Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Enchalott    10/10/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
**************************************************
Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Luce sul passato
 
Il suolo sussultava sotto i lanci dello stormo. L’incendio crepitava nell’oscurità che precedeva l’alba, il vento ghiacciato sibilava tra le merlature diroccate, alimentando le vampe. Il ladi soffocava vite, scardinava difese e ambizioni, le torri si schiantavano in frammenti cotti dal calore, la terra ansimava nera di cenere.
Tuttavia l’Irravin non cadeva.
Mahati si destò: Rhenn stava guidando l’attacco, sfruttando i danni precedenti e l’assenza tra le fila nemiche di un comandante degno dell’appellativo.
Perché non torna a Mardan? Sheratan è in grado di supplirmi alla perfezione.
Non lo infastidiva che lo sostituisse: era abile, sapeva quanto adorasse combattere e non voleva privarlo di quel piacere. Se Kaniša non lo avesse richiamato all’ordine, non sarebbe stato lui a recriminare. Lo innervosiva non conoscere il motivo della protratta permanenza, non attribuibile al seducente capriccio di disobbedire al re.
Gli parlerò. Sarà dura.
Yozora si mosse tra le sue braccia, in preda a un sonno agitato. Quella sera erano crollati, lui sfinito dal breve tragitto, lei dall’apprensione. Tranquillizzare Fyratesh era vitale, la stanchezza non lo avrebbe piegato e averla accanto lo riscaldava quanto i bracieri che ardevano nel padiglione. Ma aveva deciso di rimandarla alla capitale.
Sarà altrettanto difficile.
Minkar tremò. La vibrazione raggiunse la tenda, la deflagrazione sollevò i lembi, il metallo dei caldani entrò in risonanza, le fiamme oscillarono. Dalle labbra della ragazza esalò un lamento. Annaspò contro di lui aggrappandosi alla veste leggera.
Mahati era assuefatto agli echi di uno scontro e, se non era in testa alla formazione, riprendeva sonno in pochi minuti.
«No… no… mamma…!»
Un incubo, non un sogno. Le parole nell’incoscienza esibirono cosa stesse vedendo. La cinse forte, come se la memoria onirica potesse strappargliela.
Lontano qualcosa crollò, le strida dei vradak sovrastarono il tumulto. La principessa gridò, una lacrima le scese lungo il viso. Realizzò di non essere l’unico abituato al clamore della battaglia: la sua fidanzata non aveva sentito altro in diciotto anni, però lo aveva vissuto in rovina, non in gloria.
Le mani di lei scattarono in avanti, respingendolo.
«Lui è qui… lui prenderà le nostre vite… mamma, non scendere laggiù!»
Lui. Io.
Sapeva che lei lo aveva aborrito e temuto, meritava ogni singolo termine di biasimo, ogni ingiuria scagliata dalla prospettiva di uno sconfitto. Che la ragione andasse ai vincitori non implicava l’inesistenza di pensieri opposti: essi non lo scalfivano, non era soggetto al rimorso, non chiedeva misericordia agli dei per le vite che stroncava.
Sino ad ora.
Toccare con mano, nel dolore di un’altra creatura, il risultato del suo volo di guerra era un’altra faccenda. Presupporlo non equivaleva ad assistervi e parteciparvi, assumerne le conseguenze. Prendere atto di aver inflitto sofferenza a colei che gli era preziosa lo fece sentire abietto, disumano.
Non dovrei. Sono nato per combattere e questo era prima di…
Questo era adesso, su un’altra città, su altri esseri innocenti. Meditarvi con un senso di colpa era un’incrinatura nel credo e non doveva indulgervi.
Yozora si ribellò all’abbraccio, le lacrime scorrevano nel sonno.
Lo aveva assolto, lo aveva addirittura strappato a Reshkigal, ma nel punto oscuro in cui la volontà smetteva di governare le emozioni, l’afflizione per la prematura perdita di Kelya non era sanabile. Sfiorò con le labbra le scie salate che le rigavano le guance, il cuore in tumulto.
«Mahati… stavo sognando?»
Le scostò i capelli. Il cerchietto d’oro al mignolo luccicò nella penombra.
«Stavi ripercorrendo il passato ed io con te.»
Yozora fissò le straordinarie iridi nocciola che la fissavano e si strinse nelle lenzuola. Lui si levò a sedere.
«Vuoi che dorma altrove?»
«No! Resta!»
Le tenebre esterne furono squarciate da un nuovo rombo. Lei serrò le palpebre, portando le mani al viso.
«È ora che tu torni a palazzo. Questo luogo ti sottrae il riposo. Io ti sottraggo il riposo.»
Le braccia di lei si allacciarono convulse al suo corpo, facendolo sussultare.
«Non mandarmi via! Il mio rientro a Mardan non fermerebbe la guerra. Se servisse a impedirti di uccidere, partirei subito!»
«Il perdono non arresta un Khai. Non annulla il dolore.»
«Ma lo trasforma, lo sublima. Puoi capirlo?»
«Sì. Sono reo del tuo. Non voglio sconti.»
«Non ti porto rancore. Sentirti parlare di responsabilità mi dà speranza. Sei in pena per me, tenti di proteggermi e questo mi è di conforto.»
Il Šarkumaar sospirò alla propria trasparenza. Forse era il trascorso a privarlo dell’impenetrabilità: non aveva difficoltà in un mare di sangue, invece con lei diveniva un libro aperto. Motivo in più per allontanarla.
«Io non fermerò l’attacco e tu mi aspetterai alla capitale. Non pronuncerò l’unione per lo yakuwa
All’affermazione allarmante Yozora sollevò il viso. Contraddirlo l’avrebbe inasprito, ma non avrebbe rinunciato a esprimere avversione alla violenza, neppure se il suo biasimo avrebbe mandato a monte le nozze per incompatibilità.
Un Khai non ama. Non ama.
«Reciterò la formula rituale perché quando piangi ammattisco per restituirti il sorriso» seguitò lui «Non sono bravo a capitolare, dunque ci riuscirò.»
«Per un attimo ho temuto che tu non…» rifiatò lei sollevata.
«Paura? Non ti ho detto che quando ti sono accanto è bandita?»
La principessa ammirò la piega divertita della sua bocca, lo sguardo sicuro di sé.
«Mahati… davvero non hai mai paura?»
Il Kharnot allentò i lembi della veste, le prese le mani e le posò sul thyr.
«Adesso» sussurrò «Ho avuto paura che non mi guardassi come ieri. Che stanotte scorgessi soltanto un assassino.»
«Non pensarlo mai! Prometti!»
Il demone esalò il giuramento unendo le labbra alle sue. Le membra si intrecciarono in un crescendo di eccitazione.
«Anche questo mi fa impazzire» mormorò sensuale «Però so come risolvere.»
Yozora gemette alla lingua che la lambiva, avvertì il corpo di lui fremere dell’energia che era languita nei giorni precedenti. Il contatto le toglieva la razionalità, il respiro fuori controllo la invitava a provocarlo con lo stesso trasporto.
«Non sono in forze per entrare dentro di te. Sfrutterò altre risorse.»
«A-aspetta!»
Lui si spostò su un fianco. La muscolatura perfetta risplendeva al riverbero discreto. Aveva caldo, il velo di sudore sulla pelle ambrata era un segnale confortante.
«Mi preferisci senza anticipazioni?» sorrise malizioso.
«Ti desidero da morire, ma...»
«Sei una tentazione immane, Yozora. Proprio tu, non il sesso di per sé. Perciò dimmi cosa ti trattiene dall’accettare che ti dia piacere o fingerò che non esista.»
La principessa confessò l’impasse.
«Mia sorella? È uno scherzo?» eruppe Mahati al termine della spiegazione.
«No, Rhenn ha richiesto un accertamento.»
«Ha patrocinato tale sciocchezza per evitare ombre sulla sua corona, non per rasserenarti! A Mardan basta un’insinuazione per minare la stabilità del trono. Sono certo che, come me, avverta con chiarezza che non hai il nostro sangue. Inoltre tua madre era incinta quando ha incontrato Kaniša per la prima volta. Aspettava te.»
«Cosa?»
«Ho presenziato al fallimentare tentativo di mediazione con i Salki: ero accanto a lei, lo rammento bene. Mi ha versato il vino e mi ha chiesto se fosse di mio gradimento. Io ho finto di non capire, ma da come ha sorriso penso non ci sia cascata.»
«La mamma si accorgeva subito delle bugie. Hyrma ed io non ci provavamo neppure, per lei era sintomo di mancata responsabilità.»
Il principe si sentì pizzicare. Simulare era una tattica di guerra, a lui non piaceva ma all’epoca non aveva l’autorità per contestare Kaniša, che era solito servirsene.
«È stata gentile persino con mio padre, ha sostenuto Entin in quel frangente critico. Sono rimasto sorpreso, ho pensato che così dovesse essere tra sposi e che forse…»
Socchiuse le palpebre, cercando i termini appropriati. Non si era mai aperto con nessuno, come Khai si esprimeva con distacco per non fornire l’impressione di instabilità emotiva. Ma non esisteva un modo asettico per riferire ciò che aveva provato o per mettere a nudo l’anima.
Ho appena ammesso una paura, sono uscito dal sentiero dell’atarassia e non mi sento in fallo. Perché?
La mente era in allarme, si preparava a combattere la spinta viscerale opposta al retaggio che gli scorreva nelle vene.
«Ti prego, continua!»
Abbandonò le armi e l’orgoglio ai piedi della promessa sposa, in parole che gli fecero tremare la voce.
«Che forse Naora era come lei.»
Yozora lo abbracciò forte, soffocando la commozione suscitata dai ricordi e dallo scoprire in lui una luminosa scintilla di umanità. Comprese appieno come mai avesse esternato rammarico alla prima asheat. C’era qualcosa di straordinario in Mahati, una sensibilità anomala considerando il sangue demoniaco. Riusciva a conciliarla con le regole della sua gente, addirittura con la fedeltà a Belker, emergeva persino quando era la occultava dietro l’austerità e la ferocia.
Nessuna meraviglia che i ribelli lo vogliano sul trono.
«Perché non hai mai recato omaggio alle sue ceneri.»
«Come lo sai?»
«Le voci corrono.»
«L’urna è al tempio di Valarde.»
«Mahati…»
«Mi presenterò a lei quando avrò cancellato il nome di mio padre, eclissato la sua gloria.»
«Per una madre conta come sei, non ciò che fai.»
«Ed io assomiglio troppo a Kaniša.»
Lo sguardo luccicava di mestizia. Come suo fratello avrebbe preferito trapassare, così anche lui detestava l’eredità dell’uomo che lo aveva generato.
Yozora si perse nei suoi occhi chiari.
«Non scorgo affinità, le caratteristiche fisiche non dipendono da te. E poi…»
«Continua. Siamo promessi. Il mio privato ti racchiude.»
«Sei sicuro di non essere figlio di Kujul?»
«Senza alcun dubbio. Ciò che sai viene da Rhenn?»
«In parte.»
«Perché non me ne hai parlato?»
«Per non dispiacerti.»
«Capisco. La nostra confidenza è progredita con lentezza perché ci siamo frequentati a singhiozzo. Un errore che non ripeterò. Ti avranno raccontato che il marito di mia madre è scomparso.»
«Pensi che sia vivo?»
«Ho convissuto con questo tarlo per tutta l’adolescenza. Quando sono divenuto Kharnot, ne ho chiesto conto a uno dei generali di mio padre. Kujul è stato ucciso.»
 
Rjazan era inginocchiato ai suoi piedi. Faceva uno strano effetto scorgere un reikan consumato, che sino a poco prima gli aveva impartito ordini senza trattamenti di favore, onorarlo come detentore del più alto grado militare.
«A Jandali eri il braccio destro di Kaniša. Hai guidato la battaglia in cui i Khai hanno perso il principe Kujul. Cos’hai da riferire?»
«Il suo vradak è precipitato nella nebbia, non l’abbiamo mai trovato. Forse è finito nel mare in burrasca.»
«Chi l’ha colpito?»
«La visibilità era scarsa, ha commesso un errore. Era vicino agli spalti, le catapulte nemiche non l’hanno risparmiato.»
«Credi che non conosca mio padre? Parla o muori con l’onta di una menzogna sulle labbra!»
Il reikan aveva fissato il proprio sangue scendere lungo la lama sguainata.
«Altezza, siete il mio comandante da un mese, ma in un lasso tanto brave ho maturato più rispetto per voi che per vostro padre in un’intera vita al suo seguito. Vi obbedirò, ma la verità vi assegnerà la responsabilità della mia vita. Vi chiedo di prenderla, poiché raccontando infrangerò un giuramento.»
«Diverrà mia.»
Rjazan aveva annuito, lo sguardo si era fissato sull’orizzonte.
«Il sommo Kujul era isolato quel giorno. I suoi uomini erano di riposo a Mardan e lo stormo era composto da reclute: una precauzione volta a scongiurare la presenza di testimoni esperti o schierati dalla sua. La caligine e la formazione di principianti sono state fatali, ma Kaniša ha attuato un piano meditato da tempo. Gli ha messo alle costole il suo braccio destro accampando il supporto bellico. Ho inteso cosa sarebbe accaduto, non ero d’accordo, ma non è compito di un cavaliere alato discutere gli ordini del re.»
«Va’ avanti.»
«La bordata che lo ha ucciso non è giunta da Deluun, bensì dalle nostre fila. È stato Arayandra in persona a scagliargli addosso il ladi e a gettare la rete per impedire al suo vradak di riportarsi in assetto. La caduta è stata scambiata per un proiettile incendiario, nessuno si è insospettito.»
Mahati aveva sentito la collera montare incontrollabile, ma aveva lasciato che Rjazan concludesse.
«Quando siamo scesi, era già morto.»
«Che ne avete fatto delle sue spoglie?»
«Ceneri, altezza. Sparse al vento di Jandali con un’orazione a Belker.»
«Tale sollecitudine avrà giovato alla coscienza.»
«No, mio signore. La vostra lama è una benedizione immeritata, porrà fine al rimorso che da allora mi accompagna.»
«Calerà non appena avrai menzionato gli atri traditori.»
Dopo Rjazan altri quattro generali erano stati giustiziati davanti all’armata schierata, a titolo di esempio. Arayandra non aveva ottenuto l’onore della spada, erano bastati gli artigli della sinistra. Al primo chiarore aveva eseguito la condanna: si era guadagnato l’appellativo di signore dell’aurora quella mattina, sommergendo di sangue le strisce rosate del nuovo giorno.
Kaniša non si era opposto, certo che la famiglia reale non sarebbe stata trascinata nel fango da chi rappresentava la spada di Belker e che, al minimo equivoco, il primogenito avrebbe difeso il trono dalle recriminazioni degli altri clan.
 
«È orribile!» esclamò Yozora «L’omicidio e nascondersi dietro una provocata rivalità tra fratelli! Il re è un… un vigliacco! Tu non sei così!»
«Già. Se volessi occuparmi di Rhenn, non delegherei.»
La principessa gli prese il viso tra le mani, il cuore diede un contraccolpo d’angoscia.
«Non scherzare!»
«Sono serissimo.»
«Perché auspicheresti la sua morte?»
«Per come ti guarda.»
«Rhenn è un amico. Ma se ciò ti offende, uccidi me. Otterresti una sposa di rango e Rasalaje non si sentirebbe oltraggiata dalla mia presenza.»
Mahati socchiuse le palpebre. L’idea di intraprendere una via del genere lo disgustò, levare la spada sul fratello gli apparve un abominio, persino il desiderio di stringere le unghie al collo di suo padre non lo sorresse.
È quando sono con lei. Tra le sue braccia smetto di essere un Khai e non me ne dolgo. Perché, per tutti gli dèi?!
«Non posso» sussurrò.
«Non puoi uccidere me?»
«Sì.»
«Per quale motivo?»
«Voglio darmi a te, averti per me.»
«E dopo che sarà accaduto?»
Lui scosse la testa, lo sguardo traboccante di tristezza e passione. Yozora si incollò al suo corpo, fino a percepire l’alito lieve sulla pelle.
«Prendimi. Ti prego, Mahati, fammi tua.»
 
La mattina di Minkar era cristallina. Un sole ingannevole splendeva nel cielo topazio, riflettendosi sul paesaggio innevato. Il freddo era un artiglio affilato.
Rhenn si liberò dell’uniforme impolverata, stirando le membra indolenzite dalle ore in arcione. Non aveva sonno, l’adrenalina circolava per le vene allontanando la stanchezza. Decise di concedersi un bagno e accedette alla tenda del fratello.
A quest’ora starà dormendo o dedicandosi a passatempi di coppia.
La punta d’invidia era ingigantita in apice di una lama. L’intenzione di entrare senza farsi annunciare - e magari coglierlo impegnato a divertirsi - lo stimolava, ma non sarebbe stato un semplice dispetto. Un morso lo azzannava e appariva insaziabile.
«Avversari testardi, vero?»
La voce di Mahati lo fece sobbalzare. Alzò le spalle, adagiandosi nella vasca.
«Non più del solito.»
«Eppure sei pensieroso. Hai riscontrato stranezze?»
Rhenn guardò il minore sedersi sulla panca dirimpetto. Se fosse stato in forze, sarebbe rimasto eretto o gli avrebbe chiesto spazio.
Ha addosso l’odore di lei, lo sento da qui.
«Nessuna, perché?»
«Ti sarai accorto che Minkar sopravvive a dispetto di se stessa. Stiamo facendo la figura degli incapaci.»
«Parla per te.»
«Appunto. Non cerco scuse, bensì conferme a ciò che ho appurato.»
«Sarebbe?»
Mahati inalò il fiato e attese che l’altro si ripulisse.
«Il ladi non attecchisce.»
«Cosa? Ti si è congelato il cervello?»
«Pensaci, Rhenn. Il tuo attacco alle mura orientali avrebbe ridotto a oblio persino il pantheon, invece hai effettuato un secondo passaggio e dubito che sia finita. Ti è mai successo?»
Il primogenito aggrottò la fronte: un pensiero assurdo gli sfrecciò per la mente.
Non così assurdo invero.
«No. Che altro?»
Mahati riportò delle possibili presenze tra le fiamme e dei propri sospetti.
«E perché Belker favorirebbe l’Irravin?!» sbottò il maggiore.
«Lo chiedo a te, sei il suo sommo celebrante. Ti chiamano portatore della fiamma, sei il più ferrato sull’argomento.»
«Tsk! È un cumulo di idiozie!»
«Piantala di gridare!»
«Ah scusa, sveglierei la tua dolce metà! L’hai sfiancata stanotte?»
«Non cambiare argomento.»
«Io? Emani il suo profumo da ogni dove, lo stai facendo apposta.»
«Non è insolito avere sulla pelle l’odore della propria compagna. Sei geloso?»
«Tutt’altro. Mi chiedevo come fosse l’amplesso con una vergine salki.»
«Un’informazione fondamentale rispetto a quelle che sto provando a passarti. Dacci un taglio, Rhenn. Presterai attenzione?»
«Parli di Minkar o di Yozora?»
Il Šarkumaar lo afferrò per una spalla, ma le dita prive d’artigli non fecero presa. A sua volta il primogenito fece per colpirlo: si trovò invece a sostenerlo.
«Non dirmi che lei ha prosciugato te! Che femmina, per tutti gli dei!»
«Vai al diavolo!»
L’Ojikumaar sghignazzò, lieto di averlo provocato.
«Sei fuori forma, fratellino. Che ne dici di un allenamento?»
«Non ci tengo a farmi battere da te davanti ai miei uomini.»
«Non mi piace la vittoria scontata, che gloria ne trarrei? Quando ti sbatterò giù, sarai nel pieno delle forze. Parlavo di un riscaldamento a figure.»
«E farai caso alle anomalie dell’assedio?»
L’eclissi si delineò prepotente tra i pensieri di Rhenn.
«E va bene» fece piovere dall’alto.
 
Yozora si destò di primo mattino. Si sorprese di non trovare il promesso sposo tra le coltri e pensò con ansia che fosse andato da Fyratesh. Si augurò che non lo avesse fatto volare, ma il suono della voce familiare oltre le cortine la tranquillizzò. Avvolse il corpo nudo nelle pellicce e oltrepassò i divisori, ripromettendosi di riportarlo a letto. Rimase incantata a osservare la scena.
I principi avevano sollevato i lembi della tenda, lasciando penetrare sole e gelo. Impugnavano la spada lunga e si muovevano all’unisono in una serie di mosse tanto armoniose da sembrare passi di danza. Le lame apparivano la prosecuzione delle braccia e scintillavano come in un abile gioco di prestigio. Si scambiavano poche parole, forse per decidere quale sequenza eseguire. Il fiato si condensava nell’aria fredda, rendendo surreale l’interazione.
Rhenn indossava un telo da bagno ai fianchi e i piedi scalzi sfioravano il tappeto senza indecisioni. Mahati aveva abbassato la tunica in vita e la muscolatura guizzava a ogni movimento, come se non fosse mai stato in fin di vita. Erano uno spettacolo ipnotico, due guerrieri nell’essenza più pura, dotati di un’aura terribile e seducente.
Uno di loro, un demone in carne e ossa, possiede il mio cuore.
Rimase immobile a fissarli, perdendo la cognizione del tempo e dimenticando i rimbrotti destinati al futuro marito.
I due la percepirono e si volsero con un sorriso diviso tra la meraviglia e l’orgoglio, in un baluginio di occhi liberi da ombre. E uno di quegli sguardi che avrebbe sciolto l’inverno le giurò senza parole, senza paura, l’eternità.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Enchalott