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Autore: Dorabella27    18/09/2022    16 recensioni
Qualche tempo fa vi avevo accennato a una breve long - perdonate l'ossimoro - in cui sarebbe ricomparso un personaggio romanzesco e filmico che ha già fatto capolino un paio di volte nei miei racconti, inserito in un contesto diverso da quello di Versailles e di Parigi. Ecco qui: una ff un po' gotica, e scoprirete presto perché, un po' rosa, con qualche tocco di mistero, e qualche brivido: e noi sappiamo bene che si può rabbrividire per tanti motivi, vero?
Immaginate un risveglio imbarazzato, in una locanda, poco lontana da una città del Nord della Francia: come sono finiti lì Oscar e André, e perché si sono messi in viaggio?
La premessa è piuttosto breve, ma i capitoli successivi saranno più corposi.
Ciao a tutti e buona lettura!
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10 – Capitolo 9 – Il nipote di Madame de Rosemonde. E ...
 
1 - Mondano, svagato, svogliato: questi tre aggettivi potevano ben sintetizzare l’atteggiamento con cui il nipote di Madame de Rosemonde, il Visconte di Valmont, ricevette la visita del Colonnello Oscar François de Jarjayes. Al loro ingresso nel salottino dove il Visconte stava oziosamente passando la mattinata, Oscar e André si trovarono di fronte a un nobiluomo che, abbigliato fastosamente – e incongruamente, data l’ora e la località provinciale in cui si trovavano –d’un completo color rosa cipria dai sovrabbondanti ricami argentati, se ne stava stravaccato su una poltroncina intarsiata di madreperla, una gamba a terra e l’altra negligentemente poggiata di traverso sul bracciolo, a dondolare pigra, osservando con attenzione il pomo d’avorio incrostato di turchesi e di onice del suo nuovo bastone da passeggio.
“Che piacere incontrarvi, Comandante de Jarjayes!”: il tono mellifluo del Visconte, e il suo attardarsi, appena un istante più del necessario – ma un istante che Oscar, e soprattutto André, colsero benissimo – a ricomporsi in un inchino formale, insinuarono un sottile disagio nei visitatori.
“Ma prego, sedetevi, Comandante. Gradite del caffé? Del the?”. La posa da perfetto padrone di casa assunta dal Visconte suonava palesemente ipocrita, e forse era proprio quello che il nobiluomo voleva comunicare ai suoi visitatori.
“No, Visconte. Noi, come vi abbiamo annunciato nel biglietto con cui vi chiedevamo la disponibilità di qualche minuto del vostro tempo prezioso, desideriamo soltanto parlare”, tagliò corto Oscar, sedendo di fronte a Valmont. André, da parte sua, non essendo stato esplicitamente invitato a sedere, si mantenne in piedi, qualche passo dietro Oscar, cercando di fissare i propri occhi il meno possibile sulla figura del visconte, e assumendo uno sguardo distante, mentre scrutava oltre le vetrate il giardino addormentato nel gelo invernale.
“Certo, certo. Mi dispiace che ci rivediamo soltanto ora, dopo tanto tempo dal nostro primo  ... o forse secondo incontro a Versailles? Ricordo una magnifica passeggiata al tramonto durante la quale mi scortaste lungo l’Allée d’Apollon”, disse Valmont, sedendosi, questa volta compostamente, seguito da Oscar, che aveva già posto dinnanzi a lui.
 Di fronte all’allusione così scoperta alla sua serata al Casinò[1], Oscar non poté trattenere un fremito, quasi impercettibile, ma che Valmont colse senza difficoltà. André, da parte sua, si manteneva ostinatamente silenzioso, come assente.
“Ma veniamo al motivo della vostra visita, Colonnello”, proseguì Valmont, recuperando da un vassoio d’argento su un vezzoso tavolino a tre gambe in legno di rosa, poco discosto dalla sua poltroncina, e poi rigirandosi fra le dita il biglietto scritto da Oscar e consegnatogli a mano poco prima.
“Voi esprimete il desiderio di poter parlare con la mia cara, vecchia zia, in merito alla brutta esperienza accadutale nella Maison di Place du Lion d’Or. Ebbene, mi duole deludervi, Colonnello, ma la mia risposta è no. Vedete, la mia povera zia, Madame De Rosemonde, è ancora molto scossa da tutta questa faccenda, e, data la sua età, non vorrei sollecitare ulteriormente la sua già fragile complessione”. Poi, dopo una pausa, segnata da un sorriso come quello del gatto che ha chiuso ogni via di fuga al topo, aggiunse, “Ma, poiché anche io ho soggiornato in quella casa, e per tutto il tempo in cui ci è stata mia zia, e ho un’ottima memoria, e un sonno leggerissimo, posso adeguatamente informarvi di tutto ciò che ho visto e sentito di strano in quei giorni  ... e in quelle notti”-
“E sarebbe, Visconte?”, chiese Oscar.
“Nulla. Niente di niente”, tagliò corto Valmont. E, di fronte allo sguardo perplesso di Oscar  - e di André, totalmente ignorato – Valmont chiarì: “Colonnello, non vorrete credere a queste ubbìe da  ... donnicciole superstiziose. Vi assicuro che nelle notti trascorse nella casa di Place Du Lion D’Or non ho udito nulla, nulla di terrorizzante o di spaventoso, nulla che potesse indurmi a pensare che per quelle stanze si aggirasse una presenza soprannaturale”, concluse il Visconte, arricciando la bocca in un sorriso a labbra chiuse che sapeva quasi di smorfia di scherno, e congedando così i visitatori, anzi, l’illustre visitatore e il suo attendente, visto che ad André non era stata riservata una sola parola.
 
2 - “MAGNIFICO!”, tuonò Oscar, levandosi in piedi dalla poltrona e  dando, non appena la cameriera si fu ritirata dal salottino  cinese tutto lacche, un pugno solenne contro il muro.
Erano tornati alla casa di Place du Lion D’Or silenziosi e con un senso di insoddisfazione e di delusione paragonabile a quello che si provererebbe in una giornata di caccia in cui si riponeva una grande speranza e che fosse però finita in un ritorno a carniere vuoto.
“Oscar, sta’ tranquilla: non migliorerai certo la nostra situazione dando in escandescenze”, la ammonì André, alzandosi e coprendo in pochi passi la distanza che li separava, ma senza osare poggiarle la mano sulla spalla, come sarebbe stato il suo primo impulso.
“E come potrei stare tranquilla?! Ci troviamo in una casa di proprietà di non si sa chi, la prima inquilina, che è fuggita spaventata, si è rifugiata chi sa dove senza lasciare recapiti oltre Manica, e Madame de Rosemonde è impossibilitata a riceverci, o almeno così dice il nipote, il quale, a sua volta, afferma di non avere notato nulla di strano nelle sue nottate passate sotto questo tetto
E intanto, noi ci troviamo a un punto morto!”, concluse, aprendo il palmo della mano alla parete, e poggiandovi la fronte, scoraggiata.
“Oscar, non ti accalorare!”, cercò di rincuorarla André. Eppure, sapeva bene che quello che più le bruciava era il timore di tornare a Versailles a mani vuote, senza uno straccio di spiegazione per soddisfare la Regina, che le aveva affidato quell’incarico. Fallire era il maggior timore di Oscar, da sempre; e quando poi si trattava di non essere all’altezza delle aspettative nutrite su di lei da figure per le quali nutriva rispetto e una autentica venerazione, come suo padre, il Generale, e la regina: una colpa da cui Oscar si sarebbe assai difficilmente assolta.
“Stanotte cerchiamo piuttosto di restare svegli il più a lungo possibile: potremmo dormire prima di mezzanotte, e poi fare un giro di perlustrazione delle camere da letto; che ne pensi?”, propose André, pur se poco convinto lui stesso della sua linea di condotta: ma che altro poteva pensare di fare? Non si trattava certo di perlustrare le stanze della magione in cerca di una spilla perduta, o di un altro oggetto smarrito, ma sicuramente contenuto entro le mura domestiche! Provava un poco di compassione, André, per la sua Oscar, sempre pronta a partire, lancia in resta come un paladino medievale, quelli delle cui imprese si erano beati nei loro lunghi pomeriggi di letture infantili, non appena la “sua Regina” le affidava un incarico, per quanto palesemente campato in aria come quello che erano giunti a compiere a Lille. Per lui, ebbene, quella sarebbe potuta essere un’ottima occasione per una piccola vacanza dagli impegni quotidiani, sempre così pressanti, lontano dal grigiore dei doveri e degli obblighi, sempre muto e senza la possibilità di aprire il suo cuore alla sola donna che avrebbe mai amato, ma, almeno, a fianco a lei, in un ambiente più libero e rilassato di Versailles. E invece, ecco Oscar preda dei suoi nervosismi, del suo carattere che non conosceva tranquillità e pace, ma che era, sempre, in ogni momento, irrequietezza pura, e smania di essere all’altezza delle aspettative cui doveva tener fede, per non essere da meno dei suoi antenati, gloriosi militari di una stirpe guerriera che risaliva alle crociate, per non deludere il padre e la regina.
“Sta bene, André”, annuì lei. “Ci troveremo a mezzanotte in punto in questo stesso salotto. Potremmo anche pensare di chiamare il personale di servizio con qualche pretesto, per capire se qualcuno ha notato strano movimenti nottetempo”, propose poi, quasi dubbiosa.
“Potrebbe essere un’idea”, approvò lui. “Ma prima, vediamo che cosa ci riserva questa notte”.
Oscar annuì, come rincuorata dalla prospettiva di poter fare qualcosa: incapace per indole di accettare l’inerzia coatta, era consolante potersi impegnare in un compito concreto, per quanto dal risultato dubbio.
3 -  Le ore del pomeriggio passarono con una lentezza esasperante: Oscar più volte chiamò, con un pretesto, la cameriera assegnata alla sua persona e la governante, cogliendo l’occasione per chiedere se avessero notato qualcosa di strano nella casa, e senza ottenere nessuna risposta degna di nota. Allo stesso modo, André aveva passato un po’ di tempo nelle scuderie, e poi nelle cucine, per la gioia della cuoca, aiutandola a pelare le carote e ad attingere acqua dal pozzo nel cortile, e intanto informandosi con fare pacato e interessato a come avesse passato la notte, se il sonno fosse stato tranquillo ... e senza ricavarne assolutamente nulla, ovviamente.
Innervosito anch’egli da quella situazione di stallo, aveva allora proposto a Oscar un giro per i le piazze e i vicoli della città, ma quella, sdraiata sul letto della stanza dell’Orfanello, le mani sotto la testa, aveva rifiutato, dicendo: “Forse sarebbe meglio se riposassimo in vista della nottata, che sarà lunga e impegnativa, se dovremo perlustrare tutta la casa”. Ma sul comodino gli occhi di André, allenati a non lasciarsi sfuggire nessun particolare, scorsero un libro che avevano già intravisto, alla locanda, nel bagaglio di Oscar, e dunque non ritenne opportuno dire null’altro per cercare di distoglierla da quella apparente inerzia, affollata di pensieri angosciosi, che non avrebbe né potuto né voluto condividere.
 
4 - – Dopo una cena silenziosa – consommé, fagiano, crême brûlée e frutta sciroppata, il tutto annaffiato da vino del Reno, Oscar e André si ritirarono presto. Allungata nel suo comodo letto, e troppo di malumore per ingannare il tempo che la divideva dalla mezzanotte leggendo, Oscar, una mano a torturarsi le lunghe ciocche di capelli, e, l’altra a disegnare infiniti arabeschi sulla coperta, osservava, come affascinata, lo sguardo fisso, la gabbia che si stagliava di fronte al suo letto nella penombra della stanza illuminata dal fuoco del camino che si stava spegnendo dolcemente, e da un doppiere.
L’Orfanello.... che storia assurda!
Come aveva potuto crederci? Eppure, eppure ... lei stessa, con tutto la sua feroce ragionevolezza aveva vacillato. Del resto, non era stata certo lei a spostare quel pupazzo. Che idea! OVVIAMENTE doveva essere stata lei, soprappensiero: non c’era altra spiegazione. A meno che Martine, la cameriera che era stata assegnata alla cura della sua persona e della sua stanza, la sola che sarebbe stata autorizzata a entrare nella sua camera ,non lo avesse preso fra le mani e sollevato, forse per curiosità, e l’avesse poi riposto in un luogo diverso da dove l’aveva trovato: non le sembrava davvero il tipo, quella ragazza mite e incolore, con quell'aria sempre spaurita nel momento in cui le si doveva rivolgere, da prendere una simile, audace iniziativa; ma chi può dirlo? Però, la chiave della sua stanza l’aveva sempre tenuta Oscar, e, dopo che il letto era stato rifatto e le lenzuola cambiate, e le tende e l’ambiente profumato, e lei se ne era andata a cena per poi rientrare dopo la serata trascorsa in biblioteca con André, la porta era rimasta chiusa a chiave, ne era certa; e quando si era addormentata, la sagoma dell’orsacchiotto era ancora nella gabbia; o forse la vista l’aveva ingannata.
Ma no! Dannata suggestione! Era tutta colpa di André: il lungo passo che si era divertito a tradurre e a sottoporle, in quella situazione, doveva averle scosso i nervi più di quanto lei non fosse cosciente.
Si rigirò nel letto, scontenta di sé e della conclusione cui stava arrivando.
Nervi! Pfui! Un colonnello di Sua Maestà non ha nervi! Figuriamoci!
Sospirò, e si girò sull’altro fianco: le tre ore che la separavano dalla mezzanotte sarebbero state molto lunghe, si disse.
Sbuffò. Bella davvero questa veglia di guardia in un’impresa proprio eroica, rifletté, seccata con se stessa e con la sorte, che aveva condotto, lei, il Colonnello Oscar François de Jarjayes, cresciuta come un soldato e capace di guidare battaglioni e reggimenti, a cercare le tracce di un fantasma giocherellone in una sonnolenta città di provincia, mentre altri si coprivano di gloria oltreoceano, sfidando pericoli reali, attacchi dei nemici, nel mezzo di una natura selvaggia e insidiosa, in un continente sconosciuto.
Fersen ... si autorizzò a mormorare, affondando il viso nel cuscino, senza capire se le lacrime che le bagnavano le guance e che intridevano la fodera di lino ricamata fossero nate dalla stizza o dal senso di nostalgia e della mancanza ... di lui, anche solo del fatto di vederlo, parlargli, incrociarlo per i corridoi della reggia e lungo i viali del parco, dei pomeriggi trascorsi duellando e delle sere in cui era ospite a Palazzo Jarjayes.
Desiderium, ovvero, non desiderio di qualcosa o qualcuno, ma rimpianto per una mancanza, da de- sidero, cesso di contemplare le stelle, e pertanto ne sento la mancanza: così aveva insegnato, a lei e André, l’Abbé Armand; ma chissà se era proprio quello il senso vero e ultimo della parola?
      E chissà mai se, qualora fosse stato André ad allontanarsi da Palazzo Jarjayes, lei ne avrebbe sentito altrettanto rimpianto e nostalgia? André in fondo era il compagno, e il testimone, di tutta la sua vita ... come diceva il poeta? Dimidium animae meae? Ma davvero?!
E perché mai André avrebbe dovuto allontanarsi dalla loro casa, e da lei...?
André ....
        Un improvviso ascesso di impazienza la indusse a troncare quei pensieri che si stavano inerpicando lungo una china che non le piaceva. L’orologio sulla mensola del camino batté undici rintocchi pieni e tre più leggeri: le undici e tre quarti. Era dunque ora di prepararsi per la ronda notturna nelle camere di quella magione così misteriosa.
Vincendo il freddo, e con la disciplina di un vero soldato, Oscar uscì da sotto le coltri calde, e iniziò a vestirsi: camicia, pantaloni, stivali, giustacuore pesante...aveva appena finito di allacciare lo jabot, quando un grido squarciò la notte.
Si precipitò fuori dalla stanza, lasciando la porta spalancata: nel corridoio trovò André, anch’egli vestito di tutto punto, proveniente, con ogni probabilità, dalla camera rossa all’altro capo del corridoio,  bloccato davanti alla porta della stanza di Oscar, dove evidentemente l’aveva raggiunta un attimo prima, poco avanti l’orario concordato, intenzionato a bussare per verificare se fosse pronta, per partire quindi in ricognizione.
“André! Hai sentito anche tu?”, gli chiese lei, allarmatissima, i sensi all’erta.
“Sì, Oscar: impossibile non sentire!”, rispose André, la mano al mento.
“Veniva di là”, aggiunse, indicando l’altra estremità del corridoio.
Si avviarono a passi spediti, mentre una voce, dagli accenti noti, ancorché stravolti dal terrore, urlava ancora: “NO! NO! VATTENE! VATTENE VIA! TI PREGO, VATTENE!”.
Aprirono la camera rosa, la verde: nessuno!
Spalancarono la porta della camera azzurra e videro, sotto le coperte del baldacchino, una forma che si agitava, interamente occultata dalle coltri, mugolando lamenti incomprensibili.
Oscar avanzò con passi marziali, e con un gesto non meno deciso sollevò e rovesciò a terra le coperte, scoprendo, carponi e con gli occhi chiusi come a non vedere uno spettacolo orribile, la camicia da notte ridotta a uno straccio che gli scopriva le gambe, i capelli arruffati e le belle mani contratte, Victor Clément de Girodelle.
 
[1] Alludo alla mia ff, “Pourquoi est-ce qu’on se déguise”, e a anche a “Dopo il lampo arriva il tuono”.
   
 
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