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Autore: _Marika_    05/10/2022    0 recensioni
Bicchieri rossi, lampadari distrutti, giocatori di football, champagne scadente, danze esotiche, vestitini leopardati, baci, risate, lacrime.
Nuovi incontri.
Cos'altro potrebbe accadere questo venerdì sera?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ho scritto T.G.I.F 10 anni fa, quando Katy Perry risuonava in tutte le stazioni radio e era ok indossare una cintura di pelle sopra un vestito sopra i jeans. Ho amato scrivere questa storia, che è stata una valvola di sfogo per tutto quello che avrei voluto fare nella mia adolescenza - che, nella realtà, non è stata neanche lontanamente paragonabile alle montagne russe che abbiamo vissuto qui. Ma è questo il bello della scrittura: poter vivere vite che non abbiamo vissuto.

 

Oggi, 10 anni dopo, vedo moltissimi difetti in questa storia. Ad oggi, di certo non la scriverei più, non così. Ma ci sono affezionata: è uno specchio della me di allora, e devo accettarlo per quello che è, pregi e difetti.

 

Scrivo quindi questo epilogo 10 anni più tardi. Il mio stile di scrittura potrebbe suonare molto diverso, per questo ho pensato che sarebbe stato adatto scrivere un capitolo ambientato anni dopo la settimana intensa che Emma ha vissuto a Cleveland.

 

Ho voluto dare una chiusura a questa storia, io che di chiudere progetti artistici non sono mai stata capace. Spero sia un inizio di nuove e belle cose.

 

L’Araba Fenice

 

Erano passati 5 anni da quando ero stata l’ultima volta in questo aeroporto. Donna piangeva, io pure, Justin mi aiutava a trascinare una valigia malconcia piena di ricordi. Ci siamo salutati e abbracciati così a lungo che poi ho dovuto correre per non perdere il mio volo. 

Quell’ultimo mese passato a Cleveland era stato il più intenso della mia vita.

Un mese di mente annebbiata dall’alcol, di strusciamenti indecenti e fenicotteri galleggianti in piscina. Un mese di fuoco, di baci, di follia. Un mese in cui avevo recuperato la mia adolescenza, ero bruciata e rinata dalle ceneri.

Ci ripensai con una certa nostalgia, scendendo dalle scalette di ferro dell’aereo. La scritta CLEVELAND HOPKINS INTERNATIONAL AIRPORT mi strizzò l’occhio e io non potei fare a meno di ingoiare il magone che avevo in gola.

Ero tornata.

 

______________________________________________________________

 

Percorsi senza fretta il lungo corridoio dell’uscita passeggeri. Sentivo la stanchezza, ma anche un senso di quieta felicità che mi gonfiava il petto. Non vedevo l’ora di rivedere Donna e gli altri.

Varcai le ultime porte scorrevoli con mille pensieri in testa. Controllai il mio telefono per vedere se il mio tassista fosse arrivato. Nessun messaggio.

Alzai la testa e frugai con lo sguardo tra la gente. 

Mi era sempre piaciuta la sala degli arrivi degli aeroporti. I tassisti impassibili con i cartelli in mano, le famiglie chiassose, le coppie che si abbracciavano in un singulto di gioia. Sì, come in quella scena di Love Actually.

 

La verità è che è sempre bello quando c’è qualcuno che ti aspetta.

 

Mi feci largo tra le persone e mi avviai verso l’uscita. Nonostante il caldo, mi fermai per allacciarmi il cappotto: fuori segnava -3 gradi, non era il caso di uscire così.

“Hi, Sweetheart"

Stavo ancora litigando con la zip. Alzai la testa e sbattei gli occhi.

Matt era lì, davanti a me. Le mani ficcate in tasca, il giubbotto incastrato sotto un braccio, e il sorriso più bello del mondo. 

Lo fissai, incredula, senza riuscire a parlare. C’era qualcosa di molto diverso in lui, ma non seppi dire cosa. Era come se una pesante nebbia nera si fosse alzata dal suo viso, che ora risplendeva come non l’avevo mai visto. Davanti a me non c’è più il ragazzo scontroso e buio che conoscevo. C’era un uomo adulto, solido, con i lineamenti affilati e gli occhi gentili. Il blu torbido dei suoi occhi era stato sostituito da un azzurro sincero. Aveva un’aria serena. 

Matt si accorse del mio straniamento. Titubante, si tolse le mani dalle tasche e si avvicinò a me. Mi sorrise di nuovo. “So che sei sorpresa di vedermi. Donna mi aveva detto che arrivavi oggi, e so che lei e Justin non potevano venire a prenderti a quest’ora. Spero non sia un problema se sono venuto io. Volevo farti una sorpresa”. Aggiunse l’ultima frase con un guizzo di incertezza, come se volesse chiedermi scusa per essersi preso quella libertà, ma senza perdere il sorriso.

Mi accorsi che toccava a me dire qualcosa. “Io… no… ma figurati!” balbettai “È che… sei così… diverso!” Sperai di non averlo offeso. “...in senso buono” aggiunsi, in un soffio.

Matt incassò senza battere ciglio. “Sono passati anni. Anche tu sei diversa”.

Qualcosa dentro di me si strinse. Era vero. Eravamo diversi, tutti e due. Gli sorrisi e annuii. Quasi mi commossi. “Sono felice che tu sia qui”

 

______________________________________________________________

 

Matt mi accompagnò in macchina alla nuova casa di Donna e Justin. Per fortuna non avevo già pagato il taxi.

Il tragitto fu costellato di domande generiche su lavoro, casa, animali domestici, ipotetici compagni di vita. Fui sinceramente felice di scoprire che Matt si era laureato l’anno precedente e ora lavorava come medico in uno studio privato, e viveva in un appartamento in centro con un cane di nome Ronny.

“Sei un medico di successo e hai già l’aspetto di un padre di famiglia. Le donne devono cadere ai tuoi piedi continuamente” gli dissi senza riflettere. Matt sorrise senza staccare gli occhi dalla strada.“Non è così, ma se gioca a mio favore, facciamo finta di sì”. 

Mi pentii subito di quell’uscita e non osai chiedere altro sulla sua vita sentimentale; lui fece altrettanto. Chiacchierammo del più e del meno fino all’arrivo.

 

Donna mi accolse con un urletto inconfondibile e mi stritolò in un abbraccio prima ancora di farmi entrare in casa. “Come sono felice di vederti, Emma! Stai una favola!” Le sorrisi. Mi sentivo davvero molto bene, in realtà, nonostante la stanchezza.

Donna mi fece fare subito un un tour della casa. Lei e Justin avevano comprato una casa enorme in un quartiere residenziale di Cleveland; qua e là nelle stanze si vedevano ancora gli scatoloni del trasloco. Come potessero permettersi tutto ciò, io non lo sapevo e non indagai.

 

“Questa è la tua stanza! Sistemati e cambiati con calma, noi ti aspettiamo di là”. 

Appoggiai i miei bagagli sul pavimento e presi un respiro profondo. Ero felice ma esausta: ero in viaggio da più di 16 ore. Mi feci una doccia, mi cambiai e mi passai il correttore sotto gli occhi cercando di nascondere le occhiaie. 

 

Quando arrivai in sala da pranzo mi ritrovai davanti la squadra al completo: Donna, Justin, Jeremy, Thomas, Liam. Tutti mi salutarono e mi fecero un sacco di domande sull’Italia, sul nuovo lavoro, sul viaggio. Erano sinceramente felici di vedermi. A tratti mi venivano le lacrime agli occhi per tutto quell’affetto.

Notai che Matt non se n‘era andato via dopo avermi accompagnato; stava appoggiato al bancone della cucina con un bicchiere in mano. Era sulle sue, ma non sembrava a disagio. Mi sorrise da lontano, e io ricambiai.

 

“La cena è arrivata!” annunciò Justin dopo un discreto scampanellio alla porta.

A cena finii seduta vicino a Matt, e qualcosa nello sguardo innocente di Donna mi disse che non era un caso.

Sentivo la sua presenza solida di fianco a me. Percepivo che ogni tanto mi guardava, ma non gli chiesi nulla. Avevamo parlato per quasi un’ora durante il viaggio in macchina, e non mi veniva in mente nulla di intelligente da chiedergli senza ripetermi.

“... ma ti ricordi di quella volta che Emma è caduta dalle scale di Brenda?”

“Oddio sì! E quando l’abbiamo beccata a limonare con quel jock dal Nebraska?”

 …e poi Justin e Jeremy cominciarono a tirare fuori tutti gli aneddoti più imbarazzanti che ricordavano su di me, e conclusi la serata a ridere e a difendermi, rossa come un pomodoro, da maldicenze e fatti - purtroppo - fin troppo veri. 

 

L’eco dei sorrisi e delle risate sembrò rimanere impregnato nelle pareti della casa anche quando, verso mezzanotte, tutti gli ospiti se ne andarono, allegri e alticci.

Donna e Justin si misero a sistemare la sala da pranzo. Io mi avviai verso la cucina, dove trovai Matt intento a lavare i bicchieri. La disinvoltura con cui si muoveva nella cucina di Donna mi fece pensare che fosse ospite lì molto spesso. Lo raggiunsi e appoggiai sul bancone i cartoni della cena d’asporto. Matt mi scoccò un’occhiata. “Va’ a letto Emma, sei esausta” mi disse, gentile.

 

“È vero, sono esausta” gli concessi. “Ma speravo di poter parlare un po’ con te”.

Matt chiuse il rubinetto. L’improvviso silenzio dopo l’acqua che scorreva creò una strana atmosfera. Mi sorrise. “Pensavo ne avessi abbastanza di parlare con me”

“Eh?” 

“Non mi hai rivolto la parola per tutta la cena” replicò, sorridendo. “Pensavo di aver colto il messaggio, forte e chiaro”.

“Ah”. Mi strofinai la fronte con le mani. Ero davvero stanca. “Non… non era mia intenzione. Ho fatto finta di niente oggi in macchina, ma sono ancora in imbarazzo per quello che è successo tra di noi. E poi stasera Justin e Jeremy si sono messi d’impegno a rievocare episodi poco… lusinghieri su di me”. Risi per nascondere il mio disagio. 

 

Matt si tolse i guanti da cucina e si girò verso di me. “Non devi essere in imbarazzo, Emma. Eravamo due persone diverse. Volevamo cose diverse. Non c’è niente di cui sentirsi in colpa”. 

Matt mi prese la spazzatura dalle mani “Faccio io. Tu va a sederti di là; arrivo subito” e mi fece cenno di andare verso il salotto.

 

Ci sedemmo entrambi sul divano. Bè, lui si sedette: io mi ci accasciai.

“Da quanto sei in piedi?” 

Feci un difficilissimo conto mentale. “Da almeno 24 ore, direi”.

“Deve essere stata una giornata tosta”.

“Sì”.

Fece per parlare di nuovo, ma io sapevo che era quello il mio momento. Alzai una mano e lo interruppi: “Non mi sono comportata bene con te, Matt” cominciai “So che hai affrontato difficoltà molto più grandi di quelle che ho dovuto affrontare io, e non ho saputo vederlo. Ti ho giudicato sulla base di dicerie e pettegolezzi, ero una ragazza sciocca. Ti ho trattato male. Sono stata… una stronza”

Matt mi guardò con le sopracciglia sollevate, senza rispondere. 

Deglutii. “Volevo parlarti, stasera. Ma ero in imbarazzo. Prima dovevo… scusarmi con te” conclusi.

Matt mi scoccò uno sguardo pieno di dolcezza. “Scuse accettate” mi dice. 

Mi sentii subito rasserenata. 

“Adesso vai a letto” mi disse “Io finisco qui e poi me ne vado”.

Lottai contro le palpebre che mi si chiudevano. “No” sospirai “resto qui… ti aiuto”.

Matt rise. La sua risata mi piaceva. Mi accorsi, con una morsa al cuore, che non l’avevo mai sentita prima di oggi.

“Non saresti di grande aiuto”. Si alzò e si sedette accanto a me. “Su, vai di sopra e mettiti a letto”.

“Io… non voglio…” mormorai, evitando il suo sguardo.

“Non vuoi? Cosa non vuoi?”

“... che tu te ne vada” ammisi. Non seppi mai perché lo dissi. Ma sapevo che era una delle cose più vere che avessi mai detto in vita mia.

Matt parve colpito. Sbatté gli occhi e mi osservò più attentamente, la fronte corrucciata. “Io… devo andare via, Emma. Devo tornare a casa… a dormire… Il cane…” si impappinò e tacque. “Ma possiamo vederci domani” aggiunse, cauto. “Se tu lo vuoi”.

“Lo voglio”.

 
   
 
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