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Autore: Lella73    13/09/2022    10 recensioni
Ho sempre sognato di poter offrire un'opportunità di vivere la propria felicità ai personaggi che ho sempre portato nel cuore. Vi propongo quindi la mia storia, che intrecciandosi alla trama nota che tutti amiamo, lascia tuttavia la porta aperta ad altri sviluppi...
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 4 - La licenza
 
BREVISSIMA MA DOVEROSA PREMESSA: Bentrovati! Voglio far presente che so benissimo che la città di Arras non si trova sul mare, ma ho pensato che trattandosi di una ff mi sarei potuta regalare una piccola concessione di fantageografia. Detto questo, mi auguro che le vicende di questo capitolo possano essere per voi interessanti e piacevoli. Grazie infinite per il tempo che vorrete dedicarmi. Buona lettura!

Il cielo era coperto e la giornata era fresca. Era piovuto molto e le strade di Parigi sembravano specchi grigi.  La mattinata ormai volgeva al termine. Il maltempo aveva scoraggiato i molti gruppi di persone che in quei giorni spesso si muovevano per la città protestando o saccheggiando e pattugliare le vie era stato meno pesante del solito. Erano giunti a Saint Antoine e Oscar aspettava  con i suoi uomini il cambio dopo aver terminato il turno che le era stato assegnato. 

Lei e André non erano più tornati a Saint Antoine dopo la notte in cui erano stati assaliti. Un crescente senso di nausea si stava impadronendo di lei al ricordo dell'accaduto. Rivedeva la folla inferocita aggredirla e trascinare André lontano da lei. Sentiva ancora nelle orecchie il frastuono delle urla e le grida di André che la chiamava disperato; ricordò il suo tentativo di prenderla per mano e l'angoscia che aveva provato quando anche quell'ultimo contatto era stato strappato. Istintivamente spronò il cavallo e si avvicinò ad André. Finse di urtargli un ginocchio, alla ricerca di un qualsiasi contatto fisico. André la guardò. Era vivida in lui l'immagine della forca posticcia che era stata velocemente allestita per impiccarlo, nel centro della piazza. Inspirò ricordando i polsi legati dietro la schiena, i calci e i pugni che non gli avevano lasciato tregua e il tonfo secco a terra, dopo che un colpo di pistola e un annuncio proferito con voce forte avevano riempito la notte, distogliendo  l'attenzione da lui.  "Sono il conte Hans Axel di Fersen!". André rabbrividì.

Un rumore di zoccoli li fece finalmente  distrarre. Oscar si girò e in breve il colonnello D'Agoult fu di fronte a lei. "Buongiorno comandante!". "Buongiorno colonnello". Uno scambio veloce di informazioni fra i due chiarì la situazione della città e delle zone battute. Prima di congedarsi il colonnello chiamò un soldato; "Un dispaccio urgente per voi!" le disse. Oscar lesse rapidamente. Era un ordine del generale Jarjayes. La sua presenza era richiesta urgentemente a casa. Si rabbuiò. Chiamò i suoi uomini: "Lasalle, riconduci tutti in caserma e avvisa che non rientrerò per il pomeriggio! André e Alain, con me!". Poi, rivolta al colonnello: "Vi ringrazio. Prestate attenzione. Le strade sono infide.".

Oscar spronò il cavallo al trotto e tornò a inoltrarsi fra i vicoli di Parigi. Vide André e Alain seguirla seri. Certamente, pensò, avranno creduto di doverla accompagnare in qualche situazione riservata o pericolosa… invece la verità era che non aveva nessuna voglia di rientrare a palazzo Jarjayes. Si sarebbe fermata prima a bere. Dopo qualche giorno di tregua, il respiro si era fatto nuovamente pesante ed era ricomparsa la febbre. Non ci voleva pensare adesso. Non riusciva a sopportarlo. Voleva assolutamente bere. Arrestò il cavallo davanti a una bettola, scese e aspettò gli altri prima di entrare. Il locale era piccolo e buio, lo conosceva già. C'era stata qualche volta in cui aveva voluto bere senza essere riconosciuta. Senza dire una parola si sedette a un tavolo con la testa bassa, incassata fra le spalle. Alain prese posto accanto a lei, poi si rivolse ad André: "Hei amico, perché non vai a prendere da bere per tutti e tre?!". Alain e Oscar rimasero al tavolo senza dire nulla. Oscar alzò appena lo sguardo. Osservò André: era al bancone e le dava le spalle; si chiese come poteva non essersi accorta di lui al suo fianco per così tanto tempo. Quando la raggiunse portava con sè tre generosi boccali di birra. Oscar ne tracannò subito almeno la metà; voleva avere immediatamente una scusa pronta cui attribuire il rossore che la febbre provocava sul suo viso, perché sapeva che mentre André non ci vedeva più bene, Alain invece ci vedeva benissimo e la osservava e non voleva che le facesse domande.

"Dobbiamo rientrare a palazzo Jarjayes. André, tu resterai con me. Tu Alain aspetterai con noi finché non saprò cosa farti riferire in caserma.". In realtà non voleva rimanere sola col generale. Non era più tornata a casa dopo la cena durante la quale si era definitivamente liberata di Girodelle. Ripensò agli abiti che suo padre aveva fatto prendere per lei e all'osservazione riguardo al fatto che il conte non avrebbe tenuto conto dei suoi pantaloni e della sua età… Sentì nascerle dentro un moto di stizza… dalla folla di damerini accorsi al ballo in suo onore, forse invece Girodelle non era l'unico a cui non interessasse poi così tanto della sua età! Ripensò alle sorelle, tutte maritate poco più che adolescenti e senza rendersene conto piegò per una frazione di secondo le labbra in una smorfia di disgusto: nessuna di loro aveva mai visto il consorte prima del matrimonio. Per quanto riguardava i pantaloni invece… non era affatto convinta che a Girodelle non importasse dei suoi pantaloni… era sicura che André fosse l'unico uomo al mondo in grado di amarla così com'era: con tutta la sua libertà. 

Al primo boccale ne seguì un altro. André chiacchierava con Alain, ma lei sapeva che stava in realtà valutando il suo umore. Oscar, sguardo basso fisso sulla propria birra, corrugò appena la fronte; un turbine di pensieri la tormentava. Pensava che nella sua insistenza Girodelle  aveva suscitato in lei un sentimento di repulsione. Solo per un istante rivide se stessa respingere André nella notte in cui lui le aveva confessato il suo amore. Nella sua disperazione era stato violento. Eppure benché confusa, ferita e arrabbiata, non era stata comunque repulsione quello che aveva sentito in quel momento nei suoi confronti; piuttosto paura, sgomento… non aveva potuto accettare un amore che non aveva scoperto dentro di sé. Si sentì un paio di occhi insistentemente addosso e alzò lo sguardo. Perché diavolo Alain la guardava sempre tanto? Aveva la spiacevole sensazione che potesse leggere dentro di lei. Si slacciò i primi bottoni della divisa e si buttò negligentemente indietro; un braccio oltre la spalliera della sedia, l'altro teso in avanti, a sorreggere il boccale di birra stretto nella mano, le gambe stese sotto il tavolo, leggermente divaricate. Dischiuse la bocca cercando l'aria. Perché doveva costarle tanto respirare? Chiuse gli occhi per un attimo.

André la sentiva. Sapeva che era nervosa senza bisogno di vederla. Non era stato facile trovarsi nuovamente a Saint Antoine. Avrebbe voluto poter allungare una mano e stringere la sua. Perché aveva chiesto ad Alain di restare? 

 

Alain guardava il suo comandante. La testa gettata indietro, le labbra appena aperte, le gambe lunghe… Pensò ad André che poteva accarezzarle, quelle gambe; vide le dita affusolate che reggevano il boccale e sentì un desiderio incontrollabile di allungare una mano per toccarle. Non erano che pochi centimetri… gli sarebbe bastato sporgersi appena fingendo di ordinare ancora per sfiorarle. Passò solo un attimo lo sguardo sui suoi capelli che, lunghi e morbidi, cadevano oltre la spalliera della sedia. Dalla giubba slacciata poteva scorgere l'incavo del collo. Chissà che odore poteva avere la sua pelle bianca proprio in quel punto… Oscar si portò una mano alla gola e facendola scendere aumentò impercettibilmente la profondità della scollatura;  Alain notò allora un segno traslucido, come una mezzaluna della grandezza di una moneta: una cicatrice? Chi poteva avergliela procurata?

André si alzò: "Andiamo Oscar. Abbiamo bevuto abbastanza. Non è ancora pomeriggio.". La sua voce era ferma, il tono deciso. Alain si chiese se non avesse notato che stava osservando la sua donna. Si accorse solo dopo che un avventore corpulento aveva preso posto a pochi passi da loro. Capelli fulvi e spettinati, grossi avambracci pelosi, pantaloni malamente abbassati a lasciar intravedere un molle ventre prominente. Era maleodorante e sporco. Era entrato rumorosamente e aveva ordinato a voce troppo alta. Alain pensò che anche senza un occhio André si era dimostrato più attento di lui… L'uomo li guardava con insistenza. "Hei! Siete guardie metropolitane o cosa?" gridò loro. "Non ho mai visto un soldato con dei capelli come quelli!". Oscar si volse solo un istante. Non disse niente. L'uomo incalzò: "Hei occhioni! Con quel faccino sottile devi essere un finocchio!" e rise sguaiatamente. Oscar non gli diede corda. Aveva imparato molto presto che nonostante l'uniforme, i suoi capelli biondi e le sue lunghe ciglia non passavano inosservati. In genere bastava ignorare i commenti perché dopo qualche battuta smargiassa la lasciassero in pace. Di solito, se si facevano insistenti, André riusciva ad allontanare i molestatori semplicemente offrendo loro da bere, il che le concedeva il tempo di andarsene rapidamente senza incorrere in scontri diretti. Raramente si era trovata costretta a mostrare di essere armata e un paio di volte erano venuti alle mani. André l'aveva sempre difesa. Ogni tanto erano rientrati con un labbro spaccato e qualche livido. 

Oscar si alzò e fece per andarsene, ma l'uomo iniziò a intonare una canzonaccia volgare e offensiva. Alain notò che André aveva fatto un passo in avanti. "Amico tieni! Fatti una pinta alla nostra salute!". Ma questi non smise e anzi si avvicinò a Oscar e allungò una mano per afferrarle i capelli. Era già piuttosto ubriaco e i suoi gesti erano imprecisi, così mancò la presa, ma Alain sentì il sangue pulsare tanto forte nelle vene da rimbombargli nelle orecchie e con una manata scaraventò via il tavolo a cui erano stati seduti fino a un secondo prima. "Te la chiudo io quella boccaccia, lurido bifolco canoro!". Oscar tentò di trattenerlo afferrandolo per un polso e lo richiamò forte, ma lui si liberò facilmente della sua presa e in un attimo stava già colpendo il tipo che l'aveva offesa. Oscar imprecò. 

Alain aveva sentito chiaramente Oscar richiamarlo e ancora più chiaramente aveva sentito la sua mano stringersi attorno al proprio polso, ma non aveva potuto sopportare che uno schifoso avesse avuto degli appezzamenti volgari da fare al suo comandante… degli appezzamenti volgari da fare… a lei… Aveva aspettato per rispetto che André intervenisse e non aveva capito come mai non avesse immediatamente tappato la bocca a quel maiale; "Fatti una pinta alla nostra salute??? Ti ammazzo alla nostra salute!!!" aveva pensato. Solo l'idea che quelle mani sporche avessero potuto toccare i capelli che in segreto aveva sognato di accarezzare, gli aveva messo addosso una furia che non aveva potuto arginare. Sentire la mano tiepida che cercava di fermarlo era stato terribile: una presa delicata eppure forte attorno al suo polso… avrebbe voluto prendere per mano Oscar e portarla via. Portarla via lui! Alla fine non aveva potuto fare altro che scaricare la sua frustrazione colpendo più forte che poteva. 

 

Il primo pugno violento, fortissimo, era arrivato a meta con precisione; Oscar aveva visto distintamente il sangue schizzare fino al bancone e aveva sentito inconfondibile il rumore del naso dell'uomo che si rompeva. Aveva gridato, cercando di richiamare Alain all'ordine ma inutilmente. André l'aveva trattenuta quando aveva cercato di intervenire. Impotente, aveva guardato Alain scaricare colpi senza tregua, finché non ebbe buttato a calci l'uomo fuori dalla bettola.

Solo allora Oscar poté raggiungerlo; sotto un cielo ancora plumbeo, Alain, ansante, sovrastava il relitto che aveva ridotto a un ammasso di carne e sangue. Oscar lo trascinò per un braccio: "Andiamo via!". André aveva già preparato i cavalli.

Oscar era furente. Ma cosa gli era preso? Credeva che fosse la prima volta che lei e André avevano avuto a che fare con uno stronzo? Che non sapessero come comportarsi? Cavalcò in silenzio fino a palazzo Jarjayes.

 

Arrivati a casa Oscar lasciò il suo cavallo ad André e si avviò a grandi falcate verso l'ingresso. Prima di entrare si voltò: "Fatevi servire il pranzo in cucina! Se mi sarà permesso vi raggiungerò!". André annuì. Era preoccupato; era possibile che uno scontro aspro avrebbe aspettato Oscar una volta al cospetto del generale. 

Una volta entrata, la governante le si fece incontro con premura, la salutò con tenerezza e le disse che il padre l'aspettava nello studio. Oscar chiese della madre e seppe che stava passeggiando nel parco.

Arrivata a cospetto del padre si sedette in silenzio. Il generale stava occupandosi di alcuni documenti e non alzò nemmeno la testa. Oscar attese paziente. "Dopo la cena qui a palazzo il conte di Girodelle non ha più cercato di mettersi in contatto con me per rinnovare le sue proposte. Hai fatto o detto qualcosa che l'abbia scoraggiato?". Oscar lasciò vagare gli occhi per la stanza, alla ricerca di parole che potessero finalmente non lasciare adito ad alcun dubbio. "Il conte non verrà mai più chiedendo la mia mano." rispose; non intendeva dare spiegazioni. Finalmente il generale alzò lo sguardo su di lei, fissandola. "Ti rendi conto che il casato dei Jarjayes ha bisogno di un erede vero?". Oscar incassò il colpo ostentando indifferenza. C'era uno stuolo di nipoti, figli delle sue sorelle, dai quali il generale, durante le brevi visite, si era sempre mostrato infastidito. Ma evidentemente egli pretendeva un erede da questa "figlia maschio" per trasmettere i titoli e il patrimonio di famiglia senza rischio di dispersione. Oscar sostenne il suo sguardo: "Non ho comunque intenzione di rivedere le mie posizioni riguardo al conte.". Il generale strinse le labbra, Oscar serrò la mascella alzando il volto e sporgendo spavalda il mento in avanti. Era pronta alla battaglia, invece il padre le mostrò i documenti su cui era chino fino a un attimo prima. Erano ordini di cessione per alcuni dei terreni di famiglia nel nord della Francia. Oscar lo guardò seria: "Non ho intenzione di rinunciare a questi terreni. Sono estremamente fruttiferi e inoltre fanno parte della dote di mia madre. Non sono disposta a sacrificarli perché il marito di Hortense possa usarli per sistemare un'altra delle sue mantenute!"

Oscar amava la tenuta di famiglia nella regione di Arras. Vi aveva trascorso le estati della sua infanzia con la madre e André. Il padre non se ne era mai molto occupato.

Le sorelle, figlie della prima moglie del generale, non avevano mai amato il nord e nemmeno avevano amato lei: questo fratello mancato, nato dal secondo matrimonio. Oscar aveva sempre trovato rifugio nella villa di famiglia al mare e quando aveva constatato personalmente le condizioni di assoluta miseria in cui versavano i contadini delle terre dei Jarjayes, dinnanzi al totale rifiuto paterno di ascoltarla aveva deciso di occuparsene personalmente. Aveva quindi provveduto grazie alle proprie rendite personali a far restaurare i piccoli villaggi e aveva aperto una scuola per i figli dei braccianti. Seguiva l'andamento delle produzioni agricole grazie a un costante carteggio con il signor Sugane ed era quindi ben consapevole del fatto che, gestite con sapienza, le terre di famiglia nell'Alta Francia erano diventate particolarmente fiorenti. Oscar fissò un punto imprecisato fuori dalla finestra dello studio e ricordò la sensazione del corpicino caldo tormentato dalla febbre del piccolo Gilbert, mentre cavalcava disperata, stringendolo esanime, alla ricerca di un medico che potesse salvarlo. Da allora aveva provveduto affinché il ragazzino potesse studiare e ora, come il padre del giovane non aveva mancato di farle sapere in dettagliate lettere piene di riconoscenza,  era un promettente studente di legge.

Il generale allungò attraverso la pesante scrivania un plico sigillato indirizzato a lei; "I contadini si rivoltano!". Oscar aprì la missiva e  lesse rapidamente: era del signor Sugane, molto preoccupato dalle voci di cessione dei terreni che erano arrivate nelle ultime settimane. La pregava di intervenire e terminava annunciando una questione famigliare di cui le chiedeva il permesso di parlarle la prima volta che avesse nuovamente raggiunto la villa di Arras. Oscar alzò gli occhi fissando il padre: "I contadini non sono in rivolta," disse con freddezza "semplicemente non vogliono perdere le terre e le case in cui vivono.". Il generale era ancora debole in seguito ai postumi dell'attentato subito. Oscar pensò al rumore delle onde, alla lingua di sabbia chiara che correva sinuosa lungo la costa e alla struggente bellezza del panorama dall'ampio salotto della villa. Pensò a come si era sentita sola l'ultima volta che vi era stata e a come sarebbe potuto essere ora invece potervi tornare con André… con il suo André, lontano da Parigi, dalla caserma e soprattutto da palazzo Jarjayes. Fissò il generale con fermezza, cercando di non sorridere: "Padre, andrò nel nord per voi. Sistemerò ogni cosa. Sarete soddisfatto.". Il generale tacque un istante, poi rispose: "Va bene. Sono d'accordo." poi aggiunse: "Non andare sola. I viaggi non sono molto sicuri di questi tempi. Porta André con te." Le fu veramente difficile dissimulare un'espressione di trionfo.  "Provvederò io per la licenza" continuò il generale "per entrambi. Se vuoi puoi prendere una carrozza.". Oscar pensò all'ultima volta in cui aveva usato una delle carrozze di famiglia e un brivido le corse lungo la spina dorsale, ma non lasciò trapelare alcuna emozione; disse semplicemente: "Preferisco andare a cavallo. Grazie padre. Partiremo oggi stesso". Oscar radunò accuratamente tutti i documenti che il generale le mostrava e ascoltò paziente ogni spiegazione e ogni osservazione. Al termine chiese: "Desiderate che mi fermi con voi a pranzo?". "No" rispose il padre "attendo ospiti. Meglio che ti prepari velocemente. Preferisco saperti al caravanserraglio prima che sia buio.". Oscar uscì, un pesante plico di documenti sorretti con la mano destra stretti al petto e  la sinistra appoggiata alla maniglia, per richiudere piano la porta dietro di sè. Fece qualche passo e le venne voglia di correre per raggiungere André nelle cucine. Vide una cameriera salire. Si diede un contegno e avanzò seria verso le proprie stanze: voleva liberarsi dell'uniforme  e indossare abiti civili.

 

André mangiava in silenzio. Sua nonna lo stava sgridando meno del solito, secondo lui intimorita dalla presenza di Alain, che con la sua stazza da orso e le nocche sbucciate dopo il pestaggio di poco prima alla bettola, le aveva messo una certa soggezione. 

Mentre sistemavano i cavalli nelle scuderie André aveva aiutato l'amico a rassettarsi e a pulirsi. Alain aveva infilato la testa sotto il getto dell'acqua della pompa e aveva tirato bene i capelli indietro. Aveva cercato di sistemarsi le basette e si era lisciato la divisa con cura. André aveva sorriso senza farsi vedere: Alain gli era sembrato preoccupato di fare bella figura a palazzo Jarjayes. Anche ora, mentre stavano mangiando, notò che, al contrario del solito, non era per niente ciarliero; ringraziava ogni volta che la nonna o una cameriera lasciavano qualsiasi cosa sul tavolo e masticava a bocca chiusa.

Oscar li raggiunse. Sorrideva. Si era cambiata. Avvicinandosi mise una mano sulla spalla di André e lui gliela sfiorò appena con la sua. "Hai mangiato?" le chiese "Siedi con noi! La nonna ha fatto la crema!". Oscar, ancora in piedi, prese dal tavolo un pezzo di pane e lo intinse nel piatto di André, mangiando con gusto prima di sedersi. Prese anche il suo bicchiere e bevve qualche sorso di vino. Arrivò la nonna e rimproverò le cameriere per non aver apparecchiato subito per madamigella Oscar, che le chiese: "È vero che hai fatto la crema?". "Certo!" le rispose la donna con voce chioccia. Oscar, finalmente seduta fra i due uomini in divisa, continuava ad intingere il pane nel piatto di André. Alain la guardava: era diversa. Tutti e due erano diversi. Sapeva che lei e André erano una coppia, ma in caserma e fra gli altri soldati erano sempre così formali e distaccati che la sola particolarità che si poteva notare era che talvolta il soldato semplice André dava del tu al suo comandante e la chiamava per nome. Ora, invece, vedeva per la prima volta tutta la loro intimità: la confidenza negli atteggiamenti, le abitudini consolidate che li rendevano spontanei nei gesti, le parole e i luoghi che evidentemente condividevano da una vita… Alain notò anche che nessuno faceva caso alla loro confidenza; sapeva che André era sempre vissuto a palazzo Jarjayes e che lui e Oscar erano cresciuti insieme, ma non immaginava che fossero veramente così vicini. Si guardò intorno: per tutti era normale che condividessero un bicchiere o la pietanza e che la figlia del generale sedesse a mangiare con l'attendente in cucina. Nessuno ci faceva caso. 

L'anziana governante portò in tavola una coppa colma di crema alla vaniglia, distogliendolo dai suoi pensieri. Oscar ne prese subito un cucchiaio. André sorrise del suo gesto e iniziò a servire per tutti e tre, distribuendo la crema nei bicchieri. Mangiarono scambiandosi battute. Alain guardò Oscar di sottecchi:  benché in abiti maschili, senza la corazza dell'uniforme sprigionava una sensualità a cui gli era impossibile restare indifferente. Pensò che non avrebbe mai potuto credere che una camicia da uomo potesse diventare tanto femminile. Il viso diafano, le lunghe ciglia a fare ombra sugli occhi abbassati, i capelli che ricadevano con morbida scompostezza lungo la schiena e sulle spalle: si accorse che tutto gli piaceva di lei. Osservò la scollatura, generosa ma non esibita, che si faceva strada fino all'incavo dei seni; Oscar rise di qualcosa che le aveva appena detto André. Una risata cristallina. In caserma non rideva mai. Dio quanto era bella quando rideva! Alain notò nuovamente quella strana mezzaluna subito sotto la base del collo. "Una volta Nicholas de la Motte tentò di soffocarla a mani nude" disse André. La voce era forte, il tono fermo. Oscar espirò rumorosamente ma non alzò gli occhi dal bicchiere di crema. Alain trasalì e si trovò occhi negli occhi con l'amico. Non sorrideva più. "Sei un bestione del cazzo, Alain!" pensò fra sè "Non si guarda la donna di un amico. Non si guarda e basta.". "Di cosa aveva bisogno il generale?" chiese André ad Oscar senza distogliere lo sguardo da Alain. Il tono era volutamente affabile, ma l'espressione del viso era seria e dura. "Partiamo André!" rispose Oscar. La voce era bassa e il tono neutro, ma il sorriso che le si allargava sul volto abbassato tradiva la sua emozione. Alzò lo sguardo per cercare quello di André e solo allora questi distolse il proprio da quello dell'amico. "Come dici?" chiese. "Siamo in licenza da ora. Partiamo. Andiamo ad Arras André.". Il tono di Oscar era misurato ma nei suoi occhi c'era tutta la luce del sole sulla superficie del mare. André rimase impassibile e lei ne fu quasi delusa. Notò che la sua attenzione era concentrata su Alain e pensò semplicemente che volesse che si mostrassero più riservati davanti a lui. Recuperò tutta la freddezza che le era solita e rivolta ad Alain spiegò: "Devo sistemare alcuni affari di famiglia nel nord. André mi accompagnerà. Alain, ti prego di occuparti tu degli uomini in mia assenza e di raccomandare al colonnello D'Agoult di prendere il comando.". "Sissignore!" rispose il soldato senza entusiasmo.

Tornò la nonna di André con un pacco fra le mani: "Andate ad Arras allora! Vi faccio preparare i bagagli. Oscar, porta questo ad Anaïs da parte mia! Sono certa che le farà piacere qualche novità della moda di Parigi!". Adesso era Oscar a non sorridere più: "Grazie" rispose "sei sempre gentile a ricordarti di Anaïs.".

 

Oscar si sentiva sempre a disagio quando pensava ad Anaïs. Pensava sempre di non aver fatto abbastanza per lei. Mentre saliva le scale verso le sue stanze aprì la piccola scatola che le aveva consegnato la nonna di André: due cuffiette in sangallo e un grembiulino con un orlo di pizzo erano sistemati con cura nella carta di riso. Oscar sentì un moto di profonda tenerezza per l'anziana governante, che mai faceva mancare gesti d'affetto per coloro che amava. Si recò nel proprio guardaroba e vi trovò la cameriera che preparava i suoi bagagli. Le disse che ad Arras aveva già tutto e che per il viaggio le sarebbero bastati gli effetti personali, un cambio e un mantello. Le chiese se sapeva dove trovare gli abiti di gala che il generale aveva fatto comprare per lei e le disse di sistemarli nel bagaglio con le tiare, le scarpette e gli accessori. "Ho fretta. Voglio partire entro un'ora.". Andò quindi a recuperare il plico di documenti nella sua stanza e indossò la giacca da viaggio.

Stava sistemandosi il colletto allo specchio quando fu raggiunta dalla governante: "Hai fatto mettere nei bagagli gli abiti da sera? Hai intenzione di metterli ad Arras?". "No," le rispose "sono abiti molto sontuosi. È un peccato lasciarli invecchiare in un armadio. Li regalerò ad Anaïs. È giovane e graziosa. Le piaceranno.". L'anziana la guardò perplessa, aiutandola con il colletto: "Non credo che Anaïs avrà mai occasione di indossare abiti simili... ". Oscar non seppe cosa rispondere.

 

André andò incontro a Oscar che stava scendendo dalla grande scalinata dell'ingresso. "Ho visto il baule," le disse "non potremo caricarlo sui cavalli. Vuoi che prepari una carrozza o il calesse?". "No," gli rispose Oscar "dai ordini affinché ci venga consegnato domani! Sono pronti i cavalli?". "Certo. Possiamo andare quando vuoi.". "Partiamo adesso.".

Allontanandosi a cavallo da palazzo Jarjayes Oscar guardò André e si chiese come mai non avesse accolto con gioia la notizia di questo viaggio. Si sarebbe aspettata se non altro qualche sorriso ammiccante o comunque qualche parola di complicità… invece era ancora così serio…

Decisamente di malumore André si girò verso di lei e le chiese: "Perché il baule? Cos'hai portato? Ci fermiamo a lungo ad Arras?". Oscar non si girò. Non aveva voglia di incontrare il suo sguardo così duro. "Voglio disfarmi degli abiti che mio padre ha fatto comprare per me." gli rispose. André inarcò un sopracciglio e commentò sarcastico: "E te li porti ad Arras? Non potevi bruciarli anche qui?". Oscar si chiese se poteva avergli fatto qualche torto senza saperlo. Di solito avrebbe riso con lei di una situazione come questa. "Avrei potuto" disse con un tono incolore "ma voglio regalarli ad Anaïs.". André la guardò veramente stupito, ma Oscar aveva abbassato lo sguardo e non lo vide. Continuarono a cavalcare in silenzio. André trincerato dietro il suo malumore e Oscar delusa e irritata dal suo atteggiamento

 

André si chiese infastidito quando mai una cameriera di colore di servizio in una villa in riva al mare nell'alta Francia avrebbe potuto indossare degli abiti di gala e ripensò a quando la madre di Anaïs era arrivata a palazzo Jarjayes. Lui e Oscar erano bambini; avevano potuto avere forse nove o dieci anni. Il generale aveva salvato la vita di un amico ufficiale nel corso di non ricordava quale battaglia e questi, dopo essere stato lungamente imbarcato in marina, un bel giorno se ne era tornato dalle Antille con Zuli in regalo, per esprimere la propria gratitudine. Zuli era filiforme, con un viso lungo lungo e dei vestiti dai colori sgargianti, che sembravano enormi pezze di stoffa sovrapposte; aveva capelli neri così ricci e corti che sembravano grani di pepe sulla sua testa. Era alta e spigolosa. Gli occhi, in quel viso magro, erano così neri e grandi che sembravano sempre sgranati. La pelle era scura come la terra appena vangata e le labbra, sporgenti e carnose, avevano una tonalità prugna che le faceva sembrare innaturali. Aveva un modo di parlare curioso ed esotico; usava arrotare in modo singolare le erre e aveva una voce gutturale e profonda. Conosceva il francese, ma utilizzava spesso parole in una lingua sconosciuta.

André ricordò che lui e Oscar si sentivano in soggezione dinnanzi a  lei. Una volta le avevano chiesto se veramente si chiamasse Zuli e lei aveva risposto che no, il suo nome non era Zuli, ma Erzuli, la dea della maternità secondo il suo popolo. Nessuno di solito le parlava, l'avvicinava o le assegnava alcunché da fare; non faceva parte del personale di servizio di palazzo. Era esclusivamente a disposizione del generale, che di tanto in tanto la faceva chiamare e la tratteneva presso di sè. André ricordò che sua nonna non faceva che deprecare il generale per Zuli.

Dopo qualche anno la donna era rimasta incinta. Non si era comportata come tutte le donne che lui aveva conosciuto: le donne francesi nascondevano il ventre prominente continuando ad alzare il più possibile la crinolina e passavano il tempo fra svenimenti e malesseri. Zuli invece aveva passato tutti quei mesi seduta in disparte scoprendo il proprio ventre, accarezzandolo e cantando con parole e melodie sconosciute. La nonna di André aveva passato tutto il tempo a inveire contro di lei e il generale, mentre la madre di Oscar aveva trascorso un lungo periodo presso dei parenti a Bordeaux.

Era nata una bambina minuscola e graziosa. Sua nonna aveva assistito Zuli nel parto e poi aveva litigato con il generale che, esasperato, aveva concesso che la piccola potesse rimanere a palazzo, ma che fosse lei e non la madre ad occuparsene e aveva voluto imporle un nome francese: Anaïs.

Zuli aveva provato in tutti i modi a tenersi la sua bambina. Aveva pianto e pregato. Ma il generale era stato irremovibile. Da allora lei era vissuta come in una dimensione parallela rispetto agli altri abitanti di palazzo Jarjayes. Aveva smesso di parlare con chiunque e di raggiungere il generale quando la faceva chiamare, finché questi non aveva smesso di cercarla.

 

Oscar cavalcava in silenzio. Aveva percorso molte volte la strada verso Arras con André. L'ultima volta in cui erano stati insieme nel nord era stato quando vi avevano portato Rosalie. Aveva un bellissimo ricordo di quel soggiorno. Erano giovani e il pensiero degli avvenimenti che sarebbero seguiti non li aveva ancora nemmeno sfiorati. Avevano passato le giornate lanciando i cavalli in corse sfrenate sulla spiaggia e oziando nell'ampio patio o nel salotto della villa di famiglia, bevendo buon vino e dimenticandosi di Versailles.

Oscar osservò André. Non la guardava. Sempre chiuso in un silenzio ostinato, sembrava assorto in pensieri importanti. Ripassò mentalmente la giornata. Forse tornare a Saint Antoine lo aveva turbato più di quanto avesse creduto.

 

André pensò che presto avrebbero raggiunto la locanda. Stava per imbrunire ed era stanco. Si sarebbe fermato volentieri. Gettò uno sguardo a Oscar, imbronciata ma bella come sempre; non ricordava quando si era reso conto di amarla. Tante volte aveva pensato di averla sempre amata e basta, così come aveva sempre respirato. Ricordava però molto bene quando quell'amore era diventato anche un'impellenza fisica. Ricordava benissimo quando stare accanto a Oscar aveva iniziato ad accendere in lui il desiderio e come tante volte si fosse ritirato di nascosto in solitudine per sfogare la smania a cui non riusciva in alcun modo a sottrarsi. 

Un giorno, poteva avere forse quindici o sedici anni, certo di essere solo nelle scuderie, si era slacciato i pantaloni liberando il proprio desiderio. Era rimasto impietrito quando dinnanzi alla sua nudità si era trovato Zuli. Ella gli si era avvicinata, gli aveva sfiorato il viso e l'aveva baciato con le sue labbra carnose color prugna, per poi iniziare ad accarezzarlo. Lui era rimasto senza fiato. La donna si era mossa con sicurezza e lentezza e gli aveva sussurrato poche parole all'orecchio: "La figlia del padrone sarà tua. Io ti insegnerò e quando l'avrai avuta, lei non ti vorrà più lasciare andare."

 

La locanda aveva un aspetto accogliente. Oscar scese da cavallo ed entrò; André rimase a occuparsi di César e Alexandre. Mentre li strigliava parlava con loro come era solito fare; poche parole, sempre le solite, pronunciate con voce bassa e tono rassicurante. Mentre sistemava la biada pensò che era stato ingiusto con Oscar. Questo viaggio in realtà era una bella occasione per loro e non era colpa di lei se Alain aveva iniziato a guardarla con un'insistenza che non gli era piaciuta affatto.

Quando entrò nella locanda trovò Oscar seduta a un tavolo già intenta a bere. "Ho ordinato anche per te" gli disse freddamente, spingendo nella sua direzione un boccale di birra che ormai aveva perso la sua schiuma. André si accomodò di fronte a lei, deciso a rimediare per il suo atteggiamento scontroso. "Hai anche ordinato da mangiare?" le chiese. "No. Non ho fame. Tu prendi quello che vuoi.". La guardò con insistenza, ma lei non alzò gli occhi. Una cameriera li raggiunse; "I gentiluomini gradiscono ordinare?". Aveva voce squillante e fianchi ondeggianti. André chiese il piatto del giorno per due. "Hai già fissato l'alloggio?" chiese a Oscar. "Sì. Ho chiesto due stanze.". André sbuffò.

Il piatto del giorno era carne in umido. Niente di speciale, ma lui era affamato e presto lasciò il piatto pulito mentre Oscar non aveva nemmeno assaggiato il proprio. I boccali erano ormai vuoti e André andò a prendere altra birra. Oscar lo seguì con lo sguardo. Stava dicendo qualcosa alla cameriera, che sembrava pendere dalle sue labbra e rideva in maniera esagerata. La ragazza continuava ad allungare una mano oltre il banco e a toccarlo sul petto. Oscar si sentì infastidita. André tornò al tavolo con due boccali colmi e bevvero in silenzio. La cameriera ripassava alcuni bicchieri con uno strofinaccio e intanto continuava ad ammiccare nella loro direzione; li raggiunse nuovamente e appoggiò una mano sulla spalla di André sporgendo verso di lui la generosa scollatura. "Il vostro amico non mangia?" gli chiese. "No, il suo amico non mangia!" le rispose Oscar a voce alta "E adesso torna da dove te ne sei venuta e fatti una pinta alla nostra salute!". Oscar pensò che quando André diceva le stesse parole agli avventori molesti che avevano avuto occasione di incontrare nel tempo in bettole o osterie, sembrava accomodante e non minaccioso come ora invece stava risultando lei. La cameriera si era girata e la guardava piccata; "Voi non siete un gentiluomo!" le disse. "Infatti!" le rispose "Non sono per niente un gentiluomo! E adesso fila!".

André la guardava divertito. Oscar lo fissò. "Hai avuto molte donne?" gli chiese a bruciapelo. "Non chiedere Oscar," pensò André "la risposta potrebbe non piacerti…". "Ho sempre amato solo te." le rispose invece, pacato. Lei inspirò allargando le narici e sporse il mento in avanti raddrizzando le spalle. "Non ti ho chiesto se mi ami. Ti ho chiesto se hai avuto molte donne!" gli disse bruscamente. André sospirò e si buttò indietro sulla sedia incrociando le braccia e sostenendo lo sguardo di Oscar, scuro minaccioso. "Sono stato per molto tempo un uomo adulto e solo…" le rispose con candore.

Oscar si alzò come una furia e si avviò per le scale. André si tolse velocemente alcune monete dalle tasche per gettarle sul tavolo e la seguì.

La raggiunse in tempo per impedirle di chiudere la porta ed entrò con lei in una stanza non troppo grande ma ordinata e pulita, dove erano state accese due piccole lampade e accostate le persiane per la notte.

Mentre André richiudeva la porta alle proprie spalle, Oscar si allontanò da lui di qualche passo. Lo insultò, alzando un pugno in aria. La voce vibrante, il busto proteso in avanti, il volto contratto: era arrabbiata. André non le rispose ma avanzò verso le lei. Oscar cercò di piazzargli un pugno in faccia ma lui la schivò e le serrò i polsi, per rilasciarli solo un attimo dopo. Si erano picchiati un milione di volte da ragazzi, ma ora era diverso. Non avrebbe mai alzato un solo dito su di lei.  Oscar abbassò la testa e i capelli nascosero le sue lacrime di frustrazione. Si aggrappò con le mani alla camicia di André e finì con l'aprirla scompostamente sul suo petto. Vi appoggiò la fronte colpendolo con i pugni chiusi. Lui non cercò di fermarla e lei improvvisamente lo baciò con rabbia. Ricordò le parole che proprio lui le aveva detto quando l'aveva ghermita nel buio delle sue stanze, dopo quell'assurda cena con il conte di Girodelle: "Volevo provare che eri ancora mia".  Anche lei voleva provare che era sempre suo! Perché diavolo ogni dannata sciacquetta doveva buttarglisi addosso? Si fece strada con urgenza sotto i suoi pantaloni e lo accarezzò con prepotenza, sorprendendolo e strappandogli un gemito. André la strinse per le spalle. "Vuoi fare davvero questo gioco Oscar? Lo so fare anche io sai…". Le sussurrò all'orecchio, la voce poco più di un rantolo profondo. Con un gesto brusco le tolse la giacca da viaggio buttandola a terra. Le serrò i fianchi e la girò, le scoprì le terga ed entrò in lei con forza. Si fece largo nella sua mente l'immagine di Alain che la accarezzava con lo sguardo e la prese con rabbia, mentre lei, sporta in avanti, si aggrappava allo stipite della finestra stringendo tanto le mani che le nocche le erano diventate bianche. Improvvisamente lasciò lo stipite e si erse, appoggiando il suo corpo esile a quello di André e piegando la testa indietro, adagiandola nell'incavo del suo collo. André sentì i capelli lunghi e morbidi sul proprio petto e all'orecchio il respiro affannoso della sua donna che gli si stava donando. Non c'era più rabbia in lei. Gli si stava arrendendo. Eccola la sua Oscar: sempre così violenta e sempre così fragile. Sentì un moto di infinita tenerezza e si sfilò da lei per girarla; voleva guardarla negli occhi. Voleva baciarla. La condusse fino al piccolo letto e finì di amarla, con dolcezza e gentilezza. Non si dissero più niente. Rimasero stretti. Dormirono in un letto troppo angusto, con i vestiti ancora stroppicciati addosso.

 

Il mattino seguente si svegliarono troppo tardi, indolenziti per il letto troppo piccolo condiviso e con i segni delle cuciture degli indumenti stampate sulla pelle. Non parlarono, ma si sorrisero. André uscì per primo per occuparsi dei cavalli. Oscar lo seguì pochi minuti dopo; aveva fatto mettere il cambio che aveva chiesto e i suoi effetti personali nel baule con i vestiti per Anaïs e così fu costretta ad aggiustarsi alla meglio la camicia piena di pieghe. Raccolse la giacca da terra indossandola con cura e si sistemò i capelli con le mani. Quando uscì dalla stanza si trovò faccia a faccia con la cameriera. Questa la guardò stupita: "Ma avete usato una sola stanza, monsieur!" esclamò evidentemente delusa. Oscar alzò gli occhi in un'espressione esasperata. "Sì, mademoiselle, abbiamo usato una sola stanza," le rispose con durezza "ma tranquilla" concluse "ve le pagheremo comunque entrambe.".

Uscendo trovò i cavalli già pronti. André le sorrideva. "Tutto a posto?". "Sì," gli rispose "andiamo!". Montarono a cavallo e partirono a passo sostenuto. "Cerchiamo di arrivare ad Arras finché è ancora giorno!" le disse André. Erano partiti tardi. "Va bene!' gli rispose Oscar, lanciando César al galoppo. 

Lasciarono correre i cavalli lungamente, guardandosi di tanto in tanto mentre galoppavano verso il mare. Percorso un buon tragitto si fermarono per far riposare le due bestie, sudate e stanche. André abbassò loro le redini e lasciò che si abbeverassero in un corso d'acqua. Si bagnò le mani e il viso lui stesso, accaldato, quindi raggiunse Oscar già sdraiata sull'erba all'ombra sotto gli alberi: la borsa con i documenti lasciata negligentemente a terra accanto a lei, le braccia incrociate dietro la testa, le ginocchia piegate. André la guardò. Era bellissima. Prese posto accanto a lei e recuperò della focaccia dalla borsa, offrendogliene un pezzo. Mangiarono in silenzio, ma poi Oscar scoppiò a ridere. Guardò André dritto in faccia; "Non ti ho fatto fare mica una gran figura con la cameriera, sai?". Risero assieme.

 

Arrivarono ad Arras nel tardo pomeriggio. L'odore del mare fu il primo a dare loro il benvenuto. Smontarono da cavallo e l'anziano stalliere si fece loro incontro. André gli affidò tutte le redini. "Mi raccomando César!" gli disse. "Non dubitate signore!" gli fu risposto. 

"Signore…" pensava André fra sè e sè mentre raggiungeva Oscar, che lo attendeva a pochi passi per andare assieme a salutare il personale della villa già schierato.

Ad Arras la vita era piuttosto informale. Non avevano un maggiordomo ma solo una governante. Il personale di servizio era costituito da una cuoca e qualche cameriera, più un giovane garzone, il giardiniere e lo stalliere.

Ad André era sempre piaciuto stare ad Arras. Lontano da Parigi e dal generale, che non veniva mai fino all'Alta Francia, il personale e i contadini non avevano ben chiara la sua posizione. Avendolo visto fin da bambino sempre insieme a madamigella Oscar, pensavano semplicemente che fosse uno di famiglia e lo trattavano con deferenza e da gran signore. Gli veniva sempre assegnata una delle stanze padronali e veniva servito a tavola assieme a Oscar e ai suoi ospiti. Qui non c'era sua nonna a ricordargli di stare al proprio posto né il generale a trattarlo da servo. C'era Anaïs, ma non aveva mai amato molto il padrone ed era stata sempre molto riservata, così non si era mai preoccupata di far presente al resto del personale che André era in realtà un servitore come loro.

Oscar non amava le formalità, ma essendo stata tutta la vita un militare, ai gesti formali sapeva dare la giusta importanza, quindi si fermò a salutare come conveniva ed ebbe una parola per ciascuno; impartì gli ordini per la giornata e la cena e disse che in un giorno o due avrebbero ricevuto il suo baule. Chiese di prepararle un bagno per la sera e si congedò con gentilezza. André la seguì al piano di sopra. Si fermarono nello studio; André si versò un poco di sherry mentre lei si accomodò alla scrivania, estrasse i documenti che aveva portato con sè e scrisse una missiva veloce per il signor Sugane. Voleva rassicurarlo riguardo al fatto che le terre non sarebbero state vendute né cedute, facendogli presente che si stava occupando personalmente della faccenda, ma voleva anche lasciar passare un paio di giorni prima di incontrarlo. Desiderava infatti potersi concedere del tempo per riposare, per occuparsi della sua persona… e per stare con André. Sigillò la lettera, chiamò il garzone e si raccomandò che fosse consegnata immediatamente.

Il sole si stava ormai abbassando e la luce era intensa e dorata. Oscar lasciò ogni cosa e tirò André per un braccio: voleva andare sulla spiaggia. Uscirono assieme dall'ingresso posteriore che dava sul mare e raggiunsero la riva. Oscar tolse scarpe e calze e si bagnò i piedi. La salsedine, il sale e lo iodio le riempivano le narici e i polmoni, il vento le pettinava i capelli e lei si sentì libera come non mai. Si girò indietro e vide André che la guardava, le mani affondate nelle tasche, il volto sereno. Lo raggiunse e lo prese per mano. Passeggiarono a lungo, le mani intrecciate, chiacchierando e ridendo, talvolta scambiandosi un bacio. Nessuno da evitare, nessuno da cui doversi nascondere. Il crepuscolo li sorprese poco prima di rientrare. L'aria si era fatta frizzante, la sabbia fresca e umida.

 

Quando Oscar raggiunse la propria stanza vi trovò Anaïs: come da sue istruzioni le stava preparando un bagno caldo. La salutò con gentilezza e la giovane le rispose con un sorriso. Oscar rimase a osservarla mentre finiva di sistemare ogni cosa per lei. Meno scura di Zuli, della madre conservava gli occhi neri, i capelli crespi e il portamento fiero, ma per il resto non poté fare a meno di notare, come tante altre volte già aveva fatto, le mani dalle dita lunghe come le sue, il suo stesso taglio degli occhi, la forma arcuata delle sopracciglia dei Jarjayes e le labbra dalla piega morbida che ritrovava ogni volta che si guardava allo specchio.

Quando aveva compiuto dodici anni, il generale aveva stabilito che Anaïs non sarebbe più potuta restare a palazzo Jarjayes. Pensando alle possibili soluzioni e combattendo contro la governante sempre più insistente, aveva accolto con piacere il vecchio compagno d'armi che tanti anni prima gli aveva portato Zuli in regalo e che ora, dopo lunghi anni trascorsi ad Haiti, era  tornato in visita. Invitato a cena, il generale gli aveva confidato di Anaïs e questi con entusiasmo sproporzionato, si era subito proposto di prenderla con sè per trovarle una sistemazione in qualche missione oltre oceano. Guardandolo, Oscar aveva visto tanta disgustosa e lasciva bramosia negli occhi di quell'uomo, che non era più potuta restare seduta allo stesso tavolo con quell'individuo disgustoso. Si era alzata fissando con durezza il padre e gli aveva chiesto se veramente potesse aver anche solo pensato di valutare di imbarcare una ragazzina di dodici anni su una nave colma di uomini della marina di sua maestà. Poi se n'era andata, dicendo all'ufficiale già alticcio che per ognuno dei suoi pensieri Dio l'avrebbe fatto bruciare all'inferno. Per una volta nella vita, sotto lo sguardo silenzioso di sua madre, era stata sicura che il generale si fosse vergognato di se stesso. 

Nei giorni che seguirono era stata sempre lei ad adoperarsi affinché Anaïs fosse trasferita ad Arras. Là nessuno le avrebbe più dato fastidio. Il giorno in cui se ne era andata, Zuli era scomparsa per sempre, senza lasciare alcuna traccia di sè.

 

Il bagno era ormai pronto. Anaïs uscì dalla stanza salutando rispettosamente. Oscar la ringraziò e si disfece velocemente dei propri abiti, ansiosa di immergersi. 

Il vapore dell'acqua calda la aiutò a respirare e per un attimo si sentì molto meglio, come liberata dalla pesantezza in mezzo al petto che ormai la tormentava da settimane. Stanca e rilassata, avvolta dal profumo piacevole del sapone, si assopì.

Si destò improvvisamente, sentendosi osservata. André sedeva su uno sgabello accanto alla vasca. Le gambe accavallate, le braccia incrociate sul petto. "Sei qui da molto?" gli chiese Oscar. "No. Solo qualche minuto. Ho aperto una bottiglia eccellente. Ti ho portato un bicchiere di vino." le disse, porgendole un calice. Oscar levò un braccio dall'acqua e prese il bicchiere. La notte ormai aveva avvolto la villa nel buio. La luce delle candele rendeva la stanza particolarmente accogliente. Assaggiò il vino; era perfetto. Pensò allo stupido liquore di rose di Girodelle e scosse la testa accennando un mezzo sorriso. André alzò il proprio calice: "Alla nostra, Oscar" le disse piano. "Alla nostra" gli rispose lei con dolcezza.

 

Seduta alla scrivania dello studio, Oscar stava sistemando i documenti riguardanti una parte di latifondo da cedere a uno dei suoi cognati, secondo gli accordi raggiunti con il signor Sugane, al fine di accontentare il generale e dimostrargli l'utilità della licenza che le era stata concessa. 

Una cameriera stava sparecchiando; lei e André avevano pranzato nello studio:  lei preferiva infatti il piccolo tavolo nel bovindo dalle ampie finestre sul mare al grande e formale tavolo della sala. Un'altra cameriera sopraggiunse, annunciando l'arrivo del baule per madamigella Oscar. Le chiese se poteva sistemare il contenuto, ma lei le rispose che al momento non era necessario e diede istruzioni affinché fosse semplicemente lasciato nella sua stanza. Non voleva che il personale di servizio vedesse gli abiti da sera.

Gli ultimi due giorni le erano sembrati fuori dal tempo ed erano trascorsi passeggiando o cavalcando sulla spiaggia, facendo l'amore, mangiando bene e bevendo troppo. 

André, semisdraiato sul piccolo divano di velluto di fronte alla scrivania, dopo un abbondante pranzo a base di frutti di mare, innafiato da buon vino, si era abbandonato a un sonno leggero. Oscar lo guardò: il bicchiere ancora fra le mani, la testa riversa indietro e i capelli scostati che lasciavano esposto l'occhio che aveva perso per lei, con la sottile cicatrice che attraversava interamente l'orbita. Oscar si alzò e prese il bicchiere dalle sue mani, lasciando una carezza impercettibile  sul suo viso prima di tornare alla scrivania.  

Le era mancato tutto questo. Aveva trascorso tutta la vita con André e con lui aveva coltivato una confidenza fatta di parole, tempo trascorso assieme, ma anche gesti e momenti condivisi, che non l'aveva mai fatta sentire sola. Quando lui l'aveva aggredita, strappandole un bacio e la sua camicia, non l'aveva solo ferita e umiliata. Le aveva anche portato via l'unico vero affetto su cui aveva sempre contato. Le aveva portato via la sua unica opportunità di stare con qualcuno essendo semplicemente se stessa. 

Quando gli aveva detto di volersela cavare da sola e di non volere più il suo aiuto, non aveva mai pensato di dover per questo rinunciare alla loro amicizia e alla loro complicità. Non aveva pensato che confidargli il proprio sentire e le proprie intenzioni, le avrebbe fatto perdere per sempre il solo punto fermo della sua vita. Poi André si era arruolato e lei aveva capito di non poter vivere senza di lui ed erano diventati amanti, ma in caserma era stato impossibile riuscire a riprendersi la loro complicità…

Da quando erano amanti aveva scoperto che André era diverso da come lo aveva sempre conosciuto. Era sempre pacato, gentile e riflessivo, ma non così mite come lo aveva sempre creduto: era anzi passionale… e sapeva essere impetuoso. La sosteneva sempre, ma non aveva paura di contrastarla e riusciva a tenerle testa. Poteva addirittura riuscire ad essere più testardo di lei…  e piaceva alle donne. Piaceva dannatamente alle donne… e questo le aveva fatto scoprire anche qualcosa di se stessa che non aveva mai conosciuto: era gelosa. Era terribilmente gelosa e non capiva come André avesse potuto sopportare la sua infatuazione per Fersen.

Oscar guardò il mare oltre la finestra e sospirò. Ormai tutto era stato risolto e appianato. Entro breve sarebbero dovuti rientrare. 

Quando erano arrivati alla villa avevano occupato una sola stanza. Nessuno aveva fatto domande, lei non aveva ritenuto di dover offrire spiegazioni e si era fatta servire la colazione al mattino senza preoccuparsi di farsi trovare nello stesso letto con André.

 

L'incontro con il signor Sugane, poche ore prima, era andato molto bene. Lei e André erano stati accolti festosamente da tutta la famiglia, con una tavola imbandita di biscotti al burro, prodotti della terra e buon vino. Lei e il signor Sugane avevano discusso della situazione delle terre e individuato insieme un'area non sfruttata di un latifondo che si sarebbe potuta cedere per accontentare il generale e il cognato, poi li aveva raggiunti Gilbert. Oscar non lo aveva visto da tanto tempo e incontrarlo le aveva fatto un grande piacere. 

Gilbert era diventato un bel ragazzo alto, con il volto buono e le mani grandi del padre. La questione famigliare di cui Oscar aveva letto nella missiva indirizzata a lei a palazzo Jarjayes, riguardava proprio lui. Gilbert era infatti tornato dalla scuola di legge appositamente per incontrarla, per poterle chiedere formalmente la mano di Anaïs. Sapeva infatti che la ragazza non aveva parenti ed era cresciuta presso la famiglia Jarjayes,  così aveva pensato di potersi  rivolgere a lei per ottenere la sua benedizione. Oscar era rimasta sorpresa della richiesta: Anaïs era talmente riservata e silenziosa che non aveva potuto non chiedersi come i due si fossero conosciuti. Aveva così saputo che Gilbert l'aveva vista alla santa messa nella chiesa del villaggio circa un anno prima e si era innamorato. Il signor Sugane l'aveva guardata con aria speranzosa: "Mio figlio se ne muore per questa ragazza…" le aveva detto. Oscar aveva osservato il viso di Gilbert  mentre le stava parlando: era sorridente ed emozionato e gli occhi brillavano. Aveva pensato che fosse sincero e realmente innamorato. Gli aveva risposto che avrebbe parlato con Anaïs e che se lei avesse acconsentito, avrebbe volentieri dato la sua benedizione e avrebbe provveduto anche per una dote soddisfacente. A quel punto Gilbert e il padre avevano detto che lei già aveva fatto e stava facendo tanto per loro e che non era necessario che provvedesse a una dote. Oscar aveva sorriso: gliel'avrebbe fornita comunque. Non perché fosse necessario, ma perché voleva farlo. Salutandola, sull'uscio di casa, Gilbert le aveva detto poche parole che tuttavia l'avevano turbata: "Madamigella, avete fatto sempre così tanto per me! Non tornate a Parigi! Restate! Noi vi proteggeremo!". Lei l'aveva ringraziato con gentilezza e gli aveva detto di stare tranquillo per lei, ma era montata a cavallo con un senso di amarezza in fondo al cuore.

 

Giugno era ormai inoltrato e le giornate si erano fatte molto lunghe. Sulle coste del nord il clima era ancora mite e piacevole ed era bello al crepuscolo passeggiare sulla spiaggia. Cavalcando verso la villa, dopo una lunga galoppata in cui si erano sfidati a raggiungere mete immaginarie, lanciando i cavalli a tutta velocità, André si avvicinò a Oscar. "Un matrimonio… saranno molto felici.". "Se Anaïs vorrà accettare" gli rispose lei. 

André ripensò a Oscar stretta fra le sue braccia nel letto, nelle sue stanze a palazzo Jarjayes, dopo la cena a cui non aveva potuto partecipare. "André Grandier, sarò tua moglie" gli aveva detto. Lui non aveva nemmeno risposto. Non ci era riuscito. Ricordò la testa bionda appoggiata sul suo petto e la voce chiara nel buio della notte. Guardò Oscar intensamente. "Dicevi sul serio la sera della cena di gala?". Oscar si girò verso di lui e gli rivolse uno sguardo obliquo. "Sì" gli disse  "ma tu non mi hai risposto.". André fermò il cavallo. Per un attimo gli mancò il fiato; Oscar si era fermata accanto a lui. "Non ho niente da offrirti a parte me stesso." le disse. "E tanto mi basta." gli rispose lei sorridendo con dolcezza. 

Raggiunta la villa lasciarono i cavalli allo stalliere e rientrarono mano nella mano.

 

Lo studio era avvolto nella luce calda delle candele. Oscar aveva fatto nuovamente servire la cena nel piccolo tavolo con la bella vista sul mare. Nel pomeriggio, aveva provveduto personalmente a recuperare i propri effetti dal baule che aveva fatto lasciare nella sua stanza. Lei e André, seduti sul piccolo divano ricoperto di velluto rosso, bevevano ora in silenzio dell'ottimo cognac invecchiato, mentre una delle cameriere rassettava velocemente. Oscar attese che avesse finito per dirle prima di congedarla di mandare Anaïs da lei.

La giovane raggiunse lo studio solo pochi minuti dopo. Silenziosa, rispettosa, timida come sempre. Oscar la osservò un istante: le mani sottili intrecciate in grembo, la sguardo basso, i capelli raccolti in una delle cuffiette di sangallo che le aveva mandato la nonna di André. Aveva la sua tipica espressione dolce e mansueta, ma sembrava nervosa. Oscar si affrettò a parlarle. Non voleva tenerla sulle spine. "Ti piace Gilbert, il figlio del signor Sugane?". 

André abbassò lo sguardo e si grattò la fronte con il pollice della stessa mano con cui reggeva il bicchiere, nel tentativo di dissimulare un sorriso: la sua Oscar, sempre così piena di tatto… Pensò con ironia che conosceva diversi soldati nella guardia metropolitana che sarebbero potuti essere più delicati di lei in questo frangente… Guardò Anaïs, gli occhi sgranati, lo stupore dipinto sul viso. Oscar la incalzò con un tono più fermo: "Conosci Gilbert vero? Ti piace?". La ragazza si portò entrambe le mani al volto per nascondere la bocca che si apriva in un sorriso imbarazzato. "Devi dirmelo," continuò Oscar "perché lui ti ha chiesta in moglie e io ho intenzione di concedere la mia benedizione solo se tu lo vorrai.". La ragazza fissò Oscar per un attimo prima di scuotere energicamente la testa in segno affermativo. Tolse le mani dal viso e sorrise mostrando i bei denti bianchi. Oscar sospirò e appoggiò una mano sulla gamba di André, seduto accanto a lei. "Gli abiti che ha fatto prendere mio padre non andranno sprecati, dopotutto!" gli disse. Poi, rivolgendosi ad Anaïs continuò: "Puoi scegliere una delle due dependances sulla spiaggia. Sarà la tua dote, assieme a un appezzamento di terra adeguato. Se vorrai potrai assumere del personale di servizio. Avrai una rendita. Provvederò alle spese per il tuo ricevimento di nozze. Sarà il mio regalo per te. Organizza secondo il tuo gusto una festa che tu possa ricordare con gioia." Una brevissima pausa, poi continuò "Nella mia stanza troverai il baule che ho fatto spedire da palazzo Jarjayes. Vi troverai degli abiti. Sono i tuoi.". Il tono era deciso e ogni frase era scandita con chiarezza. André le strinse un polso e la fermò: "Non stai dando disposizioni al tuo plotone…". Oscar lo guardò stringendo le labbra, chiuse un attimo gli occhi e lasciò il suo tipico cipiglio militare; sorrise. "Sii felice, Anaïs." terminò.

La ragazza non potè trattenere le lacrime, si avvicinò a Oscar e si accovacciò ai suoi piedi, prendendole una mano con entrambe le sue per portarsela al viso. La strinse contro la sua guancia, poi la baciò ripetutamente. Oscar si sentì a disagio. "Grazie!" le disse Anaïs "Non potrò mai dimostrarvi a sufficienza la mia gratitudine!". Oscar cercò di ritrarsi. Non era in cerca di devozione. Aveva scelto semplicemente per quello che riteneva giusto. La ragazza tuttavia non le lasciò la mano. "Siete una donna buona, madamigella. Non partite! Restate! Parigi è pericolosa! Qui vi vogliono tutti bene. Vi proteggeranno!". Le stesse parole di Gilbert… Lo stesso senso di amarezza… Oscar guardò Anaïs: non le aveva mai sentito dire tante parole tutte insieme… Pensò che non solo Gilbert le doveva piacere, ma evidentemente i due si erano frequentati abbastanza da condividere discorsi e preoccupazioni e soprattutto, evidentemente, il ragazzo la teneva tanto in considerazione da metterla a parte dei suoi pensieri e delle sue esperienze da studente e lei ne aveva tanta stima da farli propri… Oscar sorrise. Sarebbe stato un buon matrimonio.

"Non posso più trattenermi. Ho degli impegni e degli obblighi che mi riportano a Parigi. Non ti preoccupare. Io e André sapremo badare a noi stessi. Adesso asciuga le lacrime e vai a prendere il baule con i tuoi vestiti. Chiama il garzone per farti aiutare.". Anaïs si alzò e rimase un istante in piedi di fronte a Oscar. Allungò una mano e le lasciò una carezza su una guancia. Oscar abbassò gli occhi e sorrise. Non era abituata alla tenerezza e il solo da cui riusciva a riceverne ricambiandola senza pudore era André. "Vai!" le disse ruvida. La guardò avviarsi correndo con passo leggero. 

André le appoggiò una mano alla base del collo, insinuando due dita sopra la nuca, fra i suoi capelli. "Allora domani partiamo." le disse. "Partiamo." gli rispose lei "... ma non domani. Rubiamo ancora un giorno.". André le sorrise e si sporse verso di lei, sfiorandole le labbra con la punta delle dita. Gli sarebbe dispiaciuto partire. Ma avevano ancora un giorno.

 
   
 
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