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Autore: EleAB98    18/09/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
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Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo VI – Here Comes The Sun*

 

Non era stato facile spiegare a Megan che avrei fatto più tardi del previsto. D'altra parte, non mancavo di accorgermi che ogni qualvolta passavo del tempo con Benedetta, questo tempo volava. Volava via con leggerezza e con una velocità impressionante. Dopo aver pranzato insieme, ci eravamo rintanati nella mia macchina e le avevo mostrato il CD degli Uriah Heep. Ricordavo ancora l'espressione di pura meraviglia che mi aveva rifilato nel momento stesso in cui le avevo rivelato cosa stessi ascoltando quella mattina. Un'espressione gioiosa e non meno affascinata, che mi aveva accompagnato per tutto il tragitto verso casa Megan. Era proprio questo, quello che mi piaceva più di lei. Il suo modo di stupirsi per ogni singola cosa, anche la più piccola. Il suo modo di raccontarmi della sua folle passione per l'hard rock, il suo modo di canticchiare quei brani tutt'altro che delicati.

«Look At Yourself è un gran bel disco. Tra l'altro, è stato uno dei primi vinili che mi ha regalato papà. Lo ascoltavamo spesso insieme», mi aveva confidato.

In quel momento, avevo intravisto nei suoi occhi un forte velo di malinconia. Era stato istintivo, per me, regalarle seduta stante un sorriso incoraggiante e condividere con lei parte della mia infanzia. «Anch'io ascoltavo spesso dischi con papà. Ed era sempre un'esperienza esaltante. Tra l'altro, dopo l'ascolto, ne scriveva sempre le recensioni ed è stato in una di quelle occasioni che mi sono detto Ma sì, anch'io da grande voglio fare il giornalista! Ricordo ancora quando trovai il coraggio di dirglielo. Nemmeno ai tempi il mestiere era particolarmente redditizio, a dispetto di molti altri lavori che richiedevano numerose competenze tecnico-scientifiche.»

«E come ha reagito?»

«Meglio di quanto mi aspettassi. Mi ha comprato una bellissima macchina da scrivere e, da quel giorno in poi, non ho più smesso di lavorarci sopra.»

«Sai, a volte mi piace pensare che sia stata proprio la passione per la scrittura a farci incontrare», aveva replicato Benedetta, sorridendo appena.

«Dimentichi la musica», avevo risposto, indicando lo stereo.

«Hai ragione. La musica è stata la causa scatenante, in effetti.»

«Non potevo starmene zitto davanti a una maglietta dei Deep Purple

«E non le hai ancora viste tutte», aveva replicato lei, sorniona.

Mi era scappata una risatina e avevo scostato lo sguardo. Quando voleva, ci sapeva davvero fare. «Mi sta forse invitando a far parte del suo armamentario, signorina Carisi? Credo che il mio armadio, a questo proposito, sia fornito tanto quanto il suo, sa?» Ero tornato a guardarla e mi ero scontrato con uno sguardo talmente intenso, che per un istante avevo creduto che il mio cuore sarebbe uscito dal petto.

«La sto invitando a far parte della mia vita, signor Stone. Niente di più.»

Quel suo coraggio, ancora una volta, mi aveva spiazzato. Quelle timide ma risolute parole rimbombavano ancora nella mia testa, e la mia reazione era stata un tutto dire. Non ero riuscito a blaterare nulla, avevo semplicemente rimesso in moto la macchina e l'avevo portata a casa sua. La musica aveva riempito il silenzio dell'abitacolo, e allo stesso tempo aveva zittito la mia confusione interiore. Quella frase mi aveva fatto un certo effetto, non lo potevo negare.

Consultai l'orologio per l'ennesima volta. Le ventidue e trenta. Avevo fatto veramente tardi, ma tra una chiacchiera e l'altra era stato inevitabile intrattenermi con Benedetta almeno fino alle ventuno e trenta. Poi, dopo essere tornato a casa con il semplice pretesto di una doccia rigenerante, avevo cominciato a prepararmi mentalmente per l'incontro con Megan. Ispezionai meglio la zona circostante. La casa sorgeva su di una piccola collinetta e non sembrava poi troppo vicina alle altre. Il giardino che la circondava ospitava piantine di vario genere, nulla sembrava essere lasciato al caso. Mi avvicinai alla porta, illuminata da un piccolo lucernario che spiccava dall'alto, e solo in quel momento mi accorsi che sul campanello, assieme alla dicitura Megan Rossi, ve ne era un'altra, che però era stata più volte cassata con un pennarello indelebile. Scrollai le spalle, ma poco prima che suonassi alla porta, Megan l'aprì.

«Ciao», sussurrai con aria colpevole. «Scusami tanto se—»

«Non fa niente. Non mi devi spiegazioni. Non stiamo insieme, no? Dai, entra pure.»

Nel suo tono di voce colsi quasi indifferenza. Ma a giudicare dai suoi occhi spenti, pareva avesse speso tutta la mattinata a piangere. Poteva forse aver pianto per il sottoscritto? Mi sentii immediatamente in colpa. Non era stata una buona idea fare sesso con Megan, come forse riprendere da dove avevamo lasciato. Perché noi ci eravamo già detti addio tre anni prima. O meglio, ero stato io a mettere un freno.

Mi accomodai sul divano. La casa era piuttosto ordinata, qualche mobile antico sparso qua e là con sopra cimeli e altri oggetti di antiquariato. Le pareti, di un verde acqua molto chiaro, tradivano la presenza di numerosi quadri. Solo in un secondo tempo, a una più attenta visione degli stessi, mi accorsi che ve n'era uno che rifletteva la sua persona. «Chi ti ha ritratta?» domandai spontaneamente, curioso come non mai. Le fattezze di Megan, in quel primissimo piano, erano state riprodotte in modo sorprendente. Il naso all'insù, la fronte ampia ricoperta da qualche boccolo ribelle, gli occhi di un azzurro mozzafiato. Il collo impreziosito da una catenina d'oro.

«Posso offrirti qualcosa?» domandò lei, senza prestarmi ascolto. Ancora una volta, aveva eluso la mia domanda.

«Ti ringrazio, ma no, ho già cenato.»

«Con Benedetta?»

«Sì», affermai, risoluto.

Lei mi dispensò uno strano sorriso. «Capisco.»

«Mi dispiace non essere venuto prima. Il tempo è volato.»

«Tranquillo, non devi giustificarti con me.»

Tornai a guardare il quadro. «Come hai trascorso la mattinata?»

Lei sospirò. Si sedette accanto a me e mi scrutò a fondo. «Vuoi davvero saperlo?»

«Certo che sì. Perché non d—»

Non feci neanche in tempo a concludere la frase, che il cellulare trillò di nuovo. Non resistetti alla tentazione e sbloccai il display.

Ancora grazie per la bellissima giornata, Malcom. Non la dimenticherò mai.

Guardai Megan per un momento e ripresi a parlare. «Scusami tanto, ti... ti dispiacerebbe se rispondessi a—»

«Fa' pure», rispose lei, sorridendomi appena.

Sulle prime, trovai quel suo atteggiamento davvero strano, ma poi mi lasciai completamente assorbire dal messaggio di Benedetta. Vi replicai senza curarmi troppo delle parole usate, tantomeno delle circostanze.

Il piacere è stato mio, mia piccola rocker. Per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi.

Riposi il cellulare in tasca e tornai a Megan. «Allora... dov'eravamo rimasti?»

Lei guardò il suo ritratto per un momento. Poi tornò su di me. «Tra noi due non funziona, non è così?» disse di getto, con una tranquillità impressionante.

Il mio cuore si fermò. «Temo di no», convenni, abbassando lo sguardo.

«Ne sei innamorato, vero?» domandò lei, senza rancore.

Sospirai. Ero sì molto confuso, ma innamorato no. Non potevo esserlo. Non di lei. «No, non lo sono, però...» scossi la testa, incapace di dare voce al tumulto di emozioni che quella domanda mi aveva arrecato. «Non riesco a starle lontano», confessai infine, forse più a me stesso che a lei.

Megan sorrise ancora. «È proprio questo il preludio dell'amore, Malcom. E sono sicura che te ne accorgerai molto presto.»

La scrutai a fondo, più confuso che mai. «Non riesco a capire... ma cosa significa tutto questo?»

Megan estrasse una foto dalla tasca dei pantaloncini corti che indossava. Mi porse una fotografia e io me la rigirai tra le mani. Spalancai gli occhi. Ero scioccato. Semplicemente sconvolto. «Ma... Dio mio, ma di chi si tratta?» domandai, scattando in piedi.

«Ti somiglia molto, non è così?»

«Be', devo ammettere che ha i miei stessi lineamenti, sì. Anche se a un occhio più attento si notano parecchie differenze.»

«Lui è il mio ex ragazzo. Valerio Floccari.»

Spalancai la bocca. Ero semplicemente a secco. «Mi stai dicendo che—»

«Ti sto dicendo che ho sbagliato tutto, Malcom. E che mi sono accorta di non aver mai smesso davvero di amarlo. Cercavo in tutti i modi di ricostruire con te quello che non ho avuto con lui, ma a quanto pare...» Alzò le spalle, per poi tornare su di me. «Ho fallito su tutta la linea.»

«Ma... fino a ieri tu—»

«Lo so. Ma devo raccontarti tutta la storia perché tu possa capire.»

Le restituii la foto e mi accucciai di nuovo sul divano, pronto ad ascoltare.

«Io e Valerio ci siamo conosciuti dieci anni fa. Eravamo entrambi all'università di Firenze e frequentavamo lo stesso corso. Ci siamo innamorati subito. Abbiamo vissuto una relazione molto intensa, ma poi... quando ci siamo laureati, abbiamo entrambi preso strade diverse. Sono cominciati i primi litigi e niente è stato più come prima. Lui voleva diventare un grande reporter, mentre io mi sarei pure accontentata di lavorare in una redazione fissa, anche soltanto scrivere dei pezzi per il giornale locale. E così... lui alla fine mi ha lasciata. Ha preferito accantonare i suoi sentimenti per me a beneficio della sua carriera professionale che, per inciso, si prospettava molto promettente. I suoi docenti erano pazzi di lui.»

«Non vi siete più visti?»

«No, purtroppo.» Incurvò le labbra in un sorriso amaro, ma poco dopo si riprese. I suoi occhi tradivano un amore immenso per il suo ex. «Lui è stato il mio primo tutto. Lui è stata la luce in fondo al tunnel, per me. Anche se ci siamo lasciati, è stata la persona più importante della mia vita, e lo rimarrà per sempre.» Mi guardò con aria pentita. «Sì, ricordo bene cosa ti ho detto tre anni fa... ti dissi che avevo avuto giusto un paio di relazioni finite nel peggiore dei modi perché i due ragazzi in questione mi avevano solo sfruttata. Be', non era la verità. Quella è stata la verità che mi sono dovuta raccontare per anni per cercare di andare avanti senza Valerio. Perché dopo di lui c'è stato il vuoto. E quando l'altra sera mi hai chiesto se avessi avuto un grande amore, tutte le mie certezze sono definitivamente crollate. Il passato è tornato a galla, e...» si lasciò scappare qualche lacrima, ma se l'asciugò prontamente. «Ti prego, non ripetere il mio stesso errore, Malcom. Va' da Benedetta e confessale quello che provi, senza paura. Sai, quello che io ho provato per te è stata mera curiosità e infinita attrazione perché in tanti atteggiamenti ed espressioni mi ricordavi Valerio, ma... non è questo, il vero amore. L'amore non è rimpiazzo. L'amore non è accontentarsi di qualcuno semplicemente per paura di rimanere soli. L'amore è comunione, condivisione, fiducia e libertà. L'amore è poter sempre contare sull'altro anche a chilometri di distanza. L'amore è una semplice stretta di mano che si trasforma nel più sublime dei contatti. L'amore è tutto, Malcom. E tu non puoi rinunciarci.» Mi si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla. «Non lasciartela scappare.»

Scossi ripetutamente la testa. Sembrava un'altra Megan, la donna che mi aveva appena parlato. Nei suoi occhi, vedevo quell'esplosione di sentimenti genuini che colpisce ogni donna e uomo innamorati. Sì, finalmente potevo dire di aver appena conosciuto la vera Megan. Quanto a Benedetta... «Ascolta, io e lei siamo soltanto amici», farfugliai, del tutto frastornato da quel discorso.

«Sono sicura che domani cambierai idea.»

«Domani?»

«Scusami tanto, Malcom, ma ora che ti ho detto tutto quello che c'era da dire... credo di dover fare una chiamata molto importante», disse lei, tagliando corto.

Se possibile, mi scervellai ancora di più per cercare, invano, di capire cosa stesse tramando Megan. «L'udienza è tolta, Malcom. Puoi andare.» Mi fece l'occhiolino e io, come un perfetto idiota, mi avviai alla porta.

Poco prima che potesse chiuderla, tornò verso di me. «Ah, dimenticavo. Grazie di tutto, Malcom.»

E fu così che l'udienza, come aveva detto lei pochi secondi prima, terminò con una donna pronta a ricominciare e un uomo fuori dalla porta.

 

*

 

Non chiusi occhio, quella notte. Ma d'altronde, non me ne sorpresi. Come potevo dormire, quando la serata con Megan mi aveva prospettato una realtà talmente assurda che, se ci avessero fatto un film, probabilmente avrebbe incassato fior di quattrini al botteghino? Mi risvegliai con un torcicollo pazzesco. «Cazzo, ci mancava anche questa, adesso.» Sbuffai e, come prima cosa, accesi una sigaretta. Ero nervosissimo. Le parole di Megan nascondevano altro, me lo sentivo. Incapace di starmene fermo a pensare, mi vestii e mi preparai per la consueta giornata lavorativa che mi aspettava. Il cielo era limpido, malgrado qualche nuvola facesse capolino oscurando, di tanto in tanto, il tiepido sole delle otto e trenta del mattino. Arrivai quasi subito a destinazione, data la scarsa affluenza di macchine sulla carreggiata adiacente al Sunset Boulevard. D'altronde, le scorciatoie erano la mia specialità. Sgommai ed entrai nel parcheggio. Sbattei con veemenza la portiera e mi aggrappai con tutte le forze a quella dannata sigaretta.

Volevo capirci qualcosa, ma come al solito... non avevo capito un emerito cazzo.

Spensi la cicca e mi addentrai in redazione. Accorsi verso il mio ufficio percorrendo il corridoio, quando, poco prima di entrare, il mio capo mi fermò. «Ehi, buongiorno, Malcom! Dove vai con quella fretta, si può sapere? Sembra quasi che tu abbia visto il diavolo!»

Mi voltai verso di lui. Stava palesemente trattenendo una risata, e io non riuscivo proprio a capirne il perché. Lo guardai con un'espressione a dir poco accigliata e confusa. «Sto... andando nel mio ufficio, forse?» dissi retoricamente, incrociando le braccia.

«Oh, Malcom! Prenditela pure comoda, rilassati! Che la tua Benedetta non è ancora arrivata. Chissà se arriverà, però...» Guardò l'orologio. «D'altronde, sono già le otto e quaranta, e di solito a quest'ora è già qui. Ti dispiacerebbe farle uno squillo?» Fece un'altra risatina sommessa e sparì dal mio raggio d'azione poco prima che potessi chiedergli a cosa caspita stesse pensando. Cosa c'entrava Benedetta, adesso? Roba da matti. A ogni modo... dovevo o meno fare quella chiamata? Al capo non si poteva certo disobbedire, anche se... qualcosa non tornava. Alzai le spalle e mi addentrai nell'ufficio. «Finalmente», dissi. «Qui nessuno potrà rompermi le scatole.»

Il mio computer s'illuminò seduta stante. Alzai gli occhi, seccato. Almeno fino a nuovo ordine.

Presi posto dietro la scrivania e sbarrai gli occhi. Una e-mail da parte di Benedetta. Cosa poteva volere a quell'ora? E poi... per quale motivo non mi aveva chiamato al telefono?

Aprii l'allegato, il cuore in gola.


Caro Malcom,

Non so riuscirò mai a trovare le parole giuste per dirti tutto quello che mi è passato per la testa in questi giorni. Sai benissimo quello che provo per te, e sai benissimo quanto mi sia costato trattenermi in tutto questo tempo. Ma credo di essere arrivata a un punto di rottura. Il cosiddetto breaking point, come dicono in molti. Innanzitutto, volevo ringraziarti. Porterò sempre nel mio cuore i tuoi insegnamenti, sei stato il maestro ideale, per me. Più di un maestro, in realtà. Ma questa, è decisamente un'altra storia. Una storia che, purtroppo, ha preso vita soltanto nella mia mente, e che non diventerà mai realtà. Una storia di cui, però, sono costretta a scegliere il finale, per il bene di entrambi. Ti prego di non dimenticarmi, in ogni caso. Io, di certo, non lo farò. Ho deciso di partire, Malcom. Ho deciso di provare a vivere senza di te, ho deciso di provare a volare da sola, senza le tue grandi ali a supportare le mie, ben più piccole e meno solide. Ho deciso di dare una svolta alla mia vita, sempre con la speranza di poterti ricordare con il sorriso, e mai con dolore.

Scusami tanto se non ho trovato il coraggio di parlarti a quattrocchi, ma temo che sarebbe stato troppo per me. Ti auguro tutto il bene possibile.

Un abbraccio forte,

Benedetta.

 

Caddi quasi dalla sedia. La scostai con violenza e presi il cellulare. Composi il numero e pregai tutti i santi del Paradiso che mi rispondesse.

«Pronto?»

«Benedetta!» esclamai, agitato. «Dove diavolo sei, si può sapere?»

«Al solito posto», rispose lei, perfettamente tranquilla.

«Cosa? Che cazzo significa al solito posto, si può sapere?» Mi tappai la bocca. Con lei non avevo mai osato pronunciare una parolaccia. Respirai a fondo. «Scusami. Dimmi dove sei, per favore. Ho bisogno di parlarti. Immediatamente.»

«Scusami, ma non riesco a sentirti bene. Sono in aeroporto e—»

«In aeroporto? Ferma lì, vengo subito!»

«Ma Malcom, io—»

«Ferma lì, ho detto! Sto arrivando.»

Riattaccai e uscii fuori dall'edificio, correndo come un pazzo. Dovevo assolutamente fermarla. Non volevo che se ne andasse.
Non senza di me, almeno.

 

*

 

Scesi dalla macchina e corsi a perdifiato verso aeroporto. A poco a poco, vidi una sagoma che scrutava l'orizzonte con aria tranquilla. Sospirai, sollevato. Era proprio Benedetta. Ed era bella come il sole. Il vento le scompigliava i capelli e la rendeva ancora più affascinante. Mi avvicinai a lei con discrezione. Il cuore mi batteva forte. Ero in un bagno di sudore, ma non mi importava. Tutto ciò di cui mi importava era davanti a me.

«Benedetta», mormorai, incapace di dirle altro.

Lei si voltò e mi regalò un sorriso. Non sembrava per nulla turbata, e sulle prime mi chiesi per quale motivo mi avesse inviato quella triste e-mail soltanto qualche minuto prima. «Oddio, ma hai forse corso una maratona?» mi disse poco dopo, notando quanto la mia camicia fosse zuppa.

Sorrisi, impacciato. «Diciamo una mezza specie. Una piccola sauna in auto, tutto qui.»

Lei si avvicinò. «Come mai qui?»

«Potrei farti la stessa domanda», le risposi, inarcando un sopracciglio.

«Ti ho sempre detto o no che adoro gli aeroporti?»

«Sì, ma—»

«Adoro passare i venerdì qui. Ascoltare il soffio del vento che si leva non appena partono gli aerei, ascoltarne il rumore, immaginare di far parte anch'io di quel viaggio che in tanti si apprestano a compiere. Adoro il senso di libertà che questo posto» – allargò le braccia per un istante – «riesce a trasmettermi.»

Scossi la testa, sempre più allibito. «Cioè, fammi capire... Tutti i venerdì mattina tu li passi qui? In aeroporto?»

«Certo che sì. Poco prima di andare al lavoro. Ognuno ha le sue manie, in fondo... no? Mi spiace non avertelo detto prima, però sai... avevo paura che la reputassi una sciocchezza.»

Mi avvicinai verso di lei e posai le mani sulle sue spalle minute, ricoperte da una leggera camicia di seta rosa. «Nulla che ti riguardi potrà mai essere una sciocchezza. Ma perché mi hai spedito quella e-mail, si può sapere?»

Benedetta mi guardò allo stesso modo con cui si guarda un alieno. «Quale e-mail? Io non ho spedito proprio niente!»

«Davvero strano. Aspetta, ti faccio vedere.» Cercai subito il telefono dalla tasca dei pantaloni, ma, quando stavo per estrarlo, il mio cervello fece due più due.

Sono sicura che domani cambierai idea.

Quella frase mi fece sudare freddo.

«Qualcosa non va?» domandò Benedetta, notando il mio cambiamento di espressione.

«Non è nulla, tranquilla», le dissi, accennando un sorriso. Dovevo vederci chiaro, senza dubbio. Anche se un sospetto già l'avevo.

«Sono molto felice che tu sia qui.»

Lo sguardo di Benedetta mi perforò l'anima. Per un momento, mi scordai persino di me stesso. «Anch'io sono contento di essere qui con te.» Di riflesso, le sfiorai la guancia con le dita. Lei indugiò al mio tocco per più di un istante. «Che dici, andiamo a fare colazione? Non ho ancora messo nulla sotto i denti», le dissi poi, tornando del tutto in me e scrutando la zona circostante. Dovevo ammettere che l'aeroporto, in effetti, aveva il suo fascino.

«Nemmeno io, in realtà. Quindi ci sto.»

«Ottimo.»

Mentre ci incamminavamo a passo spedito verso la mia auto, il telefonino mi avvertì di una notifica. «Mi puoi scusare un attimo? Tu inizia pure ad avviarti.»

«D'accordo», rispose Benedetta, del tutto ignara dei miei turbamenti.

Inserii il codice di accesso e scrutai la barra delle notifiche. Mi era appena arrivata una e-mail da Megan Rossi.


Caro Malcom,

Ti scrivo questo messaggio con la speranza di chiarire tutta la confusione che ora alberga nella tua testa. Forse lo avrai già capito, ma, qualora non fosse chiaro, sono stata io a inviare quel messaggio dal computer di Benedetta. Come? – ti chiederai. Be', mi è bastato approfittare della tua assenza in ufficio per potermi incontrare con il signor Vermut, il tuo capo (a proposito, che persona simpatica, e che prontezza di spirito!). Dopo un primo momento di tensione, siamo riusciti a chiarirci e ci siamo alleati per fare in modo che tu pensassi che Benedetta volesse partire senza neanche darti un saluto. Non è stato poi così difficile entrare nel computer di Benedetta, dato che per mia fortuna ho trovato la casella di posta aperta. Ho scritto la bozza del messaggio e ho ben pensato di spedirla qualche minuto prima che tu potessi entrare in ufficio. Speravo che l'e-mail sortisse l'effetto sperato.

Sai, ieri sera non ti ho detto proprio tutto. Ora sono in aeroporto, tra poco partirò alla volta del Canada, a Vancouver. Valerio è lì che mi aspetta. Proprio ieri, in tarda mattinata, ho ricevuto una sua telefonata ed è impossibile descrivere tutte le emozioni che ho provato risentendo la sua voce. Ha avuto un brutto incidente e, durante tutta la convalescenza, non ha fatto altro che pensare a me. Alla fine, non ce l'ha fatta più, e mi ha telefonato. Tuttora non si è ripreso del tutto, ma di una cosa è sicuro. Vuole ricominciare con me. E, non da ultimo, intende sposarmi. Inutile dire che ho detto subito di sì. Certo, avrebbe potuto chiedermelo di persona, ma non ha resistito dal farlo in videochiamata.

Bene, che cosa dire di più? Adesso sì, che sono una donna completamente felice. E quando lo riabbraccerò, lo sarò ancora di più.

Ti auguro ogni bene, Malcom. E scusami tanto se ti ho fatto prendere un colpo, ma considera questo mio gesto come una richiesta di sincero perdono per tutto il male che ti ho fatto in passato. Mi auguro che tu possa presto farmi avere notizie di te e Benedetta.

Ascolta il tuo cuore, Malcom. E non soffocarne mai più la voce.

Con tanto affetto,
Megan.

Ps: il ritratto che hai visto a casa mia lo ha fatto proprio Valerio, circa otto anni fa. Avevamo progettato di andare a vivere insieme prima che terminassimo l'università, ma alla fine, come ben sai, non se n'è fatto nulla. Presumo, però, che un bel giorno ci torneremo. In fin dei conti, mai dire mai, no?

 

Ancora incredulo, guardai come un fesso lo schermo. Non potevo credere che tutti fossero stati in combutta per cercare di farmi ammettere che Benedetta fosse più di un'amica. E forse, dopotutto, lo era. Scossi la testa. Ryan e Megan avevano orchestrato tutto.
Adesso mi spiegavo la risata del mio capo, come l'affermazione sibillina di Megan, che avrebbe potuto benissimo essere una detective in piena regola.

Mi sfuggì un sorriso e raggiunsi Benedetta. D'istinto, le strinsi la mano. Adesso sapevo cosa dovevo fare. Il mio cuore lo aveva appena deciso.

Lei trasalì. «Malcom... che cosa c'è?»

«Partiresti con me?» le chiesi di getto.

Benedetta strabuzzò gli occhi. «Partire con te? E per dove?»

«Perché non andiamo ad Asti?»

«Ad Asti? Ne sei sicuro?»

Le strinsi la mano ancora più forte. «Te la sentiresti?»

«Credevo fossi tu a non volermi accompagnare. L'ultima volta avevi detto—»

«Quello che ho detto quel giorno non ha più importanza. Allora, parti con me? Ti prego, dimmi di sì. Non c'è nulla che mi farebbe più felice che... accontentare quella richiesta che mi hai fatto tempo fa.»

«Ma perché? Perché questa scelta così d'improvviso?»

Sospirai. «Le sto soltanto chiedendo di far parte della sua vita, signorina Carisi. Nulla di più.»

Benedetta ricambiò la mia stretta e mi accarezzò il dorso della mano con dolcezza. Era visibilmente emozionata. E lo ero anch'io. «Va bene, Malcom. Se ne sei davvero convinto—»

«Lo sono.»

Mi sorrise, raggiante. Aveva gli occhi lucidi. «Allora va bene. Partiamo.»

Mi avvicinai al suo viso e, in preda all'entusiasmo, le scoccai un breve bacio in prossimità delle labbra. Benedetta rimase di stucco e non disse nulla. Il suo viso leggermente in fiamme parlava per lei, ma d'altro canto anch'io percepii una strana sensazione e mi sentii più accaldato di prima. Cercai di tornare in me stesso il prima possibile. «Vedrai, sarà una bellissima esperienza.»

Le feci l'occhiolino e, detto questo, misi in moto la macchina e partimmo alla volta della caffetteria più vicina. Sullo sfondo, Here Come The Sun dei The Beatles.

Cominciai a fischiettare, Benedetta al seguito.

Finalmente, potevo considerarmi un uomo felice. Proprio come Megan.

 

*Here Comes The Sun: canzone dei The Beatles dall'album Abbey Road (1969)

   
 
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