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Autore: Jasmine54    09/09/2022    1 recensioni
Un ritratto che, con lievi pennellate colorate, descrive la vita in una cittadina italiana non bene identificata. Le diverse classi sociali che la abitano e i personaggi pittoreschi che compaiono sullo sfondo costituiscono, con tinte talvolta tragiche e talvolta comiche, l’anima della cittadina.
Nota: rating alzato ad arancione per un solo capitolo.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La campagna, intanto, si stava preparando ad accogliere l’autunno.

I contadini, con i loro potenti macchinari, avevano iniziato a mietere il granoturco. La mietitrebbiatrice tagliava le piante, per poi scaricare la granella nel carro. Al suo passaggio per le strade adiacenti ai campi lasciava polvere e pezzetti di foglie di granturco, ancora impigliati tra le ruote della macchina.

Tutto sapeva di momenti ripetuti nel tempo, di lavoro secolare, pur essendo cambiate le attrezzature.

Le rondini sorvolavano il cielo in formazione, già preparandosi a trasmigrare verso il loro lungo viaggio.

Ai bordi dei campi, due uomini in bicicletta guardavano il lavoro che uno dei contadini, loro amico, stava svolgendo fin dal primo mattino.

“Kociss, sei arrivato tardi ad aiutarmi, hai portato anche il tuo amico Tarzan?” rise divertito il contadino, spegnendo la mietitrebbia.

Kociss era l’amico dai capelli nero corvino, legati con una coda di cavallo e con un abbigliamento sempre molto sportivo e semplice.

Tarzan, invece, era l’altro uomo, dai capelli grigi, lunghi sino alle spalle, e dalla barba incolta.

Quell’amicizia, come i rispettivi soprannomi, risaliva a più di trent’anni prima.

“È presto per pranzare, non avete altro da fare? Alle dodici e trenta a casa mia, sotto il portico: oggi pastasciutta al ragù e salamelle,” disse indaffarato il contadino, per poi riprendere subito il suo lavoro.

I due uomini lo guardarono sorridendo e pensando: “Porteremo il Pinot nero, che a Gian piace tanto, vedremo se poi avrà ancora la forza di lavorare!”

La loro giornata libera dal lavoro nell’officina meccanica del signor Pandolfi li aveva disorientati. Abituati al ripetersi monotono delle giornate, ora dovevano inventarsi cosa fare.

Il signor Pandolfi aveva dovuto accompagnare la moglie alle terme di Sirmione, sul lago di Garda. L’uomo era contento sia per la moglie, che finalmente avrebbe potuto curarsi, sia per sé, che finalmente avrebbe potuto giocare a carte tutte le sere con gli amici.

Come spesso accade, del resto, la mente umana, accanto alle azioni positive che elabora e che poi mette in pratica, ne escogita altre con secondi fini, intuiti solo da chi sa osservare attentamente.

 

Quel pomeriggio, lungo via Roma, una squadra di atleti di basket stava passeggiando in allegria. I ragazzi arrivavano da Novara, per giocare una partita con il team della cittadina. Il loro modo di camminare con scioltezza ed elasticità parlava di ore e ore di allenamento sportivo ininterrotto.

All’improvviso, a metà del loro passaggio lungo il corso, sentirono una musica: era una canzone in voga, a loro cara, che stava attirando anche, tra balli e canti, l’attenzione dei passanti.

Il protagonista, o meglio, il regista di quella allegra rappresentazione, era proprio lui, “Radio Bici”, il quale, con un sorriso stampato in faccia, dopo aver attraversato il corso, si allontanò, sempre canticchiando.

Soltanto la moglie del notaio Gerardi e la sua amica contessa Soleni Melzi storsero i propri nasi raffinati: a loro risultava volgare, nonché privo di interesse, tutto ciò che proveniva dalla strada.

“Mah, ogni testa è un piccolo mondo,” pensò Sofia, che intanto aveva assistito alle smorfie delle due signore, affacciata alla vetrina della sua pasticceria.

Quanto avrebbe voluto ballare con i ragazzi in mezzo al corso!

Quante discrepanze c’erano tra gli abitanti della cittadina… e quanti modi diversi di affrontare le situazioni che si presentavano in quella piccola, seppur rappresentativa, comunità.

Tutto però sembrava incastrarsi alla perfezione, e ogni cosa tornava infine al proprio posto.

 

Intanto, a fine mese si sarebbe svolta la giornata di apertura gratuita dei musei della regione, con la possibilità di visitare le belle case nobiliari.

Anche i due musei storici della cittadina, con i loro reperti, avrebbero testimoniato il proprio passato ai visitatori.

Le case nobiliari sarebbero state accessibili solo alle persone iscritte via e-mail, dopo aver lasciato un recapito e un numero telefonico.

“Quante storie, per entrare in queste case!” esclamò spazientita Giovanna, la moglie del professor Nardini. “Mi sono dimenticata di iscrivermi, sono stata così impegnata…”

Il professor Nardini porse quindi alla moglie la risposta di conferma della e-mail di prenotazione, da lui inviata.

“Quanto sei caro, come potrei fare a meno di te?” abbracciandolo, con slancio. “Ci andrò con Flavia e Carla, così spettegoliamo un po’!”

La sera, intanto, scendeva dolcemente sulla cittadina. Gli ultimi raggi obliqui del sole toccavano le case, attraversandole, e giungendo alle persone, sempre più quiete.

Più tardi, quando il buio avrebbe coperto ogni cosa, e quando le luci dei lampioni avrebbero rischiarato le vie cittadine, gli abitanti sarebbero usciti di nuovo dalle proprie case.

Avrebbero, come al solito, vagato per il centro storico, si sarebbero attardati davanti a una tazza di caffè o a un bicchiere di vino al bar, e poi, con un dialogare dai toni più pacati e bassi, avrebbero fatto ritorno alle loro dimore.

   
 
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