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Autore: Magica Emy    11/09/2022    4 recensioni
«Akane, si può sapere dov’eri finita? Credevo dovessimo tornare a casa insieme…ehi, ma cosa…che stai facendo?»
La giovane piegò le labbra in un sorrisetto sornione senza smettere di armeggiare freneticamente con i bottoni della sua camicia che, in poco tempo, scivolò ai loro piedi, mettendo in mostra i magnifici pettorali scolpiti da anni di intensi allenamenti quotidiani.
«Cos’è, non ci arrivi da solo? Vuoi che ti faccia un disegno, per caso?»
In questa nuova storia, i caratteri dei personaggi potrebbero essere un po' diversi da ciò a cui siamo abituati, ma...niente paura! E se lo desiderate, continuate a seguirmi, mi raccomando!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: ranma/akane, Ukyo Kuonji
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
 
Non lo aveva preso sul serio. Beh, era ovvio. Cosa si aspettava, in fondo? Che idiota era stato a pensare che aprirle il cuore, mettendo a nudo i propri reali sentimenti sarebbe servito a cambiare qualcosa. Sospirò, serrando i pugni e le palpebre a un tempo. L’unica cosa a essere cambiata era lo stato del suo cuore, passato da “a pezzi” a “polverizzato” nel giro di pochi secondi, proprio come se ci avesse ballato sopra con un paio di tacchi a rocchetto. Che poi era esattamente ciò che si era divertita a fare, e solo pronunciando una semplice frase.
“Qualunque cosa credi di provare, non è un mio problema.”
“Non è un mio problema.”
Ok. Bene. Messaggio ricevuto. Non gliene importava un bel niente, né di lui né dell’altalena di emozioni che gli scatenava dentro con la sua sola presenza, ogni volta che si trovavano vicini. Ogni volta che si lasciava prendere fra le braccia, permettendogli di sfiorare e assaporare la sua pelle morbida, senza tuttavia concedergli mai le sue labbra. Lì Akane era stata categorica: niente baci. Non che non ci avesse provato una volta o due, forse anche tre a rubarle un bacio, ma quel contatto era sempre troppo breve perché potesse conservarne il ricordo come desiderava, considerando la veemenza con cui lo spingeva via dopo neanche due secondi, quasi si fosse macchiato di chissà quale imperdonabile peccato. Diceva sempre che il bacio sulla bocca rappresentava un gesto troppo intimo per essere condiviso con chiunque e che avrebbe concesso questo privilegio solo alla persona amata.
Che stupidaggine.
Come se tutto quello che facevano sotto le lenzuola ormai da mesi non fosse già abbastanza intimo. Una brezza leggera pizzicò le sue braccia scoperte, facendolo rabbrividire mentre sollevava le iridi blu verso il cielo, quel giorno sgombro di nubi. Sei mesi. Erano già trascorsi sei mesi da quando lui e suo padre erano arrivati a casa Tendo. Sei mesi, da quando quella testa vuota dell’unico genitore rimastogli aveva combinato il suo fidanzamento con l’erede del dojo della famiglia in questione, rendendogli l’esistenza ancor più cupa e difficile di quanto non fosse già. O almeno così credeva. Dopo l’iniziale antipatia, infatti, e proprio nel bel mezzo di uno dei loro soliti, furiosi litigi, tra Akane e Ranma era scattato qualcosa. Qualcosa di nuovo e completamente inaspettato, ma tanto travolgente da spingerli ben presto l’una nelle braccia dell’altro. Erano così finiti a letto insieme ad appena poche settimane dal loro primo incontro e, non potendo più negare l’evidente e reciproca attrazione fisica che li legava, avevano quindi stretto un accordo.
«I nostri genitori hanno deciso che dovremo sposarci tra qualche anno, perciò…Insomma, questa non dev’essere per forza una condanna, giusto? Del resto, chi ha detto che nel frattempo non possiamo trarre vantaggio da questa storia, trasformandola in un’opportunità per divertirci?» gli aveva detto la ragazza e in quel momento non gli era sembrata affatto un’idea malvagia. In fondo aveva funzionato piuttosto bene, doveva ammetterlo. La loro intesa era pazzesca e il fuoco della passione che li consumava pareva trasformare ogni incontro segreto in un autentico incendio. Ma se sotto le lenzuola facevano faville, fuori dal letto erano un completo disastro. Non facevano che litigare e punzecchiarsi a vicenda per ogni sciocchezza, rendendo quella convivenza molto difficile, se non a tratti addirittura impossibile. Tanto che, almeno una volta al giorno, entrambi avrebbero voluto strangolarsi nel sonno a vicenda. Poi però bastava un solo sguardo perché tutto il rancore accumulato si dissolvesse nell’aria come una bolla di sapone, lasciando il posto a un irrefrenabile desiderio di strapparsi vicendevolmente i vestiti di dosso. Ripensandoci ora, però, quel sesso senza amore nato da reciproca intesa cominciava a stargli stretto, poiché pareva ormai aver perso ogni valore. Almeno per lui. Quando era successo esattamente? Quand’è che si era accorto di provare per lei ben più che una semplice attrazione fisica? Per quanto si sforzasse non riusciva a darsi una risposta, ma non importava, perché non voleva più pensarci. Per questo era uscito di casa, saltando anche il pranzo pur di provare a ossigenare il cervello per qualche ora. E magari rimettere insieme le macerie del suo cuore. I morsi della fame cominciarono però ben presto a farsi sentire, tanto che dopo un po' non potè più ignorarli. Per fortuna il locale di Ukyo era vicino, ma…
Un momento.
Quello non era Ryoga? Con lo sguardo basso e il morale probabilmente a terra lo osservò con curiosità attraversare la strada senza neppure accorgersi di lui, che col braccio a mezz’aria a mo’ di saluto, si rese conto solo dopo qualche secondo che neppure per sbaglio quella faccia da funerale si era sollevata nella sua direzione. Ma sì, al diavolo anche l’eterno rivale. Qualsiasi cosa incupisse quei lineamenti contratti da maiale bastonato, non era certo affar suo. Varcò quindi la soglia del ristorante con le mani in tasca, riuscendo a schivare solo per un pelo un oggetto non identificato, ma dall’aria piuttosto pesante lanciato proprio nella sua direzione. Ma che accidenti…
Per fortuna aveva i riflessi pronti.
«Ti ho detto di andartene e non tornare mai più!» la sentì urlare, fuori di sé, ma la sua voce stridula tornò ad assumere un tono quasi normale quando si accorse della presenza del giovane, ricomponendosi velocemente.
«Ranma, sei tu? Kamisama, mi dispiace tanto! Va tutto bene? Non ti ho colpito, vero?»
«Ehm, no, ma c’è mancato poco. Che succede Ukyo, con chi ce l’avevi?» chiese, squadrandola accigliato. Sembrava tanto pallida. Magari era solo stanca.
«Con nessuno in particolare» rispose la giovane, forse un po' troppo precipitosamente «solo un vecchio, fastidioso venditore ambulante. Sai come funziona, no? Non fanno che tampinarti tutti i santi giorni per costringerti a comprare le loro inutili cianfrusaglie, ma lasciamo perdere. Non è importante. Piuttosto, sono molto contenta di vederti. Vuoi fare uno spuntino? Accomodati pure, ti servirò la mia nuovissima specialità con ingrediente segreto!»
Sorrise, scuotendo la testa divertito. Come avrebbe potuto rifiutare se presentava i suoi piatti con tutta quell’enfasi? Si esaltava sempre quando preparava qualcosa di nuovo e la sua fantasia non conosceva limiti, non per niente era soprannominata “la regina delle okonomiyaki”. Si sedette di fronte a lei con lo stomaco che brontolava, rapito dal delizioso profumino di gamberi e pancetta che gli sfrigolavano proprio sotto al naso. Caspita, che fame! Le sue papille gustative andarono letteralmente in visibilio non appena addentò una grossa porzione della specialità della casa, rischiando quasi di strozzarsi poiché non si era neppure preoccupato di tagliarla in pezzi più piccoli. Il tutto sotto lo sguardo compiaciuto dell’amica d’infanzia, che intanto sorrideva beata come se avesse appena vinto alla lotteria. Ranma continuò a strafogarsi senza ritegno per un bel po', finché non iniziò a sentirsi strano. La testa gli ronzava come uno sciame d’api impazzite e le sue gambe parvero prendere in poco tempo la consistenza della gelatina, impedendogli di reggersi in piedi. Non aveva idea di cosa diavolo stesse succedendo, ma qualcosa gli diceva che il motivo di quello strano malessere fosse riconducibile alla mostruosa quantità di cibo che aveva appena ingurgitato senza battere ciglio.
«Ehi Ukyo, si può sapere cosa ci hai messo qui dentro?» chiese a quel punto con la bocca impastata, sollevando appena con le bacchette ciò che restava dell’intingolo misterioso sul suo piatto.
«Sakè.» rispose lei senza scomporsi, appoggiando il mento sulle mani con un sorriso da un orecchio all’altro.
«Che cosa? E non potevi dirmelo subito? Dannazione, sono ubriaco!» biascicò, artigliandosi la gola con entrambe le mani. La ragazza dai lunghi capelli neri, che teneva raccolti in una coda di cavallo, fece una piccola smorfia.
«Era l’ingrediente segreto, per questo non te l’ho rivelato prima. E comunque te ne saresti di certo accorto, se solo ti fossi preso la briga di masticare. Allora, che mi dici? Ti è piaciuto?»
«A dire il vero, non mi sento bene.»
«Per forza, ti sei ingozzato come un animale. Tranquillo però, è una semplice sbornia, ti passerà presto.»
Si diresse verso la porta d’ingresso per chiuderla a chiave, poi si avvicinò lentamente a Ranma, prendendogli la testa fra le mani.
«Hai sentito quello che ho detto? Non c’è da preoccuparsi. Su, rilassati adesso.» gli sussurrò con voce suadente, le labbra talmente vicine al viso ormai paonazzo da permettergli di percepire il dolce profumo che la sua pelle emanava. Quelle labbra erano così piene e invitanti…
«Non mi permette mai di baciarla.» disse di punto in bianco, ormai completamente in preda ai fumi dell’alcool. Ukyo gli scoccò un’occhiata interrogativa.
«Di chi stai parlando, Ranma? Non preoccuparti di niente, io sono qui e ti darò tutti i baci che vuoi.» gli sfiorò le labbra con le proprie e il ragazzo col codino la scostò quanto bastava per poterla guardare negli occhi.
«No, io…non posso proprio.» mormorò, tornando in sé solo per una frazione di secondi prima che il volto di Akane si sovrapponesse a quello della sua migliore amica, confondendogli ulteriormente le idee.
«Shh, va tutto bene.»
Lo baciò di nuovo, più a lungo stavolta mentre lui la stringeva a sé, ricambiandola con ardore e permettendo così a sé stesso di lasciarsi andare alla dolce sensazione di pace e beatitudine che stava provando.
 
Batté le palpebre più volte, finché la strana immagine che i suoi occhi gli rimandavano non assunse dei contorni via via più nitidi. Per quale inspiegabile motivo era disteso su un futon che era sicuro di non aver mai visto prima e che odorava di fresco, sul pavimento sconosciuto di una stanza in penombra e per di più – sollevò lentamente il lenzuolo per guardarci dentro, facendo un’espressione inorridita- nudo come un verme? Che accidenti era successo e dove diavolo erano finiti i suoi vestiti? Li individuò dopo una veloce occhiata, ammucchiati in un angolo poco lontano, ma quando provò a rialzarsi per recuperarli un’improvvisa, feroce fitta alla testa lo costrinse a desistere. Cavolo, che male! Si accasciò su sé stesso, massaggiandosi le tempie doloranti con entrambe le mani e in quel momento la porta si aprì, rivelando una figura minuta ed elegante che il giovane, ancora mezzo intontito, riconobbe a malapena.
«Ukyo, ma dove…»
«Ben svegliato, mio tesoro» cinguettò con voce melodiosa, l’aria raggiante «ti ho lasciato dormire per qualche ora e sono andata a riaprire il locale, adesso però è ora di chiusura, così sono venuta a vedere se eri sveglio. È piuttosto tardi.»
Aggrottò le sopracciglia, fissandola con sgomento.
Mio tesoro?
«Scusa, ti spiacerebbe spiegarmi dove accidenti mi trovo e perché non ho i vestiti addosso?» chiese, sulle spine. La ragazza si accigliò.
«Sei in camera mia, sai che vivo proprio sopra al ristorante. Non ti ricordi più quello che è successo? Beh, la cosa non mi sorprende affatto, considerando quant’eri ubriaco.»
«Ukyo» mormorò, deglutendo nervosamente a vuoto, mentre un’idea a dir poco folle si faceva lentamente strada nella sua mente e il viso assumeva pian piano le tonalità di un pomodoro pachino «non è che per caso…noi due abbiamo…» si interruppe bruscamente, sudando freddo. La sola ipotesi era già a dir poco agghiacciante.
«Fatto l’amore? Sì, è così» completò la frase per lui e per poco non gli cadde la mascella «ed è stato bellissimo. Mi hai anche detto di amarmi e non sai quanto abbia desiderato sentire queste parole da parte tua. Neppure nelle mie fantasie più sfrenate avrei mai potuto immaginare una prima volta migliore di questa.»
«V…vuoi dire che…p…per te era…»
Per un attimo si tramutò in pietra, rischiando di esplodere in mille pezzi.
«Sì, smettila di balbettare, però. Come ti ho detto era la mia prima volta. Perché ne sei così sorpreso?»
Perfetto. Ci mancava anche questa. Non solo si era preso la verginità della sua migliore amica, ma non ricordava assolutamente nulla dell’accaduto. Per tutti i kami, doveva essere davvero sbronzo! E poi, di cos’è che stava parlando prima? Ah, sì. Le aveva anche detto che…l’amava? No, era impossibile. Mai, neppure fra un milione di anni si sarebbe sognato di rivolgerle una frase del genere. Di questo ne era assolutamente sicuro. Provò a fare mente locale, spremendo le meningi al massimo alla ricerca anche di un solo piccolo indizio che avrebbe potuto ricondurlo a ciò che era successo qualche ora prima, ma il suo ultimo ricordo si fermava alla scoperta di aver ingurgitato una spropositata quantità di sakè. Da quel momento, più niente. Nada. Il nulla cosmico. Vuoto assoluto. Si rialzò di scatto, cercando di ignorare la rumorosa orchestra che proprio in quel frangente aveva preso a suonare l’inno alla gioia di Beethoven direttamente nelle sue orecchie, annodandosi le lenzuola intorno alla vita per correre a recuperare gli abiti. Li indossò in fretta, giocando a fare il contorsionista per sfuggire allo sguardo vagamente divertito dell’amica, che intanto continuava a ripetere “Piantala di nasconderti, non è niente che non abbia già visto!”
Poi le posò le mani sulle spalle, specchiandosi nelle sue iridi scure. Deglutì a vuoto un paio di volte, cercando di farsi coraggio. Doveva essere chiaro con lei.
«Ascoltami» cominciò, assumendo un’aria molto seria «ciò che è accaduto è stato solo un errore, un errore che non dovrà ripetersi mai più. Ero ubriaco fradicio e non sapevo neppure quello che stavo facendo. Insomma, non ricordo niente e mi dispiace, davvero, dal profondo del cuore di essermi approfittato di te. Cerca di capire, ti prego, ti voglio un bene dell’anima e non vorrei ferirti, ma…tra noi non potrà mai esserci nulla di più che una semplice amicizia.»
Con l’amara sensazione di avere un macigno incastrato nello stomaco vide i suoi occhi riempirsi lentamente di lacrime cocenti.
«Stai dicendo che non mi ami, che ciò che c’è stato non ha significato nulla per te?» balbettò la giovane, mordendosi le labbra in preda alla disperazione.
«Sarai sempre la più grande, meravigliosa amica che abbia mai avuto.» ribadì, sentendosi un verme e prima ancora di riuscire a rendersene conto stava già correndo a gambe levate, inseguito da un’inferocita Ukyo che, lanciandogli contro praticamente tutto ciò che le capitava a tiro gli intimava di andarsene, minacciando di infilzarlo come uno spiedino e cuocerlo ai ferri, se solo avesse osato rimettere ancora piede nel suo ristorante. Continuò a correre a perdifiato, fino a ritrovarsi abbastanza lontano dalla portata di quella furia scatenata. Solo allora decise di fermarsi un momento a riprendere fiato, notando con sgomento che si era già fatto buio e, quel che era peggio, la sua testa ronzava ancora talmente tanto da spingerlo a dubitare fortemente che il sakè fosse l’unico “ingrediente segreto” contenuto in quelle okonomiyaki. Porca miseria, che giornata frustrante! L’unico modo per concluderla al meglio, scrollandosi di dosso quella fastidiosa sensazione di pesantezza alle ossa era praticare un po' di sano sport, rifugiandosi nel silenzio della palestra. E fu proprio ciò che fece. Anche se, prima di riuscire nell’intento, dovette sorbirsi una bella lavata di capo da parte del genitore che come al solito aveva preso a insultarlo, accusandolo di essere un figlio degenere che preferiva spendere il suo tempo bighellonando qui e là. Nonché un pessimo fidanzato che mancava così di rispetto alla futura moglie e bla bla bla con altre scemenze simili, come se ad Akane importasse davvero di lui. Del resto, era stata fin troppo chiara.
“Qualunque cosa credi di provare, non è un mio problema.”
Ignorò la violenta stretta allo stomaco che il ricordo di quella frase gli aveva provocato, sforzandosi di seppellirla in un angolo remoto del suo cuore, dove neppure lui sarebbe più riuscito a ritrovarla. Dove non avrebbe fatto più male. Se così stavano le cose, continuare a lasciarsi dominare dai sentimenti sarebbe stato completamente ridicolo, oltre che controproducente. Gli bastò pensare a ciò che aveva fatto a Ukyo per dar forza a quell’improvvisa, prepotente convinzione e di nuovo tornò a provare disgusto per sé stesso. Forse, soffocare dentro di sé l’amore che provava per Akane, smettere di alimentarlo fino a farlo morire avrebbe cancellato la sua sofferenza. Per sempre. Sì, d’ora in poi si sarebbe attenuto alle regole, limitandosi a usare la fidanzata come valvola di sfogo. Esattamente come lei faceva con lui.
“Nessun legame, nessun dolore.”
Più semplice di così. In quell’attimo, un rumore improvviso catturò la sua attenzione. Se voleva rimanere nascosta nell’ombra a spiarlo mentre si allenava, avrebbe fatto meglio a tenere a freno l’innata goffaggine che la contraddistingueva. Scosse piano la testa, abbozzando un sorrisetto sghembo. Capitava giusto a proposito per ricordargli che, anziché continuare con il suo addestramento quotidiano come stava facendo, sarebbe stato molto più divertente sfogare le sue frustrazioni in ben altri modi…
 
 
 
   
 
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