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Autore: AlexSupertramp    03/09/2022    3 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13 

Ti racconto cosa ho fatto


La sveglia suonò allo stesso orario di sempre, eppure Akito quel mattino faticò non poco ad aprire gli occhi e iniziare una nuova giornata di lavoro.
Perlustrò mentalmente gli impegni che aveva e considerò seriamente l’idea di darsi malato e restare a letto tutto il giorno.
Il punto però era che sapeva perfettamente quale sarebbe stata la reazione del suo capo, se non si fosse presentato in ufficio nel giro di qualche ora. Quindi sbuffò, si tirò giù dal letto e andò dritto in cucina percorrendo quei pochi metri quadrati che lo separavano dalla sua tazza di caffè del risveglio. 
Abbassò la testa e la sua attenzione fu catturata dal cellulare che si illuminò, perché gli stava arrivando una serie di messaggi da diversi contatti, ma alla fine decise di mettere il telefono in tasca e pensarci dopo.
Grazie alla fermata della metro, che si trovava proprio ad una manciata di passi da casa sua, Akito riuscì ad arrivare addirittura in anticipo a lavoro, nonostante le nefaste previsioni. Infilò il dito nel rilevatore di impronte che avrebbe registrato il suo orario di ingresso, e poi prese l’ascensore per filare dritto al quinto piano dell’edificio.
«Hayama, ti voglio nel mio ufficio tra due minuti!» lo accolse proprio il suo capo, puntandogli un dito dritto sul viso.
Allora Akito appoggiò rapidamente la borsa al suo posto, e se ne andò nell’ufficio del suo capo, pentendosi di non aver mai comprato dei tappi per le orecchie trasparenti.
«Siediti Hayama…» fece lui, indicandogli una sedia, «quel programma, quello script… non funziona. Non te ne eri accorto?»
«Se me ne fossi accorto…» rispose lui, accavallando le gambe e sollevando entrambe le sopracciglia.
«Non usare questo tono con me. Se ti dico di fare una cosa, devi farla come dico io. Ora chi li sente a quelli lì?» si gonfiò lui, per poi infilarsi una mano tra i pochi capelli che gli restavano e si affacciò alla gigantesca vetrata. Akito fu catturato da quel gesto per qualche secondo.
«L’ho fatta esattamente come mi hai detto tu. Forse è proprio questo il motivo per cui non funzionano.» replicò lui incrociando le braccia sul petto. In realtà si stava chiedendo quale fosse il motivo di quel fallimento, visto che nelle sue mani funzionavano perfettamente. 
«D’accordo, ora cerchiamo di risolvere il problema, altrimenti questi non ci pagano.» disse il suo capo, tornando lentamente alla sua scrivania.
Quel colloquio mattutino durò ancora mezz’ora prima che Akito potesse tornare alla sua scrivania, nel bel mezzo di tante altre, e continuare il suo lavoro.
«Che è successo, amico?» si sentì domandare alle sue spalle. Allora spinse la schiena contro la sedia e la ruotò di qualche grado, finché l’espressione interrogativa di Watanabe, il suo collega, non incrociò il suo sguardo annoiato.
«Il capo si è infuriato perché a quanto pare il programma che abbiamo venduto la settimana scorsa non funziona.» spiegò semplicemente, giocherellando con una matita spuntata.
«Ah no?»
«Già… pare che abbia fatto saltare tutti i sistemi informatici della compagnia e ora vogliono che lo riscriviamo gratis.»
«Addirittura? Come è potuto succedere?»
«Non ne ho idea…» rispose sovrappensiero, aggrottando la fronte. Ritornò poi rapidamente al suo posto, e la sua attenzione fu catturata dallo schermo del cellulare che si illuminò due o tre volte. 
Decise che quello però non era affatto un buon momento per controllare chi lo stesse cercando, quindi tornò al suo lavoro, iniziando a controllare il vecchio programma che aveva scritto per cercare di risolvere quel problema.
Nonostante fosse ottobre, l’aria era ancora decisamente calda e Akito si pentì amaramente di essere uscito con la giacca pesante quel mattino. Erano le sei del pomeriggio, ma nonostante l’ora le temperature continuavano ad essere decisamente alte e ben presto si ritrovò a sperare che Hisae avesse organizzato quell’incontro in un posto al chiuso e con l’aria condizionata.
Alzò poi la testa e si rese conto che il bar indicato dalla ragazza nei messaggi sul cellulare era proprio davanti al suo naso e immaginò che almeno all’interno l’aria condizionata funzionasse alla perfezione.
Poi, attraverso i vetri delle pareti, riuscì a vederla mentre si sbracciava per far sì che lui la vedesse e potesse raggiungerli.
«Hayama, siamo qui!» urlò quasi lei, alzandosi dalla sedia su cui era seduta. Lui le fece un rapido cenno con il capo, poi fece qualche passo verso di lei e solo in quel momento si accorse della presenza di Tsuyoshi.
«Ehi.» disse soltanto prima di sedersi ad una delle tre sedie libere presenti al tavolo.
«Oh Akito, come va?» domandò Tsuyoshi, sollevando improvvisamente la testa dal suo cellulare.
«Avete già preso da bere?» domandò invece lui ad entrambi.
«Io sì, Tsu voleva aspettare che ci fossimo tutti, ma secondo me ci vorrà ancora tempo.» disse lei, avvicinandosi alle labbra la sua tazza di tè bollente. A quel punto però Tsuyoshi allungò lo sguardo verso il menu abbandonato nel mezzo del tavolo e Akito, fermando una delle cameriere, si ordinò una birra.
«Ehi Hayama, inizi così presto?» lo prese in giro Hisae, ma lui le rispose con un’alzata di spalle.
«Quasi quasi ti seguo, sai?» fece Tsuyoshi ordinandosi una birra a sua volta.
«È depresso.» commentò Hisae, indicando Tsuyoshi all’altro.
«Ma che depresso… è solo che a lavoro è un casino. In più non capisco perché le ragazze si innamorino così facilmente…»
«In che senso?» gli chiese Akito, improvvisamente catturato dalla conversazione.
«L’altro ieri sono uscito con questa ragazza. E niente, siamo andati a cena fuori e poi lei è voluta andare in un karaoke. Era abbastanza brilla e ci siamo divertiti, è stata una bella serata, però poi non è successo nient’altro. Oggi, all’improvviso, mi ha chiamato dicendomi che sono un mascalzone, perché sono sparito. Ma che dovevo fare?» raccontò lui, sollevando le spalle.
«Andare dritto al punto.» commentò Akito. Poi, Hisae si sporse verso Tsuyoshi.
«Te l’ho detto: devi usare uberhorny se vuoi solo spassartela per una notte.»
«Ma che dici? Non è mica quello il problema?»
«Oh, sì che lo è. La tua aria da bravo ragazzo ti precede e la gente non ci crede che tu voglia solo divertirti, a meno che non lo dica espressamente. Cosa che tu non fai.» continuò Hisae senza nessun filtro.
«Ma certo che lo faccio. Sono sempre chiaro sulle mie intenzioni.» rispose lui, quando si sentì un leggero ghigno provenire dal punto in cui era seduto Akito. Hisae si mise a ridere e Tsuyoshi lo colpì leggermente con la punta della scarpa.
«Lo faccio, credimi.» rimarcò.
«Ne sei sicuro? No, perché le tue amiche non la pensano come te.» disse Akito in una leggera smorfia di dolore, avvicinando poi la sua birra alle labbra.
«Be’ cerco di essere anche galante. Non è che le donne siano degli oggetti.»
«Stai divagando Sasaki.» continuò Hisae.
«E tu dovresti essere d’accordo, visto che sei una donna.»
«E invece è proprio questo tuo atteggiamento ad offendere il mio essere donna. Tu pensi che solo voi maschi volete divertirvi in quel modo? Magari se tu fossi stato onesto fin da subito, le cose sarebbero andate diversamente. Non credi? Invece di infiocchettare il pacco inutilmente.» sentenziò lei, con tono arrabbiato.
«Ehi, non c’è bisogno di arrabbiarsi. E io non infiocchetto nessun pacco.»
«Eppure, ho sempre pensato che lo sciupafemmine del gruppo sarebbe diventato lui.» concluse Hisae, indicando Akito con un gesto del capo. Quest’ultimo non rispose, avrebbe voluto scoppiare a ridere se solo fosse stato uno di quelli che, in compagnia dei suoi amici e nel bel mezzo di un bar quasi vuoto, esternano le loro emozioni con una ricca e sonora risata.
Ma quello non era di certo lui.
Poi sia Tsuyoshi che Hisae alzarono lo sguardo, e quest’ultima si pentì un po’ di quello che aveva appena detto.
«Perché dovrebbe essere uno sciupafemmine?»
A quel punto anche Akito si voltò, ritrovandosi alle sue spalle la sua ragazza che finalmente li aveva raggiunti.
«Oh, Fumiko. Ma no, scherzavo… e comunque nemmeno Tsuyoshi è uno sciupafemmine. Per la cronaca.» si giustificò Hisae. Fumiko si sedette proprio accanto ad Akito dandogli un leggero bacio sulla guancia. Quest’ultimo le cinse la vita, e quando sentì le labbra di lei sfiorargli il viso, strinse le sue dita sul suo corpo un po’ di più.
«Ma sì, scherzavo. Conosco bene Akito.»
A quelle parole Hisae si sentì improvvisamente sollevata. Era un po’ di tempo ormai che Akito e Fumiko uscivano insieme, ma nonostante tutto non riusciva a sentirsi se stessa al cento per cento quando uscivano e c’era anche lei. Nel profondo del suo inconscio, ogni volta che organizzava qualcosa, sperava sempre che lei non ci fosse. E ogni volta che quella speranza si faceva largo, provava un sottile senso di imbarazzo.
«Quindi, di cosa parlavate?» domandò lei, attirandosi a sé l’unico menu presente sul tavolo.
«Di Tsuyoshi.» risposero all’unisono Akito e Hisae. A quel punto Tsuyoshi si sentì abbastanza frustrato e incompreso, e decise di vertere l’attenzione su altro.
«Perché non parliamo d’altro invece? Tipo, come sono andate le vostre giornate?» domandò lui, incrociando le braccia sul tavolo.
«Come sempre Tsu. Oggi abbiamo consegnato il progetto definitivo di restauro di un edificio in pieno centro. Staremo a vedere…» disse lei, sollevando le spalle. Avrebbe volentieri sbuffato per quel cambio d’argomento di conversazione.
«E tu Akito? Come è andata la tua giornata?» continuò Tsuyoshi.
«Ma davvero ti interessa?» domandò Hisae, lasciandosi scappare una risatina.
«Già, l’argomento di prima era più interessante.» confermò anche Akito, sorseggiando tranquillamente la sua birra. Hisae accentuò la risata, e Tsuyoshi sbuffò sonoramente. In quel quadretto ben definito, scolpito nel tempo da anni di solida amicizia, Fumiko si ritrovò a sorridere senza tuttavia provare davvero un senso di divertimento per ciò che stava accadendo. 
«A me invece interessa com’è andata la tua giornata.» disse Fumiko all’improvviso verso Akito, accompagnando quell’affermazione con un sorriso. Lui la guardò per qualche minuto, poi sospirò leggermente. 
«Poteva andare meglio.» si limitò a dire, ma sapeva bene che quella risposta avrebbe innescato una reazione a catena verso la sua ragazza. Eppure, per qualche ragione, aveva scelto consapevolmente di innescarla.
«Perché? È successo qualcosa?» domandò lei, di conseguenza, e ad Akito venne immediatamente voglia di tornare indietro nel tempo e rimangiarsi subito quella frase.
«Non esattamente. Dobbiamo riscrivere un programma da capo, niente di importante comunque.» raccontò velocemente.
«Oh, capisco. Be’, vedrai che sarà meglio di prima.» lo incoraggiò Fumiko, appoggiandogli una mano sul ginocchio.
«Lo spero bene.» concluse lui.
«Almeno voi non siete stati sopraffatti da milioni di pazienti arrivati in ospedale per l’incidente in aeroporto.» aggiunse Fumiko, lasciandosi poi andare con le spalle lungo lo schienale della sedia. A quel punto Akito la scrutò e si rese conto dei profondi segni della stanchezza sul viso della sua ragazza.
«Oh, cavolo è vero. Ho sentito dell’incidente. Deve essere stato un delirio in ospedale.» disse Tsuyoshi, ricordandosi solo in quel momento di aver letto della notizia scorrendo le pagine dei principali motori di ricerca sul suo cellulare proprio quella mattina.
«Già. Io non ero al pronto soccorso, quindi me la sono cavata con poco. Però…» ma non terminò la frase, perché la sua attenzione fu catturata da un movimento lesto di Hisae, che si sporse oltre il tavolo, verso la porta di ingresso.
«Oh eccolo, finalmente.» disse, indicando un’altra figura che si stava avvicinando al loro tavolo. A quel punto tutti i presenti si voltarono verso il punto indicato da Hisae, dove c’era il loro comune amico Gomi Shinichi che, lentamente, li stava raggiungendo.
Il suo viso sembrava stanco, nonostante l’abbigliamento e tutto il resto fossero impeccabili come sempre. Tuttavia, quando si lasciò cadere sull’ultima sedia libera, rilassò le spalle appoggiandole completamente allo schienale.
«Ragazzi aiuto, sono distrutto.» esordì ai presenti.
«Be’, ora puoi rilassarti.» gli disse Hisae, porgendogli il menu affinché anche lui potesse scegliere qualcosa da bere e dare ufficialmente il via alla serata.
«Oh, grazie. Allora, di cosa parlavate?» domandò lui distrattamente. In realtà la sua attenzione si concentrò principalmente sul menu, e sulla perenne indecisione tra una birra ghiacciata e qualsiasi altra bevanda alcolica.
«Di Tsuyoshi.» insistette Hisae, cambiando nuovamente argomento di conversazione.
«Oh, aggiornatemi allora.» commentò lui, domandando poi una birra alla cameriera di turno. A quel punto anche Akito ne ordinò un’altra, seguito da Hisae e Fumiko.
Tsuyoshi invece stava ancora bevendo la prima.
«Non c’è nessuna novità. Te l’ho già raccontato Shin… la storia della tizia del karaoke.» disse lui monotono.
«Ah sì… be’, quindi è finita così?»
«Ma certo, come volevi che finisse?»
«Bo, che ne so. Magari avevi cambiato idea.» disse Gomi, passandosi una mano tra i capelli. In quel momento però, la cameriera fece ritorno al loro tavolo, appoggiando un vassoio pieno di birre. A turno, ognuno dei commensali prese la propria e solo a quel punto Tsuyoshi ordinò la sua seconda birra.
Appena Gomi riuscì ad afferrare la sua birra, se la portò alla bocca facendo un sorso così profondo che ne svuotò quasi l’intero contenuto. Allora Hisae lo guardò alzando un sopracciglio.
«Tutto bene Shin?» gli domandò, leggermente ironica.
«Adesso sì. Oggi a lavoro è stato un inferno.» spiegò brevemente, continuando a bere la sua birra.
«Benvenuto nel club.» lo raggiunse Akito.
«Oddio ragazzi, una volta le nostre serate erano più divertenti.»
«Non è mica colpa mia se c’è stato un incidente enorme all’aeroporto e ho finito il turno circa dieci ore dopo il previsto?» raccontò Gomi, alzando la mano per richiamare l’attenzione della cameriera.
«Sì, Fumiko ne stava parlando qualche attimo fa. Avevo letto della notizia stamattina e volevo chiamarti.» disse Tsuyoshi, in tono serio.
«E perché? Non ero mica io quello in aeroporto.»
«Ma cosa è successo esattamente?» chiese Hisae.
«Pare ci sia stato un incendio al terminal 4.» le disse Akito, senza aggiungere altro.
«Non lo so, e non mi interessa nemmeno. So solo che il mio turno non finiva più. Quando ti ho visto andare via ti ho invidiata da morire.» aggiunse Gomi rivolgendosi a Fumiko. Lei gli lanciò un debole sorriso, perché in effetti l’essere andata via molto prima di lui per raggiungere Akito e gli altri l’aveva fatta sentire leggermente in colpa. Ma le infermiere avevano un ruolo molto diverso rispetto ai medici.
«Scusa. È che non ero in pronto soccorso e me la sono scampata.» mormorò lei, sollevando le spalle. Alla fine, non poteva farci comunque nulla.
«Che schifo di medico che sei.» intervenne Hisae, prendendo in giro Gomi.
«Vorrei vedere te a lavorare per quaranta ore di fila in un giorno. Questo è come quando facevo il cameriere ed entrava sempre gente per cenare all’ultimo momento e la serata non finiva mai.»
«Stai sul serio paragonando servire zuppe e panini al salvare delle vite?» domandò Tsuyoshi, sgranando gli occhi. A quel punto si sentì la risata leggera di Fumiko, che accompagnò quella specie di battuta fatta da Gomi.
«Io non mi farei mai curare da te. Per carità!» aggiunse Hisae, mostrando un’espressione indignata.
«E invece c’è un mucchio di gente che viene in ospedale solo perché ci sono io. Certo, alcuni sono veramente una seccatura, tipo oggi…» e in quel momento, la sua bocca si fermò lasciando la frase a mezz’aria. 
«Oggi cosa?» domandò Hisae, senza troppa curiosità. In realtà era completamente assorta nel suo cellulare perché stava cercando un posto divertente dove passare il resto della serata.
«Niente, me lo stavo quasi dimenticando. Oggi mi è capitata una tizia che proprio non ne voleva sapere di stare ferma e farsi curare. Continuava a dire di star bene e che aveva una coincidenza per Honolulu, quando invece aveva due costole incrinate e un lieve trauma cranico.» raccontò Gomi velocemente.
«Probabilmente stava scappando da te, Dottor Gomi.» continuò a prenderlo in giro Hisae.
«Sì sì, certo. Vabbè, comunque, il punto è un altro… noi questa tizia la conosciamo benissimo. Quando ho letto il suo nome sulla cartella clinica non ci volevo credere.» annunciò lui, cercando di creare una sottospecie di suspence che, in realtà, catturò solo la curiosità di Hisae e Tsuyoshi, perché Akito stava in realtà pensando di ordinare un’altra birra, ma era indeciso su quale scegliere. Quanto a Fumiko, probabilmente in altre circostanze anche lei sarebbe stata sulle spine, tuttavia in quella situazione era abbastanza sicura che di chiunque si trattasse, lei non avrebbe comunque riconosciuto la paziente di Gomi in nessuna delle persone che conosceva.
«E dai, che ci vuole a finire un racconto.» sbraitò Hisae spazientita, distogliendo l’attenzione dalla lista dei migliori locali di Tokyo.
«Ebbene, sto parlando di miss Sana Kurata, la nostra ex compagna di classe.» terminò finalmente, crogiolandosi in una strana soddisfazione, come se avesse appena rivelato in anticipo il nome del successivo presidente del Giappone.
«Cosa?» fece Tsuyoshi, spalancando le labbra. Lui fu quello che mostrò la reazione più spropositata, perché aveva pensato spesso a Sana in quegli anni, domandandosi un mucchio di cose, senza mai ricevere una risposta. Hisae invece non disse nulla, almeno non subito. Pensò che il mondo fosse veramente minuscolo, perché l’ultima volta che aveva letto qualcosa sulla sua vecchia amica di scuola, l’aveva scoperta essere in America per uno spettacolo teatrale che non aveva avuto per niente successo. D'altronde però Tokyo era pur sempre la sua città natale, nonostante tutto.
Fumiko invece pensò che si fosse sbagliata, perché in effetti quel nome lo aveva già sentito, e di colpo ricordò quel paio di volte in cui l’aveva incrociata nei corridoi della loro scuola superiore insieme ad Akito. E parlando di quest’ultimo, lei istintivamente si voltò verso di lui, costatando il fatto che il suo sguardo era incollato sul menu, senza prestare attenzione a nient’altro. 
«Proprio così», disse Gomi, rivolgendosi a Tsuyoshi, «E credimi che se non avessi letto il suo nome, l’avrei riconosciuta ugualmente.»
«Be’, è un’attrice famosa. È ovvio.» sentenziò Tsuyoshi.
«Non è mica così famosa.» commentò finalmente Hisae. A quel punto Tsuyoshi la guardò, e capì immediatamente il tono di quella battuta.
«E come sta?» domandò subito Tsuyoshi.
«Oh, niente di grave, le ho dato trenta giorni di riposo e le ho fasciato le costole in modo che si ristabilizzino in breve tempo. Poi certo dovrà controllarsi spesso…»
«Be’, intendevo come sta in generale. Ma sono comunque contento che non si sia fatta male.» continuò Tsuyoshi, e a quel punto non riuscì più a trattenersi e si voltò lentamente verso Akito.
Quest’ultimo però sembrava completamente disinteressato alla cosa, perché aveva appena chiuso il menù e alzato la mano per chiamare l’attenzione della cameriera. 
«Mi sembra stia bene, un po’ nevrotica forse. Ma quello lo era già da ragazzina.» commentò Gomi ridacchiando, ricordando mentalmente l’esuberanza della loro vecchia compagna di classe che, a quanto pareva, non l’aveva affatto abbandonata nel corso di quegli anni.
«Mamma mia, è passata una vita. Quasi non me la ricordo più… mi piacerebbe rivederla.» disse Tsuyoshi di getto, senza rifletterci troppo.
«Ma sul serio?» intervenne Hisae all’improvviso.
«Be’ sì, perché?»
«Perché Sana Kurata si è comportata male con tutti noi. È sparita, poi è tornata, poi è sparita di nuovo senza dire mai niente a nessuno. Dimmi tu che razza di amica è una che si comporta così?» spiegò, leggermente infervorata. Anche se da bambina non aveva mai dato peso a certi comportamenti, con la maturità dei suoi venticinque anni vedeva certe cose in modo completamente diverso. E il comportamento di Sana verso tutti loro era stata una di quelle cose.
«Avrà avuto le sue buone ragioni.» continuò Tsuyoshi, evitando di proposito di incontrare lo sguardo di Hayama.
«Ma figurati, per me poteva fare quello che le pareva. Dico solo che sarebbe stato carino se ci avesse almeno salutati.»
«Su questo ha ragione, devi ammetterlo.» intervenne Gomi.
«Siete rancorosi, a quanto vedo.» fece Tsuyoshi con sguardo stranito.
«No Tsu, siamo stufi di essere trattati così da lei.» disse Hisae, sollevando le spalle. In realtà non vedeva Sana da più di otto anni né la sentiva da altrettanto tempo, ma per un attimo si domandò perché avesse usato il presente e perché, soprattutto, ce l’avesse ancora così tanto con lei.
«Va bene, voi la pensate così. Io invece voglio salutarla… è in ospedale?» domandò Tsuyoshi a Gomi. A quel punto però si sentì un suono metallico, e il tavolo a cui erano seduti fu investito da una leggera vibrazione. Tsuyoshi, Hisae e Gomi si voltarono verso Akito, che nel frattempo si era alzato sotto lo sguardo sorpreso di Fumiko.
«Dove vai?» domandò Hisae quando lo vide raccogliere le sue cose e prendere la mano di Fumiko.
«A cena fuori con la mia ragazza. Vuoi venire con noi, per caso?» domandò ad Hisae tranquillo, con tono ironico.
«E la nostra serata?»
«Fate finta che ci sia anche io.» disse semplicemente, pensando che in effetti l’indomani aveva una questione decisamente spinosa da risolvere a lavoro. Non aveva intenzione di alzare troppo il gomito e le premesse di quella serata non sembravano affatto andargli in contro.
«Che palle Hayama.»
«Ciao.» disse enfatizzando il tono di quel saluto. Diede loro le spalle e stringendo la vita di Fumiko attirandola a sé.
«Mh…» commentò Hisae pensierosa.
«Che?» domandò Gomi, ma a quel punto gli altri due si scambiarono un fugace sguardo decisamente complice.
Fumiko invece, si sentiva profondamente stanca. Nonostante non avesse lavorato lo stesso numero di ore di Gomi, si era svegliata comunque alle quattro del mattino e tutto il trambusto legato all’incidente aveva coinvolto anche gli altri reparti, almeno dal punto di vista psicologico. Si sentiva quindi, tremendamente stanca e ringraziò Akito per aver deciso di andare via e rinunciare ad una serata in cui, molto probabilmente, avrebbero fatto tardi di sicuro. 
«Dove andiamo?» domandò poi improvvisamente, alzando il viso verso di lui.
«Ho voglia di sushi. A te va?»
«Perché no?»
«Potremmo prendere del sushi da asporto e andare a casa mia.» propose lui. A quel punto Fumiko rilassò le spalle.
«Mi sembra un’idea geniale!» rispose lei, afferrandolo per un braccio e accelerando il passo per poter stare alla sua andatura.
E alla fine fecero proprio così: ordinarono una montagna di sushi da asporto, un paio di birre in lattina e andarono a casa di lui. 
Akito abitava al terzo piano di un edificio non troppo alto, vicino alla fermata della metro Shiodome ad una manciata di kilometri da Roppongi. Fumiko si fermava da lui di tanto in tanto, soprattutto nei fine settimana e aveva imparato a considerare quel piccolo appartamento come qualcosa di molto familiare.
«Non hai rifatto il letto, Aki.» sentenziò quando notò le coperte ammucchiate al centro del materasso.
«Ho fatto tardi stamattina.» rispose lui, disponendo le vaschette di sushi sul tavolo. Appoggiò poi le bacchette accanto ai piatti e si aprì una lattina di birra.
«Dovresti essere più ordinato. Non te l’hanno mai detto?»
«In realtà lo sono eccome. Questo qui è solo un caso.» disse, indicando la camera da letto con un cenno della testa.
«Be’ forse lo eri in un’altra vita. O cento anni fa… dovrei chiederlo alla tua ex fidanzata.» disse lei, ridacchiando sotto i baffi. Akito però non accolse la battuta, se non con un’alzata di spalle. E quel tacito gesto non fece altro che aumentare la curiosità di Fumiko.
«Che hai? Ti vergogni?» continuò lei, senza abbandonare quel tono da presa in giro che sembrava divertirla parecchio.
«Ho fame, in realtà.»
«Guarda che me la ricordo. Sana Kurata frequentava la nostra scuola.» insistette ancora, su quella scia di pseudo domande. 
«E allora?» le rispose Akito, senza guardarla. Sembrava essere totalmente assorto dal tentativo di aprire la vaschetta di sushi. Fumiko a quel punto pensò che dovesse avere davvero molta fame.
«Allora niente. Semplice curiosità… non è che mi abbia raccontato poi molto della tua vita.»
«E vuoi sapere tutto stasera?»
«Be’, tutto no. Però dai, è divertente. Quando penso alla me sedicenne mi viene sempre da sorridere.»
«In realtà non c’è molto da dire.» le disse sollevando lo sguardo verso di lei e porgendole un pezzo di sushi con le bacchette. Fumiko allora dischiuse la bocca e accolse il cibo che lui le aveva dato senza battere ciglio.
«Impossibile che non abbia niente da raccontarmi. Kurata era così famosa all’epoca, anche se non mi ricordo proprio cosa facesse di preciso. Poi immagino lei sia stata la tua prima fidanzatina… io ti ho raccontato di Kenta-kun.» disse lei sorridendo e coprendosi le labbra con una mano, per evitare di farsi vedere da lui mentre masticava.
«E’ passato tanto tempo… nemmeno me la ricordo.» commentò lui, intingendo un uramaki nella salsa di soia.
«Già, è vero. Ed eri parecchio scorbutico all’epoca. Ora lo sei solo di tanto in tanto.»
«Perché mi sono evoluto.» sentenziò lui con lo stesso tono di sempre, nonostante quella voleva essere una battuta di spirito.
«Ora sei più saggio, in effetti.» disse lei con tono addolcito. Gli mise entrambe le mani sul viso, stringendogli le guance con le dita. Akito però, con un movimento lento, quasi impercettibile, si divincolò da quella presa.
«Invece io penso che questo sushi stia perdendo colpi, sai?» 
«Dici sul serio? Eppure, era il tuo preferito.»
«Si sarà evoluto pure lui, in peggio però.» disse con il suo solito tono da monosillabo. Eppure, nonostante ciò, a Fumiko quella battuta fece ridere e pensò anche che quel sushi non era poi così diverso da tutte le altre volte. Le sembrava esattamente identico a quello di sempre, ma non andò oltre.
Entrambi aprirono le loro lattine di birra, continuando la cena senza affrontare discorsi troppo profondi o complicati. Fumiko si disse che l’indomani le aspettava una dura giornata di lavoro e l’unica cosa di cui aveva voglia era finire la cena e mettersi a letto con Akito, lasciandosi coccolare dalle sue braccia mentre vedevano un film, scelto da lui, che lei comunque non avrebbe visto veramente perché, come tutte le volte, sarebbe crollata quasi subito.
E in effetti la serata andò proprio così e Fumiko, che era sempre puntuale al lavoro come un orologio svizzero, si era alzata prestissimo lasciando Akito ancora sotto le coperte in una semi catalessi. Poi aveva consumato una veloce colazione al bar sotto casa del suo ragazzo e, sentendosi estremamente riposata, si avviò verso l’ospedale per iniziare il suo turno.
Quella mattina non ci fu molto da fare, almeno in confronto alla giornata precedente in cui c’era stato il caos dell’incidente in aeroporto. Aveva fatto il suo consueto giro di visite nel reparto in cui stava lavorando da ormai sei mesi, poi si diresse verso la bacheca dei turni degli specializzandi e constatò il fatto che anche Gomi era di turno insieme a lei. Si domandò per un attimo se anche lui fosse riposato quanto lei, oppure la serata organizzata da Hisae era finita in chissà quale bar a bere chissà quale quantità di alcol. Sorrise a quel pensiero, perché immaginò Gomi stravolto a cercare di riprendersi bevendo chissà quanto caffè.
Diede una rapida occhiata all’orologio.
«A quest’ora deve essere già al quarto.» disse, tra se e se.
Poi all’improvviso le venne in mente il discorso della sera precedente e l’attenzione che gli amici di Akito avevano dato ad una paziente ricoverata proprio in quell’ospedale. 
Fumiko si morse un labbro e pensò che avrebbe potuto dare al volo una sbirciatina alla sua stanza e che in fondo nessuno se ne sarebbe accorto perché la cosa sarebbe passata del tutto inosservata.
Fece quindi una rapida ricerca e scoprì che Sana Kurata era ricoverata al terzo piano, al reparto di ortopedia, a solo una manciata di metri al di sopra della sua testa. Spinta allora dalla curiosità di vedere come era diventata l’ex bambina prodigio della televisione giapponese, si munì di cartella clinica e raggiunse rapidamente il piano. Non sarebbe entrata nella sua stanza, l’avrebbe osservata da lontano e non avrebbe detto niente a nessuno, nemmeno ad Akito.
Quando si trovò davanti alla porta spalancata della stanza centodue, si appoggiò con la schiena al muro e cercò di aguzzare la vista. Lei era seduta sul letto, ma non si vedevano fasciature vistose. Tendeva un braccio verso il televisore collocato in alto sulla parete, come in tutte le camere della degenza, e lo agitava energicamente. Il problema era che da quel punto proprio non riusciva a vedere il suo viso, perché aveva dei capelli davvero lunghi e senza rendersene conto fece qualche passo verso la stanza.
Fu in quel momento che Sana si voltò proprio verso di lei, facendola sussultare. Fumiko si sentì scoperta e avrebbe voluto fare marcia indietro, perché quello non era il suo reparto e non aveva ragione di essere lì.
Eppure, Sana la vide.
«Mi scusi, signorina infermiera… ho bisogno di aiuto!» disse agitando il braccio vistosamente.
Fumiko non ebbe scelta e dovette raggiungerla. Quando entrò nella sua stanza riuscì finalmente a vedere il suo viso, e si rese conto che non era affatto cambiato dall’ultima volta che l’aveva vista. I lineamenti erano sempre gli stessi, gli occhi grandi un po’ stanchi erano tramortiti da occhiaie di stanchezza che comunque non ne compromettevano la bellezza. Si sentì davvero a disagio.
«Sì, certo. Eccomi, cosa succede?» disse, mantenendo il solito tono professionale che usava con tutti.
«Mi scusi, non volevo disturbarla, ma il televisore non funziona. Ci sto provando da un’eternità, ma il telecomando non va… dovrei controllare una cosa molto importante. Lei pensa di riuscire ad aggiustarlo?» le disse con un tono alquanto disperato. Eppure, era stata estremamente gentile.
«Oh…s-sì certo. Ora ci provo.»
«La ringrazio infinitamente, mi farebbe davvero un favore enorme.» le disse, congiungendo le mani.
Fumiko si avvicinò al televisore, cercando il motivo di quel malfunzionamento, e subito si accorse che la presa non era inserita nella corrente. La mostrò a Sana con un sorriso.
«Ecco qual è il problema.»
«Oh, che stupida. Non mi ero accorta che fosse spento… be’, in realtà non avevo proprio controllato.» rispose, battendosi leggermente il palmo di una mano sulla fronte. Fumiko osservò attentamente quel gesto, cercando di captarne la familiarità. Eppure, con lei aveva scambiato sì e no due parole, così tanto tempo fa che nemmeno lo ricordava il momento preciso. Però i gesti che quella ragazza compiva mentre era a letto e cercava di raggiungere il suo scopo, rimbalzando lo sguardo prima dal telecomando al televisore e poi viceversa, avevano per lei una strana aria familiare.
«Non riesco a trovare il canale… oggi dovrebbe andare in onda l’ultimo episodio di una serie per cui ho lavorato e mi avevano detto che nell’ultima scena avrebbero aggiunto Ji-ho. Lei è una mia cara amica, ma non mi ha più detto nulla. È tutto il giorno che provo a chiamarla, ma il cellulare non funziona…» disse lei a raffica, Fumiko si sentì improvvisamente frastornata.
«Ji-ho?» domandò.
«Sì, Ji-ho. È la mia migliore amica di Seul.»
«Ed è lì ora?»
«In teoria sì.»
«Be’, forse è per questo che non riesce a mettersi in contatto con lei. A causa del roaming internazionale…» le spiegò Fumiko, un po’ confusa.
«Oh, ma certo. Che stupida.»
«Che sta succedendo qui?» la interruppe una voce che entrambe riconobbero al volo. Fumiko si voltò, trovandosi Gomi a pochi passi da lei e cercò immediatamente una scusa plausibile per il fatto di trovarsi lì nella stanza di Sana.
«Io ero di passaggio qui, e lei…» ma Gomi non le prestò troppa attenzione, dirigendosi verso la paziente. 
«Be’ vedo che stai bene, Kurata.» constatò lui senza prestare troppa attenzione alla frase tagliata di Fumiko. In effetti, nonostante quello non fosse il suo reparto, lavorava comunque in quell’ospedale e nulla le vietava di trovarsi lì, anche senza motivo. Almeno questo fu quello che pensò.
«Te l’ho detto, sto bene. Dovresti dimettermi, dottor Gomi.» disse lei sbuffando. Probabilmente aveva preso le parole del suo vecchio compagno di classe troppo sul serio perché spostò rapidamente le coperte dalle gambe e fece per alzarsi. Tuttavia però, Gomi la fermò all’istante.
«Hai una laurea in medicina e io non ce lo hai detto? Se ti ho detto che devi stare in osservazione per qualche giorno vuole dire che sarò io a dirti quando puoi tornare a casa. Oltretutto Tsuyoshi sarà qui a breve… ha insistito per venirti a trovare, spero non ti dispiaccia.» disse senza troppa enfasi, mentre controllava i parametri della sua paziente che lampeggiavano sul monitor proprio accanto al suo letto. 
In quel momento però, Gomi non si accorse dell’improvviso pallore sul volto di Sana, e continuò la sua visita.
«Tsuyoshi? Ma perché gli hai detto che sono qui?» fece Sana, di getto.
«Bo, perché eravamo in classe insieme ed è uscito fuori l’argomento. Cos’è? Sei ricercata e nessuno può conoscere la tua posizione?» la prese in giro lui.
«Ma cosa dici? È che a volte i giornalisti non mi danno pace…» si giustificò lei, cercando di nascondersi dietro un sorriso nervoso. Sospirò pesantemente, perché si sentiva nervosa e non riusciva proprio a dare un nome e un motivo a quella sensazione di vuoto frenetico che si ingigantiva nel petto.
Nessuno poteva sapere cosa stesse provando, e quanto forte fosse il suo desiderio di prendere la valigia, le stampelle e la fasciatura intorno al torace e tornare in Corea. Nemmeno Fumiko, che in quel momento si domandò se il miglior amico del suo ragazzo si sarebbe presentato in ospedale durante il suo turno. Lei prendeva difficilmente l’iniziativa con il gruppo di amici di Akito, ma pensò che in fondo quella sera avrebbe potuto proporgli di vedersi tutti insieme così da rimediare all’assenza della serata precedente.


Note d'autrice
Ciao a tutti gente, spero che ci siate ancora. Io più o meno sì, nonostante mi trovi per l'ennesima volta in quest'anno in viaggio. Avevo però qualche ora di pausa e ho deciso di concludere questo capitolo, che era mezzo pronto già da un po' e postarlo.
Non mi dilungherò in queste nda, perché credo ci sia poco da dire se non che spero davvero che questo fandom torni in vita. Inoltre, per chi mi conosce, sa che c'è una spiegazione dietro tutto ciò e che prima o poi (xD) arriverà.
Spero che vi piaccia.
Un bacio
Alex

 
   
 
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