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Autore: Enchalott    04/09/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dominante
 
Eskandar si rigirò sotto la pelliccia: la fame primeggiava sul podio dei disagi, superando la nevicata interminabile e le ferite che non rimarginavano.
Senza un pasto decente guariranno a rilento come quelle di uno qualunque.
La regina minkari continuava a insistere con il suo inutile decotto per abbassargli la febbre. L’ultima volta l’aveva scaraventato lontano, gettando lei nel panico e il salix nel camino. Avrebbe riservato lo stesso lo stesso trattamento alle radici bollite, ma erano l’unico piatto disponibile: la coltre bianca aveva raggiunto il metro d’altezza, impossibile cacciare anche radunando le forze languenti.
L’ululato dei lupi echeggiò poco lontano.
È ora di mangiare carne.
Quando si mise in piedi, barcollò per l’inedia. Ignorò l’avvisaglia e staccò l’arco dalla parete, deciso a cambiare regime alimentare.
«Che fai?!»
La voce allarmata di Amshula lo raggiunse mentre scioglieva il chiavistello. La ignorò e uscì, strizzando le palpebre per proteggersi dal riverbero.
Il vento ghiacciato gli sferzò la pelle nuda, facendolo intirizzire. Indossava ai fianchi i rimasugli del mantello di lei e si era fasciato i piedi, ma contro il rigore dell’Irravin non sarebbe servito. La pelliccia usata come giaciglio lo avrebbe solo impicciato.
Mi scalderò rincorrendo il branco.
«Sei impazzito, demone!?» gli gridò dietro la regina «Dove vuoi andare!?»
Quel modo di chiamarlo lo irritò. Lo usava in continuazione.
Pur non conoscendo il mio nome, esistono altri termini cui ricorrere.
Si tuffò nella neve, alta fino alla vita, e il gelo gli levò il fiato. Si mosse a balzi per sopperire e avvertì che lei lo seguiva.
Tsk, ingrasserà i lupi! Lei e la formula dell’antidoto!
Le indicò perentorio il capanno e quella esitò, ferma sotto la tettoia. Si addentrò tra la vegetazione spoglia e rilevò le tracce: un gruppo di una decina di elementi e, a giudicare dalle impronte, era vicino.
Non era abituato a inseguire una preda nell’intrico di alberi e radici, leggere le orme nel bianco abbagliante lo disorientava. Cacciare con Ankŭrsai era un altro paio di maniche e l’Haiflamur gli era familiare. Tuttavia le bestie erano bestie, il modo per stanarle non differiva. Avrebbe eliminato il dominante, poi si sarebbe giocato le poche frecce nella speranza che i più deboli battessero in ritirata.
Si arrampicò su una quercia e si mantenne sottovento, usando i rami come tragitto per non creare tracce olfattive ed evitare lo scricchiolio della neve. Individuò il lupi in una radura, impegnati a litigarsi una carcassa. C’erano alcune femmine con i cuccioli: la loro presenza li avrebbe resi più aggressivi. Soffiò sulle mani intirizzite, flettendo le dita per riguadagnare sensibilità. La visuale era scadente, le piante intralciavano il tiro. Rinunciò alla posizione sopraelevata e saltò a terra.
Gli animali drizzarono le orecchie. Il capobranco, un esemplare grigio scuro, ringhiò un avvertimento e snudò le zanne.
Eskandar tese la corda. Il braccio e la schiena risposero con un’onda di dolore. Il dardo fendette l’aria e si piantò nella schiena della belva, mancando il punto vitale.
 
Amshula attese che il demone si allontanasse. Riuscì a stargli dietro, sorprendendosi nel rammentare la velocità dei suoi compagni durante gli attacchi.
Non è affatto in forma.
Si nascose tra i cespugli rinsecchiti, stringendo il manico dell’accetta rinvenuta nella legnaia: lo vide uscire allo scoperto, incurante del freddo e dello svantaggio numerico.
Non ho mai incontrato uno più ostinato di lui! Se lo sbranano, il mio Shaeta…
La filosofia dei Khai non annoverava la rinuncia, aveva a disposizione anni di prove. Ma il guerriero superava le aspettative: anziché attendere la guarigione, cercava altri guai, altre ferite, se non la morte stessa. Lo guardò mirare, il corpo atletico immobile, il volto concentrato, i lividi sulla pelle dorata, i muscoli del dorso tesi: uno spettacolo attraente e terribile dal quale era impossibile staccare gli occhi.
Aveva assistito a centinaia di lanci: dal punto in cui si conficcò la freccia, più che dall’imprecazione successiva, capì che aveva sbagliato il colpo.
Allora ogni tanto parla!
Il lupo lo attaccò all’istante.
 
Eskandar incoccò una seconda volta, ma l’animale si mosse a zig zag.
Sprecherei un’altra freccia, Belker mi perdoni la sciatteria!
Si preparò all’impatto, gettando l’arco e contraendo le dita per abitudine: gli artigli non erano ricresciuti, non poteva contare né sulla letalità né sul veleno. Lungi dal sentirsi inerme, scattò in avanti e si scontrò con il capobranco: l’urto li mandò a ruzzolare in un groviglio di membra.
Percepì l’odore del sangue, i denti aguzzi affondati nell’avambraccio. Prese l’animale al collo, ignorando il morso tenace, e lo strinse in una morsa, tenendolo fermo con le ginocchia, mostrando a sua volta le zanne per stabilire le gerarchie.
Sono senza fiato! Questa maledetta neve mi risucchia ogni energia!
Se fosse rimasto a contatto con il manto ghiacciato, esso lo avrebbe privato delle facoltà demoniache già messe a dura prova. Tentò il tutto per tutto: torse il busto, sentì scricchiolare le ossa dell’avversario e l’uggiolio di sofferenza. Serrò la presa fino a farsi male, il campo visivo attraversato da chiazze bianche di fatica.
Il lupo ebbe un’ultima contrazione, poi il collo si spezzò. Il reikan si sollevò ansando, in tempo per vedere che gli altri maschi l’avevano circondato.
 
Amshula assistette alla scena con il cuore che martellava. Considerate le esperienze venatorie, non sembrava una normale caccia. Era uno scontro per la sopravvivenza, il vincitore avrebbe attestato la dominanza e banchettato con i resti dello sconfitto.
Vide il demone scrollarsi di dosso il cadavere e sollevarsi a stento, per evitare che il branco lo considerasse una preda inerme. La strategia non funzionò: tre lupi avanzarono dal cerchio, squadrandolo feroci in una bellicosa risposta.
Non ce la farà mai!
In opposizione a ogni logica, il giovane sogghignò, invitandoli ad attaccarlo. Il torace si sollevava veloce, era in debito d’ossigeno ma lo sguardo sfolgorava glaciale. Non aveva paura e non contemplava la ritirata.
Le belve attaccarono insieme.
 
Eskandar strappò la freccia dal corpo irrigidito e mirò agli occhi gialli dei nemici. Non abbassò i suoi, in una sfida di volontà che affiancava quella fisica.
Il lupo che lo avrebbe abbattuto sarebbe stato il nuovo capobranco: non era più una questione di cibo. Tutto stava nell’assumere il ruolo e sgominare il branco prima che il freddo lo stroncasse, ma non sarebbe stato semplice.
Ci sono le femmine, non ricuseranno.
Confermando le supposizioni, le belve gli saltarono addosso, agili e robuste in quello che era il loro territorio.
Schivò il primo, ma gli altri due lo scaraventarono a terra, sfiorandogli la gola con i musi digrignanti. Lo scatto a vuoto delle mascelle gli attraversò i timpani come una condanna a morte. Colpì con la freccia, ma l’animale si contorse all’affondo e l’asta si spezzò, privandolo della risorsa. Non si dette per vinto.
Sono io l’arma, lo è ogni parte di questo corpo e lo è la mente!
Aveva imparato a combattere in tutti i modi possibili, ma quello non era un problema di strategia o di tecnica. Il fisico era allo stremo e la condizione di debolezza non era rimediabile. Si scervellò, sovrastato dai tre lupi che, sino a qualche settimana prima, avrebbe squartato con una mano.
«A cosa rinunceresti per vincere, Eskandar?»
La domanda del suo istruttore acquisì senso non metaforico. Per scoprire i segreti del kori si era lascito catturare come un novellino, mettendo da parte l’orgoglio. Aveva consentito che lo torturassero e gli eventi erano precipitati, sfuggendogli di mano. L’onore era compromesso, l’agognato riscatto passava attraverso un’altra rinuncia. Cedere di un passo per avanzare di cento.
Un Khai non ricusa!
Si sarebbe lasciato azzannare e ne avrebbe approfittato mentre gli animali erano concentrati a dilaniarlo, inebriati dall’odore del sangue. Per Mahati si sarebbe strappato il cuore, perdere un arto non era oneroso.
 
La regina lo vide accasciarsi al suolo e sollevare un braccio per difendersi dal morso letale. La belva spalancò le fauci e le serrò con veemenza. La neve si tinse di rosso.
Lo stomaco di Amshula si rivoltò alla scena raccapricciante. Si domandò come il demone riuscisse a non perdere i sensi. Lo osservò resistere a oltranza, concentrato nel tre contro uno che era destinato a perdere.
Non credette ai propri occhi quando calciò via il lupo con una potenza tale da spezzargli le costole. L’animale si contorse al suolo agonizzante, vomitando sangue, attorniato dai compagni inferociti. Ma due restavano troppi e l’intero branco pareva deciso a porre fine al duello.
 
Il reikan si difese finché un velo gli offuscò gli occhi, segnalandogli che le risorse erano estinte. L’opposizione che esercitava si attenuò, avvertì sul viso il fiato caldo dei lupi, i loro artigli graffiargli il petto, il peso del loro corpo.
Se riuscissi a richiamare Ankŭrsai…
La vradak non sarebbe riuscita ad atterrare, ma il suo arrivo avrebbe distratto gli assalitori, magari li avrebbe allontanati tanto da consentirgli di mettersi al sicuro.
Mi toccherà dare ragione alla Minkari! Se muoio non dovrò sentire i rimbrotti!
Portò le dita alla bocca e fischiò. Dalle labbra uscì un alito inudibile.
È finita. Gli dèi proteggano il mio principe.
Uno strale attraversò la gola del lupo, rasentandogli la pelle con un sibilo. Quello mollò la presa e si abbatté nella neve arrossata esalando l’ultimo respiro.
Eskandar rotolò sul fianco e si mise sulle ginocchia, cercando l’autore del lancio provvidenziale.
Il celeste Belker?
 
Amshula abbassò l’arco, ansimando come se avesse corso per un giorno intero. Erano anni che non scoccava, le mani tremavano, il timore di diventare la preda successiva la deconcentrava. Ma la mira era quella di un tempo.
Colse lo sguardo sbalordito del demone, che rifiatava acquattato al suolo, feroce e impavido come le fiere selvagge che aveva sfidato. La fissò per un istante, privo di gratitudine, poi riportò l’attenzione sul “suo” lupo.
Aveva conservato il braccio, ma lo teneva abbandonato lungo il fianco e lo squarcio prodotto dalla dentatura del predatore era distinguibile a quella distanza.
Perché non fugge? È uscito di senno?
Incoccò e puntò, decisa a strappargli la preda. Se non avesse chiuso la partita, quello scriteriato avrebbe affrontato anche gli animali rimasti in disparte.
La freccia centrò il bersaglio prescelto, sottraendo la ritorsione al guerriero khai, che la guardò adirato. Poi nei suoi occhi balenò un lampo d’allarme.
 
Eskandar inghiottì l’umiliazione di essere stato salvato da una nemica.
Dal kori, dall’assideramento e ora da uno stupido lupo! Sono morto e questo è l’oltretomba riservato alle anime che hanno deluso il dio della Battaglia!
I sensi captarono il pericolo prima di avvistarlo.
Le femmine avevano portato via i cuccioli, aggirando la boscaglia e intercettando la nuova minaccia: due erano alle spalle dell’inconsapevole regina e arricciavano le labbra in un’avvisaglia silenziosa.
Avrebbe dovuto conservare le frecce per se stessa!
Ma di fatto aveva scelto di aiutarlo, era indifesa, incalzata dal lento incedere delle lupe. Il balzo fatale che l’avrebbe condannata era una questione di secondi.
Quando udì il ringhio a un passo, la donna congelò.
Il reikan intravide un luccichio metallico alla sua cintola. Corse verso di lei con il poco fiato concesso dagli Immortali, attirando l’attenzione delle bestie. In un battito di ciglia si impossessò dell’accetta e si gettò contro le femmine, vibrando i colpi letali a una velocità straordinaria.
I corpi disarticolati delle belve tinsero la neve di scarlatto, l’odore ributtante si diffuse nell’aria. La regina ondeggiò, pallida come l’inverno della sua terra.
Eskandar si voltò a sfidare l’ultima rimasta, che preferì battere in ritirata.
Brava, torna dai tuoi cuccioli.
Piombò a terra senza forze e trasse lunghe boccate d’aria, lanciando un’occhiata alla donna priva di sensi. La mano stringeva l’arco in un’estrema difesa.
«Tsk, patetico.»
Mentre sceglieva i corpi meno danneggiati per le pelli e per il pasto, si domandò dove una femmina d’alto rango avesse imparato a tirare come un arciere.
Ho fatto la figura del perdente, Mahati mi strapperebbe i gradi!
Ammucchiò le prede e le assicurò a un ramo per il trasporto. Poi si caricò in spalle la Minkari e tornò al capanno.
 
Amshula rinvenne alla sensazione di calore. Lo scoppiettio del fuoco eliminò i lacerti dello stordimento, l’odore della carne arrostita stimolò lo stomaco vuoto.
Il Khai l’aveva depositata sul giaciglio accanto al camino e stava sorvegliando gli spiedi accostati alla fiamma. L’idea di mangiare lupo la disgustò, ma la fame rinnovò le proprie ragioni: cucinare un cervo o un fagiano non era diverso.
I dominanti prevaricano le vittime a prescindere dalla specie. Lui è uno di loro.
Si era lavato dai segni della lotta, ma le bende di fortuna erano allentate, umide di sangue fresco.
«Demone?»
Il guerriero si accigliò e inalò il fiato con manifesto nervosismo. Posò la carne cotta su un pezzo di corteccia rivestita di foglie e la pose trionfante davanti a lei.
«Per te è meglio della zuppa, eh? Sei un folle e temerario, ma stavolta hai conservato le tue nove vite.»
Sarebbero sei, se ascoltassi le tue idiozie.
Il reikan rimuginò sulle sciocche superstizioni minkari e sul fatto che lo ritenesse una creatura maligna, nonostante fosse senza corna, senza dorcha e abbastanza nudo. L’effetto minaccioso era finito da un pezzo, ma l’evidenza non l’aveva convinta.
Finì la seconda porzione prima che lei iniziasse la sua. Stabilì di non esagerare per non stare male dopo le privazioni. La carne sarebbe bastata per qualche giorno e avrebbe ricavato qualcosa con cui coprirsi. L’indomani avrebbe approvvigionato la legna e sigillato la maledetta fessura della porta. Almeno avrebbe riposato al caldo.
«Lascia che ti stringa le fasce» propose Amshula «Spero che non ci sia infezione, hai preso un discreto morso, demone.»
Ancora quella parola!?
Lei non badò all’espressione truce e fece quanto annunciato.
«Non è gonfio, ma per sicurezza sarebbe meglio bere il decotto di salix
Dèi, vi prego, no!
«È antinfiammatorio, se tu non l’avessi bruciato lo preparerei subito. Anche mio figlio fa storie assurde per assumere i preparati medici. Non so quanti anni hai, demone, sei un adolescente come lui?»
«Eskandar!»
La regina trasalì all’esclamazione esasperata e lo fissò a occhi sbarrati. Prima perché non l’aspettava, poi perché realizzò che qualcosa capiva, infine per il nome.
«Eskandar? Ti… chiami così?»
Lui ribatté con un brusco assenso, a sua volta sorpreso per la reazione eccedente: era impallidita, aveva gli occhi umidi e le sue labbra tremavano.
«I-il secondo di sua altezza Mahati?»
«Ehn
«Sei quello che ha mutilato mio marito.»
Il reikan comprese le ragioni dell’agitazione e la squadrò sprezzante.
Cosa vorresti fare ora? Vendicarti e uccidermi? O sei pentita di avermi aiutato e pensi di espiare togliendoti la vita?
«Grazie.»
Pensò di aver frainteso, ma lei si sporse in avanti e lo baciò sulla bocca.
 

 
Mirai spalancò gli occhi con un sobbalzo. Si piegò alla fitta che pulsò nel diaframma, portandosi la mano al punto dolente. Non era ferita, ma il colpo sferrato dal ribelle con l’elsa della spada doleva come appena assestato.
Perché non mi ha finita?
Non riconobbe il luogo in cui si trovava, una grotta dalle pareti rossastre illuminata da una lampada e fornita di scarsa mobilia. Non notò sbarre o costrizioni fisiche, nessuno la stava sorvegliando. Era disarmata, nient’altro.
«Mi dispiace, non mi hai lasciato alternativa»
Gli occhi cobalto dell’hanran si accesero nella semioscurità come se si fosse materializzato in quell’istante. Dalla camicia aperta si intravedeva la medicazione alla spalla e i movimenti contenuti rivelavano che la lesione non era lieve.
Lo immaginava maturo, invece era poco più grande di lei. La chioma ruggine sciolta sulle spalle gli conferiva un aspetto familiare, ma non seppe spiegare perché. Vestiva l’uniforme scarlatta di cavaliere alato e tanto bastò per acuire l’irritazione.
«L’alternativa era lasciarti catturare!» gli sibilò contro.
«O ucciderti» la corresse con un sorriso.
In quell’atto assunse un’aria fanciullesca, come non fosse un ricercato costretto a campare nell’ombra. Versò con calma l’akacha e le porse la tazza.
Mirai la fissò con astio e non bevve.
«Non morirai» garantì il ribelle, cacciandole la bevanda tra le mani «Sei però in grado di riconoscermi. Non ti lascerò andare, prima ti rassegnerai alla mia compagnia, prima ti passerà il malumore.»
«Sporco ribelle, non spartirò niente con te!»
Gli tirò addosso la tazza. L’espressione cortese di lui lampeggiò di collera.
«Qui l’acqua è preziosa! Credi di essere tra i privilegiati della corte?»
Mirai si sentì in difetto, ma la rabbia prevalse.
«Non ho chiesto la tua carità! Preferisco crepare di sete! Non hai gli attributi per ammazzarmi e mi hai privata delle armi, rimedierò così al disonore!»
«Lasciarsi morire è un gesto eroico? Vivere che sarebbe, allora?»
«Credi di confondermi con i giochi di parole?»
L’hanran scosse la testa con biasimo.
«Eppure non hai le bende sugli occhi e proteggi la principessa dei Salki. Possibile che due domande non te le sia poste?»
«Non sei degno di nominarla, traditore! Quelli come te hanno il cuore sporco, vili privi di dignità che rivolgono le spade contro un’indifesa!»
«È ciò che pensi?»
«Neghi l’agguato a sua altezza nell’Haiflamur
«Non nego un bel niente, l’ho ordinato io. Ma che la principessa sia indifesa è una tua interpretazione distorta.»
La nisenshi spalancò gli occhi alla candida ammissione.
«Tu? Chi diavolo sei!?»
L’ex reikan tornò a sorridere e versò l’akacha in un’altra tazza.
«Elefter.»
«C-che!? Il cervello dei ribelli sarebbe un… non ti credo!»
«Attendevi un essere deforme con la lingua bifida e le squame? In effetti una volta ero così, poi quel terribile incidente con il vradak…» allargò le braccia.
Mi prende anche in giro!
Mirai contrasse gli artigli, ignorando lo spasmo e preparandosi ad attaccare.
«Non te lo consiglio. Ci sono andato pesante, il viaggio dall’Irravin è stato difficoltoso e sei disidratata. Non combatto con chi è in stato d’inferiorità.»
«Come osi!»
Si lanciò avanti, offesa dall’osservazione. Lui le bloccò il polso, posò la bevanda e la spinse sul letto con una flemma insopportabile.
«Sto perdendo la pazienza con te! Bevi, poi parleremo finché ti pare. Ma non pensare a mosse azzardate, non sono l’ultimo degli idioti e qui sei nel mio territorio.»
«Non esiste niente di tuo! Parlando di territorio non fai che paragonarti a un animale! Un insetto o un verme, non certo un dominante!»
All’ennesimo insulto, accompagnato da un’assurda caparbietà, Kamatar abbandonò la calma.
«Vogliamo vedere? Inghiottirai questo da sola o te lo ficcherò in gola di persona! Così corrisponderò ai tuoi canoni di virtù!»
«Belker ti maledica!»
Lui sibilò un’imprecazione. Bevve un lungo sorso e la raggiunse, inchiodandola sul materasso. La prese per i capelli, le rovesciò la testa all’indietro, posò la bocca sulla sua e le riversò il liquido nell’esofago.
«Se provi a sputarlo, vado a oltranza e mi faccio dare il cambio!» minacciò.
Lei fu costretta a deglutire. Lo fissò con astio, pulendosi le labbra con il dorso della mano. Gli sferrò un colpo con la parte inferiore del palmo, colpendolo alla ferita. L’hanran grugnì e si ritrasse, lasciandola libera.
«Quello scorretto sarei io?»
Nel vedere il sangue fresco, Mirai provò di nuovo una sensazione di colpa, ma si sollevò sui gomiti e non fece ammenda. Se avesse potuto, gli avrebbe cavato quegli occhi del colore dell’oceano, che lo rendevano più intrigante di quanto già non fosse.
«Un pietoso caso di testardaggine acuta» borbottò Elefter «Lo merito, ero anch’io così. Voglio vedere quella caraffa vuota!» precisò «O finirà come prima.»
La nisenshi lo seguì con lo sguardo. Che lo accettasse o meno, era un guerriero. Un dominante. E, a quanto constatato, non aveva la lingua biforcuta.
   
 
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