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Autore: drisinil    08/10/2022    4 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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20 - Conforto morale


15 novembre 2012


L'ospedale Juntendo ha l'aria di una struttura vecchia rimodernata più volte. Dentro, è come tutti gli ospedali: pareti verdastre, puzza di disinfettante, gente che va e viene senza guardare nessuno in faccia. Telefoni che vibrano, tutta un'umanità che lascia fuori dalle porte vetrate la vita quotidiana, i problemi che sembravano vitali diventano trascurabili di fronte al foglio stampato di un'analisi clinica.

Kei nella sua vita ne ha visti ben pochi di ospedali, ma li detesta comunque.

Per tutto il tragitto, scendendo da un treno e salendo sull'altro, camminando per le vie ventose e affollate di Tokyo, ha sospeso il lavorio del cervello. Ha semplicemente smesso di pensare, per evitare di dover fare i conti con le proprie incoerenze, con la parte di sé che non riesce a dominare.

Ma sono le 20:02 ed è già nell'ascensore C, diretto al quinto piano. Lo specchio un po' macchiato agli angoli gli restituisce la propria immagine: un adolescente occhialuto, alto e magro, avvolto in un cappotto grigio a doppio petto, col viso arrossato dal freddo seminascosto dalla sciarpa. In quel riflesso, Kei si vede molto più giovane di come si senta. E' davvero una cazzata da sedicenne, quella che sta facendo.

Per questo deve far ripartire il cervello. Ha imparato da ragazzino a bloccare e sbloccare il meccanismo, per puro istinto di sopravvivenza. E' come aprire una diga, bisogna farlo con calma, gradualmente, lasciando fluire i pensieri senza farsi travolgere.

Mentre il cicalino dell'ascensore annuncia l'arrivo a destinazione e si aprono le porte, Kei ha già riconsiderato tutta la faccenda e definito la propria posizione: conforto morale. La parola amico, nel contesto, gli dà la nausea, quindi è meglio evitarla. Anche perché di amici Kuroo ne ha già parecchi.

Adesso, prima di arrivare al secondo corridoio e svoltare a sinistra, Kei si sente nervoso. Non è stato invitato. Non è stato neppure messo a parte degli eventi dal diretto interessato. A tutti gli effetti, il suo è un atto di prepotenza mascherato da buone intenzioni. Sotto la facciata del buon samaritano, c'è un rammollito in ostaggio dei propri sentimenti, che si venderebbe l'anima per dieci minuti vicino a Kuroo Tetsurou.

E lui è lì, insieme ai suoi veri amici. Kei li scorge da lontano, in fila sulle sedie di plastica blu del corridoio. Per primo Kozume, con le gambe ripiegate e i talloni sul bordo della seduta, intento a giocare alla playstation. Accanto a lui Kuroo, seduto,  piegato in avanti, i gomiti puntellati sulle ginocchia e il viso fra le mani. A ogni respiro la sua schiena si alza e si abbassa. L'istinto di correre a inginocchiarsi lì davanti e abbracciarlo fa venire a Kei voglia di prendersi a schiaffi. Respira a fondo e riapre gli occhi.  Bokuto è per terra, con la testa all'indietro poggiata contro la seduta di plastica e il corpo inclinato verso Kuroo, a contatto con la sua gamba. E' una forma di empatia fisica, perché in Bokuto un po' tutto è fisico. Ogni tanto tira sul col naso e si strofina la faccia, il suo piede sinistro, come il suo senso della realtà, restano saldamente ancorati alla caviglia di Akaashi, che siede composto, le mani affondate nelle tasche del giaccone, gli occhi socchiusi. Sembra stia meditando.

Kei si fa indietro un paio di passi e tira fuori il telefono.

Sono quiAlza lo sguardo.

Sente il trillo del messaggio consegnato, e si sporge dall'angolo quel poco che basta per incrociare gli occhi di Akaashi, allargati per la sorpresa.

Puoi darmi cinque minuti?

E' una frase criptica, ma sa che Akaashi capirà.

Poco dopo, infatti, si sente la voce impastata di sonno di Bokuto che si lamenta di doversi alzare.

«Dove andate?» chiede Kozume.

«Ho fame» risponde Akaashi. «Sono le otto passate e se Bokuto-san non mangia, gli verrà mal di stomaco. Dovreste mandare giù qualcosa anche voi due.»

La voce di Kuroo, stanca, strascicata, bassa arriva nel cervello di Kei come una droga da cui non sapeva di essere in astinenza. Non riesce a distinguere le parole, ma nel giro di un minuto gli altri lo hanno lasciato solo. E' rimasto nella stessa posizione di prima, ripiegato su se stesso, compresso dal dolore.

Kei si avvicina senza rumore e tende il braccio. Nel campo visivo di Kuroo entra una busta di carta bianca, con il logo di una rosticceria di Osaki.

Tetsurou fa per allontanare la busta con un gesto stanco di rifiuto. Solleva gli occhi e poi li sgrana. In un attimo si riempiono di lacrime.

«Sandwich all'uovo e caffè» dichiara Kei, facendo oscillare la busta. «Ormai sarà tutto molliccio, freddo e schifoso, ma te lo farai andare bene lo stesso.»

Kuroo allunga una mano, però esita, come se avesse paura che, toccandolo, Kei potesse sparire. «Che ci fai qui?»

«Catering. Ti ho portato lo spuntino.»

«Da Osaki?»

«Ti era piaciuto il sandwich all'uovo...»

Quattrocento chilometri non sono mai sembrati così insignificanti.

Il viso pallido e stremato di Kuroo, in quel momento, è la mappa di tutti i desideri di Kei. Vorrebbe lasciar scorrere le dita sui suoi tratti uno a uno, esplorarli, baciarli, impararli a memoria.

Tetsurou sorride e piange contemporaneamente, strappa la busta dalle mani di Kei e la getta sul sedile, lo afferra alla vita e lo stringe forte. Piange senza pudore, con lunghi singhiozzi, il viso abbandonato sul cappotto di Kei, le braccia che lo circondano.

Kei non prova neppure a trattenersi, con un braccio gli avvolge le spalle, l'altra mano, protettiva e consolatoria, gli accarezza il viso e i capelli.

«Va tutto bene, Kuroo-san» sussurra Kei.

«Non lo so» risponde Tetsurou, senza smettere di piangere e stringendolo più forte.

«Lo so io.»

Quando Akaashi compare oltre l'angolo, li trova in quella stessa posizione. Con Kei si scambiano un lungo sguardo, significativo e silenzioso.

Noi andiamo via - mima Akaashi a gesti.

Kei annuisce, le braccia serrate intorno a Kuroo, che lo difendono dalla realtà.

***

«Ancora non ci credo, che sei qui» dice Kuroo, asciugandosi la faccia con il dorso della mano. Sono seduti di fianco, vicinissimi, a un soffio uno dall'altro, ma senza davvero toccarsi. L'ospedale è una terra di confine dove i formalismi perdono di valore, ma non scompaiono: estranei vagano fra i corridoi, luci impietose segnano ogni gesto, si può abbassare la guardia ma non è come essere soli. E forse, in questo momento, è persino meglio non essere soli.

«Come hai fatto a scoprirlo? Chi te l'ha detto?» domanda Kuroo, fissando l'attaccatura dei capelli di Kei alla tempia, dove sono sottilissimi e così biondi da sembrare quasi bianchi.

«E' importante?»

Kuroo scuote il capo: «In realtà non me ne frega niente. Piuttosto... com'è che hai deciso di venire?»

«E' un terzo grado? Vuoi che me ne vada?»

Kuroo si aggrappa a una manica del cappotto di Kei «Non ci provare.»

Kei si divincola. «Allora smetti di fare domande inutili. Raccontami con calma che è successo, invece.»

«Non è che sia una gran bella storia, Tsukki. Mia nonna se n'è andata ieri. Non si può dire che non fossimo preparati, era malata da un sacco di tempo. Ma uno a queste cose non è mai preparato davvero. Anche se negli ultimi tempi era davvero tanto stanca.»

«Mi dispiace molto. E' successo qui in ospedale?»

«No, a casa. Era tornata a casa da un paio di mesi, per le cure palliative.»

In quelle poche parole si apre un abisso di dolore familiare, di fatica e di rassegnazione che investe Kei in pieno. E' l'ennesimo effetto collaterale che Kuroo ha su di lui: come un cuneo, gli impedisce di chiudere le porte stagne che tengono fuori le emozioni altrui.

«E  tuo nonno?»

«Mio nonno è andato in pezzi. Letteralmente, purtroppo. Ti presento Kuroo Tomo, l'unico ottantenne al mondo che ha ancora voglia di giocare all'innamorato» declama Tetsurou, indicando con gesto teatrale la porta della stanza ventisette. Lo dice con amore e con risentimento, in parti uguali.

«Si è messo in testa che doveva restare a vegliare nonna fino alla cerimonia funebre. E lo sapeva benissimo che sarebbero passati almeno due giorni, se non tre. Ma niente, irremovibile: in ginocchio, a digiuno, in una stanza con la finestra aperta tutta la notte. Ho provato a spiegargli che era una pessima idea, che lui non è più un ragazzino. Gli ho detto che lo avrei fatto io al suo posto, che non mi sarei mosso da lì. Che almeno poteva mangiare, o dormire un paio d'ore. Ci ho provato con le buone e le meno buone. Ma indovina qual è il superpotere dei Kuroo? Testardi come muli! Tutti quanti!»

«Ah. Ma dai! Pensavo essere molto intelligenti e super scemi contemporaneamente.»

«Non eri qui per consolarmi, Kei-chan?»

«Chiamami così un'altra volta e vedi come occupiamo subito il letto a fianco a quello di tuo nonno.»

«Siamo in cardiologia. Potresti impegnarti per farmi venire un infarto, per esempio se tu mi...»

La gomitata di Kei entra con precisione militare nel fianco di Kuroo, che la incassa con un lamento e si piega di lato.

«Ahia! Ma che cavolo era? Ti porti dietro un kunai

«Le persone magre hanno i gomiti appuntiti»

«Vedo.»

«Te la sei cercata. Basta cazzate. Torna al discorso principale.»

Kuroo sorride. Non proprio il suo solito sorriso spavaldo e abbagliante, ma comunque sufficiente a offuscare la lucidità di Kei per un paio di secondi.

«Non c'è tanto altro da dire, purtroppo. Avrei preferito avere torto e invece ho avuto ragione: stamattina, dopo colazione, nonno si è sentito male. Per fortuna ero in casa. Per fortuna l'ambulanza è arrivata in meno di dieci minuti. E lo hanno riacchiappato per i capelli. O almeno così pare.»

«Ti sei spaventato?»

«Da morire. Un mondo senza mio nonno è un posto troppo difficile per viverci.»

Ecco come è fatta una persona veramente forte, veramente sicura di sé. Uno che ammette di aver avuto paura da morire e di averne ancora. Che ammette di essere stanco, di essere fallibile, di aver bisogno di qualcuno. Kei guarda Kuroo. E guarda dentro Kuroo. E tutto quello che vede gli toglie il respiro. Ma non è roba sua.

«E come sta adesso?»

Kuroo si stringe nelle spalle e scuote la testa, fissando la porta chiusa. «Non l'ho capito.»

«Mi stai dicendo che sei stato qui tutto il giorno e non sei riuscito a parlare con nessun medico?»

«Sì. Ma non ho capito lo stesso. Vediamo... sono arrivato al pronto soccorso verso le undici e mezzo. Lì ho aspettato per... boh, sarà stata un'ora o qualcosa di più. Poi una dottoressa mi ha spiegato che lo avevano rianimato, che sembrava rispondere bene ai farmaci e lo avrebbero portato in cardiologia. Cosa che hanno fatto, peccato che si sono dimenticati di dirmelo e l'ho scoperto più di un'ora dopo.»

«Ti hanno detto se ha bisogno di qualcosa?» chiede Kei, pratico.

«Cosa? Sangue? Organi di ricambio? Mica è un incidente stradale.»

«Lo vedi? Brillante e idiota allo stesso tempo. Un pigiama pulito, Kuroo-san. Mutande, calzini, pantofole. Un pettine. Una dentiera. Più avanti magari un libro o due monete per la macchinetta automatica. Che ne so!»

Kuroo si strofina la faccia. E' lì da nove ore e una cosa del genere non gli è venuta in mente.

Kei gli rifila un calcetto col piede contro la scarpa. «Dai, poi ci pensiamo. Finisci di raccontarmi. Sei arrivato qui, a questo punto dopo le due. E non hai più parlato con nessuno?»

«Ho parlato con la caposala, che mi ha detto degli orari di visita e mi ha fatto un discorso che non ho capito sui cucchiaini.»

«Cucchiaini? Sei sicuro?»

«Mn, sì. Però non me ne fregava niente dei suoi cucchiaini. Poi sono arrivati Kenma e gli altri. Akaashi è riuscito a farsi dar retta da un tizio in camice. Che però sembrava uscito ieri dall'università.»

«Se ti fosse sfuggito, questo è un ospedale universitario.»

«Ho capito, ma quel tale la laurea l'ha presa online. Ha detto un mare di cose che non si capivano e poi se l'è presa con Bokuto, solo perché continuava a chiedergli spiegazioni. Gli ha risposto molto male. A quel punto è intervenuto Akaashi e in tre domande l'ha messo KO.»

«In che senso?»

«La prossima volta che capita chiedo ad Akaashi di torchiarti su un argomento qualunque. Tipo: haiku dell'epoca Edo. Poi vedrai che capisci cosa intendo. Aka-kun quando decide di mettere qualcuno sotto pressione è un osso veramente duro, non hai idea quanto.»

«In realtà me lo immagino.»

«Chissà perché a scuola questo suo lato non viene mai fuori.»

Chissà. «Quindi il tizio se l'è data a gambe. E poi? Che è successo?»

«Non molto. Verso le quattro mi hanno detto che potevo entrare a vedere il nonno, ma era ancora sotto sedativi, quindi tutto quello che ho potuto fare è stato sedermi lì una mezz'ora e stare un po' con lui. Akaashi, intanto, era riuscito a parlare con non so chi: quello che gli hanno detto è che il nonno ha avuto un infarto miocardico - cosa a cui persino io ero arrivato - e adesso è stazionario, quindi in pratica bisogna aspettare e vedere come va, non si sa ancora se avrà bisogno di un bypass. Quando sono passati con i vassoi della cena, verso le sei, mi hanno detto che al cambio del turno di notte avrei potuto saperne di più.»

«A che ora sarà il cambio turno?»

Kuroo guarda l'orologio appeso al muro che segna le 20:49. «Tra poco.»

«Da quanto non mangi?»

«Mi hanno portato qualcosa i ragazzi verso le due.»

«Facciamo così: adesso fai il bravo e mandi giù il sandwich molliccio. Poi aspettiamo questo fantomatico cambio turno e cerchiamo di capirci qualcosa. Dopodiché andiamo a fare una cena seria e poi ti fai qualche ora di sonno. Domattina presto torniamo con un po' di cose di prima necessità. Che dici?»

«Non posso lasciarlo qui da solo» obietta Kuroo. E' ancora spaventato. Subisce la situazione anziché prenderla in mano, come farebbe di solito.

«Perché?»

«Te lo devo spiegare?»

«Sì, dai, spiegamelo. Tuo nonno è sedato in una stanza di ospedale, guardato a vista e attaccato ai sensori. Cosa pensi che potresti fare qui, a parte sentirti male anche tu? Che contributo daresti se succedesse qualcosa? Pensi di fare meglio del personale di questo ospedale? E poi credi che a lui farebbe piacere sapere che digiuni e resti qui a farti venire il mal di schiena sulle sedie di plastica pur di stare a fissare la sua porta tutta la notte? Ma per favore!»

Il cinismo di Kei, basato su una logica ferrea, è una provocazione che fa leva sullo strato più profondo degli affetti di Kuroo.

«Piantala Tsukki!»

Kei sbuffa da sopra la sciarpa. «Piantala tu! Ho fatto quattrocento chilometri perché credevo che ti servisse un po' di supporto morale, o una mano sul versante pratico. Se avessi saputo che avrei trovato un coglione annichilito dall'impotenza che si mette a fare l'eroe, anziché affrontare la realtà, me ne sarei rimasto a casa.»

Kuroo si alza di scatto e si avvia lungo il corridoio, con falcate marziali.

Kei sorride internamente: è riuscito a scollarlo dalla sedia e a cancellargli dalla faccia quell'aria sconfitta e indifesa, che proprio non gli si addice. Gli tira dietro il sacchetto della rosticceria, colpendolo sulla spalla.

Kuroo si volta, raccoglie il sacchetto e solleva lo sguardo. E' feroce e collerico, ma affonda nella palude degli occhi liquidi di Kei, enormi dietro le lenti, per una volta senza ombra di sarcasmo e insofferenza. Fermi, intelligenti, caldi.

«Mangia, scemo» gli ordina Kei.

Tetsurou non risponde, apre il sacchetto e dà un morso al sandwich, masticando rabbiosamente. Beve anche un sorso di caffè.

«Fa schifo» commenta, disgustato.

«Te lo meriti.»

«Tu da quant'è che non mangi?»

«Da mensa.»

«Cioè da scuola? E mi fai pure la predica! Sei uno stronzo, Tsukki»

«Se mangio quando viaggio, vomito come i tizi posseduti dei film horror.»

«Adesso non stai viaggiando» abbaia Kuroo e piazza il sandiwich morsicato a un centimetro dalla faccia di Kei. «Mangia!»

«Non ci penso proprio.»

«Mangia o ti obbligherò con la forza e non ti piacerà.»

«Sembri un maniaco quando fai così.»

A entrambi torna in mente il bagno di Sendai e una sequenza di ricordi che esercita allo stesso tempo una potente attrazione e una totale ripugnanza.

Kuroo abbassa il braccio lentamente. «Scusami.»

Dovranno parlarne, prima o poi. Ma non adesso. Kei blocca il braccio di Kuroo e lo solleva di nuovo, per dare anche lui un morso al sandwich.

«Bleah!»

«Grazie di aver condiviso con me le prelibatezze di Miyagi, Tsukishima-san» si inchina Kuroo, beffardo.

«Crepa! Condividiamo una cena come si deve, piuttosto.»

Kuroo esita, si rimette a sedere, scruta le lancette dell'orologio che avanzano.

Kei si sporge per parlargli all'orecchio. «Per favore, Tetsurou. Sii ragionevole. Non ho voglia di cenare da solo. E passare la notte qui è un'idiozia.»

«Ridillo.»

«Idiozia.»

«No. Il mio nome.»

«Idiozia ti sta bene.»

«Il mio nome proprio.»

«Quale nome proprio? Te lo sei sognato.»

Kei è un grande attore. Ha almeno dieci anni di pratica nel reprimere e controllare le emozioni. Può simulare a comando superiorità, fastidio, noncuranza, indifferenza e molte altre sfumature di antipatia.

In questo momento, per esempio, muore dalla voglia di pronunciare il nome di Tetsurou un milione di volte. Invece si limita a guardarlo male, da sopra le lenti, con le braccia conserte e le gambe accavallate.

A Kuroo viene il dubbio di esserselo davvero sognato, finché non coglie una specifica espressione, una crepa sottilissima nella maschera di Kei: una leggera asimmetria nella piega delle labbra, una piccola ruga curva al lato del naso, un punto di luce all'angolo dello sguardo.

Di quell'espressione rivelatrice, che smaschera ogni finzione, Tetsurou si innamora a prima vista. Ancora non lo sa, ma la amerà per sempre.



***
NdA - Con questo capitolo ci troviamo esattamente a metà percorso: la strada è ancora lunga, ma io voglio approfittarne per ringraziare chi è arrivato fin qui e sta facendo con me questo viaggio.
Vi sono davvero grata, è una gioia condividere la mia storia e sapere che stiamo viaggiando insieme. 

 

 

   
 
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