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Autore: drisinil    14/09/2022    1 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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13 - MVP


27 ottobre 2012

Quinto set 15/15. Deuce.

Nel corpo di Kei, ovunque è dolore. Dai muscoli dei polpacci che bruciano, fino alla punta delle dita. Il mignolo destro è dislocato. Ogni minimo movimento della mano genera una fitta rovente che si irradia come una scossa elettrica fino al gomito.

Mentre solleva la paletta con il numero 8, soffre fin quasi alle lacrime.

Ha mentito, per tornare in campo. Ha detto che il dolore era sopportabile. E tutti hanno fatto finta di crederci. Doveva mentire.

Ha mentito per Akiteru, che è piombato in infermeria preoccupato, ansioso e fiero. Per Yachi-san, che ha pianto appena ha visto una goccia di sangue e sta continuando anche adesso sugli spalti. Per il fastidioso Hinata, che a muro non vale quasi niente.

Ha mentito per la squadra, che non può rinunciare a giocare tutte le sue carte, in questa finale incredibile, che non vuole finire.

Soprattutto, ha mentito per Kuroo Tetsurou, che da qualche parte, sugli spalti, lo sta guardando. E che non si arrende. Continua a scrivere messaggi, a mandare mail e vocali. Ha spedito persino una lettera cartacea, che è finita a pezzi ancora imbustata. Per non dire degli haiku, uno più bello dell'altro. E oggi si è presentato di persona.

Baka! Si è fatto più di quattrocento chilometri per venire nello stadio di Sendai a vedere la partita di un kohai strafottente e maldisposto, che si rifiuta di rivolgergli la parola.

Baka! Quattrocento chilometri solo perché in questo momento non ha una ragazza da scoparsi ed è troppo stupido e troppo testardo per riconoscere un'infatuazione passeggera, una sbandata, l'emozione effimera di una novità e di una sfida.

Kei non può permettersi niente di tutto questo. Si è già avvicinato al fuoco fin troppo: ancora un po' e non sarebbe più questione di bruciarsi, ma di consumarsi.

Ci ha pensato tanto. Ha esaminato la situazione da ogni punto di vista. Ha calcolato i possibili sviluppi, le conseguenze, i cambi di variabile. Ma la conclusione è sempre la stessa: a nessuno deve essere concesso tanto potere su Tsukishima Kei, a nessuno al mondo. Motivo per cui, non importa cosa Kuroo dice o fa, o quanti stupidi chilometri è disposto a macinare, ma non riuscirà mai a fargli cambiare idea, a farlo tornare indietro. 

Tutto quello che Kei può concedersi sono una manciata di bei ricordi estivi, una chiavetta USB piena di musica discutibile e la sensazione irripetibile del cuore che batte alle porte dell'anima, ed è lì lì per sfondarle. Il genere di cosa che era certo non avrebbe mai provato e, anzi, era convinto che esistesse solo nei cattivi romanzi e nei manga idioti di Yamaguchi. E che purtroppo è dannosa.

Come l'eccesso di zuccherì, come lo sforzo di un'articolazione infortunata.

Kei ha mentito per tornare in campo, ma è Kuroo che gliel'ha permesso. Alla fin fine, è sempre tutto colpa sua, o merito suo, o entrambe le cose insieme.

Baka! Baka Tetsurou!

***

Nascosto nell'ombra del corridoio male illuminato, Tetsurou tiene d'occhio la porta chiusa dell'infermeria.

Quando vede uscire la manager del Karasuno e un tizio biondastro che è la brutta copia di Kei, meno alto e molto meno bello, li raggiunge.

«Come sta Tsukki?» domanda alla ragazza.

Lei lo riconosce, naturalmente, ma è abbastanza intelligente da non fare commenti.

«Dislocazione del mignolo.»

«Totale o parziale?» Purtroppo, Tetsurou è esperto di lussazioni delle dita.

«Totale.»

«Quindi è fuori? Non rientra in campo?»

La ragazza annuisce, lo sguardo serio dietro gli occhiali. 

Il fratello di Tsukki si limita a uno sguardo torvo.

Forse Tetsurou dovrebbe chiedere il permesso, bussare educatamente e presentarsi. Forse quello che sta per fare è solo una micidiale cazzata e se ne pentirà amaramente. Ma l'idea che, dopo aver giocato in quel modo, Kei non debba essere in campo al fischio finale, è insopportabile.

Apre la porta di slancio, senza bussare, si fionda all'interno e se la richiude alle spalle.

Gli occhi di Kei si sollevano stupiti e astiosi, più incredibili che mai, ma lui li ignora. 

E' in quelli anonimi dell'infermiere che si appunta lo sguardo di Tetsurou ed è solo a lui che si rivolge. Il tono è quello di un consulto medico: «Lussazione dorsale, vero? Non laterale, nemmeno volare?»

Colto alla sprovvista, l'infermiere risponde in automatico: «Dorsale, da iperestensione.»

«L'emorragia si è fermata?»

Il suo interlocutore, nel frattempo, ha rilevato la stranezza della situazione: «Scusi, ma lei...»

«Sì.» risponde Kei, sollevando la mano bendata, senza macchie di sangue.

E' ridotto male. Kuroo respira profondamente, per calmarsi: abrasione, contusione, dislocazione totale. Deve proprio ammazzarlo, Ushiwaka.

«Danni ai tendini?»

«La prego, se ne vada» ordina l'infermiere pacatamente, indicando la porta. «Ho già fatto un'eccezione per i familiari. Questa è un'infermeria non...»

«Sono io che la prego» lo interrompe Tetsurou, fermo, educato, serio. «Mi è successo cinque volte. Una volta è servita anche la riduzione chirurgica. Se  il mignolo glielo fascia stretto insieme all'anulare, se lo immobilizza, non può peggiorare in pochi minuti di gioco...»

«Siete tutti degli incoscienti, voi ragazzi. Senza una lastra, senza un'esatta valutazione dei danni ai tendini...»

«La riduzione gliel'ha fatta con l'anestesia?»

Kei scuote il capo con decisione. Ha sentito un male cane.

«Allora è chiaro che non ci sono danni seri ai tendini, o lo avremmo sentito urlare dagli spalti» prosegue Kuroo. Sa perfettamente che Kei si butterebbe dalla finestra piuttosto che gridare in un ambulatorio medico, ma sa anche, per esperienza diretta, che con i legamenti strappati quella faccia da poker è impossibile tenerla.

«Scala del dolore, Tsukki?» 

«Fra sei e sette. Sopportabile» mente Kei, senza esitare, con un tono atono che fa spavento. Kuroo lo guarda e pensa che sia piuttosto un otto.

«Questo ragazzo non deve giocare. Deve tenersi la fasciatura e andare a farsi visitare da un ortopedico» interviene l'infermiere. E' un uomo paziente e di scene come questa, lavorando allo stadio, ne ha viste a dozzine.

«Lo farà. Andrà a farsi visitare oggi stesso. Vero?»

«Certo» conferma Kei. «Appena finisce la partita.»

«Se lo immobilizziamo stretto insieme all'anulare, se lo fissiamo in modo rigido, potrebbe giocare. Mancano solo pochi minuti» riprova Tetsurou. E' uno che non si arrende, ce l'ha scritto in faccia. Non sta usando un tono insolente e neppure supplichevole. Convinto, semmai. Un'emanazione abbagliante della sua stessa sicurezza.

Infatti, l'infermiere esita. «Forse potrebbe. Ma se fosse figlio mio, non glielo permetterei» dice, battendo la mano con gentilezza sul ginocchio di Kei, ancora seduto sul lettino.

Kuroo Tetsurou non demorde: «Davvero? Se fosse suo figlio e fosse la finale provinciale? Se fosse suo figlio e si allenasse quattro ore al giorno, sei giorni su sette? Se fosse suo figlio e facesse la differenza per la squadra? Se fosse suo figlio e per lui fosse importante, davvero gli negherebbe di essere in campo nel momento cruciale?»

L'infermiere sospira, Kei trattiene il fiato.

«E' l'MVP di oggi. Il migliore in campo» dice ancora Tetsurou, scandendo lentamente le parole. E' evidente che ci crede . «Non gli tolga il privilegio di restare  in partita fino all'ultimo fischio. Se lo è meritato. Se lo è anche guadagnato.»

«Dovresti fare l'avvocato» sbuffa l'infermiere. «Facciamo così. Lo fascio stretto, gli blocco il dito, ma niente antidolorifico, così se ne rende conto da solo che non è il caso di giocare.»

«Per me va bene» dice subito Kei. Neppure si rende conto della passione che ci ha messo, in quelle quattro parole. «Basta che facciamo presto.»

Tetsurou annuisce.

L'infermiere scuote il capo e inizia a togliere la fasciatura, per rifarla daccapo. Non ha responsabilità dirette, deve solo fare medicazioni e demandare a un medico. Cosa che ha fatto. Sono i genitori del ragazzo, o l'allenatore, che hanno l'ultima parola. E dovrebbero impedirgli di essere così avventato.

«Però alla signorina lì fuori, che riferisce all'allenatore, diciamo le cose come stanno» aggiunge l'infermiere, severo.

«Certo. La faccio entrare. Tsukki, ricordami come si chiama?»

«Shimizu Kiyoko»

Kiyoko si inchina brevemente. Non fa neanche finta di nascondere il fastidio che prova per l'intromissione di Kuroo. E' ovviamente una sua mancanza non essere riuscita ad evitarla. In altre circostanze, avrebbe chiamato il coach o il professor Takeda, ma durante la partita, era sua responsabilità districarsi. E invece si è fatta cogliere di sorpresa, come una ragazzina.

«Shimizu-san, stiamo modifcando la fasciatura di Tsukishima, per immobilizzare il mignolo con l'anulare» comunica Tetsurou, parlando come se fosse lui a farlo. «La lussazione è stata ridotta e Tsukishima è d'accordo a non prendere antidolorifici.»

L'espressione di Kyoko è perplessa.

«Se non sentisse dolore, potrebbe essere troppo imprudente» spiega Tetsurou.

«Quindi può tornare in campo?»

«Quindi appena finita la partita deve andare da un ortopedico» risponde Tetsurou.

«Significa che può giocare?» insiste Kyoko.

L'infermiere scuote il capo. «Non dovrebbe» commenta. E tira forte le fasce, strappando a Kei un sospiro e una singola lacrima, che viene subito asciugata col dorso della mano buona.

«Significa che la situazione non peggiorerà per pochi minuti in campo, facendo attenzione. Giusto?»

L'infermiere borbotta qualcosa di incomprensibile, ma non lo contraddice.

Tetsurou ha vinto ed è una vittoria di Pirro. Ha assecondato i desideri di Kei, ma non è affatto sicuro di aver agito nel suo migliore interesse. L'espressione di sofferenza e insieme di trionfo che gli illumina lo sguardo è l'ennesima istantanea mentale che Tetsurou scatta col proposito malsano di passare notti insonni a ripensarci. Non esattamente pensieri casti.

Dietro quello sguardo, però, Kei è calmo, concentrato, già proiettato in campo, già di nuovo in partita.

E' solo un club, vero, Tsukki?

Non c'è niente che Tetsurou potrebbe dirgli ora, davanti alla manager, all'infermiere, al fratello ansioso che si è affacciato nello spiraglio della porta. Quindi si volta e se ne va, senza salutare.

***

La linea bianca che delimita il campo sembra il confine di una zona di guerra: una volta superata, cambia tutto.

Kei lascia spazio ai sensi solo per pochi secondi: l'odore di plastica e sudore dritto nelle narici, il biancore artificiale della luce che piove dall'alto, la resistenza del pavimento sotto la suola delle scarpe, le scariche di dolore nella mano destra, il brusio del pubblico che sta guardando lui, il sapore acido del reflusso gastrico sul palato.

Conta fino a cinque, poi spegne tutto, e trattiene solo le informazioni utili ad alimentare un circuito di calcolo a cui, in questo momento, serve la massima potenza.

Mentre si avvicina ai compagni, per condividere la strategia che ha in mente, si rende conto di una cosa fondamentale: che poco fa si sbagliava.

Esiste un'unica persona per la quale ha mentito e per la quale ha voluto disperatamente tornare in campo. E questa persona è Tsukishima Kei.

E' solo per se stesso che lo ha fatto. Il se stesso che ha murato Ushijima Wakatoshi al terzo set.

Solo un muro. Solo un punto su venticinque. Solo un club.

Ma forse è tutto quello che gli resta e per cui valga la pena di metterci l'anima. L'istante luminoso in cui l'universo si è contratto nella sfera perfetta della palla. L'istante in cui il candore di Bokuto è diventato verità assoluta: la pallavolo ti cattura.

Non ti cattura soltanto, ti attraversa. Ti definisce completamente, anche solo per un attimo. Non è solo vincere, mettere a segno il punto, impressionare qualcuno. E' bruciare in quel singolo momento con tutto il corpo e tutto il cuore, essere lì e soltanto lì, vivere il presente come un'eternità.

Un momento assoluto.

L'istante che ha tenuto insieme Akiteru nei tempi più bui. Quello che le persone ottimiste come Yama cercano invano per puro orgoglio, che i mostri come Kageyama ricreano con precisione scientifica, che i folli come Hinata inseguono con furore.

Ora che anche Kei ha avuto il proprio assaggio di infinito, deve farselo bastare.

Tutto il resto, compreso Kuroo Tetsurou, può andare a fanculo.

Perché adesso lui non conta niente.

Adesso conta una cosa sola.

Vincere.

 

   
 
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