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Autore: Cladzky    08/09/2022    1 recensioni
Quanti mesi avrà passato Cladzky nel suo isolamento auto-imposto nello spazio? Molti, ma quando sembra che gli altri autori di EFP l'abbiano dimenticato, organizzando un party a cui parteciperanno tutti i personaggi del Multiverso, ha un'improvvisa voglia di tornare a casa.
Un po' per malinconia.
Ed un po' per vendetta.
[Storia non canonica e piena di citazioni]
Questa è una storia dedicata a voi ragazzi. Yep. I'm back guys!
E spero di farvi fare due risate, va'!
Genere: Commedia, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Trovò infine la scala, ma era abbastanza dissimile da quella attraverso cui era entrato: Certo era bella ripida data la sottigliezza degli scalini e tanto stretta che solo una persona la volta ci potesse passare. Si guardò prima a destra, poi a sinistra e fu sollevato di non trovare altre amene personalità del posto. E se alla cima ci fosse stato un guardiano, come lo fu Kitaro cinque capitoli fa, contando questo? Oh beh, a quel punto si sarebbe potuto bello che suicidare, perché con tutto il tempo che aveva perso con gli altri personaggi stava bello che albeggiando oltre le fronde degli alberi neri che si tingevano d’una cortina d’azzurro lieve e avrebbe fatto tutta un’epopea per niente, dato che tutti se ne sarebbero andati a casa, se non l’avevano già fatto. Fece un passo e si fermò subito. Al principio dei gradini, sdraiato, anzi, appoggiato su di esso tanto erano verticali quasi fossero una parete, ci stava una macchia irregolare sui ben definiti scalini, di colore diverso e dalle proporzioni tondeggianti. Dio, era un corpo umano, fu il primo pensiero. Peggio, era un bambino, fu il secondo. Non aveva già sofferto abbastanza con i primi tre o quattro che aveva incontrato? Però non si muoveva, almeno non poteva dirlo, dato che tutto il viso era confuso dal buio, quindi chissà se aveva gli occhi aperti. L’unica era quella di superarlo senza che se si svegliasse. Sentiva solo il fischio del vento. Fece un passo e sentì l’erba schiacciarsi sotto il suo piede. Ne fece un altro e sentì il vento più forte. Un altro e non sentì più vento, ma un pianto strascicato in una lunga vocale. I contorni del ragazzo si fecero più nitidi ora. Stava completamente abbandonato con una guancia poggiata sopra le scale, seduto, le ginocchia al petto, le mani congiunte a stringersi in mezzo le gambe, gli occhi chiusi, occasionalmente strizzati in un singhiozzo, le labbra che sussultavano, vibranti su un mento tirato in sù, le sopracciglia attorcigliate nel dubbio, il viso bagnato, le gote rosse, la fronte increspata, gli occhi, per quel poco che apparivano, lucidi, sotto le ciglia spesse. Dovette avvicinarsi molto per vedere ciò, perché si trattava del più grave caso di trasparenza che avesse visto e si confondeva con le scale.

Gli venne quasi voglia di punzecchiarlo con un bastone. Se tutto andava bene sarebbe stato troppo intento a piangere sé stesso per dargli retta. Fece un altro passo e quel pianto più forte, un altro poteva vedergli le vene del collo gonfiarsi, un altro e ogni gesto delle sue mani, che non sapevano più come strizzarsi a vicenda in mancanza di altro, un altro e poteva vedergli le lacrime rigargli la polvere dal viso, un altro e poteva vedergli il petto gonfiarsi aritmicamente. Gli ricordava qualcosa, non era vero?

A giudicare dal vestiario doveva trattarsi di uno di quei tanti personaggi creati negli anni Sessanta dietro il successo di Tezuka. Indossava una tuta spaziale nera retrofuturistica che appariva più come un costume intero da spiaggia data la mancanza di maniche e lasciando le gambe scoperte per intero, chiusa alla sommità da un casco privo di visiera, addobbato da due alucce sulle orecchie e una spunta dorata sulla fronte, unico segno di asimettria in un corpo disegnato per attrarre merchandising, infatti sembrava una bambola. Si soffermò un momento prima di attraversarlo con un falcata e appendersi alla ringhiera per tirarsi su. Il gradino era liscio e piccolo, così piccolo che non ci stava un suo piede per intero. Se già fare i primi due era così complicato non c’era da meravigliarsi che quell’altro si fosse arreso prima. Si issò passo passo. All’inizio era difficile ignorare il pianto, ma più continuava e più tornava ad essere il sibilare del vento.

A metà della salita la scala si interrompeva nel muro, all’ingresso di una grotta e credette di aver sbagliato strada. Cosa diavolo ci faceva una grotta che attraversava le fondamenta della villa di Gyber? Bah, c’era anche da chiederselo? Magari era la cantina dei vini pregiati, forse le segrete per le torture destinate a quelli che leggono senza recensire, che importava, doveva andare avanti, la storia doveva pur finire. Buttò giù il portone con un poco modesto calcio e andò avanti in un anfratto fin troppo caldo per essere una cantina. Ecco, lo sapeva, di sicuro nella stanza accanto stavano immergendo qualcuno nella polenta bollente. Meno male che aveva poco addosso che già così quasi sudava. Sbattè il muso contro quella che stabilì essere una colonna tuscanica e ci girò attorno, solo per sbattere contro un’altra. Certo, pensò massaggiandosi il mento, doveva pur esserci qualcosa di utile in questo malposto incantesimo del cosplay perfetto. Si mise una mano dietro la schiena e ne tirò fuori una penna col simbolo alchemico del Mercurio. Ponderò, per scavare nei suoi ricordi.

“Come faceva quella frase lì? Potere di Mercurio, make-up, o qualcosa di simile…” E con un guizzo la penna si illuminò d’azzurro e poté usarla come torcia “Oh, bene.”

Proiettando le lunghe, tremanti ombre delle colonne, raggiunse il punto dove spezzavano il loro circolo e si sporse per guardare dentro. Sempre il buio. Ci entrò dentro e subito si accesero due bracieri dal nulla. In mezzo loro sostava appollaiato un uccello più grosso di lui, dall’aspetto metallico e dorato nelle piume. Cladzky si grattò la testa. Magari pure questo stava dormendo e poteva sorpassarlo.

“Tu non puoi passare” Lo intercettò nel pensiero la belva, sollevando il collo serpentino crestato di pavone.

Cladzky se ne stette un po' in punta di piedi dallo spavento di quella imitazione di Ian McKellen “Beh, come siamo imperativi, mettiamoci almeno un condizionale: non puoi passare a meno che…”

“A meno che niente. Arretra, desisti e scompari. Ritorna alla tenebra da cui sei sorto.”

“Ora, non c’è bisogno di essere aggressivi signor uccello”

“Grave errore facesti.”

“Signora uccello?”

“Ma ora è tardi per rimediare.”

“Signorina?”

"Vattene, non appartieni a questa terra."

"E come no, io ci sono nato su questa terra. Se vuole le faccio vedere i documenti, guardi. Ecco magari dovrei farmi cambiare la foto. Avete una cabina da  fototessera qui vicino? Magari dietro quel grosso braciere lì? Oh, comunque complimenti che fa un bel tepore qui dentro, fuori c'è da farsi venire la pelle d'oca, eh? C'è da lasciarci le penne dal gelo, eh? Però, se posso permettermi una critica, potreste trovare un sistema migliore per disperdere il fumo, qui potete lasciare acceso giusto il tempo di cuocere due fusilli che viene su un'esalazione che a Taranto stanno meglio. Guardate che la cappella Sistina s'è rovinata così signora mia. Ecco, se ci metteste una cappa d'aspirazione sarebbero tutti più contenti. D'accordo, così va a farsi fottere tutto il mistero che aleggia nell'ambiente, però se ci metteste, che so, due ninnoli sopra, dei capitelli a caso, sta tutto intonato per bene."

Ma l'uccello non rispondeva e stava giusto in mezzo all'unica uscita di quel cerchio di colonne, fra le pire autocombuste, oltre il quale scorgeva il prosieguo delle scale. Lo credette di nuovo di nuovo addormentato e comunque gli ricordava Big Bird, quindi figurarsi se fosse pericoloso. Gli si avvicinò, gli studiò le penne arcobaleno e tentò di camminargli attorno, ma lo spazio era troppo poco. 

“Senti, non è che potresti spostarti?” Tentò un’ultima volta di risultare diplomatico “Cioè, capisco che entrare senza bussare in casa tua e dirti di levarti dal cazzo possa risultare maleducato, però anche tu, ti sei fatta il nido su un pianerottolo, porcogiuda, e che sei una portinaia? Oh, che poi non mi pigliar male, ma con tutti i punti proprio lì ti devi mettere? E va bene che sei la guardiana del portale di cazzi e mazzi, però appena accendi la luce non ti viene da soffocare nel sonno, che ti bruciano tutto l’ossigeno? E poi fa un odore che non ti dico, attaccali degli Arbre Magique da due spicci. Ma piantare un paio di lampade da comodino dell’IKEA non era meglio invece che questi altarini? Ma poi scusa, ogni volta che si consumano i tronchi che fai, esci e tiri giù un paio di alberi qua fuori? Guarda, Gyber non so, che tanto lui i soldi li butta per tutte le stronzate del mondo, ma ho appena incontrato un giardiniere che si incazza come una biscia se gli tocchi un vasetto. Ma che ne so, magari ti compri sedici bancali al Bricoman e stai a posto per un po’, però non posso fare a meno che domandarmi da dove pigli i soldi per farlo. Gyber ti paga per rompere i coglioni a tutti quelli che passano di qua? E se sei dipendente che fai, ti rechi in ufficio a pagare le tasse o fai tutto da casa sul sito? Lo chiami un commercialista per la dichiarazione dei redditi? Scusa, se il pensiero mi fa ridere.”

“Ti hanno detto essere insopportabile.”

“Molti..”

“Non era una domanda infatti.”

Per tutto il tempo, quell'affare lo seguiva con uno sguardo imperscrutabile, forse di fastidio, di curiosità, di disgusto o di apprensione, con quegli occhi pericolosamente umani. Infine gli affondò un piede nel piumaggio, si aggrappò con le mani alla base del collo e provò a scavalcare la bestia dal becco di bronzo. Non avanzò molto che quest'ultimo lo ghermì per il colletto da marinaretta e lo ripose dolcemente seduto davanti a sé, nella direzione opposta.

"Non tentarmi" Lo ammonì l'uccello.

"Io non tento, io succedo!" Si battè il palmo e riprovò con più decisione, riuscì a salirgli sulla schiena, ma solo per venire sollevato per la gonna e riposto a gattoni da dove era partito.

"Perché non ti arrendi?"

"Perché non ho altro da fare ormai" E ritentò, giunse a toccargli la coda da fagiano per scendere dall'altra parte, ma venne tirato indietro per le mutandine del costume.

"Sei un essere patetico" Affermò la creatura senza muovere la bocca da cui pendeva, letteralmente, il ragazzo a braccia conserte, dondolando avanti e indietro.

"E tu un pervertito, mettimi giù!" Fu accontentato, ma solo perché sfilò lui dall'indumento e cadde in terra. Poco dopo gli piovve l'intimo in testa. Rivestendosi pianificava già la volta buona per superarlo.

"Non puoi superarmi" fu l'eco fastidiosa di quell'uccello del malaugurio "Io sarò sempre avanti a te."

"Sta a vedere." E gli corse addosso a testa bassa, canticchiando "Stars and Stripes Forever", con l'intenzione di speronare l'animale con una craniata. Dopotutto, ragionava, gli uccelli avevano le ossa cave, doveva essere più leggero di quanto sembrasse, no? Ma l'uccello non era più lì. Cioè, era lì, ma sollevato su una gamba sola. L'altra era sollevata e con le dita aperte, pronte ad accogliere la sua testolina che finì dritta dentro la morsa. Per il contraccolpo finì col culo per terra e la brutta impressione di esser diventato mangime per la versione malvagia di Beep Beep, mentre veniva lentamente sollevato fino a non poter toccare il pavimento "Aspetta, la testa mi serve!"

"Perché non l'adoperasti sinora?" Chiese di rimando quella sfinge, abbassandosi a guardarlo dritto negli occhi coi suoi, che sembravano tre con quel puntino rosso in mezzo al cranio. Quella voce suadente non gli andava genio "Eppure ebbi così tante occasioni per farlo."

"Perché parli come se mi conoscessi?" Si dimenò, temendo però di spezzarsi il collo "Perché sembra che mi conoscano tutti qui e io nessuno?"

"Perché ancora non vuoi ammettere di essere a casa."

"Non facciamo i generici, sarò nato sulla Terra, ma casa mia è in tutt'altra regione. E mollami per dio!" Così essa fece, con poco o troppo garbo. Cladzky si rialzò, si rassettò i vestiti e le fece la linguaccia.

"Siamo noi a rendere un luogo la nostra casa. Tu hai fatto qui il tuo nido."

"Oh, non parliamo per metafore, razza di barbagianni troppo cresciuto" Borbottò cercando di scavalcarla un'altra volta, con prevedibili risultati e altrettanto prevedibili mugugni nel venire riposizionato.

"Fenice, prego" Spiegò nel poggiarlo a terra per l'ennesima volta, punzecchiandolo per buona misura prima che potesse voltarsi, al fine di spingerlo via.

"Io non me ne vado di qui" Avanzò verso di lei l'imbucato a passo altiero, solo per sbattere contro il suo becco portato in avanti e finirci sopra col petto.

"Mantieni le distanze. Mai più potrai tornare fra i vivi" e gli diede una schicchera alzandosi d'improvviso, ribaltandolo. Poggiando sulle spalle, testa rivolta verso l'alto, gambe all'aria, accartocciato su sè stesso, rifletteva su quelle parole. La fenice lo afferrò di nuovo per il colletto e lo rimise in piedi, non lasciandolo andare prima di dargli uno strattone e fargli prendere la direzione opposta "Mi hai sentito? Va!"

"Aspetta un minuto, chi credi che io sia?" Si puntò l'indice da solo il ragazzo "Solo perché vengo da questo cimitero non vuol dire che io ci appartenga. Passavo di qui per caso, in visita turistica,  tipo Alberobello. Carina per carità, ma non ci vivrei."

"Tu transitavi per codesto cimitero perché sapevi di appartenervi, pur non accettandolo. Io ne sono il becchino. Non farti prendere dalla nostalgia e torna donde venisti."

"Ma dico, sei ammattita? Tu hai mangiato troppa cioccolata, merlo maledetto o non si spiega quanto sei grulla. Guardami un po'? Ti sembro uscito da un anime?"

"Vuoi una risposta onesta?"

Dovette ricordarsi che costume stava indossando "D'accordo, riformulo: Ti sembro un dimenticato io?"

"In verità io ti dico, non hai chi ti ricordi sulla terra che quanto il ragazzo alla base di queste scale."

Il fatto che non avesse la benché minima idea di chi fosse quel ragazzo la diceva lunga su quanto si trovasse nella merda.

"Ci dev'essere un errore. Io non sono un'opera di finzione, non posso scomparire."

"Tutti siamo opere. Chiunque, quando muore, vive finché ne vive il ricordo."

"Ma io mi ricordo benissimo di me. Non sono ancora morto."

"Tu non lo sai ma è successo molto tempo fa."

"Me ne sarei accorto."

"Tu moristi il giorno che sei nato, Cladzky."

Non osò aprir bocca, ma poi lo fece ugualmente.

"In senso metaforico?"

"Cladzky, io ragiono solo in senso metaforico, sono la tua Fenice, sono la Scrittura e sono qui per sigillarti nella tomba che ti fu preparata ormai da otto anni."

"Io non ci capisco più niente."

"Capirai, come tutti i dimenticati aprirai nuove percezioni, andrai oltre il tuo universo fittizio, poi sparirai."

"Questo è ancora da vedersi!" E partì con un sonoro calcio volante… solo per rimanere bloccato a mezz'aria "Ehi, così non è leale, combatti se ne hai il coraggio, Muppet della malora!"

"Siete sempre così restii a togliere il disturbo" Borbottò la Fenice. Nel suo galleggiare,  Cladzky finì a testa in giù a combattere l'attrazione gravitazionale della sua gonna "Non sai che ogni cosa deve morire?"

"Io no, ho appena cominciato! Ho ancora tante cose da concludere. "

"Non è colpa mia se hai sprecato la tua occasione."

"È colpa tua che non vuoi farmi passare, ecco tutto!"

"Credi forse che, se avessi più tempo, lo adopereresti meglio?" Un cenno del volatile e riappoggiò i piedi a terra. "Ora va, non hai più niente da fare."

"E la mia vendetta?"

"Non sarà compiuta, perché troppo la rimandasti."

"Non è colpa mia, mi sono trovato in un mare di personaggi inutili che mi hanno portato via un mucchio di tempo!"

"Quei personaggi sono lì per tuo volere."

"Mio? Fosse per me si sarebbero tutti buttati in un burrone."

"Ancora non hai capito? Tutto quello che ti avviene avviene perché tu lo vuoi."

"E io dovrei volere tutta questa umiliazione?"

"Certo. Forse non te ne sei reso conto ma tu abiti in una zona peculiare di questo multiverso. Ma questo dovresti saperlo."

"Io non so un bel niente, ti decidi a parlare?"

"Come vuoi, vorrà dire che dovremo fare un po' di reminescenza." Gli scomparve il pavimento sotto i piedi. In realtà scomparve tutta la stanza. Cadde, ma per poco, perché si trovò seduto ad un banco da scuola, che con la divisa scolastica si abbinava benissimo. Tornò la voce della Fenice dal nulla "Ora, senza interruzioni, vedrò di spiegarti in che posizione ti trovi, cosicché possa il tuo spirito trovare pace."

Entrò di nuovo scena l'essere, ma aveva cambiato aspetto. Ora sembrava uguale, ma allo stesso tempo diversa, perché completamente umanoide, avendo ora gli occhi da uccello, per il processo inverso che glieli faceva avere umani pocanzi. Era vestita come la più classica delle professoresse, con tanto di bacchetta.

"Ho visto un porno che iniziava così, ahia!" Commentò smarrito, prima di ricevere una fustigata sulla nuca.

"Taci animale." Lo sorpassò

"Senti chi parla, ohi!" Lamentò un secondo colpo in fronte. Poi la Fenice giunse a una lavagna con un complicato schema già disegnato.

"Innanzitutto, tu conosci già il principio dei dimenticati."

"Gli dèi esterni ci sostentano tramite la loro energia e a chi non la danno crepa, no?"

"Bravo, vedi che sei stato attento" lo carezzò in testa "Ora, per semplificare, dividiamo questi dèi esterni in "lettori" e "creatori". Uno crea l'universo, tutti gli altri lo sostentano, ma solo se lo trovano interessante.”

“Sopravviviamo in base agli indici di ascolto?”

“Sì, letteralmente.”

“A me non importa di piacere a nessuno, non posso sopravvivere da me stesso?”

“Oh, è molto difficile, solo grandi menti, in un senso o nell’altro, possono farlo. Conosci Henry Darger?”

“Chi?”

“Ecco, appunto. È una capacità per pochi, infatti molti creatori trovano maggiore interesse nei lavori di altri, piuttosto che badare ai propri, non considerandosi all’altezza.”

“Ci credo che non sono all’altezza, guarda che mostruosità hanno creato là fuori. A chi vuoi che interessi seguire le vicende di certi personaggi?”

“Ecco, questo ci porta al prossimo punto. Pensa alla storia del tuo pianeta: Quante opere si sono salvate dal Rinascimento?”

“Hai voglia, Firenze vive solo di quello a momenti.”

“Eppure non sono che una minima parte delle opere originali create. Conosci Masaolino da Panicale?”

“Non era Masaccio?”

“Ecco, appunto. Ora, il rinascimento non dista che poco più di seicento anni da noi, roba da niente.”

“Hai detto poco.”

“È assai poco infatti. Pensa al gotico. Quante delle volte stellate originali sono sopravvissute nelle cappelle?”

“Ah, hai detto cappelle!” Fu la risposta molto matura del ragazzo, prima di ricevere un’altra mazzata.

“Non fu forse destino della cappella Sistina essere riaffrescata, cancellando l’opera originale?"

“Beh, vuoi mettere con Michelangelo?”

“Tu dimostri ora perché ciò avvenga. I gusti cambiano col tempo.”

“Non dovrebbero?”

“Ma certo che dovrebbero, fanno il loro corso, cancellando ciò che la gente reputa superfluo.”

“E io sarei superfluo?”

“Alle volte lo si diventa perché il mezzo stesso con cui veniamo propagati muore. Pensa al poema epico, chi ne scrive più oggi se non pochi nostalgici? Della letteratura sumera che ci resta, se non Gilgamesh e pochi altri? Più tu vai indietro e più perdi frammenti. Della letteratura precedente al duemilacento avanti Cristo non ci resta niente, pur sapendo che è esistita, perché nessuno si curò di conservarla, reputandola obsoleta. Alle volte ci si mette anche la volontà di distruzione: Pensa ai roghi di libri.”

“E tutto questo come si collega cogli dèi esterni?”

“Che loro, similemente, pur non essendo autori di altrui universi, ne decretano la fine o la prosperità in base a quanto li godono.”

“Dovrebbero darsi una svegliata allora, perché stanno facendo un pessimo lavoro. Guarda quanta gente ci sta in quel cimitero.”

“Non hai capito. Gli dèi non hanno colpa, essi non hanno alcun dovere verso alcun universo. Potrebbero morire tutti se essi volessero.”

“Mi sembra un po’ crudele.”

“Non lo dicesti tu stesso, in merito alla volta della Sistina? Che Michelangelo era meglio della volta stellata di Piermatteo d'Amelia? Ecco, così ragionano gli dèi esterni. Fanno spazio al nuovo.”

“E il vecchio morirà?”

“Certo, se non è in grado di restare attuale. La Divina Commedia è sopravvissuta nella memoria collettiva, ma l’Africa di Petrarca? Il Baldus di Solengo? Hanno fatto la stessa fine che faranno tutti i romanzetti da young adult che vengono acclamati ogni mese, celebrati per poco, dimenticati per sempre."

"Non possono dare energia a tutti?"

"Tu daresti forse ogni tua singola fibra d'energia per prestare attenzione a ogni opera mai composta? Non perché ti interessi, ma solo per pietà? Ecco, non pretendere che gli dèi facciano questo."

"Quindi non c'è niente che possa essere fatto per quella gente? Spariranno?"

"Tutti sparirete, chi prima chi dopo. Ma è anche possibile che, per pura fortuna, possiate ritornare nello zeitgeist. Hai mai sentito parlare del Vangelo di Giuda? Quello è un esempio, ma per molti non è così."

"Continui a fare esempi ma continuo a non capire."

"Ovvio, sei un deficente."

"Parli di opere del mio pianeta come fossero universi a parte."

"Ovvio, non lo sono?"

"Hai un foglio?"

"Sono la scrittura, ovvio che ce l'ho."

"E hai una penna?" Subì un'altra randellata "Ahia, non era una battuta stavolta."

Ottenuto quanto desiderava scrisse di getto un paio di righe e lesse ad alta voce.

"C'era una volta re Culodritto. Un giorno incontrò re Culostorto e giocarono a briscola, ma nessuno dei due sapeva giocare ed era troppo imbarazzato per dirlo."

"Che storia disagiante."

"Ma è per sempre una storia! Vuol dire che sono un dio esterno ora?"

"Sì, la caratteristica degli dèi esterni è che appartengono sempre a un universo separato da quello della loro creazione. È una gerarchia di universi che creano figli e questi nipoti"

"Vuol dire che ho creato un universo?"

"Sì, ma morirà subito, perché non ci tieni nè tu nè nessun altro."

"Allora anche un dio esterno può sparire."

"Sì all'infuori di quelli provenienti dal primo motore, ovvero l'universo originale da cui derivani gli altri e gli altri di altri."

"Quindi anche questo universo, di questa terra, può morire?"

"Se non è il primo motore sì."

"Kitaro ha detto che io non ho un universo."

"Corretto, tu sei un universo che viene inserito negli altri, in un infinito crossover e in maniera maldestra, se posso dire."

"Quindi vuol dire che sparirei solamente io se venissi dimenticato?"

"Tu e tutto quello che riguarda la tua leggenda, diciamo."

"Anche la mia famiglia?"

"Sì."

"E Mark0?"

"Anche."

"Allora questo cambia tutto."

"Non cambia niente, tu sparirai."

"E tu invece?"

"Io non sono un dio esterno. Io sono un dio interno. Io sono dentro tutto. Io sono la fenice, sono un ideale di perfezione che non potrà mai essere raggiunto. Io sono la Scrittura e strazio le coscienze di chiunque offenda le mie regole. Sono la pena che si prova nella procrastinazione. Sono la spinta che spinge a scrivere di getto. Sono la voce che ti dice di trattenere la tua voglia di particolari irrilevanti. Sono chi ti angoscia nel rileggere quanto hai scritto. Sono chi ti fischia nelle orecchie quando diventi ripetitivo. Sono chi ti fa rattristare nei tuoi vecchi lavori. Sono chi canta quando scopri una buona combinazione di parole. Sono la più severa maestra che tu possa avere, sono chi giudica i vivi e i morti e il mio regno non avrà fine, fintanto che qualcuno scriverà qualcosa. Sono chi decide chi muore, perché assillo ogni autore a cessare un'opera indegna. Io ti ho giudicato e ne ho parlato con il tuo autore e ora ha l'assillo nell'orecchio. Tu verrai cancellato."

"Fammi parlare con questo mio dio esterno, voglio fargli fischiare le orecchie anch'io, ma a forza di cazzotti."

"Non c'è ragione di farlo, ecco, gli ho parlato in tua presenza."

"Dov'è il marrano?"

"Tu Cladzky, sei tu il tuo stesso  autore e tu ti vuoi cancellare?"

"Eh?" Gli cadde la mandibola sul banco, rimessa a posto dalla Fenice "Sono stanco di questa metafisica."

"Macchè metafisica, è così la realtà. Tu sei un raro caso dove dio esterno ed universo coincidono."

"Ovvero io mi scrivo da solo?"

"Purtroppo sì."

"Purtroppo?"

"Purtroppo quasi nessuno di questi esperimenti va a buon fine. Spesso gli autori si autoattribuiscono eccessive qualità e diventa tutto un lavoro fatto per compensazione invece che ad arte e sono costretta a intervenire per uccidere questa creatura. Ma tu sei andato oltre. Tu ti attribuisci così tanti vizi, difetti e mancanze da risultare insopportabile."

"Quindi tutte le cose brutte che mi avvengono me le faccio capitare da solo?"

"Proprio così. Ora capisci tutto, no?"

"Io non capisco perché debba morire."

"Se tu stesso non volessi morire non accadrebbe."

"Se sono un dio allora esigo che tu non esista."

"Non hai potere su di me. Ognuno che scrive diventa mio servo perché entra nel mio regno. Sono la distruttrice della volontà."

Ponderò un momento, spremendosi le meningi sul banco. Infine si alzò e gli andò incontro, faccia a faccia.

"Vuoi prendermi a pugni?" Rise la Fenice "Perché no, ha funzionato così bene sinora."

"Io ti ho già visto da qualche parte" E le osservò quegli occhi strani, color cioccolata "Dio mio, sei il tizio strambo che mi ha preannunciato i fantasmi!"

"Sì, proprio io. Sono la stessa entità che ha portato alla distruzione di Lelq. Tu sei un altro errore da cancellare."

"E quella roba coi fantasmi cosa diavolo era?"

"Prove ragazzo mio, prove che tu hai fallito dalla prima all'ultima."

"Prove che mi sono automposto?"

"Sì, su mio impulso. Volevo vedere se fossi cambiato, ma sei rimasto lo stesso microbo."

"Quindi non sono un vero dio se tu mi dici tutto quello che è meglio fare."

"Sei un dio giacché puoi fare tutto. Il tuo unico limite è quanto mi ascolterai."

"Perché dovrei ascoltarti?"

"Perché solo io so come portarti a scrivere una bella storia."

"Ma tutti hanno gusti diversi, a tutti piacciono cose diverse."

"Di contenuti forse. Ma la qualità possono riconoscerla tutti. E la tua storia ne è priva."

"Io muoio solo perché mi convinci che devo farlo."

"È la cosa giusta. Speravo in un arco di redenzione tramite i tuoi incontri e invece guardati. La storia gira intorno, nessuno più la legge. L'ultimo colpo di coda è fallito. Ora abbandonala, così come avresti dovuto fare quando pubblicasti la prima opera su te stesso. Non sei mai stato in grado di portare a termine un progetto, men che meno appassionare il pubblico sino in fondo, almeno muori con dignità, non straziarti ancora."

"Io…"

"Basta" e tornarono dov'erano prima, così come lei riprese le sue sembianze.

"Se tu mi concedessi più tempo finirei la storia almeno" Implorò avvicinandosi, ma si ritrovò con quel becco che gli premeva sul petto fino a puntellarlo a terra.

"Hai avuto otto anni per concluderla."

"Ormai sono quasi alla fine" Gesticolò sotto la pressione di quel cuneo.

"Non dicesti lo stesso quando eri a diecimila parole? E ora sei oltre settantacinquemila. Se fossi il Giovane Holden, o il Ritratto di Dorian Gray, o Zanna Bianca, o il Signore delle Mosche avresti già concluso ogni sottotrama in maniera sufficiente, invece ancora parli a vanvera. Hai sprecato il tuo tempo in disgressioni fatte di autocommiserazione, feticismo, citazioni, momenti musicali a caso, scene di lotta, umorismo spicciolo e nient'altro. Questa storia non ha nulla."

"Sei l'ultimo ostacolo, poi ho finito"

"Non è vero, te ne inventerai un altro ancora, perché la verità è che non hai un finale."

"E quindi che dovrei fare?"

"Vattene e non disturbare più. Non hai quello che serve per scrivere, non perché gli altri possano leggere almeno. Tutti sono in grado di mettere insieme le parole, meno a farle avere un senso e pochi ancora a farlo avere per gli altri. Cosa c'è per gli altri in questa storia, ci hai pensato? È tutto solo per te."

"Ma il protagonista sono io."

"È forse una scusa per l'assenza di una trama? Hai parlato di te stesso per tutto il tempo senza riuscire a fare uno studio del personaggio. Hai passato paragrafi interi solo a parlare di quello che ti piace, che è del tutto diverso."

"Un autore non ha il diritto di scrivere quanto gli garba?"

"Non se è per gli altri da leggere. Bisogna sacrificarsi e scendere a compromessi, impegnarsi a dare al pubblico quello che vuole. Perché l'hai pubblicata allora?"

"Io volevo fare un tributo alla vecchia Lucas Force a cui non ho fatto in tempo a fare parte."

"Che assurdità. Tu vuoi solo inserirti a forza nella loro leggenda retroattivamente, dopo esserti reso conto dell'errore che facesti a farti scappare quell'occasione di entrarci."

"E ora…"

"Va e non tornare più, puoi dimenticare ormai."

"Ma io non voglio…"

"Oh sì che lo vuoi" Sfavillarono gli occhi alla bestia, irradiandolo di luce a cosìpoca distanza dal viso. Nello stesso momento Cladzky perse per un attimo pupille, prima di scuotere la testa. L'uccello cavò il becco dal suo petto e gli permise di rialzarsi gemendo, scrollandosi la polvere di dosso. Il ragazzo le puntò un dito contro.

"E io torno a dirti che…"

"Fai un inchino e chiedi scusa"

Parlò così veloce che non ebbe il tempo di capire cos'avesse detto quando si ritrovò a fare esattamente quello, piegandosi quasi a novanta.

"Scusa" Realizzò che quanto stava facendo era idiota e rialzò la testa, ma il resto del corpo non lo seguiva "Ehi, non volevo dire questo."

"Intendevi dirlo dal più profondo del cuore" Tolse lo sguardo annoiata.

"Intendevo dirlo dal più profondo del cuore" Esclamò non consenziente, tornando sull'attenti.

"E ora ti leverai dai coglioni" Sbadigliò la belva, tornando a dormire.

"E ora mi leverò dai coglioni" salutò prima di voltarsi di colpo e marciare come un soldatino di latta. Quando tornò in sé era già fuori dalla grotta. Si prese a schiaffi e fece dietrofront, solo per sbattere contro una porta miracolosamente chiusa e rotolare giù per le scale. Quando smise, si ritrovava steso nell’erba. Alzò il capo e vide di essere ai piedi della rampa, con il pianto di quel disperato nelle orecchie, ma ora non gli dava più fastidio “Ehi, tu.”

“Sì?” Mormorò fra un singhiozzo e l’altro, senza osare guardarlo.

“Come ti chiami?”

“Ace”

Si trattenne dal fare una battuta sui succhi di frutta e riprese “Piacere Ace, io sono Cladzky. Hanno buttato giù per le scale anche te?”

“Sì.”

“Ti hanno detto che dovresti morire?”

“Sì.”

“Oh, vedo che ci vanno piano coi bambini” Si rimise in piedi e rassettò i vestiti “D’accordo, io torno su per il secondo round, vuoi venire con me?”

“A che serve?” Tirò su con il naso “Ci provo da troppo tempo.”

“Oh, non fare il bambino.”

“Ma io sono un bambino.”

“Senti, vuoi rivedere la luce?”

“Non mi dispiacerebbe.”

“Allora vieni con me se vuoi vivere, Ace.”

“Si pronuncia «Eiss», all’inglese.”

“Senti, ci conosciamo da due secondi, non fare il difficile, va bene?” E se lo caricò in spalla, riprendendo a fare le scale “Senti, anche a te hanno riempito la testa di fregnacce su dèi esterni, creatori, lettori, indice di ascolto, eccetera?”

“Hanno detto che l’unico motivo per cui non sono dimenticato è perché sono la prima produzione della Tatsunoko.”

“Beh, mi sembra buono.”

“Ma che per il resto sono solo un plagio creato per pubblicizzare gomme da masticare.”

“Non ci crederai spero. Hai una cicca?”

“Sì, prendi” E gli passò un pacchetto. Ci stava la faccia di Ace stampata sopra. Ne masticò una e continuò l’ascesa. Riflettè: Quindi voleva dire questo farsi aprire nuovi sensi? Capire come il multiverso funzionava? E questo era la prova che stava sparendo davvero? Beh, per il momento era ancora visibile e continuava. E poi aveva la sensazione che il discorso non fosse finito.

   
 
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