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Autore: Koa__    07/10/2022    1 recensioni
Un anno e mezzo dopo il suo matrimonio, Magnus Bane vive una vita felice come Sommo Stregone di Alicante e marito dell’inquisitore Alec Lightwood. Ha una vita perfetta, un lavoro appagante e un uomo accanto che ama da morire. Da quando Clary ha riacquistato la memoria, poi, le cose non potrebbero andare meglio di così. Un giorno, però, mentre svolge il proprio lavoro di inquisitore presso l’istituto di Stoccolma, Alec scompare nel nulla. Magnus, Jace, Clary, Isabelle e Simon si recano in Svezia per indagare, ma una volta giunti lì si rendono conto che il mistero è ben più fitto di quanto non si aspettassero. Nel bel mezzo di una discussione, il gruppo riceve un messaggio nel quale si dice che, per ritrovare Alec, serviranno il Coraggio e la Magia, le abilità di Jace e Magnus dovranno quindi unirsi. Se inizialmente i due non fanno che discutere su come sia meglio agire, rinfacciandosi le cose a vicenda, a un certo punto si renderanno conto che saranno costretti ad andare d’accordo per il bene di Alec.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La Lealtà




 

“Solo la Magia e il Coraggio potranno oltrepassare il ponte. Appianando le divergenze e unendo le loro forze, la Lealtà verrà salvata e ciò che egli protegge al mondo sarà svelato.”
Viaggio attraverso la foresta incantata, capitolo 1






 

Alec era bloccato in quella torre sperduta tra le verdi colline d’Irlanda da ormai sei giorni. Non che nel frattempo si fosse annoiato, anzi aveva avuto il suo bel da fare, ma all’ennesimo tramonto ammirato sospirando, si ritrovò ad ammettere che stava iniziando leggermente a spazientirsi. Pensare che gli era stata addirittura offerta la possibilità di tornare indietro dopo appena cinque minuti essere arrivato, ma onestamente come poteva anche solo immaginare di andarsene? Se l’avesse fatto non si sarebbe sentito a posto con la coscienza e avrebbe finito addirittura con l’odiare se stesso. Quando Magnus avrebbe scoperto la verità riguardo la sua presenza lì, sicuramente lo avrebbe perdonato per essere scomparso senza neppure avvisare. Non che non sentisse la sua nostalgia, suo marito gli mancava da morire. Non era più abituato a stare così tanto senza di lui, anche quando i suoi viaggi di lavoro duravano un solo giorno trovava comunque il tempo per scrivergli. Ma in quello stupido posto il telefono non prendeva e comunque "Lui" gli aveva proibito di mandare messaggi, anche quelli di fuoco. Sosteneva che la ricerca della verità di Magnus e Jace necessitasse più tempo rispetto a quanto ne aveva avuto lui per abituarsi alla nuova realtà che stava vivendo, Alec dalla propria pensava che potesse addirittura avere ragione. Non che si fosse mai sognato di contraddirlo e comunque anche avesse provato a chiamare, “Lui” se ne sarebbe accorto e gli avrebbe fulminato il telefono all’istante. D’altronde pareva pienamente consapevole di tutto quello che accadeva, era come se fosse onnipresente in ogni angolo di quella vallata d’Irlanda, sebbene si fosse fatto vedere una volta soltanto. Non che fosse stupito dell’onniscienza di un angelo. 


 

Era iniziato tutto sei giorni prima, di buon mattino Alec si era preparato per il breve viaggio che lo avrebbe portato a Stoccolma. Non aveva previsto di starci per più di due giorni, di conseguenza il bagaglio che si sarebbe portato era piuttosto piccolo. Dopo essersi vestito e aver bevuto una tazza di caffè caldo, aveva salutato suo marito ed era sparito oltre il portale. Non aveva davvero voglia di andare, ma era lavoro e come avrebbe potuto rifiutarsi? C’era da dire che si era sentito sin da subito piuttosto rilassato, molto più che in altre occasioni. Quando era dovuto andare in Brasile aveva perso la testa dietro alla miriade di problemi che avevano avuto, questo al contrario pareva un caso relativamente semplice. Avevano perso alcune armi angeliche, fatto di per sé molto insolito e inoltre Erik Lovelace, il direttore dell’Istituto di lì, aveva riferito anche di alcuni eventi inspiegabili, di cui però non aveva sottolineato la natura. Alec, pensando a un’intrusione o tutt’al più a un furto perpetrato dall’interno da qualche Shadowhunter ribelle, aveva deciso di andarci perché la sparizione di lame angeliche era comunque un evento che meritava di essere approfondito. Dopo essersi ritrovato sul piazzale antistante la chiesa che ospitava l’Istituto della città, però, era accaduto qualcosa di molto strano. Un’intensa luce lo aveva avvolto, Alec ricordava di aver fatto appena in tempo a coprirsi gli occhi che si era ritrovato in un luogo sconosciuto e verdeggiante, ai piedi di un’altissima torre in pietra. Osservandola dal basso si convinse che doveva trattarsi di una costruzione piuttosto antica, aveva un aspetto fatiscente e non avrebbe scommesso un singolo dollaro sulla sua effettiva tenuta. Senz’altro non aveva alcuna intenzione di entrarci, si disse, rabbrividendo. Tenendosi ben alla larga da quella torre, si era deciso a esplorare i dintorni, esibendosi in incerti: “C’è nessuno?” che avevano riverberato per tutta la lunga vallata. Anima viva gli aveva risposto.

 

Alec era piuttosto sicuro che al di là delle siepi che delimitavano la piccola radura antistante quella costruzione pericolante ci fosse il mare, perché sentiva chiaramente le onde infrangersi sulla battigia. Dalla posizione in cui si trovava non riusciva a vederlo, ma c’era odore di salsedine nell’aria. Per un istante fu quasi tentato di oltrepassare lo sterpaio e andare a vedere con i propri occhi, invece che fare qualche passo in avanti, però, rimase fermo dove stava. A parte le siepi di mirto incolte riusciva a scorgere cespugli di erica e di brugo, mentre un prato verde si estendeva per chilometri nella direzione opposta a quella dell'oceano. Il suo sguardo curioso si perse nell’ammirare il paesaggio sconfinato fatto di colline e talvolta anche di campi di lavanda, riuscì a notare anche una foresta all’orizzonte, ma si disse che non aveva nessuna intenzione di andarci. Era davvero molto lontana, a un giorno di cammino o forse di più e ad ogni modo dubitava potesse trovare un qualche aiuto laggiù. Al momento aveva altro a cui pensare come il cercare di capire dove si trovasse. A memoria non ricordava di aver mai visitato un luogo simile in vita sua, non era a Idris e nemmeno a New York o in una qualsiasi altra città popolosa. Se così fosse stato, se fosse riuscito a trovare almeno un villaggio avrebbe potuto capire come raggiungere l’Istituto più vicino e quindi avrebbe avuto un modo per tornare a casa. Ma Alec continuava a essere solo, senza traccia di paesini o case sperdute e, a distanza di minuti, ancora non aveva idea di come avesse fatto a finirci. Che Magnus avesse sbagliato ad aprire il portale? Si chiese, salvo poi scacciare immediatamente il pensiero. Oltre al fatto che era uno stregone potente e molto capace, che non aveva davvero commesso un errore da quando lo conosceva, ricordava di essere effettivamente arrivato a destinazione. Un edificio religioso con una bella croce sopra al tetto si era aperto davanti ai suoi occhi, non appena arrivato a Stoccolma. Soltanto che subito dopo era sparito dentro a quella luce ed era ricomparso in un luogo misterioso, che gli pareva in tutto e per tutto il soggetto di un quadro d’autore. Pareva uno di quei dipinti che Clary era solita abbozzare sulle tante tele che ammonticchiava nella propria stanza. Non poteva dire che fosse un brutto posto, al contrario era molto più che piacevole: il sole era caldo, c’era un delicato profumo di fiori nell’aria e dal mare spirava un venticello fresco. Se solo non fosse stato così confuso e spaventato, probabilmente sarebbe riuscito a godersi la natura. Al momento, tuttavia, fiori e piante erano l’ultima cosa che aveva in mente. I pensieri più assurdi stavano già iniziando ad affollarsi; era stato rapito? Questo era sicuro, non era capitato dentro a un portale di quelle dimensioni per sbaglio, inoltre vi era anche entrato senza sapere dove questo conducesse. Era dunque finito nel limbo? Alec non lo sapeva, ma senza dubbio non se l’era mai immaginato in questo modo. Non sembrava esserci traccia di demoni o creature malvagie e, chiunque lo avesse rapito, ancora non si era palesato. Per il momento non sembrava esserci nulla di pericoloso là attorno, anzi non poté proprio negare ci fosse come un’aura magica dai toni piacevoli. C’erano anche delle creature Seelie, perché era sicuro di aver notato un unicorno in lontananza che con passo placido si era diretto verso la spiaggia. Però l'atmosfera che aleggiava era ben diversa da quella sensazione di stordimento ovattato che provava ogni volta che entrava nella corte Seelie, quella era tutto sommato sgradevole, qui invece si sentiva benissimo. Magnus avrebbe amato essere accanto a lui, nonostante adorasse immergersi nel caos di New York o venisse catturato dall’eccentricità tipica di certe metropoli orientali, suo marito adorava i luoghi tranquilli dai panorami suggestivi. E lì era tutto così silenzioso… L’aria era pulita e i suoni della natura erano rilassanti, al punto che ebbero il potere di scacciare ogni traccia di paura. Più profondamente ispirava, meglio si sentiva. Era come se avesse raggiunto la perfezione e fosse finalmente riuscito a sfiorarla dopo tanta fatica. Era magia, ma una delle più pure che avesse mai avuto la fortuna di percepire. C’erano senz’altro creature magiche là attorno, teoria che venne consolidata quando una pixie gli volò a un palmo dal naso. Questa si era fermata a guardarlo per un istante, ma poi era sfrecciata via di nuovo a gran velocità.
«Ehi, tu» aveva tentato, inutilmente, dato che quella era sparita dalla sua visuale in meno di un istante. Aveva anche provato a inseguirla: magari là tra i cespugli ce n’erano delle altre, ma fu allora che l’angelo gli apparve.

 

Alec non ne aveva mai visto uno, non era stato fortunato quanto Clary che ne aveva incontrati addirittura due. Per un momento fu tentato di non crederci, di pensare che fosse un’illusione. Quando però iniziò a percepire un calore avvolgente dentro lo stomaco e una sconfinata sensazione di pace interiore, capì che quello che galleggiava a mezz’aria e che occupava gran parte dello spazio antistante l’ingresso della torre con le sue magnifiche ali bianche, contornate da un alone dorato, era un angelo vero e proprio. Quando atterrò a meno di un metro da lui, ripiegando le ali dietro la schiena, Alec ebbe modo di osservarlo più da vicino. Lui lo stava guardando dritto negli occhi, era bellissimo e di una purezza ultraterrena che lo incantò. La cosa più simile che avesse visto era stata una luce su uno schermo, la volta in cui Jace e Clary avevano salvato Ithuriel dalla prigionia di Valentine, anni prima, ma di certo non era stato sufficiente a farsi un’idea di come fossero realmente. Aveva ammirato, estasiato, certi ritratti di Raziel o di altri angeli sui libri o sui dipinti, molti pittori si erano prodigati a cercare di catturare la loro superiorità, ma in quei frangenti comprese che nessuno avrebbe mai potuto neanche lontanamente avvicinarsi.
«Shadowhunter!» esclamò l’angelo, rivolgendoglisi direttamente. Aveva una voce potente eppure dolce al tempo stesso, come di amore assoluto. Alec notò che aveva ricci capelli biondi sopra la testa, indossava una sorta di armatura fatta di cuoio sopra a una tunica bianca mentre, alla vita, portava una spada. Chi era? Qual era il suo nome e perché gli si rivelava in quel modo? Gli esseri come lui scendevano sulla terra solo se chiamati e anche allora era facile scatenare la loro ira. Clary aveva evocato Ithuriel una volta, ma oltre ad averlo salvato, aveva con lui un legame di sangue. Alec invece si rese conto che non aveva alcun legame speciale con nessuno che non fosse Jace, quindi cosa poteva mai volere da lui? Non lo sapeva; si ritrovò semplicemente al suo cospetto e con l’infantile voglia di allungare le dita per poterlo toccare da vicino, accertandosi così che fosse effettivamente a un palmo dal suo naso. Non lo fece, al contrario strinse le mani a pugno facendole ricadere lungo i fianchi. Alec ignorava quanti esseri umani avessero sperimentato un qualcosa di simile prima di lui, scioccamente si chiese se tutte quelle persone avessero provato quel miscuglio di sensazioni diverse che andava dalla paura alla felicità. Decise di non pensarci e, inspirando lentamente, rivolse le attenzioni all’essere celeste che ora lo guardava da dietro ai suoi ricci biondi.


 

Tutto ciò che Alec Lightwood sapeva degli angeli lo aveva letto nei libri, sebbene quanto di più concreto aveva imparato, glielo aveva insegnato Clary con i suoi racconti. La maggior parte delle leggende che giravano a riguardo avevano la stessa valenza delle favole per i mondani. Erano né più né meno che esseri mitici che parlavano per enigmi, spesso durante i sogni, i cui messaggi erano quasi sempre di difficile interpretazione. Fu proprio questo su cui si concentrò negli attimi a venire. Se voleva capire davvero dove fosse finito e perché, avrebbe dovuto porre le domande giuste.
«Chi sei?» si azzardò a chiedere, facendosi piccolo piccolo nella speranza che l’angelo non si arrabbiasse con lui. Forse non era una domanda prettamente sensata, ma la curiosità aveva prevalso di molto sulla logica.
«Gabriel è il mio nome» replicò questi. «Sono l’arcangelo messaggero e ne ho uno da consegnare a te.» Un messaggio? Da parte di chi? Chi poteva essere tanto potente da usare un angelo come Gabriel per dire qualcosa a un semplice e banale Shadowhunter? Certamente non si trattava di un essere mortale, neanche un Principe dell’Inferno sarebbe stato tanto sfacciato da utilizzare un arcangelo come postino. Avrebbe voluto saperne di più, ma invece che pensarci ancora, decise di concentrarsi sul lato più pratico della vicenda. Anche se glielo avesse detto non sarebbe cambiato granché, era la sostanza a contare in quel momento.

«Quale messaggio?» domandò, confuso e curioso in egual misura. Gabriel non gli sembrava ostile, ma oltre alle cose che dicevano, erano anche le loro espressioni a essere criptiche. Sentì un moto di paura strizzargli lo stomaco, quando gli angeli mandavano messaggi non era mai davvero un buon segno. Che si trattasse di Dio o di chissà chi, se avevano qualcosa da dirti era perché erano arrabbiati con te. Alec, però, sentiva di non aver fatto nulla di sbagliato. Era forse per l’alleanza con i Nascosti? In fondo erano per metà demoni e spesso, pur avendo sangue di angelo come le fate, erano ambigui. Magari volevano punirlo per aver permesso loro di entrare nelle sacre stanze dei Nephilim, a Idris.


«La maledizione va spezzata» replicò l’angelo, in modo enigmatico, mandando all’aria tutte le sue teorie. No, non era per i Nascosti, ma per una maledizione, sebbene non avesse idea di quale questa potesse essere o su chi fosse stata lanciata. Ma più di tutto: Alec che poteva avere a che fare con una cosa del genere? E come poteva spezzarla? Non era uno stregone, aveva dei semplici poteri da Nephilim e neanche potenziati come quelli di Jace o Clary. Forse l’angelo aveva commesso un errore, magari aveva preso lo Shadowhunter sbagliato. Anche se forse… magari era lui a essere stato maledetto! Nah, impossibile, pensò allontanando quella paura. Se così fosse stato, Magnus se ne sarebbe accorto.
«Non sono uno stregone, non so spezzare le maledizioni» ammise, quasi vergognandosi. «Sono solo un Nephilim, forse con i poteri di Jace o quelli di Clary potrei aiutarti, ma non possiedo niente di speciale.» Senz’altro aveva rapito la persona sbagliata, sebbene gli sembrasse assurdo il pensiero che gli angeli avessero centrato male il bersaglio.
«Riuscirai a farlo, Alexander» ribatté «ma solo quando Lealtà, Magia e Coraggio si uniranno. Insieme spezzerete l’incantesimo che colpisce questo luogo.»
«Ga-Gabriel» balbettò, a disagio nel rivolgersi in quel modo a un essere celeste. «Signore, io non capisco» ammise, di nuovo vergognandosi e arrossendo visibilmente sulle guance. Si sentiva un cretino a non capire, probabilmente presto si sarebbe arrabbiato con lui. 

«Vai nella torre» rispose invece l’angelo, calmo, indicando con un dito la cima dell’alto edificio. «Proteggi ciò che contiene. La loro magia è allo stremo delle forze, non potranno difendersi ancora per molto. I demoni seguitano ad attaccare, ogni notte in una moltitudine che sembra non avere fine. Muta per sempre il loro tragico destino, Alexander.»
«Quindi sono qui per salvare qualcuno» annuì, comprensivo. Ora era tutto più chiaro. Era venuto per aiutare altre due persone a spezzare una maledizione. Forse Magia e Coraggio lo stavano aspettando in cima a quell’edificio.
«Bene, lo farò!» esclamò, determinato. «Ucciderò tutti i demoni che vuoi, Gabriel» disse Alec, con fierezza. Era il suo compito, d’altra parte. Era nato per sconfiggere il male, si era allenato tutta la vita per farlo al meglio delle sue possibilità, non poteva rifiutarsi se era addirittura un angelo a chiederglielo.
«Ma chi devo proteggere?» si azzardò a domandare, ancora un po’ confuso. Questo, non lo aveva detto.
«Coloro che sono stati maledetti sono il sangue del vostro sangue, giovane Shadowhunter» disse l’angelo con fare solenne e, nel notare la maniera in cui aveva parlato, ebbe la strana sensazione che avesse addolcito i toni. Il sangue del loro sangue? Suo e di chi?
«I figli tuoi e dello stregone Magnus Bane» aggiunse, quasi gli avesse letto nel pensiero. I figli… Che cosa?
«M-ma io e Magnus no…» balbettò, si sentiva a disagio ed era confuso. Continuava a non capirci un accidenti di niente e aveva sempre l’impressione che l’angelo stesse proprio sbagliando persona. Lui? Che doveva proteggere due bambini sotto una maledizione che, guarda caso, erano figli suoi? Era impossibile che potesse essere vero. Lui non aveva mai… Con una donna, non aveva mai fatto l’amore con nessuno che non fosse Magnus.
«Lui arriverà» disse ancora l’angelo. «Così come il Nephilim nelle cui vene scorre la stessa essenza di mio fratello Ithuriel.»
«Jace» annuì Alec, comprensivo. Il quadro si stava via via completando, sebbene a fatica. «Jace e Magnus verranno qui e mi aiuteranno e spezzare la maledizione? E i miei figli saranno liberi?»
«Esatto» disse l’angelo. «Ma ti avverto che puoi andartene, il mio non è un obbligo. La scelta deve essere tua, potrai tornare da dove sei venuto e dimenticare tutto questo. Oppure potrai decidere di restare, aspettare chi è destinato a stare al tuo fianco e salvare la tua progenie.» Scappare? Lui? Mai! 

 

Alec Lightwood non aveva ancora pensato ad avere un figlio. Lui e Magnus avevano accennato alla cosa, ma a dire il vero non avevano fatto un discorso serio, perché negli ultimi tempi il lavoro aveva assorbito entrambi e comunque preferivano godersi il matrimonio, almeno per il momento. Non correndo il rischio di rimanere incinti, avevano semplicemente rimandato la questione. D’altra parte, stare con uno stregone aveva anche dei vantaggi a cui avrebbero dovuto rinunciare con un neonato al seguito. La sua vita al momento era fatta di cene a Parigi, colazioni a Tokyo e di domeniche trascorse sulle calde spiagge del Messico. Non aveva neanche idea di come si crescesse un bambino, figurarsi due. Ancora non sapeva come fosse possibile che quegli esserini fossero al mondo, ma come poteva pensare di abbandonarli? Era fuori discussione che facesse una cosa tanto abominevole. Non li aveva neppure mai visti, ma sentiva già di amarli con tutto quanto se stesso, non avrebbe potuto lasciarli soli in un posto del genere. Gabriel aveva detto che i demoni li attaccavano di continuo e che la loro magia era allo stremo, quindi avevano i poteri di Magnus. Dovevano essere bambini speciali, forse per questo li volevano. Beh, qualunque fosse la ragione, non poteva lasciarli soli.
«Rimarrò» annuì, deciso.
«Non sono stupito» replicò Gabriel, sorridendo compiaciuto. «Rappresenti la lealtà per una ragione.»
«Vorrei solo avvisare Magnus che…»
«No!» lo interruppe bruscamente l’angelo, mostrando soltanto allora e, per la prima volta, una discreta rabbia che ebbe il potere di spaventarlo. Il cielo si era rabbuiato all’improvviso e un lampo era caduto a pochi metri da dove si trovavano. «Jonathan e lo stregone figlio di Asmodeo avranno un percorso da compiere, il loro viaggio attraverso la foresta incantata deve ancora cominciare. Non provare a contattarli.»  
«Ho capito!» No, in realtà non ci stava capendo un accidenti di niente, ma si ritrovò ad annuire e basta. Se non poteva telefonare a Magnus e neanche mandargli un messaggio di fuoco, doveva aspettare il loro arrivo. Ma a questo punto rimaneva solo una cosa, c’era un particolare che voleva sapere: «Vorrei farti una domanda, Gabriel: questi bambini come sono nati? Da chi sono nati? Noi siamo disposti ad accoglierli, ma è impossibile che abbiano il nostro sangue. Gli stregoni sono sterili e inoltre io non…» 
«Siete stati benedetti, Alexander» lo interruppe l’angelo, salvandolo dall’imbarazzo. «I vostri bambini nascono dall’amore che vi lega, sono l’unione delle vostre essenze. Per metà Nephilim, per metà stregoni.» Per metà… Questo era impossibile! E assurdo, oh, era la cosa più assurda che avesse mai sentito. Per essere degli stregoni si doveva essere figli di un demone, gli stregoni stessi non potevano avere figli e in più erano due uomini, come avevano potuto... Quello che stava dicendo era assurdo.
«L’inganno di Asmodeo ai tuoi danni, il sacrificio che eri pronto a compiere per il bene dello stregone non è passato inosservato ed è stato giudicato. Tu sei stato giudicato. I bambini sono la vostra benedizione, la tua benedizione, giovane Shadowhunter.» Era stato giudicato? Gli angeli avevano visto quello che aveva fatto per Magnus e lo avevano benedetto? Oh, per la miseria! Oh per la santissima miseria! 

 

Le benedizioni erano praticamente una leggenda, perché nessuno era sicuro che fossero mai esistite. Per i demoni era diverso dato che le antiche maledizioni, sebbene fossero rare, popolavano la terra fin dall’alba dei tempi. I Principi dell’inferno erano angeli caduti dopo la rivolta di Lucifero, ma contrariamente agli esseri celesti avevano tutti gli interessi di unirsi ai mortali. Quando questo succedeva, davano vita a un’antica maledizione, uno stregone più potente di tutti gli altri. Magnus era un’antica maledizione. * Così come la sua amica Tessa Gray, nel cui sangue però scorreva anche quello dei Nephilim. Era molto più facile che i demoni si prodigassero per riempire il mondo con la loro progenie, ma gli angeli non avevano mai dato segno di essere interessati a riempire il mondo di benedizioni, anche perché gli Shadowhunter stessi erano tecnicamente già figli loro, già combattevano in loro in nome. Si diceva però che le benedizioni fossero dei Nephilim più potenti di un qualsiasi altro, molto più di Jace e Clary che comunque avevano abilità fuori dal comune. Ma anima viva ci aveva mai creduto per davvero, erano soltanto storie. E ora scopriva che lui e Magnus erano stati benedetti? Già ma che voleva dire? Alec non lo sapeva, era soltanto certo del fatto che dopo aver sbattuto le palpebre, l’angelo era sparito.
«I vostri figli sono la nostra benedizione» aveva ribadito, quando il suo corpo era scomparso, la sua voce era riecheggiata per minuti in quella verde vallata e si era ritrovato solo, con troppe domande e uno strano senso di felicità a divorargli lo stomaco.

 

Nella foga del momento, Alec aveva fatto caso a malapena alla quantità di armi sistemata appena oltre l’ingresso della torre. Eppure quelle se ne stavano alla base delle scale, gettate con molta meno cura di quanta non ne avrebbe dedicata uno Shadowhunter competente, erano proprio spade di puro adamas. C’erano anche molte frecce, un paio di mazzafrusti e addirittura un arco. Nei giorni a venire le avrebbe associate a quelle stesse che erano sparite dall’Istituto di Stoccolma, evidentemente gli angeli le avevano prese da lì, ma in quei frangenti a tutto pensò tranne che a quello. Era corso su per le scale alla più non posso, senza neppure fermarsi e nonostante, all’ottantesimo gradino, il fiato stesse reclamando pietà. Non poteva fare soste, doveva vederli. Le parole dell’angelo ancora gli giravano in testa e lui faticava a crederci, erano davvero i suoi figli quelli di cui aveva gli parlato? Ancora gli sembrava così assurdo. L’idea stessa di aver ricevuto una benedizione era impensabile e lo era soprattutto per aver fatto un qualcosa che aveva sempre considerato come un atto non poi così degno di nota. Alec non aveva più pensato al doloroso momento in cui aveva ceduto al ricatto di Asmodeo, lasciando Magnus. Era stato uno dei momenti più bui della sua vita e preferiva dimenticarlo. Però mai lo aveva considerato un sacrificio degno d’essere lodato. Lo aveva fatto perché era giusto, era impensabile continuare a vivere sapendo che l’uomo che amava non si sarebbe mai più sentito completo. Avrebbe rinunciato a tutto per lui e all’epoca, nonostante il suo cuore gli avesse urlato ripetutamente di non farlo, riteneva che fosse l’unica soluzione plausibile. Alec aveva vissuto quei giorni di devastante sofferenza con la consapevolezza che non se ne sarebbe mai pentito, ma intanto che volava su per quei cento gradini con i suoi figli che lo aspettavano, si rese conto di aver avuto ancora più ragione. Il suo sacrificio era valso a qualcosa che andava oltre ogni immaginazione, e ora era stato benedetto. 

 


«Oh!» esclamò una volta giunto sulla soglia. A un certo punto le scale erano finite e si era ritrovato in una stanza circolare. Sebbene non fosse troppo grande in quanto a dimensioni, pareva accessoriata di tutto. Un letto a baldacchino stava al centro e aveva tutta l’aria di essere molto comodo mentre, proprio davanti a esso, era stata posizionata una culla. Doveva esserci anche un bagno minuscolo che si apriva sulla destra rispetto all’entrata, ma sulle prime non ci fece caso. In verità si era bloccato là all’entrata, non riusciva a distogliere lo sguardo dal lettino per neonati a pochi metri da lui. Era così reale, si disse scioccamente, ancora in piccola parte convinto che si trattasse di un sogno. Davanti al letto c’era una culla, sembrava di pregiata fattura: aveva una struttura in legno imbottita di morbidi cuscini, le piccole lenzuola erano bianche mentre una copertina, calda e morbida, teneva i due piccoli al riparo dal freddo. Sopra di essa era stato cucito con fili d’oro il simbolo degli Shadowhunter, era la runa dell’angelo a simboleggiare la loro appartenenza ai Nephilim. Perché loro erano anche figli suoi, ricordò Alec, erano davvero là dentro ed erano reali. Vivi e sorridenti, sgambettavano come forsennati e, oh cielo, erano belli da togliere il fiato! Sembravano stare bene, osservò notando che non c’era alcun segno di ferite. Ognuno vestiva con una tutina azzurra, su tutte e due erano state ricamate delle lettere: i nomi dei bambini. Quello più a sinistra si chiamava Max mentre il secondo Rafael. ** Alec si avvicinò con fare cauto, dosando i gesti e tenendo le labbra ben serrate, quasi evitando di respirare troppo rumorosamente per non spaventarli. Erano svegli e ora lo guardavano con occhi grandi e curiosi. Somigliavano molto a Magnus e non soltanto per gli spruzzi di magia che uscivano loro dalle dita, in maniera per altro piacevolmente incontrollata, ma soprattutto per via del colore della pelle, più ambrato rispetto al suo e al taglio degli occhi, tipicamente orientale. Avevano qualcosa anche dei Lightwood e dei Trueblood. Max aveva la forma del viso identica a quella di Alec e Rafael invece aveva i suoi stessi capelli. I bambini tuttavia avevano un particolare che con la sua famiglia c’entrava ben poco e che sulle prime lo fece sussultare, a ricordargli in maniera incredibile il suo stregone erano proprio i loro sguardi. Avevano lo stesso marchio! Il simbolo degli Asmodeo erano occhi da gatto del colore dell’ambra che non avevano smesso un solo istante di seguire i suoi movimenti. Alec fu accarezzato da un pensiero, intanto che si faceva ancora più vicino. I bambini sembravano possedere le migliori qualità di entrambi, come se gli angeli avessero scelto ciò che avevano da offrire e avessero giocato, creando quelle creature. Era possibile una cosa del genere? In passato avrebbe detto che era una fantasia, ma gli accadimenti dell’ultimo anno e mezzo, e ciò che la stessa Clary pareva essere in grado di fare grazie alle rune, gli ricordava che niente era davvero impossibile quando c’erano gli angeli di mezzo. Alec fece un altro passo in avanti, ritrovandosi a torreggiare sopra la culla. Il primo dei due, Max, iniziò a sorridergli e ad agitare le manine quasi volesse essere preso in braccio. Che strano, era come se per istinto avessero capito chi fosse, quasi lo avessero riconosciuto all’istante. Alec girò attorno al lettino, con più calma, si sporse sopra di esso e a voce sussurrata disse: «Ciao, sembra che io sia vostro padre. Assurdo, vero?» I piccoli smisero improvvisamente di agitare gambe e braccia, iniziando a fissarlo come se fossero stati incantati da una stregoneria. Poi cominciarono a ridere.

 

«Ti hanno riconosciuto!» esclamò una vocetta roca alle sue spalle. Alec sobbalzò, spaventato. Non aveva armi con sé, ma l’addestramento lo spinse a voltarsi di scatto e ad alzare la guardia, mettendosi di fronte alla culla così da riuscire a proteggerla nella maniera migliore. Quando però si girò, posando gli occhi su quello che pareva a tutti gli effetti un Leprecauno, spalancò la bocca e abbassò i pugni stretti. Gli gnomi, anche quelli irlandesi, forse li si poteva accusare di avarizia, ma non erano cattivi.
«Tu chi sei?» chiese, posando un braccio teso sopra la culla come se volesse ancora difendere i suoi figli. Max e Rafe, tuttavia, non parevano affatto spaventati, al contrario sembravano felici di vederlo, come se fossero abituati alla sua presenza.
«Il guardiano del ponte!» esclamò questi, come se quella frase di per sé potesse rispondere a tutte le domande. In realtà non spiegava un bel niente, ma i Leprecauni erano rissosi e orgogliosi per natura, quindi evitò di farglielo notare, scegliendo un più saggio silenzio.
«Ho visto l’arrivo dell’angelo» spiegò, entrando nella stanza con la sua camminata claudicante, appoggiandosi al rugoso bastone che teneva saldamente stretto in una mano. «E, sai, in attesa che la Magia e il Coraggio si decidano a portare le rispettive terga al mio cospetto, ho pensato di venire a controllare. Avrai molte domande.» Molte? A centinaia in effetti e Gabriel aveva risposto sì e no a un paio. Magari quello gnomo ne sapeva di più.
«Tu sapevi dei bambini?»
«Ma certo» rispose il Leprecauno, facendosi ancora più avanti. Quando si avvicinò al lettino, si alzò sulle punte dei piedi e iniziò a far ondeggiare sopra di essa una sorta di sonaglio fatto interamente d’oro. I bambini presero a urlare di felicità, agitando le manine. Adesso era evidente che lo conoscessero.
«Amano le cose che brillano» disse, senza smettere di agitare quel rudimentale sonaglino, che creava degli spettacolari luccichii sul soffitto. Max e Rafael ne parevano rapiti. Quelle parole, pronunciate con affetto, suscitarono in Alec un piccolo sorriso.
«Come il loro padre» sussurrò, parlando fra sé. Quando il Leprecauno si voltò, squadrandolo da capo a piedi, al punto che sembrava voler giudicare il suo vestiario fatto di abiti monocolore, Alec si sentì in dovere di specificare: «L’altro padre, lo stregone. Lui adora le cose che brillano, è sempre luccicante. Gli abiti, il trucco… Penso abbiano preso da lui.» Amava l’idea che somigliassero a Magnus, che avessero qualcosa di lui che andasse al di là dei tratti somatici.

«Somigliano anche a te» disse il Leprecauno, accennando a un sorriso. «Ad ogni modo sono arrivati un paio di mesi fa, circa» spiegò lo gnomo, senza smettere di farli giocare né di distogliere lo sguardo dai piccoli. «L’angelo ha detto che sono sotto una maledizione e che non possono uscire dalla torre. Aveva anche detto che presto i suoi genitori sarebbero venuti a prenderli, ma nell’attesa ce ne siamo presi cura noi della foresta. Io di solito vengo la mattina, ma qui ci sono centinaia di creature tra fate, pixie, fauni… Sono venuti tutti a trovarli e a dare una mano.»
«Grazie per quello che avete fatto» mormorò Alec, non li avrebbe mai ringraziati abbastanza. Se erano vivi e in salute, era soprattutto per merito di quelle creature. Quasi però se ne sentì in colpa, se solo avesse avuto idea sarebbe venuto prima a salvarli e invece erano rimasti soli per tutto quel tempo, circondati da individui che non erano la loro famiglia.
«Grazie dal profondo del cuore» mormorò, chinandosi su Max e Rafe e accarezzando la fronte di entrambi con le punte delle dita. Sotto al suo tocco caldo avevano cominciato a sbadigliare sonoramente. «Non ne sapevamo niente. Io ero a Stoccolma e poi mi sono ritrovato qui, Gabriel mi ha detto tutto e ancora fatico a credere che siano miei.»
«Per come la vedo, Shadowhunter, è una fortuna che tu sia arrivato» mormorò il Leprecauno, dando sfogo a tutta la sua preoccupazione e assumendo improvvisamente un’espressione più grave. Aveva riposto il sonaglio nella tasca della giacca verde che indossava e aveva appoggiato entrambe le mani sul bastone. «La notte arrivano orde di demoni pronti ad attaccarli, questi piccoli si difendono come possono e noi li aiutiamo sempre, ma servirebbe un gambe lunghe come te. Le loro barriere magiche hanno protetto l’intera vallata per settimane, ma ultimamente vacillano. Sono esausti e i demoni entrano sempre più spesso anche durante il giorno.» Il Leprecauno sospirò, c’era amarezza sul suo viso e una paura che si tratteneva dal mostrare, quasi provasse una sorta di pudore nel farsi vedere spaventato. «Avrai un bel da fare con quegli esseri» riprese, indicando l’esterno che si intravvedeva da una finestra. «I tuoi figli sono creature uniche nel loro genere, per metà Shadowhunter, per metà stregoni e per di più sono nati grazie a una benedizione. Non è mai successa una cosa simile nella storia, proprio mai» negò quello, scrollando il capo e picchiando il bastone a terra. Questo fece uno schiocco secco nella stanza, accanto a lui Max si agitò, ma Alec portò una mano sul suo pancino accarezzandolo delicatamente così da calmarlo.
«Io l’ho detto all’angelo: i demoni li vogliono e sono sempre più aggressivi, ma lui dice che soltanto voi altri potete spezzare l’incanto. Spero solo che i tuoi compari si sbrighino ad arrivare.»
«Lo spero anch’io» mormorò Alec, con fare meditabondo. Quindi era così che stavano le cose, erano intrappolati là dentro perché i demoni li volevano, non stentava a credere a una cosa del genere. Le benedizioni erano talmente rare, che tutti avevano creduto fossero una leggenda per secoli ed era certo che se anche lo avesse raccontato, praticamente nessuno gli avrebbe creduto. E invece eccole lì, le sue due benedizioni pensò, sorridendo dolcemente.
«Ah, se hai bisogno di me chiedi pure alle fate e io arriverò in un lampo. E stai attento alle pixie o ti ruberanno anche le mutande.» Alec ridacchiò, ringraziandolo con un cenno, prima che questi sparisse giù per le scale. I bambini si erano addormentati profondamente. Rimasto solo, crollò sul letto a peso morto, guardando il soffitto di quella torre. Quante cose in una sola mattina… Era iniziata come una normale giornata e ora si ritrovava padre di due gemelli speciali, bloccato in un posto sperduto chissà dove. Oh beh, almeno questo lo aveva capito. Considerato che lo gnomo era vestito di verde, allora era un Leprecauno e quindi era in Irlanda. Non aveva idea di quanto tempo sarebbe rimasto lì, ma Jace e Magnus sarebbero arrivati e poi, insieme, avrebbero spezzato la maledizione. Alec non aveva idea di come si potesse fare, ma non vedeva l’ora che succedesse. Non vedeva l’ora che Magnus li vedesse e che tutti insieme potessero tornare a casa come la famiglia che sarebbero stati. Determinato a fare qualcosa di utile e, con lo stomaco che già brontolava, si alzò di scatto dal letto. Era ora di esplorare la torre!


 

I giorni a venire furono caotici, in futuro Alec avrebbe ricordato il suo mendicare aiuto alle fate per un paio d’ore di sonno e l’essere perennemente esausto. Le creature magiche di tanto in tanto venivano a trovarlo e lo aiutavano con i bambini, e non li avrebbe mai ringraziati abbastanza per questo. Aveva chiesto a una delle fate se poteva occuparsi di Max e Rafael durante la notte mentre lui era fuori a uccidere demoni, si sentiva più sicuro se sapeva che con loro c’era qualcuno. La lotta era estenuante e Alec non aveva mai desiderato avere accanto il suo Parabatai come in quei momenti. Certi giorni durava anche fino all’alba e, solamente allora, stremato, si buttava sul letto e dormiva per l’intera mattinata. Quando non veniva svegliato dal pianto dei bambini che dovevano essere cambiati, era quel Leprecauno a fare rumore con il suo dannato sonaglino scintillante. Alec non se ne lamentava troppo, presto non sarebbe stato più solo e tutto quello sarebbe finito, era l’unica speranza che aveva. La sola cosa che tenesse a bada la paura di fallire, il timore che uno dei demoni arrivasse fino in cima alla torre, prendendo i bambini. Per questo, le sue tecniche di lotta erano diventate meno brutali con il passare delle notti, più tattiche. Pensava sempre a Jace, a come avrebbe fatto da solo contro tutti quei demoni e faceva alla stessa maniera. Suo fratello era sempre pieno di risorse e quindi si immaginava di essere come lui e uccideva un demone dopo l’altro, cercando di sprecare meno frecce possibili, preferendo la spada. Stava diventando sempre più bravo anche a gestire i bambini, sebbene si fosse reso conto fin da subito che fosse molto più facile decapitare demoni raul che cambiare pannolini. Le creature Seelie e Unseelie che popolavano la vallata si erano dimostrate tutte molto collaborative e gentili, Alec poteva scommettere che il merito di tanta armonia tra di loro fosse dell’angelo, ma ugualmente era loro molto grato. Tanto per fare un esempio, le Pixie non erano sempre ladre. Davano anche da mangiare ai bambini e li facevano giocare intanto che Alec dormiva, anche se ogni tanto gli rubavano un bottone dalla camicia o gli facevano sparire lo stilo, che infatti aveva iniziato a portare sempre con sé. Senz’altro, poi, era stato esilarante quando il Leprecauno gli aveva insegnato come cambiare i pannolini a Rafe e Max, e il tutto senza usare la potente magia degli gnomi. All’inizio era stato un discreto disastro, non c’era creatura magica che non lo prendesse in giro per la sua totale incapacità o per la quantità di volte che i piccoli gli avevano vomitato addosso, dopo la pappa. Alec stesso aveva iniziato a pensare che non avesse poi tutte queste qualità come padre, ma con il tempo era migliorato e ora riusciva a cavarsela da solo in ogni situazione. Aveva imparato come cullarli, come dar loro il biberon, aveva capito che era meglio non ondeggiare troppo se avevano appena mangiato, un’epifania che gli aveva cambiato la vita. Per farli addormentare, la sera, cantava loro una canzone così che i sogni che facevano potessero essere il più possibile sereni. Non era sicuro di essere perfettamente intonato, ma quella ninna nanna l’aveva sentita cantare da sua madre Maryse a tutti i suoi fratelli e fare lo stesso per quei piccoli era stato istintivo. Al termine di ogni giornata, poi, dopo averli sistemati nel lettino e aver dato loro un bacio, aspettava che i demoni arrivassero e allora la sua lotta per difendere coloro che già amava con tutto quanto se stesso, iniziava. 

 

Era il tardo pomeriggio del sesto giorno, quando arrivarono. Nonostante avesse sperato di vedere le loro sagome spuntare all’orizzonte praticamente ogni volta che si ritrovava a guardare speranzoso oltre la linea delle siepi di mirto, che delimitavano la radura antistante la torre, fu costretto ad ammettere di non essersi accorto subito che qualcuno si stava avvicinando. In genere era sufficiente guardare fuori da una delle due finestre, per capirlo, dato che la vegetazione non consentiva di nascondersi con particolare accuratezza, considerato che per la maggior parte era popolata di arbusti d’erica. Quel giorno, tuttavia, Alec era stato fintanto distratto. Il piccolo Max aveva pianto per l’intero pomeriggio e a riguardo si era scervellato su come farlo sentire meglio. Erano colichette, non era granché esperto a riguardo, ma un fauno glielo aveva urlato dal fondo delle scale, aggiungendo di massaggiargli il pancino così che potesse tacere per l’amor dell’angelo, così aveva aggiunto poi, sparendo tra la vegetazione. Anche quando aveva smesso di piangere, Alec non si era sentito comunque a proprio agio. Se Jace e Magnus si erano fatti più vicini, lui non li aveva proprio visti perché impegnato. Aveva appena posato Max nella culla, dando un’occhiata anche a Rafe, che però sembrava assolutamente tranquillo, quando si era stiracchiato i muscoli indolenziti della schiena. Passando accanto alla finestra aveva notato soltanto un luccichio tra i cespugli, che aveva immediatamente attirato la sua attenzione. Non gli ci era voluto molto per capire che una pixie gli aveva rubato una freccia. Era successo spesso, aveva pensato ricordandosi delle numerose volte in cui era corso giù per le scale alla stessa identica maniera.
«Ridammela, dannata fata!» aveva esclamato, affrettandosi in direzione del luccichio, che già aveva superato le siepi, arrivando sino alla spiaggia. Non si allontanava mai troppo dalla torre, non voleva lasciare i piccoli soli, ma quel giorno giunse fino al bagnasciuga perché sapeva che ogni arma era fondamentale quando si combatteva contro orde di demoni. Inoltre il sole stava già calando, questo voleva dire che presto sarebbero arrivati. Alec dedicò un’occhiata al tramonto, al cielo che diventava arancione e alla brezza marina che si faceva più pungente e sospirò, avrebbe davvero voluto godersi di più la bellezza di quel posto, ma se non era a uccidere demoni, stava cambiando pannolini. Non aveva proprio il tempo per oziare. Quando abbassò gli occhi notò che la sua freccia stava lì, tra i sassi bianchi della spiaggia. Si guardò anche attorno, ma la pixie che gliel’aveva portata via era svanita nel nulla. Dannate fate!
«State lontano dalle mie armi! Avete capito?» urlò, brandendo quel piccolo oggetto come se fosse stata una spada vera e propria. Lo stavano di certo ascoltando e probabilmente avevano anche iniziato a ridere di lui, lo facevano spesso in effetti.

«Giusto perché lo ricordiate» gridò e la sua voce venne di nuovo portata via dal vento, spegnendosi in un’eco lontana. «Difendo anche voi con queste» aggiunse, calpestando il terreno con ancora più forza. Marciava diretto alla torre, che vide non appena si fu districato attraverso i rovi. Spuntato al di là siepe, Alec alzò il viso e fu allora che li vide: Jace e Magnus stavano entrambi davanti all’entrata e guardavano con curiosità dentro la porta lasciata aperta. Nella foga della corsa non l’aveva chiusa, dannazione! Il sole era già calato e quelli erano certamente dei demoni che avevano assunto le fattezze di persone a lui note, non era la prima volta che lo facevano o che alcune fate annoiate gli causavano allucinazioni. Sulle prime, notando il modo in cui insistevano per guardare all’interno della vecchia torre, Alec si irrigidì. Non lo avevano ancora notato e allora in risposta strinse la presa sulla sola arma che aveva tra le mani, la freccia era troppo sottile perché gli desse soddisfazione tenerla a quel modo, non era come l’elsa di una lama angelica, perfetta per essere impugnata. Inoltre era davvero troppo poco per uccidere due demoni mutaforma e il resto delle armi era oltre quella porta, avrebbe dovuto inventarsi qualcosa per farli fuori tutti e due. C’era da dire, però, che quei demoni sembravano stranamente confusi e si guardavano attorno come se non capissero dove si trovassero, forse sarebbe stato più facile del previsto.
«Non l’avete ancora capito?» urlò, rabbioso, facendo sussultare entrambi mentre brandiva nuovamente quella punta di freccia. I due demoni si voltarono in sua direzione, erano insolitamente spaventati e quando avevano sentito la sua voce avevano sobbalzato in maniera vistosa. Alec aveva visto chiaramente le espressioni di quel finto Magnus cambiare nell’arco di qualche istante, dallo stupore alla gioia in meno di un battito di ciglia. Il falso Jace mostrava sentimenti non poi tanto diversi; che strano, sembravano sollevati di vederlo.
«State fermi dove siete e non vi azzardate a entrare nella torre. Vi avevo avvertiti di non prendere più le loro sembianze, ma sappiate che vi state divertendo alle spalle del Nephilim sbagliato.»
«Alec, siamo noi» disse subito quello che dei due somigliava a Jace, aveva un tono implorante che lo colse di sorpresa. Il fatto che avessero parlato non era strano, qualche volta lo facevano salvo poi scoprire subito il loro inganno, i demoni erano talmente subdoli che tentavano in tutti i modi di convincerlo a farlo entrare con quei mezzucci. 
«Io e Magnus, siamo venuti a salvarti» continuò quello che aveva le fattezze di suo fratello. Fino ad allora aveva tenuto l’arma sguainata e stretta nella mano destra, portando avanti quello stesso fianco e proteggendo il sinistro, in quella che era la tipica postura da combattimento di Jace. Alec pensò che fosse insolito, in genere i demoni non riuscivano a imitare gli umani in quella maniera così sottile. Soprattutto non avevano armi come quella che era appena stata conficcata nel terreno umido. C’erano delle rune quella lama, rune a lui familiari. Rune angeliche.
«Ammetto che questa vostra imitazione è ben riuscita, ma negli ultimi cinque giorni queste facce mi sono apparse troppe volte perché io sia convinto che sei davvero il mio Parabatai. Se lo sei, voglio delle prove» aggiunse infine, incrociando le braccia al petto. Alec notò che il falso Magnus non lo stava guardando, ma aveva preso a fissare con insistenza la cima della torre, proprio dove si intravedevano le finestre. Proprio dove c’erano loro.
«Sono Jace Herondale» disse suo fratello come prima cosa, attirando la sua attenzione. «Ho cambiato tre cognomi in due mesi, un anno fa. Ho il terrore delle anatre.»
«Mi ha detto la stessa cosa un altro mutaforma due giorni fa.»
«Siamo Parabatai» insistette lui, con una convinzione che ebbe il potere di sorprenderlo. In effetti nessuno prima si era spinto così tanto in là, di solito dopo la prima domanda si spazientivano e mostravano la loro vera natura. L’essere che aveva davanti, invece, sembrava tutt’altro che intenzionato a smettere: «Il giorno in cui abbiamo ricevuto la runa tu non volevi venire, eri convinto di essere innamorato di me e pensavi che diventare il mio Parabatai sarebbe stata una pessima idea, ma Izzy ti ha convinto. Ti ha trovato e ha detto che te ne saresti pentito per tutta la vita.»
«Come lo sai?» D’accordo, era strano. Molto, in effetti. Nessuno sapeva quelle cose, tranne i suoi fratelli. Erano questioni private che non aveva condiviso neppure con Magnus. Magnus, pensò subito, volgendo ancora lo sguardo in sua direzione. Se quello che aveva di fronte era Jace, allora l’uomo che era con lui non era un demone, ma suo marito. Un marito che avrebbe dovuto tentare di convincerlo della veridicità della sua identità, ma che dopo i primi momenti di stupore e felicità, o almeno così era apparsa ad Alec, aveva distolto ogni attenzione da lui e Jace. Se ne stava in silenzio, in disparte e ancora fissava la torre come se in essa fossero contenuti i segreti dell’umanità. Forse non si comportava in quel modo perché voleva entrare e uccidere Max e Rafe, magari ne era attratto. Probabilmente lo capì allora, sebbene sulle prime si rifiutò di concedere a se stesso un po’ di speranza. I demoni che volevano rapire i bambini tentavano continuamente di abbatterla o al massimo di entrarci, non la fissavano come invece stava facendo Magnus. Doveva esserci una ragione per cui pareva così tanto interessato e al contempo perplesso: li aveva sentiti. In un qualche modo aveva percepito la magia dei suoi figli, sentendola come propria, ma era chiaro che non avesse idea di cosa ci fosse per davvero in cima a quella costruzione pericolante. Se lo avesse saputo, se l’angelo avesse annunciato anche a loro della benedizione, era certo che Magnus non avrebbe indugiato così tanto.
«Perché sono Jace!» urlò il suo Parabatai, riportando le attenzioni di Alec su di sé. Aveva alzato le mani in aria in maniera piuttosto comica, sembrava proprio esasperato! Probabilmente avrebbe riso non gli fosse sembrato così tanto disperato ed esausto. Giorni prima, il Leprecauno gli aveva detto che i suoi amici avevano oltrepassato il ponte, aggiungendo che lungo il tragitto avrebbero incontrato delle difficoltà poiché la foresta li avrebbe giudicati, ma in quel momento si rese conto che le prove che avevano superato dovevano essere state molto più dure di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
«Hai preso a pugni il nostro istruttore, una volta, spaccandogli il setto nasale e mamma ti ha detto che era orgogliosa di te» proseguì Jace. «Da quando hai dieci anni la prima cosa che fai appena alzato sono cinquanta flessioni e io ti prendevo in giro per questo, ma tu mi rispondevi dicendo che…»
«Che l’arco richiede una muscolatura diversa dalla tua» finì per lui, stirando un gran sorriso felice. Sì, era davvero suo fratello l’uomo che aveva davanti. E quello che ancora guardava l’entrata della torre era proprio Magnus Bane.
«Ti credo» mormorò, annuendo e dandogli in quel modo le conferme di cui sembrava avere così tanto bisogno.
«Fratellone!» esclamò, raggiungendolo e stringendolo in un abbraccio possente. Ad Alec bastò questo. Sentì la runa Parabatai pizzicare e il legame farsi più intenso. Da un paio di giorni, ovvero da quando il Leprecauno gli aveva detto che Magia e Coraggio avevano oltrepassato il ponte, Alec percepiva suo fratello ancora più intensamente. Un giorno intanto che riposava tra una poppata e l’altra aveva anche avuto una specie di sogno, piuttosto realistico in verità, nel quale Jace gli era apparso e in si erano addirittura parlati. Ora che stringeva suo fratello tra le braccia, capì che era stato reale.
«Ho avuto una cavolo di paura» sussurrò al suo orecchio, lasciando infine la presa e allontanandosi di mezzo passo. «Quando Magnus è arrivato in Istituto dicendo che non davi segni di vita da tre giorni mi sono spaventato a morte. Non fare mai più niente del genere, chiaro?»
«Mi dispiace non avervi avvisati, ma l’angelo mi ha proibito di spedirvi un messaggio di fuoco. Sapete dell’angelo, vero?»   
«Sì, Mag… Ehi, Magnus?» Jace parve accorgersi soltanto in quel momento del fatto che lo stregone fosse distratto. Così tanto da non essergli neppure corso incontro o averlo baciato. Lo fece allora, comunque. Si risvegliò improvvisamente da quella sorta di torpore che lo aveva rapito e quando Alec gli arrivò accanto, sfiorandogli una spalla, lui si voltò attirandolo a sé e stringendolo in un abbraccio caldo e rassicurante.
«Alexander!» sussurrò a metà tra l’incredulo e il felice. «Sei vivo e stai bene.»
«Sì, non ti preoccupare» mormorò, accarezzando la sua schiena. Eccolo lì, il suo amato Magnus. Se ritrovare Jace era stato come sentirsi ancora più forti, rivedere suo marito fu come ricevere gioia pura in vena. Durante i primi momenti in quel posto aveva toccato il cielo con un dito, era felice di avere dei figli, ma con il passare dei giorni aveva iniziato a sentire nostalgia.
«Mi sei mancato tantissimo» sussurrò Alec al suo orecchio, baciandolo prima una guancia e poi catturando le sue labbra in un bacio passionale, senza fare troppi complimenti. Cinque giorni senza baciare il suo uomo… Era troppo anche per il signor Inquisitore tutto d’un pezzo che girava il mondo per risolvere i problemi altrui. Lo sarebbe stato per chiunque in effetti. Lo doveva essere stato anche per Magnus, che cedette al suo bacio afferrandolo per la vita e attirandolo a sé, intanto che si lasciava piacevolmente dominare. Fu un bacio feroce e possessivo, carico di tutta quella voglia di stare insieme che dopo un anno e mezzo non era affatto scemata.     
«Questo sì che è un bacio!» commentò Jace ad alta voce, incrociando le braccia al petto e fischiando di approvazione. «Ma non esagerate ora. Gli ultimi giorni sono stati abbastanza complicati senza che debba sentire mio fratello eccitarsi.»
«Scusa» replicò Alec, arrossendo appena sulle guance e scostandosi, imbarazzato. Si era lasciato trasportare, ma che poteva farci? Inoltre, Magnus non aveva il glamour e sfoggiava un paio di stupefacenti, e decisamente arrapanti, occhi da gatto. In genere quando erano a casa soli e si preoccupava mostrare se stesso per com’era anche facendo cose normalissime come una doccia o cucinare, Alec non resisteva. Finiva sempre per schiacciarlo contro un muro e scoparlo a morte. 
«Allora vuoi dirci che è successo?» si azzardò a domandare Jace, distogliendolo dai propri pensieri. Oh, giusto, doveva loro moltissime spiegazioni.
«Sono arrivato a Stoccolma dopo aver oltrepassato il portale, un istante più tardi mi sono ritrovato qui.»    
«Già, ma perché?» rincarò la dose suo fratello intanto che Magnus sembrava distrarsi di nuovo. In quei giorni di solitudine aveva pensato spesso a come introdurre l’argomento “Figli”. Aveva provato diversi discorsi allo specchio, ma nessuno lo aveva mai davvero convinto. Non avrebbe potuto esordire con un: “Ehi, Magnus, abbiamo due figli, eccoli qui!”, sarebbe stato traumatico e probabilmente lo avrebbero anche creduto pazzo. O almeno, così aveva sempre pensato. A giudicare dalla maniera in cui suo marito pareva fatalmente attratto da quella torre e per come, anche in quel momento, era caduto in contemplazione di essa, forse sarebbe stato più facile del previsto.
«Questo posto è molto strano, Alexander» commentò lui, iniziando a camminare pur senza dimostrare di avere una vera e propria meta. «Lo percepivo anche nella foresta, ma qui è più intenso.»
«Cosa senti?» indagò Alec, curioso. Lo era davvero, in effetti. Quello che Gabriel aveva detto riguardo ai bambini, che erano per metà figli di Magnus e per metà suoi, era impossibile certo. Biologicamente e geneticamente impossibile. Tuttora, e nonostante si fosse preso cura di loro per tutto quel tempo, non aveva idea da dove provenissero quei piccoli.
«È come se dentro questa torre ci fosse un pezzetto della mia magia, come se qualcuno ci avesse messo qualcosa di mio. Il che è assurdo, a me non manca niente. Soprattutto la magia.» Alec annuì, comprensivo. Sapeva che gli stregoni potevano sentirsi l’un l’altro, ma in quel caso i poteri dei piccoli dovevano confonderlo non poco. Avrebbero capito? Sarebbe stato sufficientemente chiaro nella sua spiegazione? Alec lo ignorava, sapeva solo che c’era un unico modo per introdurre l’argomento.

 

«Ho riflettuto a lungo su come parlarti… parlarvi di questa cosa» si corresse immediatamente, spostando lo sguardo anche su Jace. Anche a lui doveva delle spiegazioni. «Quando sono arrivato qui mi è stato subito evidente che l’angelo voleva che proteggessi qualcosa.»
«Questo era chiaro persino a noi» annuì suo fratello, consapevole. «Il messaggio di fuoco che ci ha mandato parlava anche di te, diceva: “Ciò che la lealtà protegge sarà svelato al mondo” o una cosa del genere. Mi sono scervellato su cosa potesse essere e sul perché avessero scelto te e non noi due insieme.»
«Il solito con manie di protagonismo» mormorò Magnus, alzando gli occhi al cielo e sbuffando al contempo. Quei due si stuzzicavano spesso, in effetti non facevano altro, ma Alec non riuscì a non notare uno strano tono dolce nella voce di suo marito. Che avessero imparato ad andare d’accordo?
«Guarda che insieme siamo più forti, lo sai anche tu» replicò Jace senza batter ciglio. «E questo posto in apparenza bellissimo, pullula di demoni dietro ogni cespuglio. Se ci fossi stato anch’io con lui…»
«Il vostro percorso era diverso dal mio o così mi è stato detto» lo interruppe, indicando il cielo come se volesse far capire loro che se avevano fatto ciò che avevano fatto era stata unicamente per volontà degli angeli. «E sì, forse con il mio Parabatai accanto sarebbe stato tutto più facile. Sono stati giorni molto stancanti e ho pensato tanto a come dirvelo, ma… ma forse è meglio che lo vediate con i vostri occhi.» E poi, Alec si incamminò oltre la porticina lasciata aperta, facendo loro strada al di là dell’ingresso, su per quei cento gradini. I bambini li stavano aspettando.

 

 

 

Continua



 

 *Nella serie non viene mai fatta menzione delle “Antiche maledizioni”. Se ne parla solo nei libri, in particolare ne ho letto nella serie “The Eldest Curses” incentrata proprio su Alec e Magnus.
**Per quanto io mi sia sforzata di trovare altri nomi per i bambini, mi pareva un’ingiustizia non chiamarli Max e Rafe.

 

Note: I bambini sono ovviamente diversi rispetto ai libri dove sono rispettivamente uno stregone e uno Shadowhunter. Hanno anche una differenza di età, qua invece sono fratelli gemelli e sono figli sia di Magnus che di Alec, nel senso che sono sia Shadowhunter che stregoni. Ho riflettuto a lungo su questa cosa, all’inizio non volevo farla. Volevo fare qualcosa di più semplice, ma mi ero innamorata dell’idea di una benedizione ricevuta, di due figli che sono in tutto e per tutto frutto dell’amore di due persone anche se questo è impossibile. Non faccio mai scelte che vanno contro la biologia o che la forzano in maniera eccessiva, in minima parte ammetto che tuttora l’idea mi risulta forzata, nonostante il contesto fantasy conceda maggiore libertà in questo senso. Come dicevo, non volevo mettercela, però alla fine si parla pur sempre di un miracolo voluto dagli angeli e questa è la sola spiegazione che darò a riguardo.

 

I capitoli avrebbero dovuto essere tre all’inizio, ma quando sono arrivata al punto in cui ho fatto concludere questo mi è stato chiaro che ne sarebbe servito uno di più che concluderà la vicenda (e che ho già iniziato a scrivere quindi arriverà la settimana prossima). Intanto grazie a chi ha letto e recensito fino a qui, a chi ha lasciato kudos su AO3 e stelline su Wattpad.
Koa

 
   
 
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