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Autore: Evali    04/09/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Beltane
 
- “Oggi è la ricorrenza della Festa di Beltane. La festa di Primavera.
I monaci ce ne hanno parlato come di una festa meravigliosa, senza eguali, alla quale possono prendere parte solo i servi e le serve del Diavolo nubili o celibi, ossia che non hanno ancora trovato un compagno o una compagna col quale trascorrere il resto della vita, che non sono sposati con nessuno, né promessi.
I monaci non possono partecipare, neanche se sono servi del Diavolo.
Non possono perché i monaci hanno fatto voto di castità e non possono prendere moglie.
Non mi hanno spiegato cosa voglia dire ‘castità’, ma credo di averlo capito.
Credo di aver capito che, giacendo con noi, con me, i monaci stanno infrangendo il loro voto di castità.
Ma la colpa è solo loro.
Saranno loro a vedersela col loro dio quando sarà il momento.
D’altronde, noi non abbiamo un dio, non abbiamo un padre, pronto a giudicarci.
Noi siamo gli dèi e i giudici di noi stessi.
Ad ogni modo, credo che i monaci stiano vivendo male la consapevolezza di non poter prendere parte alla Festa di Beltane.
Da come dicono, è una festa piena di vita, di energia, di calore, ma soprattutto di perdizione e di dissolutezza.
Alla Festa di Beltane ogni uomo e donna giacciono con chiunque incontrino sulla loro via, con chiunque preferiscano.
Giacciono tutti insieme, in gruppo, oppure da soli, in due, tre, in quanti vogliono, donne giacciono con donne e uomini giacciono con uomini, se lo desiderano.
Tutto è concesso.
Ci hanno detto che nell’antichità, quando gli uomini non servivano ancora né il Creatore, né il Diavolo, bensì altri dèi sconosciuti, le persone festeggiavano Beltane spogliandosi nude e ballando senza vestiti intorno al fuoco, sotto l’effetto di sieri, di pozioni, di elisir, che facevano loro perdere tutte le inibizioni e la ragione. Tutto ciò per favorire la fertilità, la fertilità portata dall’arrivo della Primavera.
È più una festa simbolica, in quanto i monaci dicono che, se i servi del Diavolo smettessero di continuare a festeggiare Beltane, il Creatore e il Diavolo non smetterebbero di rendere fertili i raccolti e i ventri delle donne. L’importante è continuare a pregarli e a servirli.
Eppure, i servi del Diavolo continuano a festeggiare Beltane, questa celebrazione che si portano dietro sin dall’epoca dei pagani. Da loro hanno ripreso tutto: l’uso degli elisir, degli incantesimi, gli atti sessuali nella forma più libera e priva di limitazioni. Però, al contrario dei pagani, rimangono vestiti. Almeno all’inizio.
I servi del Diavolo amano questi tipi di celebrazioni che sfociano nella perdizione e non se ne privano mai, da come dicono i monaci.
Per i servi del Creatore è peccato. Per i servi del Diavolo no.
Per coloro che non sono sentimentalmente impegnati è diventato un obbligo, parteciparvi.
Si dice che a Beltane, tre generazioni fa, sia accaduto qualcosa.
Lo si tramanda, ma nessuno vuole parlarne.
È accaduto qualcosa a qualcuno dei Primi tre.
I Primi tre bambini rinchiusi nelle cripte, come noi, da Allister Chaim, il santo e il salvatore.
Tutti i monaci e tutti noi ‘bambini senza dio’ conosciamo i nomi dei Primi tre. Tutti i monaci sanno la loro storia. Ma nessuno sa nel dettaglio che cosa è successo quel giorno, il giorno della Festa di Beltane, più di cento anni fa.
Ma oggi, per chiunque lo voglia e cerchi abbastanza, si dice che durante la festa di Beltane il fantasma della Seconda dei Primi tre, faccia la sua apparizione. E riveli dove trovare delle risposte.” – Heloisa si bloccò, poi passò oltre, voltando pagina:
- “Trecento anni fa, i Primi tre sono stati rinchiusi dentro la prima cripta, dal primo monaco che si è servito dei loro corpi e ha deciso di dare inizio a tutto questo, privandoli di una vita ed esigendo per sé tutto ciò che non avrebbe mai potuto avere: Allister Chaim.
Il nome della Prima era Erin, anche detta Giada.
Il nome della Seconda era Nellie, anche detta Tormalina.
Il nome del Terzo era Noam, anche detto Rubino.
Da come si dice, la testimonianza più preziosa del loro vissuto è un libro scritto da Erin.
Ma nessuno sa più che fine ha fatto quel libro. Se ne è persa traccia. Qualcuno dice che Allister Chaim lo abbia bruciato. D’altronde, si narra che Erin sia sempre stata la sua preferita, e che il dolore per averla persa lo abbia cambiato per sempre.
Tuttavia, si dice che esiste anche un’altra testimonianza, che nessuno ha ancora ritrovato.
Una testimonianza lasciata dalla Seconda, da Nellie.
Loro tre non scrivevano sui muri come noi, però forse abbiamo ancora la possibilità di conoscerli, di sapere come hanno vissuto.
Oggi è la celebrazione della Feste di Beltane.
I monaci non fanno che parlarne da giorni, ogni volta che vengono a trovarci qui o che richiedono la nostra presenza nei loro letti.
I monaci dicono che è accaduto qualcosa alla Festa di Beltane di tre secoli fa, qualcosa a Nellie.
Dai loro racconti tramandati, sembra che Nellie, la più scontrosa e la più ribelle dei tre, quando aveva tre o quattro anni, non volesse in alcun modo farsi toccare, nemmeno farsi sfiorare dai monaci che volevano godere del suo giovanissimo corpo acerbo.
Erin aveva provato a mediare e a farla collaborare, per evitare che le facessero del male se avesse continuato a negarsi, ma non c’era stato nulla da fare.
Nellie aveva perseverato a non concedersi a nessuno, così, durante le celebrazioni della Festa di Beltane di quell’anno, giunti ad un punto di frustrazione e rabbia senza pari a causa di questa situazione, i monaci decisero di compiere un atto di violenza senza eguali.
Sembra che i monaci fecero assumere alla piccola Nellie alcune delle pozioni che usavano i servi del Diavolo per perdere la ragione durante la festa di Beltane, costringendola con la forza.
Poi, le bevvero anche loro e la portarono in una cripta isolata della cattedrale, in un luogo lontano da sua sorella Erin, per non farle sentire ciò che le facevano.
Quando Nellie tornò nella cripta che condivideva con Erin, quella notte, aveva i vestiti sporchi di sangue. Sangue che le usciva dalla sua piccola intimità violata orribilmente e sfregiata per sempre.
Fiumi di sangue continuarono a uscirle da là sotto, senza che Erin, disperata, potesse fare nulla per farla stare meglio o guarirla.
Però, Nellie, miracolosamente sopravvisse.
Ma la violenza che perpetuarono su di lei, per spezzare la sua volontà, una volontà di ferro anche all’età di tre anni, per piegare al loro volere il suo animo mascolino e sovversivo, rimase impresso su di lei, per sempre.
Così, mentre fuori dalla cripta, in mezzo al bosco, i servi del Diavolo festeggiavano spensieratamente la festa di Beltane, totalmente inconsapevoli; al contempo, in un buco nero sotto la cattedrale, una bambina piccola veniva seviziata e tormentata dai monaci.
Qualche anno dopo, quando imparò a scrivere, si dice che Nellie usò il proprio sangue mestruale per scrivere sulle proprie vesti cosa le accadde quel giorno durante la festa di Beltane, cosa ricordava di quel funesto giorno del suo terzo o quarto anno di età.
Ciò che le è accaduto, ciò che ha pensato e ha vissuto, è impresso su quelle vesti a sangue, chissà dove.
Dunque, non ci hanno lasciato solo il racconto di fantasia di Erin.
Ci hanno lasciato anche la testimonianza di Nellie.
Ma, di entrambe le cose, nessuno sa dove siano.
Tuttavia, sono decisa a trovare la veste di Nellie.
I bambini delle generazioni passate dicono che la veste di Nellie è nascosta da qualche parte, sepolta in una delle tante cripte che ci tengono prigionieri, ma che, negli anni, nessuno dei bambini è mai riuscito a trovarla.
L’hanno cercata tutti, ma nessuno sa dove sia.
Tuttavia, vi è la leggenda che, ogni anno, alla ricorrenza della festa di Beltane, in primavera, Nellie appaia in sogno o in forma di spettro a qualcuno, e che dia indicazioni per ritrovare la sua veste, testimonianza della tremenda violenza subìta.
Oggi si terrà la festa du Beltane. Spero che Nellie mi appaia in sogno e mi dica dove posso trovarla.
La sento molto vicina a me e vorrei tanto leggere cosa ha scritto.
Giuro che la troverò. La troverò, fosse l’ultima cosa che faccio. Poi, quando avrò letto cosa ha scritto, la seppellirò di nuovo, come lei avrebbe desiderato.” – Heloisa terminò la lettura, sotto gli occhi criptici di Imogene, la quale sedeva di fronte a lei, sul tappeto di pellicce.
La fioca luce dell’alba penetrava dalla finestra, filtrata dalla vegetazione fitta della palude che circondava la casa.
- Era Dominic? – domandò la sciamana.
- Il primo frammento che ho letto sì, è stato lui a scriverlo.
Il secondo appartiene ad una ragazzina dell’altra cripta che hai scoperto e visitato recentemente.
Sui muri di quest’altra cripta vi sono gli scritti dei ragazzini prigionieri della quinta o sesta generazione, per la maggior parte.
Il frammento che ho appena letto è stato scritto da una ragazzina che si chiamava Bjork. Forse apparteneva ad una delle ultime generazioni di bambini sciagurati – si bloccò, poi spostò gli occhi chiari e malinconici fuori dalla finestra, lasciandosi illuminare da quella fievole luce. - Oggi è la ricorrenza della Festa di Beltane. Le celebrazioni si terranno questa notte. Credi sia un caso che, proprio oggi, io abbia letto questi frammenti di Dominic e Bjork, che riportano la storia e la leggenda di Nellie, connessa alla Festa di Beltane? – domandò Heloisa, voltandosi a guardare sua cugina, il viso bellissimo pregno di una strana e disillusa speranza. – Voglio scoprire anche io qualcosa in più sui Primi tre, cugina. Il racconto di Nellie è andato perduto, ma… forse, forse, oggi c’è una speranza che io scopra dove si trovi la veste di Nellie: potrebbe essere che sia io quella a cui apparirà in sogno, oggi.
Potrebbe essere un segno divino…
Imogene schioccò le labbra, stanca, già sfinita da quella conversazione. – Non convincerti che ogni cosa sia un segno divino, cugina.
Quei bambini parlano della leggenda del fantasma di Nellie alla Festa di Beltane, ma tu non sai se lo spettro di quella ragazza sia mai apparso davvero in sogno a qualcuno.
Potrebbe essere una diceria, una strana speranza che si tramandavano i bambini delle cripte, per alleviare la noia e il dolore – rispose, più cinica di quanto volesse sembrare.
- Io voglio trovare quelle vesti, Imogene..
A ciò, Imogene posò lo sguardo sulla sagoma di suo nipote, che giaceva ancora spirante, in fin di vita, accanto a loro: la sua testolina bionda era poggiata sulle ginocchia di Heloisa, come sempre, la quale vegliava su di lui, ma senza fare davvero nulla per trovare una soluzione al suo male.
La sciamana era frustrata da quella intricata e delicata situazione.
- Abbiamo un problema più grave di ritrovare le vesti di una bambina violentata secoli fa, al momento - commentò posando lo sguardo su Ioan, facendo volgere anche lo sguardo malinconico di Heloisa su di lui. – Come hai intenzione di porre rimedio? Sono giorni che è in quello stato e che non sappiamo più cosa fare per farlo stare meglio. Potrebbe morire da un momento all’altro, lo sai?
Invece di preoccuparti di leggere i diari di Dominic, di Bjork, o di qualsiasi altra mocciosa o moccioso morti da secoli, dovresti cercare di combattere il tuo orgoglio e di autoconvincerti a chiedere aiuto all’altro tuo figlio.
Heloisa, in risposta, accarezzò i capelli sottilissimi di Ioan, accennando un sorriso avvilito. – Hai ragione. Non permetterò che muoia. Mi prenderò le mie responsabilità. Puoi contattare Blake.
Imogene non credette alle sue orecchie. – Dici sul serio..?
- Sì. Ma dovrai stare attenta, Imogene: non permetterò che tu vada a casa sua e che qualcuno ti veda. Facendo ciò, i monaci potrebbero sospettare qualcosa. Tu non avresti alcun motivo di recarti alla sua abitazione, alcun motivo che non riguardi direttamente me: non permetterò che Blake corra il minimo rischio – si raccomandò la donna.
- Se andassi da lui durante la notte e nessuno mi vedesse…
- Ho detto di no.
Imogene vi pensò su, cercando di farsi venire un’idea, per poi accorgersi che la soluzione era esattamente davanti ai suoi occhi. – La Festa di Beltane – disse.
Heloisa la guardò incuriosita.
- Potrei partecipare alla Festa di Beltane e avvicinarmi a lui lì.
Saranno tutti troppo impegnati a fottersi a vicenda, e annebbiati dagli effetti di intrugli magici infervoranti, nessuno mi noterebbe avvicinarlo, e anche se lo notassero, penserebbero che lo sto avvicinando per motivi che non hanno nulla a che vedere con te: d’altronde, è pur sempre la Festa di Beltane.
Heloisa annuì, riflettendovi a sua volta. – Potresti fingere di sedurlo. Lui capirebbe e si presterebbe al tuo gioco, in quanto sa che tu mi stai nascondendo, e che dovete essere cauti se volete riferirvi qualcosa.
- Tuttavia… sei sicura che Blake parteciperà alla Festa di Beltane?
Da quel poco che ho potuto notare non mi sembra un ragazzo che ama trovarsi in mezzo ad una folla, o a cui piace prendere parte a celebrazioni come questa – espresse i suoi dubbi Imogene.
- Deve parteciparvi per forza, che lui lo voglia o no – la rassicurò Heloisa. – Da qualche anno hanno emanato una legge che obbliga tutti coloro che non sono legati sentimentalmente a qualcuno a partecipare alla Festa di Beltane.
- Per quale motivo?
- Per favorire la fertilità. E per far trovare un marito o una moglie più in fretta ai giovani del villaggio che ancora non sono stati promessi a nessuno – spiegò Heloisa.
- Potrebbe anche mentire e affermare che è legato sentimentalmente a qualcuno, se non vuole andarci. Potrebbe farlo qualsiasi persona.
- Non lo farà: in preparazione alla Festa di Beltane, qualche mese fa ho già fatto preparare degli abiti per lui dalla sarta, la quale sa già che dovrà recarsi da lui quest’oggi, per portargli i vestiti e per ricordargli quali sono i suoi doveri, e quanto sia importante che lui partecipi alla Festa, se non vuole attirare le antipatie dei monaci più di quanto abbia già fatto in diciassette anni di vita. È da quando ha quattrodici anni che si presta e sottomette a questo rito, sotto volere mio e di Rolland, e lo farà anche quest’anno. Sa quali sono i suoi doveri – affermò con convinzione Heloisa.
- Ha partecipato alla Festa di Beltane già tre volte e non ha ancora trovato una compagna?
- L’ha trovata: il primo anno è stata Beitris. Il secondo anno e il terzo anno non so cosa sia accaduto, ma so che Beitris non è stata l’unica. Una madre non dovrebbe informarsi su questo genere di cose, a meno che la compagna di una notte non si trasformi in una possibile promessa. Ma Blake non aveva intenzione di impegnarsi con nessuna delle fanciulle con cui ha giaciuto alle Feste di Beltane, nemmeno con Beitris – spiegò Heloisa, scostando lo sguardo da Ioan per tornare a guardare sua cugina. – Promettimi che starai attenta, gli dirai tutto ciò che dovrai dirgli e ti allontanerai da lui.
- Lo prometto.
- Cosa dirai a Judith?
- Judith non deve saperlo.
D’altronde, non andrò a Beltane per tradirla, dunque non c’è motivo che lo sappia – liquidò l’argomento Imogene, rialzandosi in piedi, pronta a tornare al villaggio e ad iniziare la giornata.
- Imogene – la richiamò Heloisa con voce implorante, guardandola dal basso. – Continua a mandarmi gli scritti sulle pareti della nuova cripta, te ne prego, in modo che io possa continuare a leggerli.
- Lo farò. A domani, cugina.
 
Judith si svegliò con il miagolio della gatta a rimbombarle nelle orecchie.
Era cresciuta un po’ nel corso di quelle settimane, ed era sempre più energica e intelligente.
La ragazza fece cessare quel massaggio rasposo della lingua della micetta sulla sua guancia, alzò la testa dal cuscino e scese dal letto per andarle a prendere da mangiare.
Le fitte al ventre stavano diventando sempre più insopportabili, soprattutto di prima mattina.
Avrebbe dovuto chiedere altri filtri per il dolore a Imogene e al medico.
- Buona Festa di Beltane, Nellie – le disse Judith accarezzandole la testolina pelosa, mentre questa si nutriva.
Dopo un’ora, Judith era già lavata e vestita di tutto punto, pronta a recarsi nella sala della colazione.
Non appena mise piede nel luogo, intravide subito la figura di Imogene, impegnata a smangiucchiare qualcosa della tavola imbandita e a preparare il piatto anche per lei.
Judith sorrise, sentendo un groppo di senso di colpa risalirle dallo stomaco, di fronte a tanta premura.
Imogene si accorse di lei e le sorrise a distanza. – Se non fossi scesa entro dieci minuti, ti avrei portato la colazione a letto – le disse.
Solo in quel momento Judith si ricordò che quella era stata l’ennesima notte in cui Imogene non era tornata alla cattedrale e non aveva dormito con lei. Poteva essere stata ovunque e con chiunque.
Tuttavia, scoprì che ciò non le interessava come avrebbe dovuto, perciò non le chiese spiegazioni a riguardo. - Ho dovuto dare da mangiare a Nellie – le rispose semplicemente, avvicinandosi a lei.
Imogene le diede un dolce bacio a fior di labbra e le avvicinò la sedia, per farla sedere. – Buona Festa di Beltane, bambina – le sussurrò poggiandole una mano su una guancia lattea.
- Buona Festa di Beltane anche a te, Imogene – le rispose Judith ricambiando il sorriso e sedendosi.
Stava quasi per chiederle cosa avessero preparato i cuochi per colazione quella mattina, ma padre Craig fece il suo ingresso nella sala a sua volta e attirò la sua attenzione.
- Che cos’è la Festa di Beltane? – domandò il giovane prete, che a quanto pare le aveva sentite, prendendo posto di fronte a Judith e rivolgendole un dolce sorriso.
Judith osservò l’invitante frittata di spezie con cui Imogene le aveva riempito il piatto, accompagnata da un reggimento di verdure arrostite, mentre ascoltava la sua amante rispondere a padre Craig:
- Non ne avete mai sentito parlare, prete? Si tratta di una festa pagana, che noi servi del Diavolo abbiamo assorbito e ripreso dalle popolazioni più antiche.
Imogene si impegnò a fornire a padre Craig una moltitudine di dettagli su cosa si facesse alla Festa di Beltane, e a cosa servisse.
Alla fine di tale spiegazione, padre Craig si ritrovò con le gote rosse di vergogna, e gli occhi fissi sulle uova con patate nel suo piatto, le quali sembravano improvvisamente interessanti.
- È un peccato che voi non possiate parteciparvi, padre – lo stuzzicò Imogene addentando un generoso boccone della sua patata al cartoccio.
- Chi dice che non può? – commentò Judith senza malizia.
- Cosa intendete? – le domandò confuso padre Craig.
- Beh, in verità, in passato alcuni monaci del Creatore, per puro interesse divulgativo e curiosità di apprendere le usanze dei servi del Diavolo, si sono recati alla Festa di Beltane, osservando, ma senza prenderne parte – spiegò Judith, per poi bere un sorso di spremuta.
Imogene rise contrariata, senza dire nulla.
Padre Craig vi pensò su.
Tutto ciò che era accaduto con la morte di padre Cliamon l’aveva scosso profondamente e, inevitabilmente, l’aveva trascinato in un vortice di sensi di colpa.
Da due giorni interi pensava a ciò che era accaduto e si dannava, in quanto avrebbe potuto evitarlo, se solo avesse parlato in tempo.
Judith sembrò leggere i suoi pensieri, e condividerli in parte.
In realtà, colei che soffriva maggiormente per l’accaduto era proprio lei: non solo aveva visto tutta la scena e la morte violenta del “falso Cliamon” dinnanzi ai suoi occhi, ma aveva anche scoperto di essere stata imbrogliata, e che l’uomo che l’aveva cresciuta e amata, non solo era un verme torbido e perverso, ma era persino morto, da un giorno all’altro.
Padre Craig le rivolse uno sguardo di sincera solidarietà e preoccupazione. – Come state oggi, mia cara? – le domandò.
A ciò, Judith lo guardò e gli sorrise rassicurante. – Meglio, padre. Grazie.
Il silenzio tornò nella stanza, e Judith non perse tempo a spezzarlo. – Perché non andate anche voi alla Festa di Beltane questa notte? Per puro interesse divulgativo – disse Judith al giovane prete, facendogli sgranare gli occhi.
- Non credo sia una buona idea, Judith… - commentò questi.
- Non è affatto una buona idea – lo sostenne Imogene, lievemente agitata.
- Perché no? Potrebbe essere interessante. L’importante, è che non assumiate nessuno degli intrugli e delle pozioni che berranno tutti gli altri, in modo che potrete restare vigile e attento, senza perdere il senno – disse Judith con semplicità. – Io e Imogene non andremo, in quanto io e lei siamo sentimentalmente legate l’una all’altra. Tuttavia, potreste andare da solo, e magari incontrare anche qualcuno che conoscete.
Imogene fulminò con lo sguardo il giovane prete, osservando attentamente la sua reazione a tale proposta.
Se quel prete l’avesse intravista alla Festa di Beltane quella notte, lo avrebbe sicuramente detto a Judith il giorno seguente.
Tuttavia, non poteva impedirgli di andarci, se lui avesse voluto.
Semplicemente, avrebbe dovuto essere ancora più cauta, e cercare di non farsi scorgere da lui. Un conto era non farsi notare da uomini e donne totalmente annebbiati e in estasi, un altro conto era sfuggire all’attenzione di un uomo vigile e pienamente nelle sue facoltà razionali.
L’unica alternativa che aveva, era far assumere a padre Craig gli stessi intrugli che avrebbero assunto tutti, per renderlo meno lucido, incapace di riconoscerla.
Vide palesemente il volto di padre Craig cambiare espressione, attraversare un tripudio di emozioni diverse: che volesse andare alla Festa di Beltane per incontrare qualcuno in particolare…?
In Imogene nacque tal dubbio.
Intanto, padre Craig rifletté sul fatto che, se anche avesse scorto Blake alla Festa di Beltane, nonostante sperasse con tutto il cuore di non trovarlo ad una celebrazione simile, non avrebbe saputo minimamente che cosa dirgli.
Trovarlo lì avrebbe significato trovarlo in compagnia di qualcuno.
E se anche, per puro miracolo divino, lo avesse incontrato da solo, e avesse avuto l’opportunità di avvicinarlo, non sapeva minimamente come approcciarlo, cosa dirgli, come comportarsi.
Era Blake che avrebbe dovuto dirgli qualcosa, che avrebbe dovuto fare il primo passo e parlargli del loro litigio, in quanto era stato lui a cacciarlo di casa come fosse un cane.
Seppur padre Craig si fosse comportato male, sapeva di non meritare tale trattamento da lui, specialmente sapeva di non meritarsi di essere cacciato di casa.
Tuttavia, forse era davvero l’occasione giusta, l’occasione che gli avrebbe permesso di parlargli, di confrontarsi con lui sull’accaduto, senza costringerlo a recarsi a casa sua.
Sprecarla, probabilmente, sarebbe stato un gesto da sciocchi.
 
Fu così che, quella sera stessa, si ritrovò nel cuore del bosco, completamente circondato da giovani servi del Diavolo, esattamente come quella notte di mesi prima, alla celebrazione del matrimonio.
Ognuno di loro indossava abiti caratteristici, uomini e donne: si trattava di un tipo di abbigliamento leggero, arioso, che metteva in evidenza le bellissime forme sotto i vestiti, ma non volgare, né troppo elegante.
Come quella sera, si sentì ancora una volta inadeguato, seppur consapevole.
Nessuno di loro lo degnava di uno sguardo: uno straniero come lui non attirava certo l’attenzione di occhi concupiscenti alla Festa di Beltane.
Tuttavia, alcuni sguardi incuriositi e stupiti si posarono su di lui.
Alcuni fanciulli e fanciulle accesero un focolare in mezzo a loro, che divenne grande, sempre più grande, di minuto in minuto.
Dopo di che, alcuni stregoni in mezzo a loro pronunciarono delle parole incantate.
E tutti si diedero alla pazza gioia.
Iniziarono a ballare come presi da un’energia e una vitalità spaventosamente traboccante, felici, ridenti, ma ancora lucidi.
I vestiti leggeri si muovevano sui loro invitanti corpi in una maniera a dir poco assuefacente e stuzzicante.
Alcune meravigliose donne lo invitarono a ballare con loro, ma lui rifiutò gentilmente.
Continuò ad osservarli ballare tutti insieme intorno all’enorme focolare, cantando e ridendo come angeli e diavoli tentatori, come figli delle fiamme stesse, ma non trovò lui.
Lo cercò con lo sguardo, dall’inizio, ma non lo individuò.
Come sospettava, c’era la probabilità che, come faceva pressocché sempre, Blake non avesse seguito le leggi di Bliaint, e avesse deciso di non partecipare a quella celebrazione, seppur celibe e libero sentimentalmente.
Il pensiero lo rincuorò, in parte.
Specialmente nel momento in cui tutti quanti iniziarono a cantare più forte e ad assumere strane sostanze: fumi dai colori strani uscivano dalle loro bocche e dai loro nasi mentre facevano ricadere la testa all’indietro, come in estasi, e schiudevano le labbra, mostrando i denti bianchi; liquidi, miscele dalla consistenza indefinibile entravano dentro di loro, venivano annusate e trangugiate, senza il minimo tentennamento, in una danza sempre più spinta e febbricitante, irrimediabilmente attraente.
Una danza dalla bellezza pericolosa e spaventosa.
Era questo ciò che aveva pensato padre Craig la prima volta che era giunto in quel villaggio fuori dal mondo, e che oramai era diventato il centro pulsante del suo, di mondo.
Non gli era mai capitato di pensare che la bellezza potesse essere spaventosa prima di quel momento, prima di aver posato gli occhi sui servi del Diavolo.
Una bellezza che spingeva a desiderare di non vederne più, che esortava a desiderare di posare gli occhi altrove, in tutto ciò che non fosse l’oggetto che possedeva tale bellezza, in quanto terrorizzava, per quanto inumana, da lasciare senza fiato.
Quei corpi, nella totale inconsapevolezza dei fumi e degli elisir assunti a fiumi, si facevano toccare e spogliare, senza sapere a chi appartenessero tali mani.
Si facevano stringere, assaporare, mordere, possedere, graffiare, divorare.
E lo facevano a loro volta ad altri.
Padre Craig si ritrovò a desiderare di non vederne più, di non vedere più nulla di quel conturbante e seducente spettacolo.
Guardare due persone fare l’amore in quel modo, o meglio, un intero gruppo di persone possedersi e trangugiarsi a vicenda nella maniera più passionale e vorace possibile, era la cosa più immorale e peccaminosa che potesse mai arrivare a fare.
Era ancora lucido, era ancora in sé.
Poteva ancora decidere di andarsene.
Fece per voltarsi e prendere la strada di ritorno al villaggio, ma, all’improvviso, una donna gli si parò davanti e gli soffiò in faccia una polvere, pronunciando una formula in una lingua sconosciuta.
Non riuscì a vedere in volto la donna e non poté far nulla per evitarlo.
Fu allora che i suoi sensi iniziarono a venir meno, o meglio ad intensificarsi all’inverosimile.
Era tutto improvvisamente potenziato: le luci violente del focolare che li illuminava, il profumo intenso della donna, i bellissimi occhi argentei di lei, lo sguardo giudicante della luna sopra di loro.
La donna non gli disse niente. Semplicemente lo guardò, lo osservò lasciva e incuriosita, sapendo di averlo in pugno, cosciente che non avrebbe dovuto fare nulla per sedurlo, poiché era già suo.
Padre Craig la osservò perso e non provò neanche a resisterle.
Lei gli posò una mano sul petto e si sporse verso di lui, lasciandogli un lungo bacio sulle labbra.
Un bacio che, dopo un iniziale tentennamento, ricambiò, abbandonandosi al suo invitante sapore e tocco.
Cosa stava facendo?
Non ebbe neanche il tempo di domandarselo, poiché le mani della donna erano già sotto i suoi vestiti, togliendogli il fiato, mentre le sue erano sui fianchi di lei.
Poi si aggiunsero altre donne. Fu così che divenne tutto oscuro. Un tripudio di sensazioni, di piaceri intensi come mai ne ebbe provati, di estasi, di dolore, di fame, di foga, di voglia, di sospiri, gambe intrecciate, sudore, calore, intrugli dal sapore estraneo, smania di qualsiasi cosa fosse la vita carnale di cui si era privato sino a quel momento.
Blake e Judith restarono impigliati nella sua mente annebbiata come due fantasmi evanescenti.
 
La folla era già in estasi e in preda alle allucinazioni, e Imogene si fece strada in essa con esperta agilità.
Conosceva la Festa di Beltane, vi aveva partecipato molte volte e sapeva come muoversi, cosa aspettarsi, e come resistere alla tentazione di abbandonarsi a quei fumi celestiali e alle gioie che promettevano quei meravigliosi corpi che rilasciavano lussuria da ogni poro.
Non era arduo per una come lei, restare concentrata nel suo obiettivo.
Alcuni fanciulli e fanciulle provarono a trascinarla in mezzo alle loro danze orgiastiche, ma lei se li scrollò di dosso garbatamente.
Doveva trovare il ragazzo, prima che la malattia di Ioan peggiorasse e giungesse ad un punto di non ritorno, portando sua cugina alla pazzia.
In quel momento, Blake, con i suoi metodi proibiti, era la loro unica speranza.
 Sperò che Heloisa avesse ragione e che lo avrebbe trovato lì; ma le sue speranze andarono a vanificarsi dopo quasi un’ora di ricerche del ragazzo, inutili.
Non sembrava esserci traccia di lui. Come temeva, molto probabilmente non era lì.
Tuttavia, fortunatamente, era riuscita ad intravedere almeno padre Craig, senza che lui la scorgesse a sua volta; così aveva fatto in modo che una delle donne presenti gli facesse inspirare gli stessi fumi che avevano assunto tutti, drogandolo.
Aveva optato per una donna e non per un uomo, nonostante non sapesse se padre Craig fosse più attratto dalle donne o dagli uomini; in ogni caso, sapeva per certo avesse un debole per Judith, perciò con le donne sarebbe andata sul sicuro, per lo meno.
Dunque, ora poteva muoversi liberamente, senza temere di essere scorta insieme a Blake da occhi indiscreti, o lucidi abbastanza da porsi delle domande a riguardo.
Continuò a cercare, senza arrendersi, fin quando una mano non si strinse alla sua spalla con decisione, facendola voltare verso la sua proprietaria: Myriam, il suo primo e folle amore, la fissava con degli occhi indefinibili, dolorosi da guardare per quanto intensi.
- Sono ore che stai vagando senza meta qui, senza avvicinare o lasciarti avvicinare da nessuno: chi stai cercando?
Ore? Non credeva di trovarsi lì da ore, bensì da un’ora massimo.
Forse aveva risentito dei fumi anche lei stessa.
Imogene ricambiò lo sguardo con circospezione, studiandola. – Cosa ci fai qui? Sei venuta per godere di corpi molto più giovani di te, nonostante tu abbia partecipato sin troppe volte a Beltane?
Myriam avrebbe potuto farle la stessa domanda, dato che Imogene era persino più matura di lei.
Ma la strega non lo fece, restò ancora in silenzio, guardandola a sua volta, in un gioco di sguardi e di seduzione che fu in grado di disarmarla.
Erano anni che Myriam non la guardava così, anni che non la guardava con occhi non iniettati di odio, rabbia e rancore.
- Te lo domando di nuovo: chi stai cercando con tanta attenzione, Imogene? – le domandò con voce vellutata, avvicinandosele.
Non c’era da fidarsi di Myriam.
Poteva essere fatalmente velenosa quanto accattivante.
- Devi per forza star cercando qualcuno, dato che hai rifiutato i tentativi di approccio di decine di ragazze e ragazzi. Dimmi, tu sai dove si nasconde quell’arpia di Heloisa, non è vero?
Imogene rimase in silenzio, avendo immaginato già in partenza che Myriam volesse arrivare a quell’argomento.
- Sei davvero così disperata e desiderosa di vendetta, Myriam? Così ossessionata da quella donna, da arrivare al punto di supplicare me di dirti dov’è? – la schernì.
- L’unica che può nasconderla sei tu. Spero, almeno, che tu abbia usato un pizzico di furbizia e creatività: so benissimo dove si trova la tua casa nella palude. Ci ho vissuto. Ricordi?
Ci ho vissuto prima che tu stroncassi la vita di tua figlia con le tue stesse mani, perché non sei in grado di stare al mondo, Imogene.
La sciamana completò mentalmente quella frase da sola.
- Se sei così certa che mia cugina si trovi lì… per quale motivo non ci sei già andata? Per quale motivo non ti sei recata lì a porre fine alla sua vita a sangue freddo? – la mise alla prova.
Myriam tentennò, esattamente come si aspettava, come si aspettava ogni volta che toccava il suo punto dolente. Il suo punto debole.
- Non l’hai ancora uccisa… per lui. Se non fosse sua madre le avresti già tagliato la gola.
Ma è proprio perché è sua madre che vuoi tagliarle la gola.
Non lo trovi ironico? – Imogene sapeva di star camminando su un filo spinato, ma non riuscì a trattenersi, e osservare l’espressione spiazzata e fremente di Myriam fu il premio più grande a tanta audacia.
Ma Myriam impiegò pochi secondi a riprendersi. – La tua illustre amante… cosa direbbe se sapesse che ti trovi qui?
Stavolta fu Imogene a impietrire.
No, non avrebbe osato…
- So che la vostra relazione è molto libertina… tuttavia, mi è sembrato di notare che nelle ultime settimane il vostro rapporto si sia intensificato… per lo meno da parte tua. Ti vedo molto presa da lei, Imogene.
- Non osare nominare Judith. Che tu sia dannata, Myriam.
- Il suo cuore non è tuo, Imogene, e mai lo sarà. Dentro di te, sai che è così.
Non ti sembra che, dal funerale di Rolland, lei si sia allontanata sempre di più da te?
Ti sta sfuggendo dalle dita, e tu stai continuando a negarlo a te stessa.
Fa male, non è vero? È la prima volta per te… non essere ricambiata da qualcuno.
Dunque… perché non ti lasci andare?
Ci sono decine e decine di fanciulle pronte a soddisfarti a qualche metro da te.
Puoi avere chi desideri, Imogene.
Judith è desiderata da chiunque, a ragione, certo, ma è rimpiazzabile.
- Non osare parlare così di lei! – esclamò sopraffatta dalla furia, afferrandola per la tunica leggera che indossava e portandosela vicina. – Nominala ancora e ti ritroverai senza lingua, Myriam, o peggio… potresti perdere il favore dei monaci che ti sei guadagnata con tanto sforzo. Non sei una monaca del Diavolo, ora? Non dovresti essere qui, dato che hai già fatto voto di castità. Che cosa accadrebbe se anche solo uno dei presenti qui, fosse abbastanza lucido da riconoscerti e da rivelare ai monaci che madre Myriam ha partecipato alla Festa di Beltane?? Il giochetto segreto che hai fatto con padre Cliamon e con quel ragazzino non ti è bastato? Vuoi mettere a rischio ulteriormente la tua posizione? – la minacciò.
Tuttavia, Myriam non mosse un muscolo e non ebbe alcuna reazione.
Continuò a guardarla da vicinissimo, penetrandole gli occhi di miele con i suoi scurissimi, spavalda e insolente, cosciente di se stessa più di quanto lo fosse Imogene.
Nei suoi occhi vi era dipinta solo un’affermazione:
Hai tolto la vita a tua figlia e non importa quanto tempo passerà, io ti ucciderò per questo.
Tuttavia, entrambe sapevano che nessuna delle due avrebbe alzato un’arma contro l’altra in quel momento.
Non era il luogo né il momento giusto per farsi del male.
Inoltre, Myriam sapeva di non essere potente quanto Imogene, e almeno finché non fosse stata del tutto certa di poter avere la meglio su di lei, non le avrebbe mosso guerra.
Inoltre… di mezzo vi era anche l’incantesimo di protezione del villaggio, che non poteva essere in alcun modo infranto al momento, con la minaccia di un’invasione imminente.
Non era cosa da poco, e Myriam, così come Ephram, ne erano sin troppo coscienti.
Dunque, non potevano toccarsi.
Eppure… l’attrazione immane e insaziabile che vi era sempre stata tra loro, ricordò alle due che vi erano altri modi in cui avrebbero potuto toccarsi, al momento.
Erano trascorsi anni, eppure quello che vi era stato tra loro non era svanito.
Nemmeno l’odio e la furia reciproci avrebbero potuto scalfire o vanificare ciò che avevano vissuto in quella casa nella palude.
Se ne accorsero in quel momento, mentre si trovavano talmente vicine, che i loro respiri avrebbero potuto mischiarsi tra loro.
Imogene non era giunta lì per quello, eppure era totalmente assuefatta dalla presenza di Myriam, così come quest’ultima lo era dalla presenza di Imogene.
Eppure, entrambe erano molto più lucide di tutti coloro che le circondavano.
Fu così che accadde, e si lasciarono andare l’una all’altra, senza poter fare nulla per impedirlo.
Imogene le circondò i fianchi con le braccia, stringendola smaniosamente a sé, mentre Myriam le allacciò le gambe al busto, prendendo ad invaderle la bocca con ardore, come non faceva da troppo tempo.
Sospirarono e gemettero come due ragazzine, l’una tra le braccia dell’altra, come se quello fosse l’unico luogo in cui avrebbero mai potuto raggiungere il massimo grado di realizzazione e di pienezza carnale e spirituale.
Si possedettero decine e decine di volte quella notte, non avendone mai abbastanza, nonostante Judith non abbandonò mai la mente di Imogene.
Ma qualsiasi stralcio di senso di colpa della sciamana venne annebbiato dall’immenso piacere che le fece provare il suo primo amore, e da un invasivo e insinuante pensiero che le stava intossicando la mente: lei non sarà mai davvero mia. Il suo cuore appartiene a qualcun altro.
Dopo ore e ore di piacere ricevuto e donato, al pari di prezioso nettare divino, Imogene aprì gli occhi e trovò una sagoma dinnanzi a sé.
Comprese che non fosse realmente presente lì, materialmente, in quanto passava attraverso i corpi come uno spettro.
Era una fanciulla. I suoi capelli erano scuri e corti, il suo viso tondo e armonioso, dalla bellezza particolare e androgina, gli occhi grandi e scuri.
Indossava un vestito grigio, macchiato di sangue, da capo a piedi.
La ragazza le si avvicinò con la sua essenza eterea e pose le mani sul proprio inguine, da sopra il vestito.
Fu in quel momento che Imogene si accorse che l’abito strappato della fanciulla era macchiato di sangue in particolare all’altezza del suo punto più intimo, tra le gambe.
“Vi è la leggenda che, ogni anno, alla ricorrenza della festa di Beltane, in primavera, Nellie appaia in sogno o in forma di spettro a qualcuno, e che dia indicazioni per ritrovare la sua veste, testimonianza della tremenda violenza subìta”
Tali parole tornarono alla mente della sciamana, la quale osservò lo spettro dinnanzi a sé incantata e sconcertata insieme.
- Nellie… oh Nellie .. - sussurrò labilmente.
La fanciulla le rivolse un lievissimo sorriso e le fece segno di fare silenzio, mentre la mente annebbiata di Imogene partoriva immagini di ogni sorta per lei.
Nellie le sussurrò qualcosa all’orecchio con la sua voce flebile, inumana.
Coordinate, indicazioni.
Imogene immagazzinò quelle informazioni senza rendersene neanche conto, poi la vide svanire nel nulla, così come era apparsa.
Dopo ciò, si riscosse dal torpore e si guardò distrattamente intorno. La concretezza intorno a sé la invase con repentina violenza.
Fu in quel momento che lo vide, improvvisamente, l’oggetto della sua disperata ricerca, e i suoi sensi si acuirono: fece leva sui gomiti e si rialzò in piedi, lasciando Myriam dietro di sé, cercando di raggiungerlo.
- Blake! – provò a chiamarlo. Ma il ragazzo non si voltò verso di lei. Era ancora troppo distante… e i suoi occhi, il suo sguardo.. Imogene venne invasa da un brivido di freddo lungo la spina dorsale quando notò gli occhi del ragazzo. Erano completamente persi, lontano dal mondo, invasi da qualcosa che non era dovuto solamente ai fumi e agli intrugli, non poteva esserlo.
Lo chiamò ancora, cercando di raggiungerlo, e fu in quel momento che Blake si voltò verso di lei.
 
Il ragazzo si ritrovò in un luogo deserto, buio, con solo un albero nel mezzo di una nube oscura.
Davanti a lui si parò una figura alta e incappucciata, i capelli neri come la pece, la pelle bianca come la luna e un cappuccio a coprirgli gli occhi.
Lo scrutò, poco prima di percepire qualcosa di viscido strisciargli intorno alle caviglie.
Guardò in basso e adocchiò il serpente velenoso che si stava arrampicando lungo la propria gamba, senza tuttavia averne paura.
Rialzò lo sguardo e stavolta trovò dinnanzi a sé la figura di una donna.
Minuta, molto più bassa di lui, tuttavia affascinante, gli occhi simili a quelli di un’incantatrice, lunghi capelli ramati, uno sguardo consapevole, in cui sembrava contenuta tutta la conoscenza del mondo.
La donna alzò lo sguardo verso di lui. – Mi aveva promesso la conoscenza. E me l’ha donata.
- Chi? – le domandò Blake.
- Il tuo Signore. Quello che servi – gli rispose lei, osservando la desolazione intorno a loro. – Mi ha fatto tradire il mio, con l’inganno.
A quel punto, Blake comprese. – Non ti ha ingannata. Hai detto che ti ha dato quello che ti ha promesso.
Eva, colei conosciuta come la prima donna, si voltò di nuovo a guardarlo. – Sì. Ma non mi aveva detto quali sarebbero state le conseguenze di tale tradimento. Io non sapevo nulla, al tempo. Nulla.
A causa mia abbiamo iniziato ad invecchiare e a soffrire. La vita eterna ci è stata negata dal Creatore.
Tutto questo è accaduto perché mi sono lasciata tentare dalle promesse di un angelo caduto.
- Non è così – le rispose prontamente Blake, guardandosi intorno a sua volta. – Dove ci troviamo?
- Nel Giardino proibito. Dove si trova l’Albero del bene e del male.
Il luogo in cui il peccato di hybris più grave che potessi mai commettere, ha dato inizio alla storia dell’umanità – rispose lei, riattirando l’attenzione del ragazzo su di te.
Eva lo osservò ancora. – Conosci questo luogo, Blake?
Egli negò con la testa.
- Strano. Eppure, sei l’essere umano che pecca di più di hybris e tracotanza - rispose con naturalezza Eva.
- Per questo mi sei apparsa in sogno?
- Non è un sogno.
- Deve esserlo.
- Quanti sogni lucidi stai facendo ultimamente?
- Sono i fumi di Beltane.
Eva gli rivolse un sorriso quasi compassionevole. – Quante altre allucinazioni hai avuto prima di stanotte? Non ti serve partecipare alla Festa di Beltane per vedere i morti. Le sostanze che hai assunto stanotte hanno solo accentuato il tutto. Oppure, è opera di qualcun altro.
- Non credo a tutto ciò – le disse.
- Essere miscredente è un’altra implicazione di chi pecca tanto di hybris.
Io non sapevo a cosa credere, al tempo.
- Io so bene a cosa credere. Credo solo a quello che vedo.
- Dunque, anche io non esisto? Neanche l’albero del bene e del male è mai esistito?
L’umanità soffre e muore senza motivo?
Qual è lo scopo di tutto ciò? Ti sei mai interrogato su questo?
Vorresti sapere anche tu ciò che ho saputo io?
Vorresti venderti l’anima anche tu per ottenere la conoscenza assoluta, il potere di cambiare le cose? – lo mise all’angolo, insistendo.
Blake fissò gli occhi nei suoi e fece passare un lungo attimo di silenzio prima di risponderle.
- Credo che, se il Creatore di cui parli esiste davvero, non abbia alcun senso che possegga tali manie di onnipotenza, che sia tanto permaloso e rancoroso.
Dio dovrebbe essere perfetto. Lo dicono tutti.
Eppure, ti avrebbe punita solo per aver morso un frutto e per aver voluto sapere di più.
Non si può punire qualcuno per voler uscire dall’ignoranza, per la fame di conoscenza.
Esattamente come un bambino capriccioso, ti avrebbe tolto la vita eterna per un gesto tanto naturale e umano, nonostante il tuo pentimento, nonostante i tuoi discendenti non abbiano fatto niente contro di lui.
Non ha dato modo a nessuno di redimersi, continua a comportarsi crudelmente e a negare a chiunque una vita degna di essere vissuta soltanto a causa del tuo “peccato”.
Se tutto ciò fosse vero… lo troverei tanto assurdo da risultare surreale.
Non mi importa di questo. Io voglio proseguire per la mia strada.
- E qual è la tua strada?
All’improvviso, l’ambientazione cambiò, e i due si ritrovarono in una città abitata: il terreno era secco e costellato di erba di tanto in tanto; degli uomini vestiti in modo strano stavano battendo delle strane incudini su un enorme pezzo di metallo dalla forma insolita, che si dilungava sin oltre l’orizzonte. Metallo, metallo ovunque, che si muoveva ed emetteva vapori, trasportando persone, provocando dei rumori insopportabili per l’udito.
Blake osservò il tutto sconvolto. – Che cos’è…?
- Il futuro.
Lo sai che Lui può assumere l’aspetto che desidera?
Può presentarsi ai tuoi occhi come maschio o come femmina. Può presentarsi a te anche come un oggetto, uno scenario, un luogo.
Potrebbe essere lui ad averti portato qui.
- Chi? Il Diavolo? – domandò scettico e sarcastico Blake.
- Oppure le sue prime seguaci.
- Le prime streghe?
- Vogliono mostrarti un assaggio di ciò che potresti e vorresti conoscere.
Ma sei nato nell’epoca sbagliata, Blake, e né io né loro possiamo aiutarti a scampare il destino che ti spetta – gli disse Eva, osservando l’enorme matassa di metallo mobile con sguardo per nulla sorpreso, bensì serio e imperscrutabile. – Tu sei come me. Ma io so già tutto questo. Io e te siamo gli esseri più simili al Diavolo: anche lui si è ribellato a Dio. E ne ha pagato le amare conseguenze. Se non vuoi fare la nostra stessa fine, sei ancora in tempo per fermarti.
- Fermarmi dal fare cosa?
- Cessa la tua ricerca, rimani al tuo posto, servi il tuo Signore, ringrazialo, rendigli onore e non usufruire della magia senza dare nulla in cambio.
- Io non sto usando la magia. Non ho bisogno di dare nulla in cambio, non sto togliendo niente a nessuno. Il “mio Signore” ha tradito a sua volta il suo dio, dovrebbe comprendere i motivi per cui non voglio assoggettarmi a lui, sempre che esista realmente.
- Taci!
Improvvisamente, un’altra donna si parò ai suoi occhi, molto diversa da Eva: era alta, il suo passo era pesante, non aveva nulla dell’aspetto dell’incantatrice che possedeva Eva; bensì pareva più una dea esiliata.
- Chi è lei? – domandò Blake.
- Sai, nonostante tutti credono io sia la prima donna, tu dovresti sapere che non sono stata la prima.
La prima era lei: Lilith.
La prima strega è stata esiliata dal paradiso terrestre perché non voleva sottomettersi al primo uomo.
Ella non è stata tentata dalle promesse del Diavolo come me. Ella non peccava di hybris come te e me. Ella voleva solamente essere libera. Per questo è migliore di noi, di me, nonostante sia io a venire ricordata e non lei – spiegò Eva. – Sapevo sarebbe venuta. Se le prima streghe si sono manifestate a te, tormentandoti, lei non poteva rimanere indifferente a ciò, specialmente se sono io ad accompagnarti. Tu sei troppo simile a me, Blake.
- Io non credo a ciò a cui credi tu.
- Neanche dopo quello che hai appena visto? La tua spiritualità è totalmente assente, dunque.
Sei un peccatore peggiore di quello che pensavo.
- Non sono un peccatore perché desidero spingermi oltre i miei limiti.
- Tu ti spingi oltre i limiti umani e ciò è profondamente sbagliato – controbatté la donna.
- Chi ha definito quali siano i limiti umani?
- È stato Dio a farlo!
- Un dio che non esiste! E anche se esistesse non mi curerei delle sue proibizioni, né dei suoi comandi! - il cielo tuonò spaventosamente non appena il ragazzo pronunciò tali parole, e la desolazione si irradiò intorno a loro.
Ora erano circondati dal fuoco e dalle fiamme, Lilith era sempre più vicina a loro, con la sua aura mortifera.
- Nessuno potrà impedirmi di non credere, nessuno mi costringerà a “rimanere al mio posto” – affermò con convinzione il ragazzo, senza lasciarsi intimorire. – Io non ho nessun dio, e non mi assoggetterò mai ad alcun signore.
- Non dire una parola di più, Blake.
 - Io so cosa voglio e cosa cerco, e non esistono limiti a ciò che gli esseri umani possono ottenere.
Improvvisamente, Blake si ritrovò sopra un soppalco, legato ad un palo, circondato da paglia.
Lilith dinnanzi a lui, con una fiaccola in mano, pronta a farlo bruciare al rogo.
- Non mi convincerete mai che ciò che penso, che ciò che faccio e che sono, sia sbagliato! – esclamò, poco prima di udire una voce richiamarlo.
Una voce che sembrava sin troppo concreta e reale.
Improvvisamente, si ritrovò alla Festa di Beltane. Ricordava di essere arrivato lì ma non ricordava quanto tempo fosse passato. Non distingueva più cosa fosse reale e cosa non lo fosse.
Nessuno lo aveva avvicinato fino a quel momento, in quanto le allucinazioni avevano preso il sopravvento e il suo sguardo, così come il suo intero corpo, erano altrove, nonostante materialmente fosse presente in quel bosco, dinnanzi a quel focolare immenso.
Era sordo ai richiami, agli sguardi, alle mani che provavano a raggiungerlo.
Ma ora che era “tornato in sè”, alla realtà, acquistò coscienza di ciò che lo circondava: orge che venivano consumate in ogni dove, genti che ballavano nude, prive di inibizioni, drogate fino alla follia, deliri lussuriosi, odori e voci che incarnavano la più sensuale delle perversioni. Esattamente come era sempre stato a Beltane.
La sua testa era una campana rovente pronta a scoppiare, era profondamente spaesato, e ci mise diversi secondi a capire chi lo stesse chiamando, pronunciando il suo nome in maniera persistente e ripetuta. Mise a fuoco la figura di Imogene, a pochi passi da lui.
Per quale motivo lei era lì? Perché lo stava cercando e chiamando? Voleva dirgli qualcosa che riguardava sua madre?
Poi, quando gli fu abbastanza vicino, Imogene venne colpita da un forte dolore al petto, improvviso, che la fece accasciare a terra.
Era come se non potesse e riuscisse ad avvicinarsi a lui.
Myriam osservò la scena da lontano, allibita, rimanendo tuttavia a distanza.
Quando Imogene riuscì a rialzarsi e a raggiungerlo nonostante il dolore fisico che la affliggeva ogni volta che si avvicinava, Blake non vide più lei dinnanzi a sé, ma la figura della sciamana sfumò in quella di Lilith, che aveva ancora la fiaccola alzata, pronta a farlo bruciare.
Il terrore e la furia presero il sopravvento in lui.
Iniziò ad indietreggiare. – Stammi lontano! – esclamò allucinato e furioso. – Allontanati da me!!
Imogene si fermò, non sapendo cosa gli fosse preso.
- Blake…? Mi riconosci? Sono Imogene – provò a riscuoterlo.
- Sta’ lontana da me, ho detto!
A ciò, un’altra presenza si aggiunse alla loro, intervenendo prontamente:
Ephram, anche lui sotto gli effetti dei fumi, era tuttavia abbastanza lucido da percepire che qualcosa non andasse tra i due. Lo stregone circondò i fianchi di Blake e lo avvicinò a sé, trattenendolo.
- Va tutto bene. Quello che vedi non è reale… Blake! – cercò di tenerlo fermo, ancorato a sé, ma il ragazzo continuava a muoversi tra le sue braccia, come se non lo vedesse davvero, come se non riuscisse più a vedere nulla.
- Non brucerò per colpa sua! Deve allontanarsi da me! – ripeté con foga.
A ciò, Ephram si voltò verso Imogene e le parlò con voce decisa, infastidita, quasi rabbiosa: -Allontanati da lui.
- Ephram, non so cos’abbia, ma la colpa non è mia. Hai interpretato male: non voglio niente da lui. Puoi prendertelo, è tutto tuo, per quel che mi riguarda.
Ma devo parlargli.
- Ho detto di allontanarti, Imogene. Ora.
Anche Ephram doveva essere pienamente sotto l’effetto di quegli intrugli, in quanto non era in grado di ragionare razionalmente, si accorse Imogene. La sciamana notò che lo stregone stava stritolando i fianchi di Blake in maniera a dir poco possessiva, come se qualcuno stesse cercando di rubargli il suo pasto preferito da sotto il naso; e lo teneva stretto a sé languidamente, aderendo al suo intero corpo in maniera del tutto innecessaria.
La lussuria aveva preso il sopravvento anche su di lui, Beltane aveva dato i suoi frutti.
Imogene si voltò e si accorse che Myriam era sparita.
Se neanche Myriam si stava preoccupando di ciò, per quale motivo lei avrebbe dovuto assicurarsi dell’incolumità del ragazzo? Certo, era pur sempre il figlio di sua cugina, tuttavia non era compito suo proteggerlo da occhi e mani non gradite. D’altronde, era Beltane, lui era lì consapevolmente e nonostante al momento non fosse in sé, sapeva come funzionasse e cosa succedesse durante quella particolare celebrazione. Se gli fosse successo qualcosa che non desiderava, avrebbe dovuto prendersi da solo le proprie responsabilità.
A ciò, decise che non avrebbe di certo affrontato uno stregone potente quanto Ephram e del tutto incapace di ragionare razionalmente.
Avrebbe trovato un altro modo per parlare a Blake, in un secondo momento.
Dopo l’ennesima occhiata minacciosa da parte di Ephram, Imogene se ne andò, lasciandoli soli.
Intanto, un gruppo formato da giovani uomini e donne iniziò a circondarli.
Ephram strinse ancora Blake a sé, e mentre questo permaneva in quella trance ad occhi aperti, lo stregone gli infilò il naso tra i capelli e inspirò il suo odore, per poi scendere giù con il viso e iniziare a baciargli la pelle liscia della mandibola e del collo estremamente accaldato, con lentezza e dovizia.
Annebbiato, in bilico tra visione e realtà, e con la testa pulsante e invasa da voci perseguitanti, Blake tentò debolmente di allontanarsi da lui, senza successo, lasciandosi toccare dalle sue mani.
Ma fu quando il ragazzo percepì le labbra dello stregone invadere prepotentemente le sue, con un bacio a piena bocca e infilandogli la lingua più in profondità di quanto fosse umanamente possibile, che si ribellò con più decisione, acquistando maggiormente consapevolezza della realtà, nonostante vedesse ancora Lilith dinnanzi a sé, che dava fuoco alla sua pira.
- Smettila… smettila! Lasciami! Lasciami andare… - farneticò, percependo le mani affusolate e capienti dello stregone accarezzarlo e stringerlo ovunque, specialmente sulle cosce e sul fondo schiena, mentre lo teneva ancorato a sé.
- Che tu sia dannato, lasciami andare!! – esclamò, scrollandoselo di dosso in un impeto di furia, dandogli un pugno in faccia talmente violento da farlo sbilanciare indietro.
Ephram si toccò il naso sanguinante a causa del forte colpo ricevuto, e si voltò di nuovo verso Blake, un po’ più cosciente dell’accaduto, questa volta. Un velo di pentimento non troppo marcato apparve sul bel volto dello stregone. – Mi dispiace – gli disse, non essendo in grado di pronunciare altro.
Blake gli rivolse uno sguardo che lo impaurì: perso nel vuoto, stralunato, e al contempo deluso, diffidente, come a metà tra la realtà dei fatti e un vivido sogno.
Quando il ragazzo riuscì a mettere ben a fuoco la figura dell’amico e stregone, gli sputò addosso con astio. - Per chi Diavolo mi hai preso..?! Per uno degli stupidi ragazzini che seduci e che ti infili tra le gambe a forza??
- Assolutamente no.
- Puoi trovartene una mandria, con uno schiocco di dita, qui, stanotte.
Leva gli occhi lontano da me ed esci immediatamente dalla mia vista.
- Blake, ti ho già detto che mi dispiace.
- Stammi lontano – gli ordinò furente, voltandosi e dandogli le spalle, con tutta l’intenzione di allontanarsi di lì.
- Non avresti dovuto partecipare a Beltane nelle tue condizioni! – lo richiamò Ephram.
- Non avevo altra scelta!
Il dovere e le leggi gli ordinavano di farlo.
Ma lui avrebbe dovuto sottrarvisi ugualmente.
Fu ciò che pensò nel momento in cui Lilith gli comparve di nuovo dinnanzi agli occhi, più reale che mai, accompagnata dalle prime streghe.
- “La tua forza si seccherà come erba
Riarsa da un sole spietato
E il vigore della tua mano passerà
E le sabbie della tua vita scorreranno.
Oh, Dio Sovrano, non di salvezza, ma di dolore
La cui gioia è nei lamenti degli uomini,
Chi ti presterà la loro vita, o chi prenderà
Da altri per dartela ancora?
Oh, Dio Sovrano, pieno d’ira e senza lacrime,
Oh, Dio non del giorno ma della notte,
permettici di morire con te” - il coro funesto delle donne si placò, poi riprese, intonando una profezia tremendamente familiare e ridondante:
- L’unica pena per te è il rogo.
La pena è il rogo.
La pena è il rogo.
La pena è il rogo.
Nulla potrai per evitarlo.
L’ora è giunta.
L’ora è giunta.
L’ora è giunta.
Blake si tappò le orecchie con forza, bloccandosi e incurvando la schiena, stringendo gli occhi per sperare di non vederle né sentirle più.
Non possedeva più tregua.
Quel tormento lo faceva vivere in uno stato di dannazione perpetua, ed ora, in quell’istante, il tutto era ancor più orribilmente accentuato.
Ripensò ad Eva e alle sue parole.
Ephram andò in suo aiuto, ignorando l’avvertimento di poco prima non appena lo vide in quello stato.
Lo prese per le spalle e lo voltò verso di lui, accorgendosi che scottasse ancor più di prima, reggendolo in piedi per evitare di farlo precipitare a terra.
La sua pelle era bollente, tanto da sembrare che avesse una terribile febbre.
- Blake! Che Diavolo ti succede??
- Mi bruceranno al rogo prima che gli uomini del conte verranno a prendermi – disse stringendo i polsi dello stregone fino a stritolarli.
- Che stai dicendo??
- Lo faranno. Lo faranno, me lo hanno detto.
- Chi te lo ha detto??
- Mi perseguitano, mi tormentano, ed io non possa fare niente, niente per togliermele dalla testa!
- Dimmi chi te lo ha detto!
- Lo sai che non mi importa di morire! Voglio solo portare a termine quello che ho iniziato.
- Che cosa vuoi portare a termine?? Riguarda ciò che hai fatto alla casa del Giudice?? Blake!
Il ragazzo lo spinse via e si circondò il busto con le proprie braccia.
Ephram non l’aveva mai visto in quelle condizioni e per la prima volta dopo diverso tempo, si allarmò.
- Voglio solo avere la mente libera. Null’altro – sussurrò Blake.
- Posso aiutarti. La mia magia può aiutarti – gli rispose sinceramente, cercando di riavvicinarsi.
- No, non puoi.
Improvvisamente, il cielo tuonò e Blake alzò gli occhi verso quell’immensa distesa buia e tonante, per poi trovare di nuovo Eva dinnanzi a sé, che lo giudicava con occhi funesti.
Non una parola in più…”
Un tremendo acquazzone piombò su di loro, spegnendo l’immenso focolare di Beltane.
Blake riportò lo sguardo su Ephram. Lo stregone si accorse che il suo volto era già mutato, assumendo i contorni di una statua di granito.
- “Liberaci,
Salvaci,
Da tutto ciò che è male,
Da tutto ciò che è torbido,
Da tutto ciò che è vermiglio,
Dall’ira di Dio,
Dall’ira del Demonio,
Di un nemico o una nemica,
Di chiunque voglia farci
Ciò che è maligno.”  - fu la litania di un coro di fanciulli e fanciulle intorno a loro, che pronunciarono tali parole in preda ad una trance inumana.
Dopo di che, caddero tutti svenuti.
 
 
   
 
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