove dell’orchestra staranno giungendo a conclusione, ormai. Se mi farete tardare al ricevimento, sarà a mio padre stesso che ne risponderete.”

L’uomo a cui erano state rivolte le secche parole della ragazza non si scompose troppo ma, anzi, un sorrisetto saccente si dipinse sul suo volto colmo di pazienza; non che fosse una novità per lui – pittore tra i più richiesti dall’Alta Società coloniale – dover affrontare l’atteggiamento capriccioso e scostante della nobiltà. “L’arte non deve avere fretta, signorina” le rispose con assoluta tranquillità, tirando poi fuori dal nulla un oggetto tanto vaporoso quanto piumato, che cominciò a premere sulle gote di Catherine senza troppi complimenti. “Ma non vi spaventate, perché è pur sempre con un professionista che state parlando: un po’di tenero su queste guance ed eccovi pronta. Su, guardatevi allo specchio!”

Tossicchiando infastidita, la ragazza sventolò la mano davanti al viso e disperse gli ultimi grani di polvere colorata che aleggiavano nell’aria. Come accaduto poco prima, non si sognò di rispondere o dedicare un sorriso all’uomo che da ore stava lavorando incessantemente per lei, ma bensì voltò sdegnosamente il nasino dall’altra parte e si specchiò con le sue stesse iridi traboccanti di superficialità.

No, c’erano stati anni in cui il suo sguardo restituiva la stessa allegria e gentilezza di Saffie Worthington.

Catherine increspò le labbra rosse e il suo riflesso fece lo stesso; ed ella vide solo un bel visetto bianco su cui il belletto colorato faceva un contrasto più che evidente, una massa di capelli ramati montati su una impalcatura ridicola e due piccoli seni strizzati tra le stecche di un bustino stretto, asfissiante. Forse suo padre avrebbe gonfiato il petto con orgoglio e l’avrebbe mostrata agli ospiti come la più bella delle creature presenti ma, in un angoscioso attimo, la futura Lady Chamberlain si sentì patetica.

Una ricca donna miserabile e gretta, soprattutto se paragonata alla tenera naturalezza cui la celebrità del momento – l’irriverente e scandalosa Duchessina di Lynwood – aveva fatto breccia nei cuori dell’intera cittadinanza di Kingston: a quanto pareva, la moglie del Generale Implacabile non aveva impiegato che un mese per affascinare finanche i ceti bassi della colonia, attratti dalla noncuranza con cui la ragazza soleva scendere in mezzo alla povera plebe senza battere ciglio. “Figurarsi!” si trovò a considerare Catherine con scettica ironia, distogliendo poi lo sguardo dalla fredda dama al di là dello specchio. “A quest’ora, ogni schiavo o domestico starà schiumando invidia per coloro che servono sotto la benevolente protezione di Saffie e Arthur Worthington!”

C’erano stati giorni in cui anche lei aveva scioccamente creduto di poter essere amata dalla città in cui era nata e cresciuta. Giorni perduti dietro un velo di amarezza e cinismo, delusione.

“Dite, non vi sentite splendida come una regina?”

La ragazza si voltò rigidamente, mostrando al mastro pittore in attesa un’espressione di sofferente insufficienza. “Un lavoro decente, oserei dire” lo ghiacciò sul posto Catherine, alzando le spalle con un gesto di frivola noncuranza e infine congedandolo in due secondi, sventolando la sua bella manina curata in direzione della porta di servizio, quella riservata ai servi di casa. “Il ballo più atteso della stagione comincerà a breve, signor…oh, qualsiasi sia il vostro nome! Di certo capirete il motivo per cui non potete andarvene da dove siete arrivato, non è vero?”

Ovviamente non aspettò di vedere nessun indignato sconcerto dipingersi sul viso dell’uomo, perché la sua figura esile si rivolse per la seconda volta allo specchio e a colei che vi intravedeva dentro.

Pigre ore notturne, vissute tra le lacrime di una attesa infinita, i momenti che avevano mutato per sempre i suoi occhi.

Forse il pittore avrebbe voluto dire qualcosa, ma la signorina Chamberlain sapeva che la sua posizione di figlia di un Lord facente parte del consiglio coloniale l’avrebbe salvata da qualsiasi aperta riprovazione; solo, intravide con la coda dell’occhio l’uomo prendere la porta a larghi passi furiosi e sparire con lo stesso cipiglio di glaciale distanza di chiunque gravitasse attorno alla sua vita fatta di deliziosi nastrini e belletti dai colori brillanti.

Non importava. La Grande soirée stava per iniziare e lei avrebbe potuto incontrarlo ancora, dopo che l’uomo era stato assente dalla Giamaica per sei lunghi mesi; ci sarebbe stata occasione di passare un’intera serata nello stesso posto e vederlo sorridere con l’identica elegante raffinatezza del giorno in cui l’aveva conosciuto.

Lo stesso giorno in cui le ombre della notte avevano celato una passione intensa e inaspettata. Le stelle brillavano meravigliose la notte in cui lui le aveva rubato cuore e innocenza.

Catherine allungò una mano lentamente, le dita protese verso la sé stessa dello specchio, i cui occhi tristi e impauriti ora non si nascondevano a persona alcuna. “Ricordi, anche quattro anni fa c’era una notte bella come questa” bisbigliò a un interlocutore invisibile e sconosciuto, ignara del tormento che ora minacciava di esploderle dolorosamente nel petto.

Stupida donna viziata.

Le iridi attraenti della ragazza si riempiono di insopportabili lacrime e quest’ultima le odiò, visto che rischiavano di rovinarle il suo bel visino fresco di trucco.

Puoi farti bella quanto vuoi, ma lo sguardo dell’uomo che ti ha voltato le spalle non si rivolgerà mai verso di te.

“Continui a torturarti e ad amare quella donna, malgrado tu ben sappia quanto ella sia irraggiungibile” disse al riflesso con improvvisa rabbia, chiudendo la piccola mano a pugno, sopra agli occhi disperati e rossi dell’altra sé stessa.

Era la Grande Soirée, la sfortunata notte in cui avrebbe incontrato l’uomo che amava senza avere alcuna speranza.


§

Una imponente villa di marmo candido, nei cui giardini si affaccendavano le lucciole



Il Grande ballo promesso da Richard Chamberlain era iniziato da due ore e nello spazioso cortile della tenuta continuavano a giungere sia lussuose carrozze trainate da cavalli abbigliati con vezzose piume di pavone, che calessini di dimensioni ben più contenute; mentre c’era persino chi varcava a piedi gli alti cancelli della proprietà, dimostrandosi tanto volenteroso di partecipare al ricevimento, da non dar peso né alla camminata in salita, né a quanto fosse socialmente discutibile arrivare in quel modo.

Centinaia di capi acconciati secondo le ultime tendenze del Vecchio mondo si accalcavano sulla soglia di casa del Lord; e i proprietari di suddette teste allungavano il collo, si alzavano in punta di piedi, pur di dare una sbirciata ai divertimenti che li attendevano oltre al mastodontico colonnato di ingresso. D’altronde, Richard Chamberlain stesso aveva curato l’organizzazione della serata, assegnando a ognuna delle sue ariose stanze un ruolo ben preciso nella grande e opulenta macchina della Grande soirée: vi era, ovviamente, un salone dedicato al ballo, già occupato da chi si era buttato nelle contraddanze e nelle schermaglie di seduzione; una camera in cui erano i giochi di carte e – per i signori – il Gioco d’azzardo a fare da padroni, pure se non bisognava sottovalutare nemmeno il resto della tenuta, dove le sale facevano sfoggio non solo di angoli in cui sedersi e conversare, ma anche di spettacoli circensi in miniatura, eseguiti con maestria da artisti che il Lord aveva profumatamente pagato per l’occasione.

Insomma, agli occhi di un nuovo avventore, partecipare al ricevimento equivaleva a farsi travolgere da un’esplosione di musiche orchestrali e colori vivaci, entrare in un fantomatico mondo fatto di sfarzi che chiaramente non trovava alcun riscontro nella ben più crudele realtà di ogni giorno.

Sebbene i denari spesi da un soddisfatto Richard arrivassero vicini alle esorbitanti cifre investite nelle Corti Reali del Vecchio continente, l’eleganza pretenziosa dei ricchi ospiti non riusciva comunque a essere all’altezza delle feste che lì vi si tenevano. In effetti, ad attirare l’attenzione della folla non fu la bella ereditiera dei Marshall – giovanissima, con i suoi diciassette anni appena compiuti – né il libertino più eccentrico della colonia caraibica, il signor Trevor Cavill, detto anche lo Spezzacuori; ma bensì furono i coniugi Worthington a calamitare gli occhi di tutti i presenti.

In barba a qualsivoglia canone estetico, non c’era dama che non trattenesse il fiato emozionata, di fronte alla figura possente e statuaria del Generale Implacabile, i cui severi occhi verdi contribuivano ad alimentare uno strano magnetismo, costituito da un fascino sì intelligente, ma al contempo brutale e selvaggio: pareva quasi l’uomo incarnasse un territorio tanto misterioso quanto proibito, dolcemente pericoloso. Infine, Arthur passava accanto alle suddette signore con galante indifferenza, provocando i loro sospiri rassegnati e, di conseguenza, attirando occhiate di fuoco da parte di molti signorotti invidiosi e ignorati.

Alla stessa stregua del marito, Saffie Worthington camminava serafica accanto all’Ammiraglio e la sua figura minuta, da ragazzina innocente, si muoveva con grazia innaturale attraverso il flusso di invitati, a cui la Duchessina dedicava qualche gentile cenno del capo o tenero sorriso di circostanza. Non indossava alcuna parrucca, né il suo adorabile viso riluceva di bianco alla luce delle candele accese, ma il filo di perle e fiori freschi che adornava i suoi lunghi capelli raccolti – insieme a due iridi luminose e splendide – bastò per far voltare più di una testa nella sua direzione.

La notevole differenza di altezza fra Arthur e Saffie, poi, faceva sembrare lui un gigante e lei una bambina, come se entrambi fossero usciti direttamente da una ignota fiaba. Ne risultava quindi una coppia bizzarra, ma tanto incantevole da non riuscire a fare a meno di seguirla con lo sguardo.

Non che l’Ammiraglio e la Duchessina dessero realmente peso ai bisbigli celati dietro a ventagli merlettati o a mani guantate, al chiacchiericcio pettegolo che la loro prima apparizione pubblica doveva aver scatenato nella gente in fermento: in fondo, entrambi conoscevano fin troppo bene le regole del gioco, vista la durezza degli insegnamenti che ne avevano costellato l’adolescenza e le soffocanti aspettative scaricate su di loro, figli primogeniti di due tra le famiglie più potenti dell’Impero Britannico. Erano le pesanti catene forgiate da Alastair e Simeon, infine costituite da sciocche convenzioni sociali e superficiali regole di comportamento, atte a garantire la continuità dell’altezzoso splendore dei Worthington e dei Lynwood.

Due bugiardi in catene, per l’appunto. Ipocriti che avevano imparato alla perfezione la loro parte nella farsa.

Questo fu il pensiero di una imbarazzata Saffie mentre, di nascosto, lanciava l’ennesima occhiata fugace in direzione del volto impassibile del marito, chiuso nel suo consueto contegno elegante e dignitoso. Gli occhi grandi della ragazza si soffermarono un secondo di più sullo sguardo smeraldino dell’uomo che, ovviamente, non si era più sognato di guardarla in faccia dal momento in cui si erano incontrati: le sue incredibili iridi chiare se stavano ostinatamente puntate in avanti, tanto severe quanto inaffrontabili.

E dire che, fino a un’ora prima, la Duchessina avrebbe scommesso di aver letto un qualcosa di diverso nell’espressione sorpresa dell’Ammiraglio. Arthur l’aveva infatti osservata avvicinarsi a lui e salutarlo con la stessa aria di un bambino spaventato ma, alla fine, una rassegnata malinconia aveva aleggiato per un attimo sui suoi lineamenti virili.

Buonasera” aveva poi sillabato Worthington in tono freddo e asettico; tanto distaccato che a Saffie era sembrato di non riconoscerlo. Forse, una coltellata in pieno petto avrebbe causato meno dolore poiché, dopo ciò che era successo fra loro l’ultima volta, la ragazza si era aspettata tutto meno che un atteggiamento indifferente da Arthur.

“Perché la tua esistenza deve torturarmi così?”

Oh, era stata bruciante la delusione provata, fuoco che andava a consumare le sue timide e ingenue speranze.

Allora Saffie non aveva trovato di meglio da fare che voltare il capo di scatto, con noncuranza, dedicando un falso e costruito interesse all’attempata dama che stava facendo compagnia al marito. Quest’ultima l’aveva squadrata da capo a piedi, prima di aprire la larga bocca truccata e sommergere con la sua voce stridula sia lei che Benjamin Rochester di vane chiacchiere; l’ammiraglio Worthington non aveva fatto nemmeno in tempo a presentarla, che la donna già aveva raccontato metà della sua vita di povera vedova altolocata.

Come se non bastasse, dieci minuti dopo un Lord Chamberlain più che festaiolo era piombato loro addosso indossando il suo sgargiante completo dorato e, allargando gaiamente le braccia corte, si era messo subito al fianco di Saffie, sentenziando quanto fosse imperativo per la Duchessina vedere le delizie che la casa aveva da offrire. “Seguitemi, signori!” aveva esclamato l’ometto, probabilmente ringalluzzito dall’alcool che aveva cominciato a scorrere a fiumi. “Oh, anche voi, Worthington! Non vorrete lasciare vostra moglie in balia di questa calca, non è vero?”

No di certo, vero, Arthur?” gli aveva fatto eco il signor Rochester, prima di nascondersi a sua volta dietro un elaborato bicchiere di cristallo, prevedendo l'occhiataccia che da lì a poco l’avrebbe fulminato sul posto.

Un bagliore di puro e rabbioso sprezzo era in effetti balenato negli occhi di Arthur, sebbene egli non avesse perso un briciolo del suo odioso autocontrollo nemmeno in quel frangente, visto che Saffie aveva sussultato sorpresa, nel vedere il braccio del marito sporgersi con gelida cortesia nella sua direzione. Un gesto formale e dovuto, che l’uomo aveva compiuto senza voltarsi verso di lei.

“Pare che vostro marito salperà al più presto, mia cara.”

Un groppo di amara sofferenza si era incastrato nella gola della ragazza, mentre le sue piccole dita si stringevano sulla morbida manica dell’Ammiraglio. Non aveva sprecato fiato per alcuna parola di ringraziamento, visto che Arthur stesso evidentemente non pensava ci fosse bisogno di scambiare due frasi in croce.

Scorretto e sleale. Tanto da voltarmi le spalle e andartene, dopo avermi spezzato il cuore.

In questo modo era passata la prima ora di ricevimento, tra saluti e presentazioni di rito che mai avevano trovato la strada per una conversazione decente fra i due.

“Perché…Perché ancora non mi hai degnato di uno sguardo, di una parola?” pensò la Duchessina, ricacciando indietro lacrime tanto inopportune quanto traditrici. Il suo stesso cuore era un traditore, visto che batteva forte nella cassa toracica senza lasciarle un attimo di pace: la ragazza lo odiava e odiava sé stessa, per aver passato ore davanti alla toeletta con il desiderio di poter far breccia nell’impassibile marito, di avere la possibilità di parlare con lui e chiedergli della sua partenza. Ringraziarlo per aver salvato la vita a Earl.

Si trattava della questione che più le premeva risolvere ma, di fatto, non era certo l’unica a turbarla.

“Non trovi che sia bellissimo, Saffie?”

Già, così bello da arrossire come una sconsiderata ogni qual volta i suoi occhi saettavano sulla sua figura alta, autoritaria. L’unico vero risultato che Saffie era riuscita a raggiungere in quei lunghi minuti, alla fine della giostra, consisteva nell’aver accumulato quintali di imbarazzo represso e nell’impossibilità di respirare senza sentirsi andare letteralmente a fuoco; questo, perché Arthur era una vera tortura da osservare: non indossava la sua solita divisa da Alto Ufficiale, ma un elegante completo blu notte, formale e costoso, la cui giacca di seta era intessuta di sottili filamenti argentati che andavano a disegnare forme evanescenti, indistinte; al contrario della maggioranza dei gentiluomini presenti, non indossava alcuna parrucca e le onde dei suoi capelli bruni scivolavano scandalose sul fazzoletto bianco legato attorno al collo.

Così bello, così abbagliante, da dubitare lui possa un giorno abbandonare il suo abisso per una come me.

Saffie era tanto presa dai suoi cupi ragionamenti e dal suo tormento che, pure volendo, non avrebbe potuto indovinare in quale enorme misura l’Implacabile stava facendo forza su sé stesso per mettere a tacere l’insaziabile fame annidata dentro al suo animo oscuro. Da quando i suoi occhi si erano posati sul piccolo corpo della moglie, un aberrante misto di vergogna e lussuria si era fatto strada con forza nelle sue viscere, travolgendogli il cuore e provocandogli il bisogno impellente di portare Saffie via con sé, imprigionarla fra le ombre della villa e baciarla, farla di nuovo sua.

Riversare la sua disperazione, il sentimento che non sapeva esprimere a parole, dentro di lei.

Gli occhi chiari di Arthur slittarono verso il basso, soffermandosi sulla ragazza e sulla generosa scollatura del suo abito rosa pastello, che lasciava a malapena intravedere l’incavo del suo piccolo seno; accorgendosi di star arrossendo leggermente, l’Ammiraglio cercò di distogliere lo sguardo e le sue iridi si sollevarono pigramente, incontrando per sua sfortuna la morbidezza di due labbra umide e truccate. Invitanti.

Ma poi feriresti ancora il suo cuore, Arthur…perché è questa la tua disgustosa natura di figlio illegittimo.

Non puoi nemmeno essere paragonato a Earl Murray.

La tristezza nascosta e profonda di Arthur, la stessa colta brevemente da Saffie poco prima, fu la dolorosa forza che lo spinse a distogliere lo sguardo dal visetto sorridente della moglie ed egli osservò – non senza una buona dose di amara ironia – che, se dovevano essere simili in qualcosa, questa era l’eccezionale capacità di fingere. Sicuramente suo padre e Alastair Lynwood sarebbero scoppiati d’orgoglio nel vederli in quell’esatto momento; l’impeccabile Generale e la pacata Duchessina, i figli che con tanta determinazione avevano plasmato a loro immagine e somiglianza.

Eppure entrambi avevano colto l’uno negli occhi dell’altra, la loro personale crepa sulla superficie dello specchio.

“Dio” imprecò Arthur tra sé, stringendo le mani grandi a pugno e inchiodando gli occhi sulla schiena snella del maledetto fratello adottivo che, apparentemente ignaro di tutto, lo aveva lasciato indietro insieme a Saffie per cominciare a parlottare beatamente con Lord Chamberlain. “Devo lasciare la città al più presto.”

Dopo una risatina frivola, Richard si voltò appena e dedicò un sorrisetto divertito in direzione della moglie di Worthington, prima di dire: “Assolutamente splendido, non trovate? Vi imploro di descrivere la festa nei suoi minimi dettagli, la prossima volta che invierete una lettera al Duca Vostro padre!”

“…d’accordo? Aspetterò con ansia una tua lettera e…e anche a tuo padre farebbe piacere riceverne.”

Un piccolo sussulto sorpreso scosse le spalle di Saffie ed ella concesse all’ometto davanti a lei un debole cenno d’assenso, cercando di ignorare al contempo il Generale Implacabile, che aveva girato la testa e se ne stava a guardarla con chissà quale espressione fredda stampata in faccia. “Vi autorizzo a riprendermi, se non dovessi scrivere almeno due pagine in merito al Grande Ballo, Lord” scherzò infine la ragazza, senza osare alzare lo sguardo su Arthur e pensando che, chissà, magari sentire nominare suo padre dopo diverse settimane aveva riportato l’uomo al giorno in cui avevano ripudiato il loro legame crudele.

“Tu sei un mostro, Arthur.”

Il senso di colpa le morse ferocemente lo stomaco e fu l’unico sentimento che riuscì a riconoscere, prima che qualcuno o qualcosa decidesse di piombarle addosso con forza e sospingerla all’indietro, minacciando di farla cadere tra la calca che camminava alle sue spalle. La ragazza alzò gli occhi spaventati di scatto e fece in tempo a cogliere un guizzo brillante e giallo, evidentemente il colore dell’abito indossato dalla giovane dama che l’aveva urtata con così tanta irruenza; eppure, sopra ogni cosa, fu la presa salda di due mani forti ad annichilire ogni suo pensiero.

“Lo chiamano Implacabile, ma penso tu abbia visto benissimo la reale natura del suo cuore.”

Dimostrando di avere per davvero dei riflessi micidiali, Arthur Worthington afferrò Saffie per la vita e se la tirò addosso in un baleno, contro la soffice stoffa della sua lunga giacca pregiata.

“Oh, Giusto Cielo, vi chiedo immensamente perdono, signora!” chiocciò l’ignota nobildonna con una risata dall’intonazione tremula, stravolta con ogni probabilità dai numerosi bicchierini già svuotati. Detto questo, ella rivolse un malizioso battito di ciglia all’Implacabile e riprese la sua strada, ridendo a crepapelle insieme ai suoi altrettanto alticci accompagnatori, due giovanissimi gentiluomini dai justaucorps striminziti.

"Donna sconsiderata" commentò l’Ammiraglio sottovoce, lanciando un’occhiataccia alla nobile in allontanamento, ma continuando a premere con gentile delicatezza la mano aperta sulla schiena della moglie, trattenendo il suo corpo minuto contro di lui e proteggendola così dalle persone di passaggio nell’ampio corridoio sovraffollato.

Dal canto suo, Saffie provò l'impellente bisogno di seppellirsi sotto i marmi dal pavimento, tanto ebbe paura che tutta Villa Chamberlain potesse sentire il battito impazzito del suo cuore colto alla sprovvista. E fu del tutto assurdo, in un momento simile, ricordarsi di un lontano ricevimento nel Northampton, dove l’Ammiraglio aveva protetto Amandine allo stesso modo.

L'aveva trattata come il suo tesoro più prezioso.

Due occhi spalancati, da cerbiatta intimorita, si sollevarono sul volto brutale e severo di Arthur che, forse sentendo quel magnifico sguardo inchiodato su di lui, abbassò a sua volta la testa bruna, lasciando alla ragazza l’occasione di indagare un'espressione strana, di ammaliante turbamento.

Ma è questa tua gentilezza nascosta, Arthur, che mi fa impazzire sul serio.

Per evitare di cadere addosso al marito, Saffie aveva istintivamente appoggiato le mani sul suo petto solido e, in quel secondo di stasi irreale, Worthington poté sentire fin troppo chiaramente il tocco leggero dei polpastrelli della ragazza insinuarsi appena sotto la sua giacca di seta, trasformandosi in una misera carezza quasi casuale.

“Non ho alcun bisogno di scappare…Io sono tua, ormai.”

Ancora, le iridi luminose di Saffie lo osservavano piene di un'innocenza controversa, davanti alla quale l’uomo era sempre stato stupidamente debole; una scarica di insopportabile desiderio lo sconvolse e lui riuscì solo a pensare: "Smettila di guardarmi così, maledizione”.

Come se la stessa Duchessina non fosse ipnotizzata dalla liquida e oscura eccitazione presente negli occhi chiari dell'Implacabile, dal tiepido calore emanato dal suo corpo alto e imponente. Le sue dita penetrarono inconsciamente sotto il gilet blu dell’uomo, accarezzando la stoffa della camicia bianca, percependo i suoi muscoli tesi e ben definiti.

E fu una tortura piacevole, un incantevole colpo all’anima, sentire la stretta della mano di Arthur premere nervosamente su di lei, bruciare sulla sua schiena percorsa dai brividi. Quasi non le importava di poterne di nuovo soffrire terribilmente.

Portami via da qui e consumami con la tua disperazione. Divorami.

"Saffie” la redarguì l’uomo con voce roca, trasformando il suo nome in un sussurro sì guardingo, ma colmo di sofferta tentazione.

Non tentare un uomo disperato.

Il viso dell’interpellata si colorò di rosso ciliegia e Arthur sciolse in silenzio quel loro abbraccio incidentale, voltando freddamente il capo dall’altra parte, così incontrando l’espressione di pietrificata cortesia con cui Catherine Chamberlain si stava facendo loro incontro: l’unica figlia di Richard avanzava difatti fra gli invitati senza alcun bisogno di sgomitare o lasciare a persona alcuna il passo, poiché erano gli stessi ospiti a scostarsi con garbata educazione al passaggio della padrona di casa, concedendole inchini e riverenze ricambiati con noncurante superiorità.

“Ah, figliola cara! Cominciavo a temere che le danze e le chiacchiere di Trevor Cavill ti avessero rapita!”

La ragazza rispose con una smorfietta sdegnosa all’esclamazione gioiosa del padre, poiché i suoi occhi nocciola si rivolsero subito sulla figura imponente di Worthington. “Generale!” lo chiamò quindi, schiudendo le belle labbra scarlatte a formare un sorriso tanto seducente che avrebbe trafitto il cuore di più di un gentiluomo. “Vi ho trovato, finalmente!”

Decisa e leziosa come una principessa, Catherine non aspettò di udire la risposta dell’uomo per avvicinarsi a lui e alla moglie ma, al contrario, li raggiunse con l’aria più soave del mondo, passando accanto a Benjamin Rochester senza degnarlo di uno sguardo; e, in un qualche modo, sembrò a tutti che la ragazza non l’avesse nemmeno visto o non lo ritenesse degno di respirare la sua stessa aria.

“Non sapevo di essere tanto ardentemente atteso, signorina” fu il commento neutro dell’Ammiraglio, il cui tono si intenerì un poco e gli valse un’occhiata perplessa da parte di Saffie.

“Mi dovete ancora un ballo, ricordate?” chiocciò la futura Lady, aprendo il ventaglio ricamato e nascondendosi dietro di esso, prima di lanciare un’occhiata irriverente a una ghiacciata Duchessina di Lynwood che, dall’altra parte, non avrebbe mai ammesso di star covando tonnellate di gelosa collera. “Me l’avete promesso giusto prima che partiste per l’Inghilterra! Oh, non temete signora Worthington: vi assicuro di restituirvi il mio amico tutto intero.”

Tra i fumi velenosi della sua non richiesta gelosia, uno spasmo di paura torse lo stomaco di Saffie e un pensiero crudele le oscurò la mente per l’ennesima volta.

Ingenua. Credi di essere stata la prima, l’unica, che la sua insaziabile sofferenza ha consumato?

Se Catherine Chamberlain aveva pensato di mettere in difficoltà la ragazza al suo fianco, beh, era destino dovesse rimanere amaramente e totalmente delusa: pene d’amore o no, la signora Worthington rimaneva pur sempre la figlia preferita del Duca Alastair e non era di certo un caso se a lui tanto rassomigliava, malgrado lei per prima detestasse questo fatto. “Non mi preoccupo di certo” fu dunque il commento divertito di Saffie, le cui iridi improvvisamente beffarde scivolarono pigramente sul viso bianco della giovane. “Sarei oltremodo sconcertata e delusa, se mio marito non riuscisse a tenere il passo di una fanciulla ancora così inesperta. Anzi, oserei forse temere che possa finire per trarne noia!”

Questa sofferenza è niente, Saffie. Chiudi il cuore e fatti rispettare, perché è in mezzo agli squali che stai nuotando.

Un’espressione livida velò i lineamenti bianchi della signorina Chamberlain, ed ella irrigidì le piccole membra tremanti di vergogna in mezzo secondo.

“Forse non vi sovviene che io e voi abbiamo pressappoco la medesima età, signora.”

Al basso ringhio di Catherine, la ragazza castana drizzò la testa con uno stupore tanto finto quanto adorabile, portandosi poi la mano destra sulla guancia leggermente abbronzata dal sole. “Quale fortuna avete!” asserì allegramente, continuando però a tenere lo sguardo piantato in quello dell’altra. “Dimostrate tanti meno anni della vostra reale età…e dire che siete un fiore!”

In questa maniera – in quattro e quattr’otto – Saffie aveva distrutto le provocazioni della signorina Chamberlain senza compromettere la sua reputazione, o risultare fuori luogo. Oh, considerò poi la Duchessina, sicuramente dall’altra parte dell’oceano ad Alastair e Cordelia sarebbero fischiate le orecchie!

“Via via, figliola!” intervenne la vocina allarmata del Lord, preoccupato per la maggior parte di poter perdere il favore dei Worthington a causa dei vanesi capricci della sua unica erede. “Lascia correre i tuoi futili desideri per una volta e passa un po’di tempo in compagnia del tuo vecchio! Stavo giusto per portare i nostri tre ospiti nella sala del Gioco d’Azzardo; perché non ti unisci a noi, per cominciare?”

Stranamente, gli occhi chiari dell’interpellata furono attraversati da un sentimento di incertezza che a Saffie non sfuggì e, mentre la prima si trovò ad abbassare con ubbidienza il magnifico capo rosso rame, all’altra venne da considerare – del tutto pazzamente – che con quel gesto la figlia del Lord le aveva ricordato sé stessa.

Come era identica la loro irriverenza testarda, che tanto sembrava piacere ad Arthur Worthington.

Lo spasmo si fece sentire per la seconda volta nelle viscere della ragazza castana ed ella si costrinse a dimenticarlo, reprimerlo sul fondo di un’anima esausta. Fu probabilmente per distrarsi, che Saffie rivolse il visino verso l’unica figura presso cui credeva di poter trovare un supporto, una simpatica empatia: al contrario del previsto, il suo sguardo non incontrò affatto il volto affilato e gentile di Benjamin. La figura magra del signor Rochester era sì in piedi a qualche metro da loro, ma se ne stava girata freddamente dall’altra parte e studiava con aria assente il viavai di persone eccitate come un fantasma avrebbe osservato un mondo estraneo, di cui non desiderava fare parte.

Due biglie nere e distaccate brillavano dietro la montatura sottile, mentre il padre di Ben decideva di prendere un altro abbondante sorso dal suo bicchiere colmo di liquore; e la Duchessina considerò che non era solo Arthur a comportarsi diversamente dal solito quella sera.

Un non detto aleggiava su tutti loro, povere creature che non potevano fare altro se non mentire a loro stesse.

Spronati dalla stancante gaiezza di Lord Chamberlain, la combriccola ricominciò a camminare verso il fondo del corridoio. Eppure, nessuno notò il fatto che Arthur fosse rimasto volontariamente indietro a chiudere la fila; come, in effetti, non un anima si accorse del sorriso leggermente divertito che sfuggì al suo impeccabile autocontrollo e gli piegò all’insù le belle labbra sottili.

Un movimento pigro delle dita lunghe e l’uomo si portò la mano alla bocca, nascondendo al mondo il momento di debolezza che la perspicace intelligenza di una certa persona gli aveva provocato.


§

La musica di mille strumenti magici suonava per loro, fino ad arrivare alle stelle lontane



All’interno del Salone da ballo, i cui marmi erano stati tirati a lucido dall’esercito di domestici dei Chamberlain, due lunghe file di uomini e donne stavano in attesa di poter dare inizio alla prossima danza, scambiandosi di tanto in tanto occhiate colme di allegra malizia, disinteressata cortesia o timido imbarazzo.

La ricca orchestra ingaggiata per l’occasione – la stessa presente alla festa d’insediamento dell’importante Ammiraglio Worthington – mise mano agli strumenti e, dopo un secondo di silenzio eccitato, le prime note vibrarono nell’aria, andando a formare la melodia ritmata di una scatenata Country dance. Ed era di una ipocrisia stupefacente, il fatto che una danza nata durante le umili feste rurali inglesi, avesse ora conquistato i salotti eleganti e le Corti Reali del mondo occidentale.

Non che Saffie di Lynwood avesse la serenità e il lusso di potersi soffermare su una consapevolezza del genere, poiché era troppo impegnata nel ballare con il suo ossequioso cavaliere e al contempo mettere a tacere l’opprimente peso che gravava sul suo cuore da quando aveva incontrato gli occhi distanti di Arthur. Una insopportabile forza premeva sul suo petto e sulla sua anima delusa, tanto da sfidarla a trattenersi dal piangere di fronte alle centinaia di personalità pronte al pettegolezzo.

Perché, sul serio, come poteva l’uomo trattarla in quel modo, dopo aver per primo superato il limite che avevano scelto di tracciare? In quale crudele maniera, ora, decideva di non rivolgerle la parola e andarsene via, quando era stato lui a imprigionarla, a torturarla, fra le ombre della città?

Come, esattamente, lei stessa non era riuscita a intravedere l’aberrante verità delle cicatrici che gli deturpavano il corpo?

Eccola spiegata, infine, l’origine del profondo abisso sul cui fondale il vero Arthur continuava a sedere, spaventato e indifeso.

“Questo significa essere me. Vattene via da qui…tu non puoi comprendere.”

Il grosso nodo incastrato nella sua gola si fece tanto intricato e doloroso da sopportare, che la ragazza castana dubitò per un attimo di poter sostenere la sua impeccabile maschera di giovane nobildonna dell’Alta Società. Agli occhi superficiali degli avventori, la moglie del Generale Implacabile forse pareva una fanciulla adorabile, mentre volteggiava con grazia per la sala insieme a Lord Chamberlain, ma Saffie ben sapeva qual era l’ardente desiderio del suo cuore speranzoso: trovare l’opportunità per poter stare sola con il marito, sebbene l’uomo per primo non desse a vedere di morire dalla voglia di affrontarla.

“Eppure” pensò la ragazza, lanciando un segreto sguardo all’imponente figura dell’Ammiraglio, appoggiato alla parete sul fondo della sala. “Prima mi hai stretta fra le braccia come se io fossi un tesoro per te prezioso.”

La Duchessina riuscì appena a intravedere Arthur prendere un sorso dal bicchiere che stringeva fra le mani e spostare i suoi incredibili occhi smeraldini su Benjamin Rochester, pure se non pareva molto interessato a ciò che il medico gli stava dicendo. Worthington era un uomo distante da tutto e da tutti, ma così magnetico da attirare ogni sguardo; talmente nascosta era la sua tristezza infinita, che a Saffie venne l’impulso di piantare in asso Richard Chamberlain e correre da lui, ergersi in punta di piedi e stringerlo a sé con forza.

Ricominciare a condividere con lui la sofferenza del legame crudele, da cui poteva nascere una vita diversa.

Ma quell’istante passò, tra i movimenti e le note della allegra melodia. Rossa in viso e con il cuore in tumulto, Saffie fu costretta a ruotare su sé stessa e cambiare posizione, porgere poi la mano a un Lord a corto di fiato. “Almeno questa danza è divertente” le venne da considerare, saltellando due o tre volte sul posto, mentre l’ometto davanti a lei faceva lo stesso. “Se solo ripenso alle tremende ore passate nella Sala del Gioco d’azzardo!”

C’era da ringraziare il Cielo, se i lunghi minuti in cui era stata costretta a condividere il tavolo con la signorina Catherine erano giunti a conclusione senza drammi. Una volta entrate nella sala piena zeppa di giocatori – soprattutto uomini pronti a perdere interi capitali – le due dame erano state fatte accomodare al tavolo dell’innocuo Tressette mentre, con grande disperazione della padrona di casa, Arthur Worthington aveva raccolto la sfida di coloro che stavano giocando d’azzardo al Faraone.

Ovviamente, l’uomo eccelleva anche nel campo delle carte e Saffie stessa non aveva potuto fare a meno di girarsi nella direzione dell’affollato tavolo dietro cui il marito era seduto, ammirando di nascosto la noncurante sicurezza con cui faceva le sue giocate; infine imbarazzandosi alla medesima stregua di una bambina, quando i gentiluomini lo accusavano scherzosamente di star spillando loro tutti i risparmi e lui rispondeva con un ironico: “Siete voi signori ad avermi implorato di sfidarvi e mandarvi in rovina”.

Appariva a tutti sempre così perfetto. Abbagliante.

Allora la ragazza girava la sua elegante chioma ornata di fiori, nascondendo il suo sentimento dietro alle carte e tornando a dare attenzione al chiacchiericcio insofferente di Catherine. In fondo, era più bizzarro che fastidioso il comportamento della giovane dai capelli rossi: rivolgeva il suo sguardo e la sua parlantina solo alla moglie di Worthington, ignorando a piè pari la presenza del signor Rochester che – poveretto – era stato costretto dagli eventi a sedere insieme a loro.

“Ora che il Generale è così impegnato da abbandonare noi fanciulle al nostro destino” aveva infatti chiocciato la signorina Chamberlain, girando l’esile busto e quasi dando le spalle a un Benjamin dall’atteggiamento a dir poco glaciale. “Siete obbligata a raccontarmi del vostro primo incontro! È stato nei pressi della tenuta dei Lynwood?”

Saffie aveva lanciato uno sguardo supplichevole sul medico ma, di nuovo, era stata delusa nel vederlo rinchiuso in un mutismo alquanto anomalo. La ragazza l’aveva infatti osservato posare distrattamente il bicchierino colmo di chiaretto sul tavolo e pescare poi una carta dal mazzo in silenzio, bloccandosi brevemente solo quando dalle labbra della futura Lady Chamberlain erano sfuggite le parole Tenuta dei Lynwood; gli occhi della Duchessina non poterono ingannarsi, perché l’uomo aveva irrigidito di botto le ampie spalle e, al contempo, il suo sguardo era stato attraversato da un turbamento oscuro, indefinibile.

Io ti amo e ti amerò per sempre, fino alla mia morte.

Come un fulmine a ciel sereno, il contenuto del diario di Amandine era tornato alla mente di Saffie che, sorridendo pacata, aveva fatto ogni sforzo per glissare l’argomento e allontanare la conversazione da terreni pericolosi. Infine, ci era riuscita facendo leva sulla vanità di Catherine e chiedendole così dello splendido lavoro del pittore che l’aveva preparata per la Grande soirée, per quanto la risata fin troppo forzata della signorina Chamberlain le avesse fatto intuire quanto pure lei stesse fingendo una serenità inesistente.

Lo sentì in quel momento, tutto l’angosciante peso del non detto che minacciava di travolgerli.

L’ennesimo qualcosa di cui la ragazza era stata tenuta in disparte, la domanda feroce che martellava ossessivamente nella sua testa pure due ore dopo, nell’apparente superficialità di una danza frenetica:

Hai amato anche lei con la stessa disperazione con cui hai consumato me?

“Adesso viene il bello!” esclamò Richard, avanzando verso di lei e afferrandole le mani con decisione, fortunatamente riportandola al mondo dove la Country dance era in pieno svolgimento.

Dall’altra parte della sala, intanto, l’Ammiraglio Worthington e Benjamin Rochester sembravano dilettarsi nell’attività di sostenere la parete alle loro spalle, tenendosi in disparte sia dalla folla danzante, che dal capannello di ospiti in attesa di poter ballare la canzone successiva.

“Certe cose non cambieranno mai” commentò in maniera enigmatica il dottore, aderendo con la schiena snella al muro. “C’è più caldo qui dentro, che su un vascello in balia dell’oceano a mezzogiorno.”

Nessuna risposta giunse dalla persona al suo fianco. Ignaro degli sguardi appassionati di chi gli passava davanti, lo statuario Generale Implacabile sembrava avere occhi solamente per la graziosa giovane vestita di rosa che volteggiava per la sala in compagnia di un paonazzo Lord Chamberlain: leggiadra come un passerotto in volo, la piccola strega sorrideva adorabile e divertita, mentre porgeva l’esile braccio all’ometto, decidendo di trascinarselo dietro nell’esecuzione di un’altra complessa figura.

Ragazzina, tu neanche ti accorgi di quanto mi stai mettendo in difficoltà stasera.

Worthington abbassò la ribelle testa bruna sul suo bicchiere, cercando di fare i conti con un moto d’invidia inaspettato e sgradito perché, di certo, doveva ben aver toccato il fondo se adesso si trovava a essere geloso del grottesco Richard Chamberlain. Senza poterne fare a meno, i lineamenti del suo volto virile si contrassero in una smorfia corrucciata e, alla stessa stregua di un bambino riluttante, l’uomo ammise che sarebbe piaciuto pure a lui ballare con Saffie come se niente fosse.

Questa sua naturalezza gioiosa, questo suo sorriso che ogni cosa illumina intorno a sé, a me sono proibiti. Irraggiungibili.

“È davvero bellissima, non sei d’accordo?” fu il sussurro confidenziale di Benjamin; parole che ebbero l’effetto di attraversare un cuore terrorizzato.

Non riesco a sperare di poter essere amato da Saffie, a cui io tanto ho fatto del male, infine privandola di ogni libertà. Mentendole fin da principio per mio solo egoismo.

“Se i tuoi uomini ti vedessero in questo istante, imbambolato di fronte a tua moglie, dubito fortemente continuerebbero a temerti e chiamarti Implacabile.”

Finalmente, due verdi fari rabbiosi scattarono di lato, piombando addosso a un signor Rochester dall’inamovibile tranquillità. “Hai intenzione di andare avanti ancora per molto?” gli sibilò l’Ammiraglio, inviperito come un serpente provocato troppo a lungo.

Un ghigno beffardo trasformò i lineamenti affilati di Benjamin ed egli rispose, scrollando le spalle: “L’hai detto tu stesso, Arthur: io ti conosco bene e, se vuoi, posso scommettere che in questo preciso istante ti stai trattenendo a malapena dal chiuderti a chiave con Saffie di Lynwood in una delle tante camere del Lord. Oh, ma ti avverto! A quest’ora rischi di trovarle tutte occupate, oramai.”

“Se fossi in te, scommetterei sul mio immenso desiderio di farti tacere” fu il commento lapidario di un Worthington dalla voce omicida. “Tieni a freno quella tua lingua saccente, Ben.”

“Non credo. Non siamo più sull’Atlantic Stinger” disse il dottore, scuotendo la testa biondo cenere e fingendo poi di guardarsi intorno con sorpreso interesse. “O, perlomeno, io non vedo alcun albero maestro!”

“Una volta reggevi meglio gli alcolici. Devi smetterla di bere.”

Il signor Rochester ricambiò il commento del fratello adottivo con un breve quanto enigmatico sorriso, prima di accettare con un vago cenno di cortesia l’offerta silenziosa di un cameriere di passaggio che, rigido e professionale, si era chinato nella loro direzione con un vassoio d’argento colmo di frutta stretto fra le mani guantate. Benjamin prese un piccolo grappolo d’uva e ne trasse un succoso acino verde, che l’uomo cominciò a rigirare pensosamente fra le dita bianche. “Potrei dirti la stessa cosa, Arthur” fece dopo pochi secondi, senza alzare lo sguardo liquido ma – ancora – lasciandosi andare in un’espressione piuttosto beffarda. “Ci sarebbe quasi da ridere, no? Dopo tutti questi anni, proprio tu vieni a farmi la predica, quasi fossi diventato nostro padre.”

Quando era sempre toccato a lui, vergognoso figlio di domestici, rincorrere e vegliare sull’Implacabile. Arthur, il fratello maggiore che poteva per diritto di nascita ottenere tutto ciò che il suo volubile carattere desiderava.

Un sospiro pesante uscì dalle labbra di Worthington ed egli chiuse gli occhi chiari per un attimo, prima di portarli sulla folla intenta a divertirsi. “Sei davvero ubriaco” sentenziò infine, in un tono paziente che non gli apparteneva; seppure, nel profondo, l’Ammiraglio aveva già indovinato da un pezzo i reali sentimenti dell’uomo al suo fianco.

Un figlio illegittimo e un orfano plebeo. Quale scelta poteva essere più scontata.

Simeon aveva deciso di riconoscerne solo uno dei due, condannando involontariamente l’altro a uno stato di eterna inferiorità. A una condizione agiata, certo, ma pur sempre limitata al giudizio di coloro che si ergevano con tanto sprezzo davanti a lui...l’ingiustizia che gli aveva fatto perdere Amandine.

“Non sono portato per le ricche feste di palazzo, tutto qui” fu la piatta risposta del signor Rochester, prima di portare alla bocca l’acino d’uva.

E nel momento in cui Arthur decise di parlare di nuovo, con il suo schietto tono autoritario che lui a volte proprio non sopportava, il dottore desiderò essere da tutt’altra parte; perché, dietro una frase apparentemente casuale, il Generale Implacabile aveva nascosto un’allusione più che concreta.

“Catherine Chamberlain sta dando il meglio di sé questa sera, visto che non credo ti abbia guardato nemmeno mezza volta.”

Una disarmante espressione di freddezza mutò il voltò malinconico di Benjamin nel giro di un battito di ciglia, trasformando i suoi lineamenti in una maschera distante e anonima, indecifrabile. “Dovrebbe interessarmi?” domandò il dottore, con una voce altrettanto glaciale e – davvero bizzarro – pericolosa.

“Interessa a entrambi, direi” lo uccise subito Arthur, cambiando a sua volta atteggiamento e tornando così a parlargli con un tono di pietra. “Sono anni che continua a girarmi attorno, fingendo una patetica attrazione, quando sono ben altre le attenzioni che cerca disperatamente di avere per sé.”

Lo sguardo oscuro del signor Rochester scattò sul fratello maggiore, pure se nulla cambiò nella imperscrutabilità del suo viso appuntito. “Non mi risulta tu abbia mai battuto ciglio, di fronte agli attacchi della futura Lady Chamberlain” ironizzò, stranamente sprezzante. “Nemmeno quando tutta Kingston credeva sareste convolati a nozze.”

All’altro capo della sala, Saffie sorrideva di luminosa allegria e Arthur la sentì lontana come non mai.

“E voi siete un esperto di ricche donne sciocche, non è vero?”

“La situazione è cambiata” sillabò l’Ammiraglio, monocorde. L’uomo prese un distratto sorso di liquore dal suo bicchiere, dandosi contemporaneamente dello stupido ipocrita, vista la sua decisione di partire per la battaglia e abbandonare la moglie, lasciarsela alle spalle.

Il mio cuore la desidera, ma non voglio farle del male, né comprendo in che modo dovrei starle accanto.

I due fratelli si appiattirono alla parete in silenzio, lasciando spazio a un’attempata coppia di signori in attesa della danza successiva. Benjamin aspettò di udirli cominciare a parlottare fra loro, prima di girarsi languidamente su un fianco, puntellandosi alla parete con una spalla e affrontando l’impettita figura di Arthur con un’alzata di sopracciglia. “Oh, ecco svelato il segreto!” fece, sollevando pigramente la mano stretta attorno al grappolo d’uva e puntandogli l’indice contro. “Ora ogni tua scelta ruota attorno alla Duchessina di Lynwood, non è vero?”

L’ammiraglio non si mosse di un millimetro, né voltò la testa castana, ma il dottore sentì addosso tutta la ferma ira di due iridi verdi e cristalline, la consapevolezza terribile di starsi pericolosamente avvicinando al confine: d’altronde, si disse, avrebbe dovuto sapere molto bene che contro l’orgoglio adamantino di suo fratello non esisteva opposizione di sorta; quando decideva di seppellire un argomento nel fondale del suo abisso, non c’era forza al mondo che potesse riportarlo alla luce.

O, per essere più precisi, non esisteva forza al mondo che non fosse Saffie stessa.

“Ti ho già detto di piantarla con queste stupidaggini” ringhiò Worthington sottovoce, lo sprezzo improvviso di una persona in realtà terrorizzata. “Credi non mi sia accorto del tuo tentativo di cambiare discorso?”

Oh, il volto pallido del giovane medico si trincerò immediatamente nella fredda indifferenza che così tanto contrastava con lui e con la solita furba educazione, immensamente differente dall’intensità del suo sguardo attento. L’uomo spostò il capo biondo sul centro del salone, ma non una luce brillava nelle sue iridi nere.

“Ho amato una sola donna nella mia vita” confessò infine al fratello, come se niente fosse. Un altro servo si avvicinò a loro e Benjamin posò sul vassoio il grappolo d’uva, scambiandolo con un bicchiere colmo di alcolico, ignorando ovviamente l’occhiata di disapprovazione dell’Ammiraglio. “Farlo mi ha strappato l’anima in pezzi. Eppure, non sono riuscito a fermarmi.”

Esattamente dall’altra parte della sala, al di là delle facce tutte uguali della gente in festa e di un’incantevole Saffie, la figura fin troppo elegante di Catherine Chamberlain se la rideva leziosamente con due o tre gentiluomini sconosciuti; tra le centinaia di teste imparruccate e piume ornamentali, Benjamin poté cogliere solo i capelli della ragazza risplendere come una ardente fiamma accesa, mentre il movimento della sua piccola mano fendeva l’aria con un movimento grazioso, incantevole.

“Perché non avete mai risposto a nessuna delle mie lettere?”

Il dottor Rochester distolse lo sguardo dalla figura minuta della donna responsabile non solo del suo gelido malumore, ma anche di un senso di colpa che non desiderava riconoscere come tale. In fondo, si era trattato solo di un momento di disperata follia, ormai perso nella corrente degli anni trascorsi a pensare ad Amandine.

“A me non importa niente delle vostre origini! Né…né che abbiate già un figlio da un’altra donna!”

Pure se lo poteva ancora sentire dentro, l’insostenibile dolore di quelle parole stravolte dalle lacrime.

Le iridi nere di Benjamin affondarono assenti nel pavimento di marmo, nascoste alla vista di Arthur da lunghe ciocche di capelli lisci che, contrariamente al solito, il signor Rochester aveva deciso di lasciare sciolti sulle spalle. “La mia anima appartiene e apparterrà sempre ad Amandine Lynwood. Non mi interessano le ragazzine infantili e viziate” mormorò alla fine, tanto freddamente da far dubitare a Worthington di riconoscere l’uomo che aveva di fianco.

Il Generale Implacabile schiuse appena le labbra sottili e forse avrebbe detto qualcosa, se la voce gaia della piccola strega non gli fosse penetrata nelle orecchie a tradimento, cogliendolo impreparato e – di conseguenza – pietrificandolo sul posto nel giro di un spaventoso istante.

“I musicisti sono stati superlativi!” aveva esclamato Saffie, accompagnando la sua frase da un’adorabile risata cristallina. “E voi siete un ballerino eccezionale, Lord Chamberlain!”

“Oh, non merito tali complimenti, cara signora Worthington; d’altronde, ho faticato parecchio a stare al vostro passo!”

La Duchessina rise ancora e, forse facendosi trascinare dall’allegria della danza appena conclusasi, voltò il suo bel viso sorridente in direzione dei due gentiluomini in attesa del loro ritorno, raggiungendoli infine come la fanciulla più felice del mondo. “Siamo sopravvissuti alla Country Dance!” annunciò al signor Rochester con gioiosa noncuranza, girandosi poi inconsciamente verso il severo marito. “È stato davvero…”

Saffie incrociò lo sguardo raggelato di Arthur e, in un baleno, il suo stesso colorito leggermente abbronzato assunse pericolose tonalità purpuree, facendola assomigliare a una dama sull’orlo di un colpo di caldo. “Da-davvero, ecco…”si trovò a balbettare la povera ragazza, affievolendo il tono di voce e abbassando la testa castana, poiché incapace di affrontare il suo personalissimo misto di vergogna e batticuore furioso. “…divertente.”

L’aggettivo cadde nel silenzio pieno di tensione, nell’incomunicabilità a cui lei e Worthington erano ritornati quasi senza accorgersene ma, in effetti, per loro unica volontà. Una gabbia dorata e un abisso oscuro erano il luogo dove due ragazzini impauriti continuavano a sedere in solitudine, soffrendo e disperandosi, ma senza fare nulla per forzare le sbarre o risalire in superficie.

L’espressione di Saffie si adombrò di amara tristezza, poiché lei aveva compreso molto bene quanto ancora le catene di Alastair fossero salde attorno ai suoi polsi, malgrado la sua timida volontà di cambiare le cose. Sapeva, in fondo, che Arthur avrebbe continuato a nascondersi e negarle la possibilità di renderlo felice.

Pure se era esistita per davvero, la fragile speranza che aveva scacciato la loro oscurità accecante.

“Ne sono contento.”

La voce profonda di Arthur non aveva tradito alcun sentimento di sorta, se non una cauta incertezza che fece letteralmente esplodere il cuore della Duchessina dall’emozione; ed ella riuscì solo a osservare ad occhi spalancati l’uomo protendere un braccio verso di lei, infine rabbrividendo sotto il tocco ruvido delle dita lunghe di Worthington, che scivolarono lente e ipnotiche sul suo palmo. No, Saffie non sarebbe stata capace di muovere un solo muscolo, nel momento in cui lo vide chinare l’imponente figura nella sua direzione e portare alle labbra il dorso della sua piccola mano.

La bocca dell’Ammiraglio premette brevemente sulle esili dita guantate, baciandole con una gentilezza inaspettata, quasi reverenziale.

Ed era un altro asettico gesto atto a salvare le apparenze, ma la ferì più di tutto il resto.

Questo perché Arthur aveva alzato i limpidi occhi chiari e l’aveva uccisa attraverso uno sguardo carico non di rabbioso rancore, lontana indifferenza, ma bensì di una malinconia tanto intensa da fare fisicamente male: tra ribelli ciocche di capelli castano scuro, brillava quello che alla ragazza parve lo sguardo tormentato di una persona che le stava dicendo il suo addio.

Un altro spasmo di spaventata preoccupazione aggredì l’anima stanca di Saffie e quest’ultima ricordò che un simile momento era già accaduto fra loro, diversi mesi prima.

Per te non è contato nulla ciò che da allora è accaduto fra noi?

Ti prego, non dirmi che è troppo tardi. Non andartene via.


§



Esplosioni di luci meravigliose, la cui vita nel cielo nero durava solo pochi meravigliosi istanti

Era notte fonda, ormai.

Lord Chamberlain, instancabile a dispetto dei suoi anni, aveva fatto riunire la maggior parte degli ospiti nel mastodontico giardino della sua tenuta giamaicana, dove le sagome di innumerevoli animali fatti di cespugli vegliavano nel buio sugli invitati ora con il naso all’insù. In effetti, furono molti i cori ammirati che si levarono verso la cupola stellata, una volta che Richard ebbe dato l’ordine di far cominciare lo spettacolo che rappresentava il piatto forte della serata e la conclusione stessa della Grande soirée.

Saffie Worthington aveva varcato come tutti gli altri le grandi porte a finestra che davano direttamente sul parco illuminato da una lunga fila di candelabri accesi ma, al contrario della folla intorno a lei, non poteva dire di essere veramente emozionata alla prospettiva di assistere ai fuochi d’artificio. Ovvio, non che non le piacessero, ma la ragazza ben sapeva cosa quell’evento andava in realtà a comportare.

Il Grande ballo era finito e anche il suo tempo insieme a Worthington stava per giungere al termine.

“Non ho trovato l’occasione per poter parlare con Arthur” pensò con grande rassegnazione la Duchessina, rallentando il passo e lasciandosi superare dall’indifferenza elegante degli invitati che, per quanto la concerneva, non erano altro che manichini senza alcun lineamento. Gli occhi castani di Saffie si rivolsero alle sue mani giunte in grembo e alla punta delle sue scarpette madreperla, che scricchiolavano fastidiose sulla ghiaia del sentiero. “No, sono una perfetta stupida. Non ho trovato il coraggio di affrontarlo e parlare con lui.”

Le tenere labbra truccate della ragazza si strinsero le une sulle altre, tanto nervose quanto tremanti.

I mesi passati avevano infine rivelato l’immensa portata della sua debolezza di carattere, della sua ingenua ottusità.

“Voi non sapete un bel niente, signorina Lynwood.”

Con il suo incedere lento, Saffie era stata lasciata indietro dalla combriccola con cui aveva trascorso la serata e dal marito stesso che, figurarsi, era rimasto coerente con l’atteggiamento distante assunto per l’intera durata del ricevimento. Così, la ragazza si trovò a fermare il passo a breve distanza dal sostanzioso gruppo di persone che ora se ne stava ad osservare il cielo a bocca aperta, le tenere luci colorate dei primi fuochi d’artificio s’infrangevano su decine di visi truccati di bianco; una risata poco lontana, e lo sguardo della Duchessina venne attratto dalla dama vestita di giallo che ore prima l’aveva quasi fatta cadere: la donna – la cui espressione stravolta dall’alcool era di una malizia a dir poco oscena – le passò accanto senza vederla, il braccio pallido ben agganciato a quello di uno dei due giovani che erano insieme a lei.

Un leggero sbuffo divertito sfuggì dalla bocca di Saffie Worthington e quest’ultima pensò che almeno qualcuno sembrava aver tratto una quantità di divertimento smisurata dalla Grande soirée. Le sue iridi illuminate dalle luci artificiali inseguirono pigramente la signora e il suo accompagnatore, che si fermarono nemmeno cinque metri più avanti, accanto alle sagome del Generale Implacabile e della futura Lady Chamberlain.

Le mani disperate dell’uomo avevano stretto altre donne, mentre la sua bocca maledetta riversava un inamovibile dolore dentro di loro.

Una tremenda sferzata di sofferenza allo stomaco, e Saffie trattenne il fiato, senza riuscire a staccare lo sguardo da Arthur e Catherine, immersi nell’oscurità. Stagliati contro le sagome colorate che esplodevano rumorose nel buio, l’Ammiraglio e la ragazza dai capelli rossi si sporsero l’uno verso l’altra con fare confidenziale, intimo; una mano piccola si posò leziosa sul braccio di Worthington, due piccole scarpette si ersero in punta di piedi, ed ecco che le labbra scarlatte della signorina Chamberlain sussurravano un qualcosa di misterioso all’orecchio del Generale Implacabile.

Un velo liquido e invisibile appannò gli occhi grandi della Duchessina di Lynwood, creatura sola tra le retrovie del giardino in fiore.

Hai veramente creduto che le sue parole e i suoi gesti fossero solo per te?

Troppo male vi siete inferti a vicenda. Insuperabile, infine, il confine che le vostre famiglie hanno tracciato fra voi.

La ragazza vide il marito girarsi appena e dedicare un lieve sorriso affascinante a Catherine, annuire con la sua ribelle testa bruna, guardandola con le sue disarmati iridi smeraldine. Una tranquilla naturalezza da cui Saffie era sempre stata crudelmente esclusa, fin dai tempi di Amandine e del Northampton; un’illusione che si era nutrita delle notti passate a consumare una disperata passione fra le coperte.

Aveva lasciato il suo cuore nelle mani di un uomo capace di distruggere qualsiasi cosa.

Il peso che gravava nella sua anima la schiacciò senza pietà, lasciandola in balia di un dolore che Saffie pensò di non poter sostenere ancora per molto. Voltò quindi il capo castano di scatto e, in silenzio, si incamminò velocemente verso l’ingresso di casa Chamberlain, pregando che nessuno potesse cogliere le sue vergognose lacrime.

Attraversò i corridoi deserti come l’avrebbe fatto un fantasma, ignorata dagli impettiti domestici presenti e dalle poche comparse che si trovavano nelle stanze vuote. La vista offuscata da un odioso pianto imminente, la Duchessina degnò di un’occhiata assente i rari ospiti rimasti negli ampi saloni, perlopiù nobili addormentati sulle poltrone e amanti neanche troppo nascosti: in un angolo della sala da ballo, la ricca ereditiera dei Marshall sospirava misteri all’orecchio di una sua imbarazzata coetanea, intrecciando le dita guantate con quelle dell’amica e sorridendo di falsa innocenza, il neo a forma di cuore incollato sopra una piccola bocca da combinaguai.

In lontananza, il rumore ovattato dei fuochi d’artificio continuava imperterrito, coprendo sia il suono dei tacchi di Saffie, che il suo stesso cuore furioso. Quest’ultimo batteva forte e maligno dentro alla sua cassa toracica, facendole venir voglia di continuare a camminare e anzi correre via, scappare di fronte al sentimento di bruciante delusione che provava nei confronti di sé stessa e del freddo marito.

Come era stato fin dal principio della loro storia, il suo si era rivelato essere un amore misero, a senso unico.

Saffie fermò la sua fuga all’improvviso, inconsapevole della muta maestosità dei marmi che la circondavano, del vacuo sguardo dei dipinti appesi alla parete e della bellezza di un alto soffitto affrescato, di quelli che ricordavano le basiliche della bella Roma. Sola al centro della stanza, la ragazza rilassò le braccia lungo i fianchi e strinse le mani a pugno, tremando per la tensione e lo sforzo di dominare lacrime che non desiderava versare.

“Sciocca. Non devi piangere per uno come me.”

Eppure, sembra tu riesca a non farmi fare altro, Arthur.

“Se continuerete a sparire in questa maniera, la gente comincerà a mormorare.”

Un sorriso tinto di doloroso scetticismo piegò le belle labbra della ragazza all’insù, trasformando il suo visino grazioso in una smorfia a metà fra il rabbioso e l’esasperato. “Come se vi deste pensiero della reputazione di vostra moglie, visto e considerato il rapporto che tanto volentieri intrattenete con la figlia di Lord Richard.”

Un secondo di silenzio pesante, interrotto solo dai botti provenienti dall’esterno, e la ragazza si girò all’indietro, lanciando un lacrimoso sguardo di sfida all’uomo che si ergeva alto nella penombra della camera: le mani incrociate elegantemente dietro all’ampia schiena e l’espressione guardinga di un predatore sulle spine, Arthur Worthington la osservava quieto con i suoi due incredibili occhi chiari e, similmente a due settimane prima, Saffie sentì l’intero mondo iniziare a bruciare.

“Non mi sembravate così indignata o affranta, mentre passavate questi ultimi giorni in compagnia di Earl Murray” ribatté l’uomo con voce leggermente inacidita, mettendosi in effetti sulla difensiva, ma non tradendo alcun turbamento di sorta. “Vedete di ripensare le vostre accuse, prima di venirmi a parlare di reputazione.”

“Il luogotenente è un uomo sposato, Ammiraglio; un gentiluomo rispettabile con una famiglia che lo ama.”

“Oh, lo so molto bene, Duchessina; ma non è dei suoi sentimenti e del suo onore che si sta parlando.”

La fredda ironia dell’uomo ricadde nel nulla, nel vago eco di quella sala spoglia di mobilio. Saffie abbassò il capo castano, nascondendo al marito la stanca rassegnazione dei suoi occhi da cerbiatta triste.

“… grazie a lui se oggi sono vivo, se ho potuto costruire una famiglia e ricominciare: Saffie, è stato…”

“Siete stati amanti?” chiese di getto la ragazza, spezzando a metà il flusso dei suoi stessi pensieri e odiandosi al contempo per il suo patetico tono nervoso, da donna che continuava ad annegare nella sua stessa ipocrisia. “L’hai…L’hai amata?”

Continui a farlo anche adesso?

Un livido sentimento attraversò il volto virile di Arthur ed egli si avvicinò con lenta tranquillità a lei, fermandosi poi a neanche un metro di distanza, le mani infilate nelle tasche dei calzoni blu notte. “Ho avuto molte donne in questi anni” ammise schiettamente, perforando gli occhi grandi e sorpresi della moglie con un fermo sguardo smeraldino. “Nessuna di queste rispondeva al nome di Catherine Chamberlain.”

“Ma è stato prima di noi. Prima di questo.”

Prima che una terribile luce illuminasse le tenebre di questo mio infinito abisso, stravolgendomi la vita.

“Sei soddisfatta, adesso?” aggiunse Worthington, articolando quella domanda senza preoccuparsi di trattenere un amaro ghigno di disappunto; infine tradendo il sentimento egoista che lo portava a ricadere nella sua impaurita diffidenza. “Ho risposto bene ai tuoi dubbi sull’ennesima mancanza di rispetto dell’Implacabile, l’uomo che hai detto di disprezzare più di chiunque altro?”

“Tu sei un mostro, Arthur.”

Dal basso, due iridi illuminate dalle lacrime scattarono sull’Ammiraglio ed era tale la sofferenza repressa che vi era contenuta – il senso di colpa di un traboccante vaso di Pandora – da far tremare l’anima a pezzi dell’uomo.

“Non è per questo motivo che ti ho domandato di lei!” protestò Saffie, facendo un passetto in avanti e sporgendosi verso la minacciosa sagoma di Arthur, come se fosse stata una bambina pronta a ingaggiare battaglia con un Imperatore. “Né è la ragione per cui me ne sono andata!”

“Ah, no?” ironizzò ancora l’uomo, gli occhi verdi frementi di una malinconia che la ragazza non poteva cogliere. “Perché ricordo perfettamente la convinzione con cui hai affermato che il nostro matrimonio non è altro se non un contratto dove nessuno dei due è tenuto a occuparsi degli affari dell’altro.”

È dunque questo, il modo orribile e bugiardo in cui ci diciamo “addio”?

“Ho mentito!” esplose la voce vibrante di pianto della Duchessina di Lynwood, che rimbombò nella camera e nel cuore oscuro di Arthur alla stessa stregua di una fucilata. La ragazza piantò i piedi per terra e si irrigidì tutta, abbassando la testa castana e finalmente lasciando sfogo a ogni suo tormento, scoppiando in singhiozzi infantili proprio di fronte all’unico uomo da cui non voleva farsi cogliere in quello stato.

Ma trabocca inarrestabile dai miei occhi, questa sofferenza che per lungo tempo non ho voluto riconoscere.

“Non voglio vederti dare così tante attenzioni alle altre donne, non mi importa chi esse siano!” disse ancora Saffie, portando subito le mani al viso stravolto e cominciando ad asciugarsi con forza, per cancellare la vergogna a cui sentiva di starsi sottoponendo. “Come posso sopportare questa tua indifferenza, ora che il mio cuore ti appartiene?”

“Non è questo il motivo. Non ho alcun bisogno di scappare…Io sono tua, ormai.”

Oh, ma è il desiderio più vero e nascosto della tua anima di bambino spaventato, no, Arthur?

Fu tutto così veloce che Saffie poté dire di non accorgersene nemmeno. Un fulmine nell’oscurità della notte, un guizzo blu fra le lacrime, e la ragazza sentì una presa micidiale stringersi attorno al suo polso e attirarla con violenta urgenza in avanti, a contatto con il caldo abbraccio di un corpo saldo e forte, ma come il suo tremante di tensione a malapena tenuta sotto controllo.

“Io… non ho fatto altro che pensare a te in questo mese” soffiò al suo orecchio la voce roca e piena di turbamento del Generale Implacabile. “Ho pensato a te per tutto il tempo, Saffie. Sempre.”

Al nostro legame crudele e tanto detestato. Alla spaventosa volontà di risalire per primo l’abisso e raggiungerti nella luce.

Il cuore della ragazza si sciolse di dolcezza e dolore, mentre quest’ultima stringeva le piccole mani sulla schiena dell’uomo, affondando le dita nella stoffa della sua giacca pregiata. “Giurami che è la verità” sussurrò lei, il viso rigato di pianto premuto contro il petto dal marito; pure se già sapeva di non aver bisogno di parola alcuna, poiché il cuore dell’uomo batteva tanto forte da penetrarle nelle vene.

“Ci sono stati momenti in cui avrei voluto non fosse vero, in cui avrei preferito illudermi di essere tornato a odiarti” fu la risposta di Worthington, il cui tono sofferente era tornato a rivolgersi a lei con la gentilezza che Saffie aveva tanto sognato. Arthur si sollevò lentamente e guardò la ragazza a pochi centimetri da lui con due occhi incredibili, risplendenti di malinconica tenerezza. “Non posso che arrendermi di fronte al potere che eserciti su ogni scelta o intenzione, infine sulla mia stessa anima.”

L'uomo sorrise appena nel vederla schiudere le tenere labbra dallo stupore e un’espressione strana attraversò il suo viso attraente. Quasi senza vera coscienza, portò una mano sulla guancia calda di Saffie e ne lavò via un’ultima lacrima solitaria con il pollice, accarezzandole la pelle e intrecciando le dita con i suoi soffici capelli castani; infine, quasi obbligandola a tenere il volto sollevato sul suo.

D’altronde, sei nato per portare disgrazia e morte a chi si avvicina a te…perché questo è il destino di coloro che sono stati maledetti da Dio”

Gli occhi grandi di Saffie, luminosi e innocenti, si persero dentro a quelli di Arthur, uccidendolo con uno sguardo colmo di una timorosa attesa che gli bruciò dentro.

Oh, ferirai ancora il suo cuore...eccome se lo farai, perché è nella tua disgustosa natura. È il modo in cui “lui” ti ha cresciuto.

“Al diavolo.”

Non aveva neanche fatto in tempo a udire quell’imprecazione, che la ragazza venne subito aggredita dalle labbra fameliche del marito, conquistata dai tocchi meschini della sua lingua irresistibilmente vorace. L’uomo l’attirò a sé e Saffie si erse in punta di piedi, inseguendo la passione di quel loro bacio lungo e ansante, intrecciando a sua volta le sue esili dita alle ciocche ribelli dei suoi capelli castano scuro.

Nella penombra silenziosa e quieta della stanza, tutto intorno a loro bruciava, cancellando per sempre il confine invisibile su cui si erano incontrati e su cui avevano combattuto con tanta disperazione. Proprio come l’aria e il mare, due elementi che s’incontravano ancora e ancora sul limitare dell’orizzonte lontano.

Worthington si staccò leggermente dalla bocca rossa e umida di Saffie, riprendendo fiato e al contempo osservandola con due iridi piene di improvviso timore. “Io…” le sussurrò con voce roca, in un tono d’incertezza tale da spezzare il cuore alla ragazza di fronte a lui. “Io non voglio spaventarti; non…non è come l’ultima volta.”

Un sorriso tenero e dolce, dalla bellezza disarmante, illuminò il volto arrossato della Duchessina di Lynwood; ed ella si sporse piano in avanti, sfiorando la fronte dell’uomo con la sua. “Lo so” mormorò a sua volta, cercando di prendere coraggio e ignorare il suo stesso imbarazzo, la sua eccitata felicità. “Non ho alcuna paura, Arthur.”

Perché è una fragile gentilezza nascosta, la reale natura del tuo cuore.

E poggiò le sue labbra su quelle sottili del marito, lasciandovi un breve bacio gentile, dal sapore fin troppo casto.

Un giusto attimo di sorpresa lasciò il famoso Generale Implacabile in balia di un lieve e inusuale rossore, prima che quest’ultimo dominasse di nuovo sulla ragazza castana, chinando l’alta figura su di lei e commentando, con la sua magnetica voce bassa: “Sarai la mia rovina, Saffie di Lynwood.”

“Sono sicura di averti avvertito anche su questo punto, a suo tempo!”

I due sorrisero divertiti l’uno sulle labbra dell’altro e, di certo, avrebbero ripreso a perdersi nel desiderio represso che li aveva fatti dimenticare totalmente della Grande soirée, se le voci frivole al di là del corridoio non fossero arrivate a loro inaspettate.

“Uno spettacolo di fuochi a dir poco mozzafiato!” chiocciò un’ignota donna di passaggio, facendo sobbalzare sia Saffie che Arthur come due bambini colti sul luogo del misfatto.

“Invero, è un peccato sia già ora di tornare a casa” fece l’altra, mostrandosi d’accordo con l’amica. “Piuttosto, avete notato il justaucorps di Lord Chamberlain? Assolutamente ridicolo!”

L’ovattato scoppiò di risate che seguì alle parole della dama si fece via via più lontano e indistinto, segno inequivocabile che le due donne si stavano allontanando dalla stanza occupata dalla Duchessina e dall’Ammiraglio.

“È tardi” asserì Worthington con dolcezza, tornando a girarsi verso la moglie e accarezzando la morbida pelle del suo visino adorabile. “Devi andare.”

Saffie strusciò la guancia contro il palmo della mano di Arthur, socchiudendo gli occhi e annuendo appena. “Pensi che possiamo…” cominciò a dire, arrossendo di una strana vergogna ed evitando ostinatamente lo sguardo dell’uomo. “Possiamo rivederci?”

Il Generale Implacabile sorrise. “Sarò impegnato a Rockfort per parecchi giorni a causa della mia partenza, ma ci rivedremo” la rassicurò, eppure tradendo una sorta di indecifrabile malinconia. “Dobbiamo parlare, Saffie.”

“…eviteremo una guerra pagandola al prezzo di una sanguinosa battaglia.”

No. Non andartene via proprio ora che ci siamo ritrovati.

Un paradossale spasmo di preoccupazione misto a felicità si propagò nell’anima della Duchessina, che non disse nulla e poté solo seguire con gli occhi l’imponente sagoma del marito allontanarsi da lei, sciogliendo con riluttanza l’abbraccio che li aveva uniti.

Infine, Arthur parlò un’altra straziante volta:

“Ti ho guardata per tutta la sera. Sei bellissima, piccola strega.”

Un battito di cuore doloroso, un’ultima carezza al suo viso di ragazzina perduta e il tempo della Grande soirée era giunto al termine.


§



Le ultime pigre ore

Non mancava poi molto all’alba. Solo qualche ultima pigra e sonnolente ora d’oscurità, che presto avrebbe lasciato il posto al risveglio del Sole, disco dorato ancora addormentato al di sotto della linea dell’orizzonte.

Catherine Chamberlain osservò, appollaiata sullo spazioso terrazzo di casa, le ultime carrozze allontanarsi dal cortile d’ingresso e varcarne gli alti cancelli, come di consueto allontanandosi dalla sua vita di sfarzi con indifferente superficialità. Gli occhi nocciola della ragazza si abbassarono pigramente sul tiro a quattro della Duchessina di Lynwood e quest’ultima lo inseguì con sguardo assente, mentre una sgradita tristezza accorreva a invadere il suo cuore di fanciulla vanitosa.

Anche tu un tempo avevi il suo stesso sguardo aperto e gentile, la sua stessa allegria contagiosa.

“È una ragazza sveglia” concesse Catherine, stringendosi nelle piccole spalle fasciate di seta azzurra e trattenendo al contempo un leggero brivido di freddo, per quanto fosse assurdo parlare di basse temperature in Giamaica. “Mi chiedo se…se vada d’accordo anche con il figlio del signor Rochester.”

Le dita della ragazza cominciarono a tremare leggermente ed ella le strinse sulle morbide maniche del suo abito pieno zeppo di merletti, cercando di sopprimere il feroce morso di sofferenza che affondò nel suo petto, ignorare il sentimento terribile causato da quel pensiero scomodo. Da qualche parte là fuori, tra le fronde dei fitti alberi esotici, gli uccellini colorati cominciarono a cantare il loro inno al giorno e una brezza scompigliò un poco gli splendidi capelli ramati della signorina Chamberlain, provocandole una voglia di piangere infinita.

Il tempo della Grande soirée si era concluso e non era riuscita ad affrontare il dottore, anzi rifuggendo nella sua antipatica codardia.

“Però, almeno, ha giocato a carte insieme a me” si disse Catherine, sorridendo però quasi subito di ironica quanto amara malinconia, le labbra scarlatte schiuse su un viso di porcellana.

Sono davvero una donna patetica.

Ed era tanto presa dalla sua stessa autocommiserazione, che quasi non si accorse del rumore leggero di passi in avvicinamento.

“Immaginavo di trovarvi qui, a prendere freddo e poi ammalarvi di malattie che negherete ostinatamente d’avere” fece una voce piatta alle sue spalle, trafiggendole il cuore dalla sorpresa e facendola voltare di scatto, le membra tese come una corda di violino. “Certe cose non cambiano davvero mai.”

Perché era quello il luogo in cui l’uomo le aveva dato lo stupido bacio che lei non riusciva a dimenticare.

L’alta figura snella di Benjamin Rochester si stagliava sulla soglia della terrazza, una mano pigramente appoggiata alla porta socchiusa e i lunghi capelli biondi che si muovevano al primo vento del mattino, attorno a un volto tanto affilato quando glaciale.

“Dobbiamo parlare del vostro comportamento, signorina Chamberlain” disse ancora il medico, il cui tono di calma freddezza fece fare un inconscio e spaventato passo indietro alla ragazza, che si trovò a sbattere la schiena contro il parapetto bianco del balcone.

Una notte uguale a quella appena conclusasi, il tempo in cui lui le aveva detto che il suo cuore apparteneva a un’altra.






L’Angolino di Sweet Pink:

*Se il capitolo ti è piaciuto, spero vorrai lasciarmi un voto e farmi sapere cosa ne pensi* \(°w°)/

Ho fatto diverse ricerche storiche prima di cominciare a redigere questa parte? Certo che !

Mi sono presa diverse libertà narrative? Ovviamente!

Buongiorno e Buon Sabato! (^u^)

Spero stiate tutti bene e che queste settimane siano state per voi produttive e felici, tanto quanto le mie sono state costellate da due settimane di meritate ferie e di vacanze. Non partivo per andare in vacanza dall’anno del mai, praticamente! (T.T)

Purtroppo questo mio intervento sarà più breve del solito, visto che ci tengo tanto ad aggiornare oggi e, osservando l’orologio, mi rendo conto di dover cominciare a prepararmi per andare a un matrimonio, pena ritardi terribili. L’ho già detto nella mia Bio, credo: sono tanto distratta nella vita reale, quanto pignola per quanto concerne il mio modo di scrivere! XD

Comunque! La mia speranza più grande è che questo capitolo vi sia piaciuto, perché ho cercato di descrivere al meglio l’intero svolgimento della Grande soirée, pensandolo in funzione delle interazioni tra i personaggi che vi si muovono dentro. Ho fatto anche delle ricerche storiche, quindi spero di essere riuscita almeno un poco a farvi respirare l’aria festosa e caotica del ricevimento.

Oh, e l’ultima parte del Capitolo! Giuro, mi sono sciolta a scrivere di Saffie e Arthur che, finalmente, sembrano intenzionati ad affrontare per davvero i loro stessi sentimenti! (*w*) Poi, per me non è stata una sorpresa scoprire un passato fra Catherine e Benjamin, perché lo avevo pensato da tanto tempo, in realtà: fin dallo sbarco a Kingston, dove avevo inserito un piccolo indizio in questo senso.

Però…eh, Benjamin, chi l’avrebbe mai detto che saresti diventato tu il playboy della storia! Prima Amandine e ora Catherine! XD

Ora, chiudo ringraziandovi immensamente! Un grazie enorme a chiunque segua la mia storia, a chi l’ha votata e recensita, perché mi riempite il cuore di gioia!

Un abbraccio virtuale ma fortissimo,

Sweet Pink

(°u°)/’’

  
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