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Autore: Brume    16/09/2022    4 recensioni
"…Ho passato anni immersa nella mia missione, nel mio mondo.
Ho sempre guardato avanti e accettato le sfide, combattuto contro nemici in forma umana e verso i miei demoni finché, ad un certo punto della mia vita, mi sono accorta che - come lama il cui filo è rovinato da chissà cosa - anche io ho cominciato ad osservare piccole crepe, pertugi che aprendosi nel cuore e nell’ anima si andavano a dilatare ed allargarsi sempre più, facendosi contaminare da una serie di cose… dal sentimento, dalle passioni…Ecco; per questo motivo, ad un certo punto, non me la sono più sentita di portare avanti la mia missione: stavo cambiando, inesorabilmente.
Ma non ho in ogni caso dimenticato chi sono, né ho mortificato me stessa.
Ho solo accettato alcune cose, ho lasciato che i sentimenti si avvicinassero sempre più al raziocinio. Ho aperto il mio cuore, ho amato, sono stata amata. Ho portato avanti i miei ideali, accettando questo cambiamento, lasciando che la vita mi travolgesse…e ne è uscito un quadro fantastico. "
NB: Aggiornamenti settimanali, compatibilmente con impegni lavorativi.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sul finire di luglio, anno 1789
 
Cerco, con occhi ormai stanchi, stralci di azzurro tra le nubi grigiastre che qui e là si levano in cielo, comparendo all’ improvviso come grossi funghi, grigi e pesanti come piombo; cerco con tutto me stesso quel lembo di cielo ma…le nubi di fumo sono troppo veloci e, appena una viene soffiata via, un’ altra incombe, pronta.
 
È così: Parigi, ancora, brucia.
Bruciano le barricate, bruciano gli arredi di quelle chiese i cui usci forzati hanno permesso al popolo di entrare.
Bruciano le case, le vesti.
Brucia tutto.

Anche l’anima di coloro che hanno resistito fino ad ora.

Con passo lento e sempre all’ erta  attraverso insieme a te  questa città alla ricerca
dell’ abitazione di Rosalie e Bernard  dove mi piacerebbe condurti affinché possano darci una mano ma, soprattutto, possano darti cure e cibo che al momento io non sono in grado di ottenere; è un passo stanco il mio, non ce la faccio più…ma non ho altra scelta, devo resistere.

Per te.
Per noi.

Ci siamo abbigliati con gli abiti trovati in quella cassapanca, hai nascosto i tuoi capelli sotto una cuffietta candida.
Spero che nessuno si accorga di noi: l’ ultima cosa a cui penso, in questo istante, è combattere anche se so che, prima o poi, restando qui, qualcosa accadrà…Tu mi guardi.
Sei stanca.
Chiedi se voglio riposare, ti sorrido.
No, Oscar, sono stanco ma ancora resisto “rispondo abbozzando un sorriso; tu insisti. Troviamo allora riparo sotto il di una chiesa e ci sediamo per terra, in mezzo a straccioni ed ubriachi, per tirare un po' il fiato.
“…E’ ancora molto  lontano? Sinceramente, la mia mente è offuscata e non ricordo bene dove sia ubicata la loro abitazione” dici.
Ricordi che parecchio tempo prima, ai tempi del cavaliere nero, Rosalie non abitava molto lontano da Palais Royale…ma ora le cose sono cambiate. Nemmeno io ricordo dove possano essere trasferiti.
Ti appoggi con la schiena al muro, incurante di tutto.
Io, con uno sforzo, mi alzo.
“Mi allontano un secondo, chiedo qualche informazione.”
Mi serve un aiuto poiché non credo di avere forze di riserva e, rimettersi a girare a vuoto, rischierebbe di farci crollare esanimi a terra in mezzo a chissà quale strada esponendoci al pericolo. Per fortuna poco distanti da noi trovo un gruppetto di persone intente a parlare e chiedo dove posso trovare il cittadino Chatelet.
“Non so dove stia di casa, precisamente, ma so dove lo puoi trovare: nel Faubourg Saint Marcel, più avanti, c’è una taverna dove spesso ci si riunisce. Chiedi di Coupigny, Just Coupigny. Tutti sanno dove sta” mi risponde un uomo barbuto, più giovane dell’ età che il suo viso dimostra. Lo ringrazio: credo di avere capito, non dista molto da qui. Forse, una decina di minuti.
Lo ringrazino e torno da te.
Sei stanca, hai gli occhi chiusi; mi abbasso, le ginocchia piegate finché il nostro rispettivo sguardo non si trova alla stessa altezza.
“Oscar, forse l’ho trovato” dico. Riapri gli occhi lentamente e sorridi ed io mi rialzo, aiutandoti poi a fare lo stesso; infine, ti prendo sottobraccio.
“Ce la faccio” dici.
So che sei forte, che stai richiamando a te le forze che rimangono.
Ti lascio fare.
Lentamente iniziamo a camminare; gli occhi lacrimano per il fumo che continua a diffondersi e per la puzza, sempre presente, di sangue e urina. Lo stomaco si chiude in una morsa, compaiono alcuni conati, cerco di tenere duro…percorriamo forse un centinaio di metri e finalmente la vedo. Sono felice perché è meno lontano di quanto pensassi; ora vedo l’ insegna della locanda.
Un ultimo sforzo”  dico. Ci siamo…e non ho nemmeno avuto bisogno di cercare Coupigny. Fuori dalla porta c’è una piccola panca, ti faccio sedere.
“Aspettami qui…”
Entro.
I tavoli sono vuoti ma oltre una volta a botte sostenuta da possenti colonne, retaggio delle origini di questo palazzo,  lo sento…sento la voce di Bernard. Mi dirigo allora in quella direzione trovandomi ben presto in una stanza dove uomini e donne, a gran voce, parlano di diritti, di libertà e di battaglie ancora da combattere. Li ascolto per un po' tenendomi in disparte , osservandomi intorno.
Lo vedo.
 Non appena lui incrocia il mio sguardo balza in piedi facendo zittire tutti.
“André!” esclama.
Con due falcate è da me, mi guarda, mi stringe forte, tocca ogni lembo del mio corpo quasi volesse assicurarsi che sia tutto intero poi, mi fissa ancora: ha il viso stanco e grosse occhiaie scure incorniciano gli occhi.
“Bernard, per fortuna ti ho trovato…ho…abbiamo bisogno di te!” dico.
 Lui, ancora confuso, mi conduce fuori da quella stanza, torniamo nella taverna, tra tavoli e sedie. E’ stupito, le sue labbra si dischiudono, forse vuole dire qualcosa…ma niente, ogni volta ci ripensa, sta zitto. Credo abbia talmente tante cose da chiedermi da non sapere dove cominciare, quindi ci penso io.

“Ti spiegherò tutto” taglio corto, giusto per iniziare. Bernard mi indica un tavolo libero, ci sediamo. “Oscar è qui fuori, sta male. Tu e Rosalie potreste darci un tetto, per qualche giorno?”

Non sono mai stato così sfacciato, non è nella mia natura; ma qui il tempo passa e tu, Oscar, stai male. Lui si fa serio.
“Oscar? Venite, vi accompagno subito da mia moglie…mi racconterai poi, come dici, con più calma. Ora sbrighiamoci.” risponde e, fulmineo, scatta in piedi.
Usciamo, ti trovo li, vigile, attenta.
Quando vedi Bernard lo saluti con un cenno del capo e li…mi accorgo che non hai più forze.
“Ce la fai, Oscar?” ti domanda. Provi ad alzarti e come pensavo non ci riesci, quindi ti aiuto. In un attimo sei tra le mie braccia e subito dopo siamo in cammino.
“A Rosalie prenderà un colpo…vi pensavamo morti” dice il mio vecchio amico mentre ci precede con passo spedito, marziale.
“Sai…sono accadute molte cose… “butto li. Continuiamo a camminare fino a quanto non ci troviamo davanti ad una piccola casupola che si erge, coraggiosa, tra palazzi più ampi.

“Rosalie, Apri” urla Bernard, la testa rivolta verso l’alto. Colpi decidi fanno tremare l’uscio principale.

La testolina bionda della nostra piccola Rosalie spunta da una finestra perpendicolare alla porta. Pallida, non dice nulla e dopo pochi secondi scende ad aprirci il portone.
“Forza, mia amata. Oscar e André hanno bisogno di noi “sento dire a Bernard. Rosalie guarda la sua Oscar e subito dopo fa cenno di seguirla; ci fa strada lungo una decina di scalini poi ci conduce a destra, dove si trova un piccolo salottino con un tavolo tondo, una ottomana, una poltrona. Ti poso li, delicatamente. Grazie, sussurri.
“Scusate l’improvvisata ma…non sappiamo dove andare: non possiamo tornare a Palazzo e… non sapremo davvero cosa fare, non abbiamo soldi con noi” dico. Tu apri bocca, vorresti parlare, dire qualcosa: ma la tosse di prende e ti sconquassa, letteralmente. Mi sento mancare.
“Oscar!” urlo, avvicinandomi a te; ma le forze vengono meno. Tendo una mano nella tua direzione, corro ad inginocchiarmi accanto a te.

All’ improvviso…vedo tutto buio.
Il mondo si spegne.

Oscar……
 
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Mi giro e la trovo dietro di me, tra le mani un piatto colmo di brodo.
“Ce la fai ad arrivare in cucina? Stavo giusto venendo da te ma, se ce la fai, accomodati di là. Bernard è uscito un’ora fa, tornerà spero tra non molto”
Seguo il suo consiglio, la cucina non è lontana; mi avvicino alla tavola e lei mi posa il piatto davanti agli occhi, poi si accomoda a sua volta.
“Lei…come sta? Dove è?” domando con un filo di voce; ho paura, aspetto che mi risponda prima di afferrare il cucchiaio ed iniziare a mangiare. Rosalie appoggia i gomiti sul tavolo, il viso tondo incorniciato da mani segnate dal tempo, mi guarda.

“Hai dormito un giorno ed una notte, André. Il dottore è passato ieri in serata, quando ha potuto. Tornerà prima che si faccia notte.” Dice solamente. Continuo a fissarla, aspettando la risposta che anelo.
“… sta molto male, André; questo debbo dirtelo, non posso tenerlo nascosto. Ma non è tisi.”

In una manciata di secondi, il sangue ribolle, si quieta, diventa ghiaccio; brividi percorrono il mio corpo e le frasi, le singole parole, si mischiano nella mia testa. Per fortuna infine…infine arriva il raziocinio, il mio cervello sistema tutto quel disordine. Mi ci vuole tempo, mi manca il fiato. Rosalie si alza e si avvicina a me, appoggia una mano sulla mia spalla.

“Si salverà, André. È forte” dice…e sorride.
Questo mi rassicura tuttavia sono troppo agitato per accogliere la speranza. Aspetterò il medico e parlerò con lui, non appena verrà.
“Posso vederla?” domando.
“Certo…ma prima dovresti mangiare. Non puoi badare anche a lei se non hai nulla in corpo…”
Rosalie ha ragione: trangugio la minestra in un attimo, prendo un sorso d’ acqua ed è tutto quello che riesco a fare prima che, sempre più impaziente, prenda un respiro profondo. Infine mi alzo, attendo che lei mi porti da te.  Davanti alla porta della stanza in cui riposi, inizio a tremare.
Poi entriamo.
Ti vedo.

I tuoi occhi sono chiusi ma, grazie a Dio, l’espressione del tuo viso pare serena: ciò significa che non stai soffrendo ed io ne sono felice. Evidentemente, il medico ti avrà somministrato qualche tonico oltre alle medicine.

Mi avvicino un po' titubante perché non vorrei mai che il rumore dei miei passi nudi sul legno possano disturbarti ma, fortunatamente, il tuo sonno è profondo e raggiungo il tuo giaciglio. In piedi di fianco a te, osservo da vicino il tuo viso, il tuo petto sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente sotto la tela leggera della camicia da notte. Le mie mani non resistono, ti sfiorano; sistemo i capelli ribelli che cadono sulla fronte, ti accarezzo il viso: una piccola smorfia ti fa dischiudere le labbra ma non ti sveglia, per fortuna.
Rosalie, che è rimasta ferma davanti all’ uscio, con un filo di voce mi dice che deve tornare in cucina a finire dei lavori di cucito. La fisso, il mio sguardo silenziosamente la ringrazia per tutto ciò che sta facendo per noi. Quando esce, torno a guardarti.
Ah, Oscar, come vorrei che tu riaprissi gli occhi ora e, con un filo di voce, mi dicessi di stare tranquillo, che tutto si risolverà; lo desidero con tutto me stesso…non potrei tollerare tanto meno sopportare una tua dipartita, il cui pensiero sto cacciando via con tutte le mie forze…ma chissà, chissà quando ti sveglierai, se guarirai…
Appoggio la mia schiena alla parete e mi lascio scivolare silenziosamente: nella stanza si sente solo il fruscio delle mie vesti contro il muro. Quando le mie terga raggiungono il pavimento raccolgo le gambe contro il mio petto e appoggio la fronte sulle ossa dure delle ginocchia.
E penso.
Rifletto.

Se avessimo ascoltato subito Alain, fuggendo?

Sarebbe cambiato qualcosa?

Forse si.
Forse non ti avrebbero raggiunto le bastonate, debilitando un fisico già debole…ma chi lo sa. Forse non avresti sofferto la fame di quei giorni o magari…ah, che mal di testa! Devo finirla di tormentare il mio animo con questi pensieri…ormai, ciò che è accaduto non si può cambiare….penso.

Rialzo il capo, ti guardo ancora.

Che faremo adesso?
Quando guarirai, dove andremo? Vorrai restare qui, a Parigi?

Domande su domande continuano a riproporsi nella mia testa.
Devo dare loro un freno se non voglio impazzire. In mio aiuto arrivano dei rumori di passi. Qualcuno sta tornando a casa. Mi alzo.
Come pensavo, è rientrato Bernard, sento la sua voce. Con lui c’è un’ altra persona, il medico, credo.

Bernard, io darei una occhiata alla cittadina Oscar poi torno da te. Il suo compagno, André, come sta? La voce del medico sembra appartenere a quella di un ragazzo. Quando entra nella stanza mi accorgo di essermi sbagliato; è un uomo sì giovane, ma meno di quanto pensassi. È stupito di vedermi li.

“Bene, vedo che vi siete ripreso” dice, avanzando.
 Mi porge la mano.
“André. André Grandier” sono le uniche parole che escono dalla mia bocca.
“Luc. Luc Gillard” risponde.

Per alcuni lunghi attimi ci fissiamo; poi, finalmente, mi toglie dall’ imbarazzo.
“Come state, Grandier? Avete riposato un bel po', suppongo. Vi ho trovato fortemente debilitato quando vi ho visitato, ieri…ma, tutto sommato, in salute. Altri due o tre giorni di riposo e vi rimetterete in forma…” mi dice. Io nemmeno lo ascolto.
“…lei? Lei, come sta?” domando.
Gillard si fa da parte, cerca un supporto sul quale poggiare la borsa che subito apre estraendo una boccetta il cui contenuto versa sulle mani, frizionandole.
“…Come credo vi abbiano riferito, cittadino, la donna è in una condizione piuttosto grave ma, attenzione, ciò non significa che possa avviarsi per forza verso una prognosi infausta. E’ forte, ci vorrà del tempo, si riprenderà. Ma dovrà fare molta attenzione: niente sforzi, niente pensieri. Di sicuro dovrete lasciare Parigi non appena si riprenderà dall’ infezione polmonare.  Il bambino, sempre che sopravviva alle prossime due settimane, potrebbe risentirne.”

Dice tutto d’ un fiato, avvicinandosi a te, iniziando a spostare le lenzuola. Io lo guardo, ma non capisco più nulla.

Bambino? Oscar attende un bambino?

Sono talmente sorpreso che mi manca il fiato e le gambe mi tremano; tuttavia, cerco di non darlo a vedere. Gillard inizia la sua visita ed io, come un ebete, fisso il vuoto davanti a me in un misto di incredulità e spavento.

“Non ne era al corrente?” chiede.
Mi volto e lo trovo a fissarmi.
“No, affatto. Beninteso, ciò che mi ha detto non rappresenta un problema: sono solo molto…molto sorpreso” rispondo. Lui annuisce. Tu, pacifica, continui a dormire. Gillard fa ciò che deve fare, veloce, delicato. Ti ausculta, verifica il battito. Lascia sul comodino l’ ennesima boccetta, dice che Rosalie saprà cosa fare.
 Infine, ti ricopre.
Cittadino Grandier” dice tornando verso il luogo in cui ha lasciato la borsa “ qui, al momento e per quanto è nelle mie possibilità, è stato fatto tutto. Tornerò domani con un collega per definire meglio la prognosi e definire una cura più precisa.  Al momento, dormirà e questo le sarà di aiuto per riprendere le forze…”

Chiudo gli occhi, sospiro.

“Grazie.” 

E’ tutto ciò che riesco a dire, prima che scompaia ed io torni a fissarti.

Sai, Oscar, in questo istante vorrei solo che abbracciarti e gioire con te di questa notizia.
 Un figlio! Un bambino! …Quale notizia migliore potrebbe portarci altrettanta gioia?

“Oh, Dio! Il mio cuore pare uscire dal petto!  Oscar, ti prego… sopravvivi!”   Mormoro con un filo di voce, stringendo i pugni.


“André, tutto bene?” La voce di Rosalie mi fa tornare alla realtà. Lei…lei sapeva?
O sono l’unico al corrente della situazione?
“Si, tutto bene.”
Entra, seguita da Bernard.
“…Il medico…ha detto che Oscar si trova…ecco…si trova in stato interessante” affermo.
 I due coniugi mi fissano, evidentemente lo sapevano.
“…Non te lo abbiamo detto subito , si voleva aspettare qualche giorno, giusto per precauzione” mi dice lui.  Beh, non hanno avuto tutti i torti; non ce l’ho con loro, anzi….
Rosalie si avvicina ad Oscar, la guarda dolcemente: infine, accende un piccolo lume che ha portato dalla cucina e lo posa sul tavolino dove prima c’era la borsa del dottore. È notte fonda, io non ho per niente sonno visto che mi sono svegliato davvero da poco tempo… ma i miei ospiti sono stravolti.
“Andate a dormire: penserò io a lei” dico, allora. Mi passo una mano tra i capelli, sono un po' in imbarazzo e non so perché.
“Se stai tu con Oscar, allora  io ne approfitto. Domattina dovrò alzarmi presto per andare al mercato” dice Rosalie. Ti bacia sulla fronte poi si allontana; Bernard, invece, rimane.
Ho il sospetto voglia dirmi qualcosa; infatti…
“…Dovrei parlarti. Nel mio studio”  dice, stando ben attento a non farsi sentire dalla moglie. Dentro di me ci sono , e ci staranno per un po', moltissime emozioni; decido, visto che comunque non posso fare più di tanto, di seguire Bernard…anche perché ciò che ha da dirmi potrebbe essere importante, per noi. Ti poso un bacio leggero sulle labbra screpolate e lo seguo.
“Dimmi, amico mio”  gli dico una volta raggiunto. Lui è in piedi davanti alla piccola finestra, le mani unite dietro la schiena. Si è tolto la giacca e messo in libertà. Noto che la sua camicia presenta delle iniziali, lavoro amorevole della moglie.
“Lasciami dire, André, che sono felice di avervi qui. Avevo pensato il peggio, sai? Di questi tempi…è quasi normale, visto ciò che affronto ogni giorno. Omicidi, vendette, fratelli che si scagliano contro altri fratelli…”
 Ho il sentore che il discorso sarà lungo.
Mi accomodo sulla prima sedia che trovo; lui si gira e fa lo stesso. La sua scrivania è stracolma di fogli.
“Sarò franco. Ci sono persone che sono venute a sapere del vostro arrivo a Parigi. Persone anche a me vicine alle quali Oscar non è mai piaciuta, nonostante abbia assicurato più volte la sua…la vostra appartenenza alla causa. Io sto cercando di tenere quieti gli animi, ma non appena Oscar sarà in grado di reggersi in piedi, dobbiamo nascondervi. Abbiamo inoltre avuto notizia che il padre, il vecchio Generale, sia alla ricerca della figlia ed abbia inviato i suoi ultimi fedeli attendenti qui, in città.”
Bernard mi fissa, serio. Io non batto ciglio.
“Lo immaginavo.” dico, calmo “ Immaginavo che se fosse sopravvissuto alla furia del popolo potesse fare una cosa del genere,  ma non credevo che sarebbe successo in modo così repentino. Sono assolutamente d’accordo con te; forse è meglio nasconderci, stare al sicuro…”
Lui sospira.

“Credimi, André: ci sono personaggi molto più pericolosi di un re e di una regina, in questo momento, a cui pensare. E sono tra noi. Ma, dimmi: cosa è accaduto, di preciso, prima che arrivaste qui?” dice.
Bernard ha ragione, su tutte le argomentazioni.
Ed e’ giusto che sappia, lo avrei comunque aggiornato, visto che non abbiamo nulla da nascondere e tenuto conto del pericolo che corre dandoci asilo.

Allungo le gambe davanti a me, le orecchie sempre tese verso la stanza dove Oscar riposa; appoggio le mani sul grembo, unite.
 Ed inizio a raccontare.
Cerco di essere il più preciso possibile, lo assicuro  nuovamente sul nostro appoggio alla questione e gli racconto anche di Alain, del fatto che ci sia venuto incontro sulla strada. Lui ascolta tutto attentamente, facendomi ripetere molte volte le stesse cose per sincerarsi di avere compreso. Mi fa solo un paio di domande.
“….è andata così, dunque…” dice, infine, non appena ho concluso il mio racconto. “Mi dispiace per quanto successo” aggiunge poi.
“…Noi vorremmo solo…renderci utili, se possibile…del resto, ancora molto lavoro c’è da fare. Tuttavia, bisognerà verificare le condizioni di Oscar” dico, alla fine. Bernard annuisce.
Restiamo a parlare ancora un po', mi racconta di quei giorni; ha raccolto tutto, nei ritagli di tempo, perché dice che vorrebbe scrivere una memoria. Mi mostra qualcosa e, man mano i miei occhi stanchi leggono il tutto, mi rendo conto di quanto sia davvero successo.
È stata una carneficina, su tutti i fronti…non finirà tanto presto.
Mi parla della presa della Bastiglia, della sua resa. Mi descrive per filo e per segno ciò che è accaduto a De Launay e non solo. In silenzio, rifletto sul futuro della Francia, ci scambiamo opinioni; ad un certo punto Bernard si alza e mi chiede se voglio bere qualcosa, dicendo che lui rimarrà comunque alzato per definire alcuni punti che dovrà discutere l’ indomani, durante una riunione; accetto, ho voglia di un buon bicchiere di vino…tuttavia, non abbiamo il tempo di recuperare dei bicchieri che sentiamo bussare alla porta.

I nostri occhi si incrociano, entrambi leggiamo spavento e sorpresa l’uno nello sguardo
dell’ altro; i colpi alla porta continuano. Corro da Oscar, istintivamente, mentre lui va ad aprire: per poco non mi viene un colpo quando vedo chi si trova davanti alla porta.

Alain. Irriconoscibile, stanco. L’ ombra di sé stesso.
“Ho saputo che Oscar e André si trovano qui” dice; avanza, mi vede sulla porta della camera di Oscar e rimane, quasi, di sasso.
“State bene?” domanda, diretto.  Ha una faccia da fare spavento e sembra che non veda cibo da chissà quanti giorni.
Non rispondo e mi avvicino a lui: le mie braccia lo stringono forte, ho ritrovato il mio fratello.
“…ce la faremo” rispondo senza aggiungere altro dopo aver cercato le parole adatte; finalmente Alain si lascia andare e, per la prima volta dopo la morte di sua sorella Diane, lo vedo piangere come un bambino contro la mia spalla.



 
   
 
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