Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: drisinil    12/10/2022    3 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
21 - Profondo blu


8 agosto 2010 


A Kei la casa al mare è sempre piaciuta. Così come gli piace il mare, in un modo molto privato, però. Lo ama come un ammiratore, uno spasimante, uno spettatore affascinato dalla mutevolezza, dalla crudeltà, dalla quiete degli abissi. Gli piace camminare sulla riva, lasciando impronte leggere che si cancellano alla prima onda che le lambisce. Gli piace nuotare fino al largo e poi immergersi, fluttuando nella più totale solitudine che si possa sperimentare sul pianeta. Quella dei sensi attutiti e del respiro compresso nei polmoni: una rotonda bolla d'ossigeno a cui è appesa la vita e che deve bastare a se stessa.

Le grand bleu lo chiama suo padre, che gli ha mostrato quel mondo e a cui piace altrettanto, ed è molto di più di un colore, un luogo o una sensazione. E' uno stato d'animo, un sentimento. Che ha la pregevole e rara caratteristica di essere totalmente neutro: né positivo né negativo. E' la percezione di sé nella vastità, uno stato di equilibrio fra l'immenso e l'insignificante.

Kei sta nuotando a larghe bracciate verso il confine della scogliera, per arrivare al mare aperto. Akiteru è uscito di casa ieri in piena notte, ha preso l'auto e non è ancora tornato.

Come se fuggire dalla realtà potesse cambiarla. Come se le persone si potessero cambiare. Come se fosse lecito aspettarsi qualcosa dagli altri solo perché si condivide una porzione di DNA. Ne condividiamo parecchio con i maiali, ma non ci aspettiamo granché, da loro.

Forse è perché Aki ha il suo mondo: la scuola, la pallavolo, gli amici e magari, più che fuggire, ha un posto dove rifugiarsi, per schiarirsi le idee e passare oltre. Per Kei, invece, c'è solo quel blu profondo e freddo, a suo modo accogliente.

***

«Il divorzio è fra me e vostra madre, non fra me e voi, spero che questo sia chiaro.»

Papà parla sempre come se si rivolgesse a un'immaginaria platea di studenti o di collaboratori. Gente ansiosa di stare ad ascoltarlo, che prende appunti e pende dalle sue labbra. Kei per un attimo si è chiesto se non stesse aspettando un applauso.

Anziché applaudire, mamma ha annuito, guardando fisso i pezzi di tofu annegati nella zuppa di miso.

Aki ha sospirato. «Mamma?»

«Sì?»

«Non hai niente da dire?»

«Cosa dovrei dire, tesoro? E' una decisione ponderata.»

Ponderata. Come una media statistica, come una funzione matematica. Uno degli aggettivi preferiti di papà, ripetuto così tante volte da essere un caposaldo del lessico familiare.

Aki affonda il cucchiaio nella ciotola e ingurgita zuppa bollente, per obbligarsi a tenere chiusa la bocca.

«Posso fare una domanda?» chiede Kei, esattamente con il tono cortese e interessato di uno studente al primo banco.

«Certo» risponde il padre, incoraggiante.

«Che bisogno c'era?»

Papà si prende qualche attimo per confezionare una risposta che, evidentemente, viene da qualche rivista di psicologia da quattro soldi "Divorzio: 10 consigli per comunicarlo ai figli adolescenti nel modo giusto". «Certe volte, Keicchin, i matrimoni... »

«Non chiamarmi così, per favore, non ho più cinque anni.»

Leon sospira, ma ci tiene ad assecondare il figlio. «Hai ragione, Kei. Dicevo che certe volte i matrimoni finiscono e basta e in questi casi è opportuno... »

«Vuoi dirmi che il vostro matrimonio è finito adesso?» c'è un'inflessione di sarcasmo nella domanda.

Kei incrocia gli occhi di sua madre. Sono, come al solito, opachi e lontani e contengono una preghiera di noncuranza: lascia perdere, non è importante. Mamma non è mai veramente presente. Vive in un mondo suo, popolato di umani il meno possibile. Un mondo in cui poche cose sono realmente importanti e in cui ci si può permettere di essere dolci e accomodanti, di badare ai figli con ammirata svagatezza, perché tanto sono così indipendenti. Senza mai chiedersi se indipendenti lo sono diventati per mancanza di scelta.

Akiteru ha la stessa natura tenera di mamma e ha preso da lei anche un certo talento per affrontare la vita senza curarsi troppo delle cose pratiche. Il che si ritorcerebbe contro di loro, se non fossero entrambi campioni di accettazione passiva della vita. Kei non potrebbe vivere così nemmeno mezz'ora. Papà impazzirebbe in cinque minuti.

«In che modo ritieni che sia un problema di tempistiche, Kei?»

«Ho solo fatto una domanda. Alla quale evidentemente non vuoi rispondere.»

«Non esiste una risposta articolata. Quello che intendevo è che adesso è diventato opportuno formalizzare questa chiusura.»

«Perché?» insiste Kei.

L'ostinazione lucida dei figli non è prevista nei 10 consigli, quindi papà deve uscire dalla sceneggiatura. «Per tutta una serie di motivi che non ti riguardano.»

«Che ne dici se usiamo un approccio scientifico, papà? Negli ultimi diciotto mesi sei tornato a casa ventuno volte, per un totale complessivo di cinquantanove giorni su cinquecentoquarantasette» Kei fissa gli occhi in quelli del padre. E' uno sguardo di sfida, bellicoso e aggressivo. «Sono millequattrocentosedici ore ore (all'incirca, ti sto dando il beneficio di arrivi e partenze arrotondati) su tredicimilacentoventotto. Non si arriva all'undici per cento. A me pare chiaro che non hai bisogno di un divorzio per evitare di passare del tempo con i tuoi figli.»

Aki stringe il cucchiaino fino a sbiancarsi le nocche, mamma tossisce nel tovagliolo. Messa in numeri e frazioni, la loro vita familiare è di una pochezza deprimente. Una disfunzione sentimentale, una cancrena che richiede un'amputazione.

Per un attimo, si sente solo il rumore della risacca che entra dalle finestre aperte; nelle sere d'estate suona così vicina che sembra che la schiuma debba arrivare sulla tavola.

«Non voglio dare peso a queste stupide provocazioni, Kei. Hai tutto il diritto di essere contrariato.»

«Ma...?»

«Nessun ma. Hai solo quattordici anni e stai elaborando una situazione emotivamente difficile a modo tuo. L'indulgenza è dovuta.»

L'indulgenza è dovuta. Solo una generica indulgenza, ecco tutto quello che si meritano. Una cosa che va bene per gli stupidi, per i pazzi, per i bambini piccoli. Niente rimorso, niente dispiacere, neppure un cenno di pentimento. 

Delusione, collera,  frustrazione, disincanto, angoscia rimbalzano come bilie impazzite nella testa di Kei e fanno sponda in territori molto oscuri, dove l'ammirazione totale che ha sempre nutrito per suo padre ha generato una bestia in agonia.

Kei la sente che si agita dentro di lui, che ruggisce, che graffia, che morde. Che spinge, che preme, che brucia, che cresce senza che lui possa controllarla e si espande, fin dentro ai sensi: si annebbia la vista, si attutisce l'udito, si spande in bocca un sapore acido, le vene pulsano sul collo e  rimbombano nelle orecchie, sui polsi, dietro gli occhi, nel cervello. 

Le grida escono dal suo corpo senza controllo.  «Tredici! Tredici! Tredici! Ho ancora tredici anni, ma già lo sapevo che dei miei compleanni non ti frega un cazzo. Che me ne faccio della tua indulgenza? Se pensi che mi importi qualcosa se torni o non torni, sei  un illuso. Sono solo curioso di sapere perché ci prendi tutti per il culo. Sempre. E se mamma e Aki hanno paura di te, beh, io non ce l'ho. Quindi ora dimmelo. Dimmelo e basta. Perché? Perché questa farsa? E' per via della Dottoressa Kosuke? Si è stancata di scopare e basta?»

Akiteru riemerge dalla zuppa con gli occhi sgranati, Leon guarda suo figlio con un'espressione dura e indecifrabile. Solo la madre continua tranquilla a masticare tofu, palesemente disinteressata a una conversazione senza scopo.

Kei si lascia cadere sulla sedia. Aspetta uno schiaffo, che però non arriva. Tsukishima Leon non batte ciglio e, prima di rispondere, ritiene opportuno terminare le ultime tre foglie di insalata rimaste nel suo piatto. «A parte il linguaggio da portuali, Kei, che davvero non ti si addice, preferirei che non parlassi di argomenti di cui non sai nulla.»

Kei sorride, sembra calmo. Gli occhi di Leon restano fermi dietro le lenti, ma quel sorriso beffardo lo fa rabbrividire. «Sai, per l'inizio dell'anno scolastico siamo venuti a visitare la centrale. Non so perché mi era venuta la fantasia di farti una sorpresa. Ogni tanto, anch'io sono davvero un idiota. Comunque, sono venuto a bussare al tuo ufficio, ma tu eri... diciamo, occupato. Non ti preoccupare, non stavi... aspetta, cerco di essere meno portuale,... copulando. Ma mi è sembrato che la situazione non fosse esattamente professionale e ho preferito non disturbare. Devo dire che sono rimasto molto deluso. Non da te. Dalla Kosuke: non la facevo così puttana. Mi piaceva, persino.»

«Questo assolutamente non te lo permetto, Kei!»

Il sorriso di Kei diventa di trionfo. E' una vittoria insperata: il tono di Tsukishima Leon si è alzato di volume abbastanza per poterla considerare una sgridata. Una perdita del controllo. Un punto debole.

«Tsukishima Kei, chiedi subito scusa!» ripete.

«A chi? Alla Kosuke? O a te? Ci è capitata per caso la sua lingua nella tua bocca?»

«Kei! Basta!» Leon si è alzato di scatto, facendo leva sulle mani aperte contro il piano del tavolo. Torreggia sulla famiglia, dal suo metro e novantatré di statura.  «Lasciala stare! Questa cosa riguarda solo noi tre!»

Kei alza il viso e continua a sorridere. «No. Non basta. Mi sto divertendo. Che fai, la difendi? Sarai mica innamorato?» 

«Chiedi scusa!» ripete Leon, trattenendo la collera.

«Chiedi scusa, Kei» interviene atona sua moglie, rinvenendo dal torpore.

Anche Kei si alza, e si sporge verso il padre attraverso il tavolo, nella stessa identica posizione di lui. «Col cazzo che ti chiedo scusa!  Non lo farò mai più. Mai nella vita. Tu devi chiedere scusa! A me! A lui! E a lei!»  urla, indicando il fratello e la madre.

Leon crolla seduto, i pugni stretti sul tavolo, le spalle schiacciate non tanto da quegli sfoghi da adolescente, quanto dalla improvvisa presa di coscienza di non essere più capace in alcun modo di comunicare con suo figlio. Sulla calma e sulla lucidità di Kei, sulla sua ragionevolezza, sulle mille somiglianze fra loro, aveva creduto di poter sempre contare, pensava che fossero i pilastri del loro rapporto, solidi ponti gettati fra due caratteri difficili, cementati dalla stima reciproca, da un affetto difficile da dimostrare, ma con radici forti. Quand'è che la situazione gli è sfuggita di mano? Quando è andato alla deriva, Kei? Quale partita mancata, o compleanno dimenticato, o promessa rimangiata glielo ha strappato senza che se ne accorgesse?

«Non hai niente da dire?» Kei incalza, urlando ancora più forte. «Bene! Perché neanche io ho niente da dirti. Né adesso, né domani, né mai. Non sei significativo Tsukishima Leon. Non vali niente come padre. E non sei il gran genio che credi di essere. Vattene, togliti di mezzo e lasciami vivere.»

Kei attraversa il soggiorno con i pugni serrati e si proietta in corridoio con lunghe falcate delle sue gambe magre.

Il rumore della porta che sbatte rimbomba nel cuore di Leon Si sta ripetendo, identico, quello che è successo a lui trent'anni prima. Una nuova messa in scena di un vecchio copione, con un finale triste: suo padre è morto senza che si rivolgessero la parola per decenni, senza aver mai conosciuto i nipoti.

Guardare Kei è come guardare in uno specchio. Assistere impotente allo spettacolo del figlio che commette i suoi stessi identici errori è un fallimento assoluto. Esserne la causa, una dannazione. Leon si toglie gli occhiali, si strofina il naso, si asciuga una lacrima.  Gli finisce fra le mani un modellino di dinosauro, che Kei ha abbandonato sul tavolo. Ne percorre i volumi col pollice, cercando il contatto con le dita lisce di Kei sulla superficie di legno ruvido. Quando si alza da tavola, se lo infila in tasca.

***

Un altro vantaggio del profondo blu è che assorbe le lacrime. Scivolano via, salate nell'acqua salata, e si disperdono senza dolore. Quando si riemerge si può dire senza mentire di non aver pianto affatto. Kei lascia andare fra le labbra una piccola bolla che risale, i suoi polmoni sono un po' più vuoti.

La scenata che ha fatto ieri è stata umiliante. Mettere in mostra quello che hai dentro non serve a niente, se non a farti apparire debole, a rendere concrete e visibili le tue paure, a offrire il fianco al nemico. Non succederà più, non perderà mai più il controllo.

Bisogna imparare a gestire la pressione interna, a sfiatarla piano piano, come aria da una valvola. Bisogna creare grandi porte a tenuta stagna, che tengano dentro le proprie emozioni e fuori quelle altrui, una barriera di lucida consapevolezza, un baluardo impenetrabile alle aggressioni esterne.

Se non dai a vedere che qualcosa ti ha colpito, allora non ti ha davvero colpito. Dopotutto, come dice sempre papà, per il mondo, siamo quello che il mondo vede. E come sempre, ha ragione. E' così che si vince, restando al margine delle cose, guardandole dall'alto, senza farsi toccare.

Forse ogni tanto si può lasciar entrare qualcuno in punta di piedi, ma devono essere persone fidate, che rispondano a due fondamentali requisiti: essere leali ed essere docili. Come Yama, come Aki, che stanno alle sue regole e sono disposti a subirle senza ribellarsi, senza farsi troppe domande. Perché gli vogliono più bene di quanto dovrebbero.

E comunque, bisogna tenerli a una certa distanza. Da troppo vicino, l'inganno si vedrebbe. E chi scopre l'inganno ha in pugno Tsukishima Kei. Ma Tsukishima Kei non appartiene a nessuno e non ha bisogno di nessuno, se non di se stesso.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: drisinil