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Autore: Ciuscream    09/10/2022    10 recensioni
Daphne le ha detto che, ormai, ha perso smalto; Pansy ha messo su una smorfia strana – un miscuglio indefinito di sufficienza e terribile consapevolezza – poi è passata oltre.
Se lo è chiesto spesso se, davvero, finire a fare l'amante significhi aver perso quell'altezzosa fierezza di cui si è sempre fatta vanto. Oppure è stata, dopotutto, una strategia come un'altra per ottenere, con poco sforzo, quello che le è sempre stato negato. Che cosa sia quello che le è sfuggito dalle mani, quello che ancora brucia sulla lingua, ancora non lo ha ben compreso. Forse, voleva soltanto una vendetta su Draco per quella scelta scellerata di sposare una Greengrass, la più sbiadita, o, forse, rincorreva un'attestato di vittoria su Narcissa, che le ha sempre posato addosso occhiate poco lusinghiere.
Mentre il sole tiepido di settembre le solletica le gote, però, la risposta le sembra poco rilevante.

[Lucius/Pansy – Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucius Malfoy, Pansy Parkinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pozzi di pece (mai di pace) – Lucius/Pansy'
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NINFEA TRA LE NINFEE
(parte seconda)

[#writober, 9 ott. – deviazione]

 

La Smaterializzazione è una delle sue sensazioni preferite, a dispetto di tutto. L'idea di volatizzarsi e fuggire altrove supera, per lei, di gran lunga ogni inconveniente del caso. Quando Lucius l'aggrappa per un braccio, delicato ma fermo, Pansy è felice di farsi trascinare altrove dalla preferita delle sue forze magiche – senza chiedersi né come né dove arriveranno. Chiude gli occhi nella penombra della stanza da letto a Montmartre e, quando li apre, il buio che avvolge entrambi è decisamente più fitto e gli occhi, così poco abituati, non riescono a distinguere quasi nulla di quello che li attornia. Sente un odore leggero di vaniglia e sapone, uno spazio che si apre attorno a lei, anche se sono al chiuso, le gambe che urtano appena sul davanti su qualcosa di metallico e freddo.

 

“Dove siamo?”

 

Lucius dietro di lei non risponde; lo sente solo avvicinarsi, respirare piano il profumo dall'incavo del suo collo, prendere un respiro e sussurrare un incantesimo non verbale, che lei coglie soltanto per leggeri movimenti delle labbra contro la pelle. Il tempo di un battito di ciglia e piccole fiammelle prendono a librarsi in aria, come per magia – per magia davvero – e iniziano a svolazzare intorno a loro, come un grumo di lucciole, e a disporsi lungo le pareti della stanza. Finalmente, Pansy riesce a scorgere i piccoli scorci che le fiammelle inondano con la loro luce tiepida e un candore caldo si intramezza a colori molto più belli e più vividi – conosciuti. Il coro di luci le mostra una stanza ovale, grande e spaziosa intorno a lei, bella di una bellezza da togliere il fiato, bella da sembrare di essere altrove.

A Pansy, per un momento, il respiro si mozza davvero: di fronte a lei, disposte nelle pareti che si avvolgono intorno a loro, dipinti enormi gli rimandano immagini di stagni e ninfee e pennellate audaci e luci che cambiano e colori che si sfumano e si fondono, senza confini e direzioni precise. Chiazze di colori che diventano immagini, che diventano fiori, che diventano eternità. Le riconosce all'istante: intorno a loro, le Ninfee di Monet li abbracciano con la loro confortante bellezza e Pansy volta il viso, più e più volte, a cercare ogni angolo non visto, a imprimersi sulle pupille tutto il possibile, per non perdere nemmeno lo strascichio della sfumatura su un petalo, nemmeno lo scampolo di sole che si riflette nell'acqua di quella che dev'essere un'alba. Nel buio della notte inframmezzata da quelle deboli luci, nel silenzio profondo di ore piccolissime, nella solitudine in cui sono immersi, ogni sensazione – dalle più brevi, brividi, alle più durature, qualcosa che l'aggrappa alla pancia e a cui non saprebbe dare un nome – sono centuplicate dentro di lei.

È così assorta, che sentire muoversi Lucius dietro di lei la spaventa appena. Parla piano, come se in quel museo ci fossero davvero di giorno, con il tono che conviene ad un luogo tanto sacro.

 

“Sei impazzito?” Le venature della voce sono piuttosto quella di qualcuno che sta per impazzire – sopraffatta da troppo, di tutto.

 

“Sono perfettamente lucido” conviene Lucius con l'ombra di un sorriso, e la mano che va alla sua, a voltarla verso di lui, a tuffarsi nel baratro che – per lui – sono i suoi occhi. Non è avvezzo a lasciarsi andare ad esternazioni condite da così tanta ostentazione – anche se qualcuno converrebbe che una coppia di pavoni albini in giardino rientri in tale categoria. Non nei sentimenti, non con Narcissa, non quando le emozioni alla fine sono un gioco in cui è difficile scommettere – troppe variabili. Meglio occuparsi di MagiBorsa, di MagiFinanza, meglio muoversi su terreni che, seppur sabbiosi ed instabili, non lo sono tanto quanto le sabbie mobili delle anime umane, sempre esposte alle intemperie, sempre troppo poco prevedibili. Se n'è reso conto da quando ha iniziato questo loro “gioco” – deve sminuirlo, così, per riuscire a mantenere tutto in piedi – che anche lui non è immune alle stesse identiche oscillazioni. Però adesso ringrazia Salazar che i Dissennatori non gli abbiano strappato tutto – tutto! – e possa ancora sentirsi sotto le mani la pelle di Pansy, possa godere del suo godere, possa immergersi nei suoi gemiti e uscire benedetto, come in un fiume indiano e magico. Perché sa di non meritarlo, sa che lei non merita questo – eppure, eppure... è felice della sua ingenuità, è felice che glielo conceda.

 

“Conosci meglio di me la storia di questo posto, vero?”

Pansy annuisce piano e osserva le fiammelle danzare e creare varie giochi di luci e di ombre sul viso di Lucius, affilando i tratti del mento, allungando la linea del naso, nascondendo quel chiarore così innaturale delle sue ciglia.

“Sapevi che era un mago?”

Pansy sgrana appena gli occhi, di sorpresa e incomprensione.

“Chi? Monet?”

“Sì, e non solo”

“Chi altro?”

Lucius ride piano di come i tratti così incisivi di Pansy, nel momento della curiosità, tornino così bambini, così morbidamente attenti, grandi, invasivi.

“Questa città riserva più sorprese di quel che immagini”

“Questo tuo lato romantico, ad esempio?”

 

Il sorriso di Lucius si affievolisce appena: non deve, non può. Sa che sta dando troppo, sa che tutto questo loro amarsi – o qualcosa che gli assomiglia terribilmente – è deleterio, è sbagliato, per infiniti ordini di ragioni. Nessuna abbastanza valida, però, perché ogni giorno, da quel loro primo aggrumarsi sulle scale del Manor, non abbia voluto di più. Prendere da lei e darle, conquistarla, assicurarla a sé, sentirla come la rete di sicurezza di una vita che ormai è andata in pezzi e che, anche ricostruendo, non avrebbe mai il valore originario. Pansy, in tutto questo, è l'oro che si insinua fra le crepe, che ripara e che abbellisce ciò che ormai è un cumulo di angoli scheggiati.

Non deve, non può ma lo fa.

Si avventa sulla sua bocca, come un assettato, un affamato, intirizzito dal freddo di una solitudine molto più remota, ormai calata dentro le ossa e lì rimasta adesa. È un attimo e tutto quello che la copriva, tutto quello che separava il pallore della sua pelle da Lucius, viene sfilato, gettato altrove, per aprirgli l'immensità di quel corpo ancora giovane, di quei fianchi ancora stretti, di un ventre che non ha conosciuto un amore più grande e totalizzante. Scende a baciarla: la gola, lo sterno, la pelle che copre lo stomaco, l'ombelico, fin dentro di lei. Assapora il suo sapore, si immerge, si perde – come Monet, di fronte a quelle ninfee di fronte a cui ha consumato gli occhi, i minuti, le ore, a dipingerle, ad imprimerle per sempre ad ogni ora del giorno, con ogni loro sfumatura, di un amore che, anche per lui, era totalizzante e pericoloso e impossibile, impossibile, da evitare.

Pansy geme e geme ancora; mugugna qualcosa quando Lucius l'adagia piano sul freddo di quel divanetto destinato a turisti che vogliono ammirare cos'hanno intorno. Ribalta la prospettiva: adesso ci sta sopra ciò che deve essere ammirato.

Bella, di un colore tenue, tenue come non è la sua anima nera, la sua anima solitaria e perduta. Bella come una di quelle ninfee.

Ninfea, tra le ninfee.


 



Note: grazie di aver letto ancora questo piccolo pezzetto di follia! Se non lo avete mai visitato, per rendervi meglio conto dell'ambientazione della storia, potete cercare su google il “Musée de l'Orangerie” che ha ispirato questo capitolo.
Grazie mille come sempre per i riscontri e per la compagnia in questo viaggio! Vvb

   
 
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