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Autore: Europa91    21/09/2022    3 recensioni
Otto anni dopo l’incidente di Suribachi, Verlaine viene informato della morte di Rimbaud.
“Arthur era morto. Il partner che lo aveva salvato dal laboratorio del Fauno e la persona che aveva tradito. (…)
Lo avrebbe salvato, avrebbe trovato un modo per riaverlo nella sua vita.”

Qualche stagione prima di Dazai e Odasaku, c’era stato qualcun altro che aveva provato a cambiare il corso del destino.
[Spin off di “In Order to Save You”]
[Contiene Spoiler della Novel Stormbringer]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Paul Verlaine
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People Exist To Save Themselves'
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II Stagione - Mauvais Sang





 

«L’ennui n’est plus mon amour. Les rages, les débauches, la folie, dont je sais tous les élans et les désastres, — tout mon fardeau est déposé.»*

Une Saison en Enfer – Mauvais Sang



 



 



 

Francia


 

- Qualche stagione prima -

- In un piccolo paesino delle Ardenne -




 

 

Charles Baudelaire non si era mai interrogato sul proprio futuro. In fondo pensava non sarebbe servito a nulla. La sua famiglia gestiva una piccola bottega da generazioni, sapeva che un giorno quell’attività sarebbe toccata a lui o ad uno dei suoi numerosi fratelli. Era inutile immaginare, anzi sperare in qualcosa di diverso. Non era rassegnazione, ma una realtà dei fatti impossibile da cambiare, soprattutto in un piccolo mondo di provincia come quello in cui si era trovato a vivere. Andava bene così, in fondo gli era toccata una sorte migliore che ad altri.

Paul Verlaine era sempre stato in qualche modo diverso da tutti loro. Charles lo conosceva da una vita, non vi era ricordo nella sua mente che non potesse essere collegato al più piccolo della famiglia Verlaine. Paul era il suo migliore amico. C’era stata una stagione delle loro vite in cui erano stati inseparabili. Nessuno si sarebbe mai immaginato come due bambini, apparentemente tanto diversi potessero andare così d’accordo. Paul era accecante come solo un raggio di sole poteva esserlo, era estroverso tanto quanto Charles era silenzioso. Eppure, gravitavano l’uno intorno all’altro come la terra intorno alla propria stella.

Paul contrariamente a lui, aveva sempre desiderato andarsene da quella piccola realtà di provincia, era come se quella vita gli fosse sempre stata stretta. Charles non aveva saputo comprenderlo, ma in fondo erano solo due bambini come tanti che si divertivano a fantasticare sul proprio futuro.

Verlaine aveva sempre avuto un aspetto minuto, per questo spesso era preso di mira dai coetanei, soprattutto i tratti delicati del viso che per lungo tempo l’avevano portato ad essere scambiato per una bambina, anche da parte degli adulti.

A cinque anni, era stato soprannominato Pauline per via dei suoi capelli, lunghi ormai fino alle spalle, che ostinatamente si rifiutava di tagliare. Era sempre stato un gran testardo.

«Mi piacciono.» Era stata l’unica e semplice spiegazione che aveva fornito a chiunque domandasse qualcosa al riguardo. Alla fine, era stato Charles a convincerlo a legarli in una coda bassa. In questo modo, avrebbe potuto mantenere la lunghezza che preferiva e rispondere a tono ad ogni commento o battuta di scherno.

«Ma non ti dà fastidio il loro comportamento?» Non era riuscito a trattenersi di fronte all’ennesimo episodio di bullismo perpetrato nei confronti dell’amico. Aveva sempre odiato le ingiustizie, soprattutto verso i più deboli. Aveva in un certo senso sviluppato un istinto di protezione nei confronti di Paul, essendo di un poco più grande. Il moro gli aveva sorriso come sempre, prima di dichiarare solennemente;

«Affatto. Io un giorno me ne andrò da questo posto. Loro rimarranno qua per il resto delle loro vite e finiranno con l’essere dimenticati»

Charles era rimasto a bocca aperta. Era per questo che Paul gli piaceva. Lui era in qualche modo diverso da tutti loro. Lo era sempre stato. Il piccolo Verlaine sognava un futuro luminoso ed era intenzionato ad ottenerlo con tutte le proprie forze.

Charles non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui l’Abilità dell’amico si era manifestata per la prima volta, né di quanto ne fosse rimasto terrorizzato tanto dal correre in lacrime dalla propria madre. Ricordava anche come Paul fosse rimasto immobile, nella piazza del paese, incredulo come il resto dei presenti per quanto successo.

In quel momento capirono entrambi che le cose non sarebbero più potute tornare come prima. Passò una settimana, poi i gendarmi si presentarono alla porta dei Verlaine per arrestare il figlio minore, con l’accusa di essere un pericolo per la pubblica sicurezza. Paul li seguì senza fiatare.

Charles non volle accettarlo. Non poteva farlo. Conosceva l’amico e sapeva come non fosse una minaccia. Quella notte, quella in cui Paul Verlaine lasciò per sempre il proprio paese natio, Charles Baudelaire pianse tutte le sue lacrime.

Qualche mese dopo ricevette la notizia della sua scomparsa. Durante il trasferimento da un penitenziario all’altro, l’auto su cui viaggiava era stata coinvolta in un incidente. Il bambino di otto anni era morto sul colpo.

Charles semplicemente finì con l’accettare quella verità. Aveva solo nove anni, era ancora troppo piccolo per dubitare del prossimo o delle parole degli adulti. Crescendo avrebbe imparato a non commettere il medesimo errore.

Tutti mentono, alcuni solo meglio di altri.


 

 

***

 

Parigi

- Dieci anni dopo -


 

 

Quando suo padre andò in pensione, la modesta bottega della famiglia Baudelaire venne ereditata da suo fratello maggiore Claude, cosa che lasciò il giovane libero di inseguire la propria vocazione. Dopo quanto successo al piccolo Paul, Charles aveva giurato a se stesso che sarebbe stato lui a portare avanti i sogni dell’amico. Per questo decise di trasferirsi prima a Lione e poi direttamente a Parigi. La prima cosa alla quale pensò fu che a Paul sarebbe piaciuto tanto visitare quella città. Da bambini ripeteva sempre come fosse perfetta.

Con questo pensiero per la mente, durante una delle sue passeggiate pomeridiane lungo gli Champs-Élisées, finì con lo scontrarsi contro un giovane che stava camminando nella direzione opposta. Rovinarono entrambi a terra.

«Scusate Monsieur» ma gli bastò alzare lo sguardo per incrociare due iridi dorate che mai avrebbe potuto dimenticare.

«Paul?»

Non poteva crederci. Non era possibile. Eppure l’adolescente che era davanti ai suoi occhi non era altri che il proprio amico d’infanzia. In quel momento una lieve folata di vento li travolse facendo ondeggiare i lunghi capelli corvini dello sconosciuto. Erano acconciati in una coda bassa. Non aveva alcun dubbio, avrebbe riconosciuto quella chioma fra mille.

Il ragazzo lo fissò allarmato per una manciata di secondi prima di sussurrare, incredulo, con un filo di voce:

«Charles» prima che potesse aggiungere altro si alzò di scatto, afferrandolo per un braccio e tirandolo vicino a sé. Controllò velocemente con il capo che nessuno li stesse osservando.

Il giovane Baudelaire era certo di aver smesso di respirare e se ne stava immobile come se avesse appena visto un fantasma. Fu allora che il moro parlò di nuovo, anticipando qualsiasi sua possibile domanda;

«Zitto. Non qui. Vieni»

Lo trascinò per diversi metri, tenendolo saldamente per la manica della camicia. Charles si trovò a seguirlo senza batter ciglio, incapace di pensare a qualsiasi cosa che avesse un minimo senso o logica. Gli pareva di essere finito in un sogno o in una delle sue tante fantasie.

Perché il proprio amico d’infanzia che credeva essere morto dieci anni prima, si trovava a Parigi? E se era vivo, come mai non era tornato a casa? A queste seguivano altre domande sulle quali preferiva non soffermarsi troppo. Paul era sempre stato così alto? Quando erano piccoli Charles troneggiava su di lui mentre ora sembrava essere il contrario. Non gli aveva rivolto che un’occhiata ma non aveva potuto fare a meno di notare quanto il viso dell’amico fosse cambiato in quegli anni, i suoi tratti si erano fatti meno delicati eppure aveva mantenuto qualche guizzo infantile; come l’espressione sorpresa che aveva assunto non appena l’aveva riconosciuto. Erano stati gli occhi di Paul a tradirlo, ancora prima dei capelli. Charles non aveva mai visto nessuno con iridi di quel colore. A prima vista potevano sembrare ambrati ma la sfumatura cambiava a seconda di come l’iride veniva colpita dalla luce.

Si fermarono solo dopo un paio di isolati. Fu in quel momento che il moro lasciò la presa. Si guardò velocemente intorno per sincerarsi non ci fosse nessun altro, riprendendo fiato.

«Charles cosa diavolo sei venuto a fare a Parigi?» c’era un tono d’accusa in quelle parole, tanto che il ragazzo chiamato in causa ci mise una manciata di secondi prima di riuscire a formulare una risposta, ancora troppo occupato a regolarizzare il proprio respiro.

«Io? Piuttosto Paul tu, cioè insomma tu sei morto!» Non voleva ma finì con l’alzare istericamente il tono della voce, tanto che il moro fu costretto ad alzare entrambe le mani per coprirgli la bocca.

«Sei rimasto il solito idiota» sbuffò ad un palmo dal suo naso facendolo arrossire e innervosire. In dieci anni Paul Verlaine non aveva perso la propria aria di superiorità che da sempre lo caratterizzava.

Fece un altro profondo respiro prima di continuare a parlare;

«Quando toglierò le mani mi prometti che non urlerai e resterai in silenzio fino al termine della mia spiegazione» Charles annuì solennemente.

«Bene. Ecco non posso illustrarti nulla nel dettaglio, ma non mi chiamo più Paul. Ti basti sapere questo»

Baudelaire era senza parole. Davvero si aspettava che sarebbe stata una risposta sufficiente, dopo la bellezza di dieci anni?

Fu il suo turno di afferrarlo per un braccio, tirandoselo più vicino di quanto già non fossero.

«Credevamo anzi credevo fossi morto. Almeno la tua famiglia, cioè non pensi che almeno i tuoi genitori abbiano il diritto di conoscere la verità?» Non sapeva il perché ma quel modo di fare gli stava dando sui nervi. Quello che aveva di fronte non sembrava affatto il Paul Verlaine che ricordava. Il suo migliore amico. Al suo posto si trovava uno sconosciuto.

«Charles per il tuo bene credimi non devi sapere altro. Fingi di non avermi mai incontrato. È la soluzione migliore per tutti» Era sconvolto.

«Non puoi chiedermelo»

«Non te lo sto chiedendo te lo sto ordinando. Paul Verlaine è morto dieci anni fa e i morti non possono tornare in vita» Non poteva essere vero, Charles non riusciva a credere a quelle parole, ma soprattutto che fossero uscite proprio dalle labbra di Paul.

«Tu chi sei?» fu l’unica cosa che chiese, cercando di trattenere la marea di emozioni che si stavano agitando nel proprio animo;

«Mi chiamo Arthur Rimbaud e sono un Poète Maudit»

Fu solo in quel momento che Baudelaire mollò la presa, allontanandosi da quello che ormai era solo un estraneo. A Paul non sfuggì l’espressione ferita del suo volto. Avrebbe voluto spiegare ogni cosa, raccontare la verità a Charles, ma sapeva di non poterlo fare o lo avrebbe messo in pericolo. Era più semplice farsi odiare.

L’altro però lo sorprese, come era solito fare quando erano bambini;

«Non ho la minima idea di cosa significhi, ma sono comunque contento che tu sia vivo» rispose con il più sincero dei sorrisi, prima di continuare «e sei a Parigi. È sempre stato il tuo sogno, lo ricordo bene»

Arthur aveva voglia di piangere. Charles era rimasto lo stesso ragazzino che aveva lasciato dieci anni prima in quel paesino sperduto nelle Ardenne. Era trascorso del tempo e naturalmente era cambiato, eppure il modo in cui si rivolgeva a lui incredibilmente era rimasto lo stesso. C’era stato un tempo in cui quel giovane uomo era stato il suo migliore amico, forse il loro incontro era stato opera del destino. Prese un profondo respiro per calmare i suoi nervi prima di sussurrare con un filo di voce;

«Domani. Café les deux Magots. Incontriamoci lì»

Corse via prima di ottenere una risposta. Baudelaire passò il resto di quella giornata a domandarsi se quell’incontro fosse stato solo un sogno. Sapere che Paul era vivo lo aveva riempito di una gioia incontenibile. Passato il momentaneo senso di smarrimento e stupore, era giunto alla conclusione che dovesse esserci per forza un motivo dietro al comportamento dell’amico, come anche per la segretezza che aveva dimostrato. Prima di parlare con lui, Paul si era premurato di allontanarlo dalla folla, scegliendo un vicolo poco illuminato e dove potessero essere soli, lontani da occhi indiscreti. Dietro la finta morte di Verlaine doveva esserci una spiegazione e lui non vedeva l’ora di ascoltarla.

Café les deux Magots si trovava nello storico quartiere di Saint-German les Prés nel pieno centro culturale della capitale francese. Era famoso per essere frequentato da giovani intellettuali. Charles non vi era mai stato ma lo conosceva dalla fama. Paul non aveva specificato l’orario del loro rendez-vous così, dopo aver terminato le lezioni in università vi si era recato subito, occupando uno dei tavoli disposti all’aperto. Aspettò un paio di ore prima di scorgere la figura dell’amico in lontananza. Quel giorno, Paul aveva sciolto i propri capelli, che in quegli anni si erano fatti sempre più lunghi e aveva optato per un look informale. Sembrava un normale diciassettenne in un pomeriggio di svago. Quell’immagine era così diversa da quella del bambino che ricordava. Senza dire una parola, Verlaine si sedette al tavolo accanto al suo, fingendo di non conoscerlo. Charles rimase deluso e sorpreso da tale comportamento.

Paul consumò una bevanda calda e se ne andò dopo pochi minuti senza averlo degnato d'uno sguardo. Charles stava già andando su tutte le furie quando un cameriere gli si avvicinò consegnandogli un messaggio scritto su di un tovagliolo. Era un semplice indirizzo.

Si stava stancando di quella caccia al tesoro. Non capiva il perché di tanta segretezza.

Raggiunse l’amico al domicilio indicato. Era un’anonima pensione.

«Mi dispiace ma la prudenza di questi tempi non è mai troppa» furono le parole che lo accolsero al suo arrivo.

«Il mondo si sta preparando ad una guerra e ci sono spie nemiche ovunque, soprattutto in città. Non ti hanno seguito vero?» Charles non sapeva da dove iniziare, tutta quella situazione gli sembrava ancora troppo assurda per essere vera; come del resto il comportamento del ragazzo davanti a lui, che stava chiudendo tutte le finestre avvolgendo così l’ambiente nella completa oscurità.

«Che sta succedendo Paul?» Il moro lo fissò con aria scocciata;

«Ti ho detto che mi chiamo Arthur»

«Ok, allora, che sta succedendo Arthur?»

«Faccio parte dei Poètes Maudits»

«Questo me l’hai detto anche ieri, ma non ho la minima idea di cosa significhi» esclamò esasperato,

«Giusto, un semplice ragazzo di campagna non può conoscere un’organizzazione governativa»

«Era forse un insulto?» Arthur lo fissò per una frazione secondo,

«No. Scusami non era mia intenzione offenderti Charlie» in quel momento il cuore di Baudelaire perse un battito, erano dieci anni che non sentiva più quel nomignolo. Gli era mancato.

«Sono cambiate così tante cose. Non sono più il bambino che ha lasciato il nostro villaggio»

«Ti vuoi decidere a raccontarmi cosa ti è successo o devo provare ad indovinare? Ricordo chiaramente i gendarmi che ti portavano via e la notizia della tua morte» il moro si sedette su di una poltrona, invitando l’amico a fare altrettanto;

«Sono stato posto di fronte ad una scelta. Sono il possessore di un’Abilità Speciale. Ricordi i fasci di luce che erano scaturiti dalle mie mani? Erano la prima manifestazione del mio potere Illuminations.» Charles trattenne il fiato; finalmente stava ricevendo una spiegazione agli avvenimenti di quel giorno. Era sicuro di non esserseli immaginato, quei fasci rossi erano reali. Ora ne aveva avuto conferma.

«Ho deciso di mettere le mie capacità al servizio della nostra Nazione»

«Lavori per il governo?» azzardò. Arthur sorrise;

«Sono una spia si, un agente segreto. Per questo motivo ho dovuto abbandonare il mio nome, il mio passato» fece una pausa solo per poterlo guardare negli occhi «e anche te. Una buona spia non prova sentimenti, non ha legami, punti deboli»

«Perché l’hai fatto Paul?»

«Per proteggervi. Ora so controllare questo potere ma non è sempre stato così. I primi tempi ero davvero spaventato, ho persino ferito un paio dei miei istruttori durante l’addestramento» ammise grattandosi nervosamente il collo.

«Ma arrivare a fingere la propria morte»

«Quella non è stata una mia decisione, però era l’unico modo»

«Ti sei sempre sentito superiore a noi, deve essere stato un sollievo per te quando hai scoperto che lo eri per davvero»

«Charles»

«Hai realizzato il tuo sogno. Sei nella capitale e scommetto che quei vestiti sono di marca, hanno l’aria costosa, quella è seta vero?» urlò indicando la camicia.

«Charles»

«Buon per te, sono contento, davvero»

«Ho ucciso delle persone» dopo quell’affermazione nella stanza tornò il silenzio.

«Il lavoro di una spia non è fatto solo dal raccogliere informazioni ma è ben più complesso. Nel mio campo sono uno dei migliori. Ho concluso il mio addestramento con anni d’anticipo. Ho del talento, anche senza la mia Abilità»

Charles era senza parole, non era rimasto più nulla del ragazzino sognatore che ricordava, davanti a lui in quel momento si trovava una persona completamente diversa. Paul si era trasformato in uno sconosciuto. Non poteva crederci.

«Sei un assassino quindi» non riuscì ad evitare di manifestare tutta la propria delusione.

«Non avrei mai voluto che lo scoprissi così. Sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai incontrati»

«Ma che stai dicendo?» Non si era accorto di averlo afferrato di nuovo e di star stringendo le esili mani dell’amico tra le sue; erano sottili e affusolate come quelle di un artista, non sembravano le mani di un assassino.

«Saperti vivo è stata la cosa migliore che mi sia mai capitata. Non sai come sono felice di sapere che tu stia bene»

«Sono un assassino l’hai detto tu stesso»

«E io sono uno studente squattrinato. Sei il mio migliore amico Paul, lo sei sempre stato»

«Arthur» lo corresse per l’ennesima volta. Nella penombra della stanza Charles gli sorrise;

«Rassegnati, per me sarai sempre Paul»


 

***


 

I mesi che seguirono quell'incontro furono strani per entrambi. Charles aveva iniziato un lavoro come apprendista in una libreria e appena poteva, non mancava di incontrarsi con Paul. La spia però era sempre impegnata in missioni più o meno complesse che spesso lo portavano all’estero. Fu in una calda giornata estiva che Baudelaire finalmente comprese la natura del sentimento che l’aveva sempre legato al proprio amico d’infanzia. Paul anzi Arthur, come continuava a ripetergli di chiamarlo, era appoggiato all’ingresso della libreria. Stava attendendo che terminasse il proprio turno di lavoro. Aveva incrociato le braccia al petto mentre lo osservava in completo silenzio. Indossava dei pantaloni neri e una camicia bianca che grazie al riflesso della luce del sole a tratti appariva trasparente. A seconda dell’angolazione in cui si trovava, Charles poteva intravedere la pelle pallida dell’amico, brillare come se fosse fatta di porcellana. Sentiva la gola secca. In quel momento, Paul era una visione. Troppo bello per essere reale.

«Sai che potresti aiutarmi. Finirei sicuramente prima» aveva sbuffato cercando di darsi un tono, sistemando l’ennesimo tomo nello scaffale. Arthur aveva alzato le spalle con noncuranza.

«Preferisco di no» eccolo, il piccolo principe viziato che ricordava. Un leggero sorriso però aveva accompagnato quelle parole. Stava sicuramente facendo apposta, divertendosi a provocarlo.

«Se finisco prima ne trarremo giovamento entrambi» Gli fece notare. Quelle labbra si incurvarono in una nota contrariata;

«In realtà non ho molta voglia di andare al Café oggi» Charles lo fissò stupito. Quella sì che era una novità.

«Cosa vorresti fare allora?»

«Domani partirò per Londra. Devo trattare con degli esponenti della Torre dell’Orologio» ammise iniziando a fissare il basso. Era lo stesso atteggiamento che aveva da bambino quando era preoccupato per qualcosa.

«Sono dei pezzi grossi?» Sapeva che Paul non poteva svelare troppo del proprio lavoro ma non aveva saputo controllare la propria curiosità; soprattutto in seguito a quella reazione.

«Diciamo di sì. Se la missione andrà a buon fine entrerò nell’Elite dei Trascendentali»

«Ed è una cosa buona?» si sentiva un idiota;

«Chiamiamola una promozione»

«Perché allora non ne sembri felice?»

«La missione mi terrà impegnato per diverso tempo»

«Paul» si stava spazientendo;

«Non so quando ci rivedremo. Potrei tornare tra un mese come un anno»

«Potresti anche non tornare?» indagò cercando di trovare qualche risposta sul viso dell’amico; fu solo in quel momento che Paul alzò lo sguardo;

«C’è questa possibilità» ammise quasi sottovoce;

«Questa è la vita che ho scelto. La vita di una spia. Per il mio Paese, per la mia nazione ho buttato via il mio nome adottandone uno in codice. Ho scelto di abbandonare ogni tipo di sentimento, precludermi qualsiasi relazione. La mia vita e la mia morte non verranno mai tramandate alle generazioni successive. Nel mio futuro mi attende una fredda e grigia lapide»

Chalers gli diede uno schiaffo. Era arrabbiato, come non gli capitava di essere da parecchio tempo.

«Cosa stai dicendo? Ma ti ascolti quando parli? Abbandonare ogni sentimento? Ogni relazione? Allora cosa sono io per te?!»

In quel momento non era pronto ad affrontare quel discorso. Avrebbe tanto desiderato confessare ciò che provava per Paul durante uno dei loro pomeriggi insieme. Magari passeggiando lungo la Senna alle prime luci del tramonto o mentre sorseggiavano vino seduti in qualche locale. Invece aveva finito per urlargli contro. Il moro sgranò gli occhi sorpreso;

«Sei il mio migliore amico» confessò;

«Sono davvero solo questo per te, Paul?»

Rimasero a fissarsi per qualche minuto. Ormai sapevano di aver raggiunto il punto di non ritorno. Da quel momento in poi le cose tra loro sarebbero inevitabilmente cambiate. Non potevano tornare indietro. Non era possibile.

«Io» iniziò con voce tremante la giovane spia «io domani partirò per Londra. Volevo solo trascorrere un’ultima giornata insieme. La verità è che non sopportavo l’idea di andarmene di nuovo. Non voglio lasciarti Charles.»

«Paul io non posso più esserti amico. Lo sai vero?» il moro annuì specchiandosi negli occhi blu del giovane uomo davanti a lui. Aveva sempre amato quel colore, gli ricordava il cielo.

Ora Charles lo stava ponendo di fronte ad una scelta. Cosa avrebbe fatto? Avrebbe seguito il cuore o la ragione?

Quel giorno Arthur Rimbaud scelse di seguire il proprio cuore, scelse la strada dei sentimenti. Aveva solo diciassette anni, non poteva sapere cosa una simile decisione avrebbe comportato. Come una piccola scelta avrebbe finito con l’influenzare più di un destino.


 

 

***


 

Parigi

- Presente -


 

 

Paul Verlaine prese un lungo respiro godendosi appieno l’aria di casa. Erano passati parecchi anni dall’ultima volta che era stato in Francia e in particolare a Parigi. Quella città gli riportava alla mente troppi ricordi, alcuni piacevoli, altri meno. La capitale francese era una meravigliosa visione se paragonata al grigiore di Londra. Il suo aereo era da poco atterrato e già qualcuno lo stava attendendo sulla pista d’arrivo, sbracciandosi per cercare di attirare la sua attenzione. Era un uomo di mezza età, tarchiato, con occhiali dalla montatura spessa, per fortuna si era premurato di non dare troppo nell’occhio.

L’uomo gli si avvicinò emozionato, offrendosi di prendere il suo bagaglio;

«Monsieur Lelian è un onore per me accompagnarvi. Mi è stato detto che sono molti anni che non visitate la nostra capitale» il biondo abbozzò un sorriso, sistemandosi elegantemente una ciocca di capelli ribelle dietro ad un orecchio. Quando viaggiava utilizzava spesso lo pseudonimo di Pauvre Lelian, era un semplice anagramma del proprio nome ma fino a quel momento nessuno lo aveva mai collegato a lui. Era stato Arthur ad insegnarglielo. Era l’abc di una brava spia, muoversi nell’ombra. Mai rivelare il proprio nome o altre informazioni personali. Lui, come sempre, aveva fatto propri quegli insegnamenti. Ancora stentava credere che il proprio partner fosse morto.

Arthur Rimbaud, l’uomo a cui doveva ogni cosa, la spia migliore che avesse mai avuto la fortuna di incontrare e con cui aveva collaborato. Sconfitto da due ragazzini e giustiziato da un’Organizzazione giapponese. Era assurdo. Verlaine semplicemente si rifiutava di crederlo. Non era possibile.

«Monsieur ho ricevuto precise istruzioni per accompagnarvi a questo indirizzo» si intromise lo chaperon, riportandolo con la mente al presente. Si era di nuovo distratto pensando al proprio partner. Stava uscendo di senno, doveva risolvere quella situazione il prima possibile. Il Re degli Assassini, guardò verso il basso; l’uomo, che non gli arrivava nemmeno alle spalle, stava aprendo la portiera di un elegante limousine nera in cui lo invitava ad accomodarsi.

Fu un viaggio relativamente breve, che trascorse fissando il paesaggio al di fuori del finestrino.

Come aveva previsto, il luogo scelto per quell’incontro era un Cafè della capitale. Dopo aver congedato il proprio accompagnatore si sedette su di uno dei tavoli all’aperto, osservando i piccioni combattere per contendersi le attenzioni dei turisti o un semplice pezzo di pane.

«Bonjour mon ami» lo salutò un uomo sulla trentina sedendosi al tavolo accanto a quello del biondo; accennando ad un sorriso di finta ma studiata cordialità;

«Mi dev'essere sfuggito il momento in cui io e te siamo diventati amici» fu la risposta monocorde dell’ex spia.

«Abbiamo un interesse comune. Com’era quel detto? Il nemico del mio nemico è mio amico?» Verlaine fece per alzarsi;

«Non sono venuto fin qui per perdere tempo con simili giochetti» sbottò.

«Hai ragione. Scusa»

«Ti avevo detto di essere discreto»

«E lo sono stato»

«Uno chaperon chiacchierone e una limousine» gli fece notare calcando volutamente l’ultima parola;

«Somigli davvero molto a Paul» si lasciò scappare, prima di correggersi «cioè Arthur. Avete lo stesso, identico, modo di fare» il biondo si mise ad osservare un punto imprecisato davanti a sé.

«È stato Arthur a scegliere il mio nome. Solo di recente ho scoperto fosse il suo» ammise. L’uomo sorrise con una nota di nostalgia,

«Continuava a riprendermi come quel nome non gli appartenesse più. Invece ha scelto di donartelo»

«Tu sei stato importante per Arthur» fu la sola risposta del biondo intrisa di una leggera punta di disprezzo che non sfuggì al francese;

«Sono semplicemente un fantasma del suo passato» ammise scrollando le spalle;

«Il miglior profeta del futuro è il passato» gli fece notare, riprendendo una citazione che aveva letto in un libro diverso tempo prima;

«Per lui io ero morto. Non ha mai saputo la verità.»

«Verità?»

«Sono anche io un possessore di Abilità»

«Per questo sei ancora vivo» concluse con voce piatta, senza staccare gli occhi dal proprio bicchiere di vino, ormai quasi vuoto.

«L’ultima volta che l’ho visto è stato da dietro le sbarre di una prigione. Ci avevano scoperto. Sapevano cosa eravamo e quale sorte mi sarebbe toccata»

«E cosa eravate?» Verlaine sapeva che quella risposta non gli sarebbe piaciuta ma aveva ugualmente il bisogno di sentirla ad alta voce. Aveva tenuto fra le mani il taccuino del proprio compagno, lo aveva letto, strappandone qualche pagina in un moto di rabbia. Il nome di Charles Baudelaire compariva tra quelle intime confessioni, più volte di quante avesse mai pensato. Ora quell’uomo, che per lungo tempo non era stato altro che un nome scritto, era lì davanti ai suoi occhi.

Una parte di Paul, quella più bestiale, avrebbe voluto ammazzarlo solo per il fatto di esistere, mentre il suo lato più razionale e umano gli ricordava come potesse essere un valido alleato. Avere una spia tra i Poètes Maudits poteva essere vantaggioso Non doveva sprecare una simile occasione.

«Eravamo amanti» Verlaine colse benissimo il tono di sfida sottinteso - ma neanche troppo - in quelle parole. Quel bastardo lo stava apertamente sfidando. Cercò di mantenere il controllo. Sapeva che avrebbe potuto ammazzarlo in pochi secondi, ma non poteva permettersi di sprecare l’opportunità che Baudelaire gli stava offrendo.

«Hai detto di poter contattare questo Carroll» rispose tranquillamente nascondendo il proprio turbamento. Sapeva di essere un ottimo attore.

«L’ho detto. È rinchiuso nel carcere di Meursault» a quel punto Verlaine alzò un sopracciglio scettico;

«Il carcere di massima sicurezza per dotati? Come pensi di raggiungerlo di grazia?» Baudelaire sorrise;

«Con la mia Abilità ovvio»


 

 

***


 

Parigi

- di nuovo qualche stagione prima -


 

Fecero appena in tempo a raggiungere l’appartamento di Charles, che Arthur lo spinse contro al muro baciandolo con passione. Il moro si staccò solo per poterlo guardare negli occhi, perdendosi in quel blu che tanto amava. Si diede mentalmente dello stupido per avere aspettato tanto. Quanto tempo avevano sprecato inutilmente, camminando sul filo del rasoio e giocando a quel teatrino di amici d’infanzia quando era chiaro ad entrambi che non avrebbero più potuto esserlo. Avevano preferito vivere in un’illusione che guardare in faccia la realtà.

La giovane spia dai lunghi capelli corvini aveva fatto la propria scelta. Sarebbe partito per Londra all’alba, ma quella notte, ancora per qualche ora, avrebbe potuto togliersi la maschera che da ormai dieci anni indossava e tornare ad essere semplicemente Paul Verlaine.

Charles continuava a chiamarlo ostinatamente con quel nome che era sicuro di aver abbandonato. Ogni volta che l’amico si rivolgeva a lui però, il suo cuore mancava di un battito. Non credeva avrebbe mai provato un’emozione simile. Rinunciare ai sentimenti e ad ogni tipo di legame gli era sembrato un esiguo prezzo da pagare. Quando aveva preso quella decisione però non era che un bambino.

Per una notte, solo per qualche ora, Paul Verlaine sarebbe tornato. Avrebbe lasciato Arthur Rimbaud al di fuori da quell’appartamento per poi ritrovarlo al mattino successivo.

«Ho sempre amato i tuoi capelli» disse Charles accarezzandogli dolcemente la lunga chioma e sistemando una ciocca ribelle dietro ad un orecchio solo per poterlo osservare meglio in volto. Paul era diventato molto bello. I tratti femminei che aveva nell’infanzia si erano evoluti in modo armonioso, la sua pelle era pallida come porcellana, liscia, senza imperfezioni. Baudelare non ricordava di preciso quando avesse iniziato a desiderare l’amico in quel modo, solo che era successo.

Paul era sempre stato un pezzo importante della sua vita. Anche quando credeva fosse morto. Si era recato nella capitale cercando di inseguire lo stesso sogno dell’amico, voleva che fosse orgoglioso di lui e, in questo modo, avevano finito con il ritrovarsi. Dieci anni erano davvero tanti ma non troppi, potevano ancora costruirsi un futuro insieme.

C’erano tante cose che avrebbe voluto confessare a Paul, come la natura dei propri sentimenti. Una parte di Charles però sapeva di non poterlo fare. Il moro aveva un lavoro da svolgere, non vivevano nel mondo dei sogni, la realtà sarebbe venuta presto a bussare alla loro porta per strapparli in quella dimensione onirica in cui si erano rifugiati. Il suo era un desiderio dettato dal semplice egoismo, non voleva lasciarlo.

Si stava comportando come il ragazzino immaturo che era, lo sapeva benissimo eppure non riusciva a smettere di pensare a quella possibilità. Se mai glielo avesse chiesto, Paul sarebbe rimasto per lui?

L’ennesimo bacio ebbe il potere di azzerare ogni altro pensiero.


 

Il sole era sorto da poco quando un leggero movimento delle coperte avvisò Baudelaire del fatto che il suo compagno si fosse svegliato e stesse provando a cercare i propri vestiti sparsi ovunque per il piccolo appartamento.

«Paul, non è ancora l’alba, puoi restare per qualche minuto» tentò. Ricevette in risposta solo uno sguardo che non riuscì a decifrare;

«Charles. Non sono pentito per questa notte. È stata la più bella della la mia vita. Però non posso rimanere lo sai, ho un volo che mi aspetta». Concluse allacciandosi gli ultimi bottoni della camicia.

Baudelaire lo sapeva benissimo, si diede dello sciocco solo per averlo in qualche modo sperato. Prima di lasciare la stanza il moro tornò a rivolgersi a lui;

«Aspettami. Perché tornerò da te. Questa è la promessa più sincera che posso farti»

Charles aprì e richiuse la bocca per la sorpresa, prima di riuscire a trovare la forza di articolare un pensiero coerente ed esprimerlo a parole.

«Davvero? E tutta la storia sul fatto che una spia non deve provare sentimenti? Il non avere legami?» Paul sorrise, con la stessa aria di sfida e superiorità che ricordava dalla loro infanzia;

«Basta che nessuno ci scopra. Saremo discreti. Faremo attenzione. Non penso che i Poètes Maudits abbiano il tempo di controllare le mie frequentazioni»

Charles sorrise, prima di raggiungerlo per poterlo baciare un’ultima volta.

Quello non era un addio ma solo un arrivederci.


 

Rimbaud aveva diciassette anni, Charles uno in più ed era stato il suo primo amore.

La giovane spia aveva creduto che quel sentimento potesse durare per sempre, come anche il suo segreto.

Quando Arthur Rimbaud tornò da Londra tre mesi dopo, Charles Baudelaire era stato arrestato ed era in attesa di processo.





 


 


 


 

*«La noia non è più il mio amore. Le rabbie, le dissolutezze, la follia, di cui conosco tutti gli impulsi e i disastri, - ho depositato tutto il mio fardello»


 

Note autrice: Sono viva e sono tornata (non è una minaccia ^_^) Questa storia inizialmente era nata come uno spin off di “In Order” ma già dopo un paio di capitoli avevo capito che sarebbe andata per la sua strada. In questo capitolo abbiamo modo di capire meglio il passato di Rimbaud e Baudelaire, che sarà importante ai fini della storia. Cercherò di essere puntuale negli aggiornamenti ma non assicuro niente (anche perché a ottobre c’è il writober e se io non mi complico da sola la vita non sono contenta XD). Ringrazio chiunque abbia iniziato a leggere questa storia e soprattutto la mia Eneri_mess che ha creato delle grafiche bellissime (le trovate su IG). Consiglio: se non lo avete fatto leggete anche le sue di storie e quelle di Ode to Joy e ringraziatele perché se non ci fossero state loro probabilmente io non avrei mai pubblicato XD

  
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