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Autore: Ciuscream    12/10/2022    8 recensioni
Daphne le ha detto che, ormai, ha perso smalto; Pansy ha messo su una smorfia strana – un miscuglio indefinito di sufficienza e terribile consapevolezza – poi è passata oltre.
Se lo è chiesto spesso se, davvero, finire a fare l'amante significhi aver perso quell'altezzosa fierezza di cui si è sempre fatta vanto. Oppure è stata, dopotutto, una strategia come un'altra per ottenere, con poco sforzo, quello che le è sempre stato negato. Che cosa sia quello che le è sfuggito dalle mani, quello che ancora brucia sulla lingua, ancora non lo ha ben compreso. Forse, voleva soltanto una vendetta su Draco per quella scelta scellerata di sposare una Greengrass, la più sbiadita, o, forse, rincorreva un'attestato di vittoria su Narcissa, che le ha sempre posato addosso occhiate poco lusinghiere.
Mentre il sole tiepido di settembre le solletica le gote, però, la risposta le sembra poco rilevante.

[Lucius/Pansy – Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucius Malfoy, Pansy Parkinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pozzi di pece (mai di pace) – Lucius/Pansy'
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BOCCHE DELLA VERITÀ

[#writober, 10-11-12ott. – rabbia, aurora, orgoglio]

 

Quando riemergono da quella parentesi rubata alla realtà, il freddo di un mattino ancora da venire pizzica dentro e sotto i vestiti. Sopra di loro, il cielo è colorato dello stesso rosa che tamburella le guance di Pansy e il giardino delle Tuileries, immerso in un silenzio assoluto, ruba le stesse sfumature per la parte più alta delle piante. C'è qualcosa dentro Pansy che si muove placido – le sensazioni che lascia scemare addosso il piacere, distendendosi sui nervi – e lei cammina leggera, come se i piedi non incontrassero attrito contro il vialetto di terra battuta. Lucius, al suo fianco, sembra lo stesso assorto in un silenzio che non cova cattivi pensieri – piuttosto, non ne cova alcuno. Sono entrambi anestetizzati dall'azione benefica di un orgasmo consumato lento e che, altrettanto lentamente, sfuma dalla mente e dal corpo, facendolo tremare appena di freddo e elettricità.
 

Tornare a casa, quindi, è quasi un capriccio, pensa Pansy; una necessità, conviene Lucius. Nonostante la Quai des Tuleries sotto di loro sia abitata solo da qualche sporadica auto – il cui rimbombo sparisce presto inghiottito dall'immensità che sovrasta la Senna – Lucius non riesce a non sentire l'impulso di allontanarsi da quel fiume di persone e di sangue sporco che tra poco prenderà a brulicare, scomposto, la sponda (e, nelle orecchie, l'eco di qualche voce torturata ancora echeggia, implacabile).

È così che Pansy impara che lo spazio destinato alle illusioni è sempre piuttosto irrisorio, se comparato ai minuti in cui la vita vera si sviluppa e si srotola di fronte a lei. Sono attimi rubati alla verità, quelli in cui lui e lei sono davvero solo loro, e il resto è inglese, lontano, perduto, dimenticato, strappato a morsi da una dimensione che non ha spazio per chi ha lasciato, per chi ha scelto altro, per chi è svanito e sfumato da mente e cuore.

Ma poi il giorno torna a dettare i suoi ritmi sempre uguali – una routine di scadenze e ricorrenze – che le ricorda, che ricorda ad entrambi, che il gioco è bello, che il gioco è gioco, quando dura poco; altrimenti, quando i confini languono e si sfrangiano, il gioco diventa senno che si erode, ossessione e cecità.

Pansy ha fatto sue tutt'e tre le cose: s'inganna, chiude gli occhi, volta il viso altrove. Lucius, per lei, non è quello che raccoglie e racchiude quel loro amarsi ad uno spazio biposto, nascosto; è quello, piuttosto, che accende luci e le fa esplodere Monet tra le mani e la drena di tutto quello che ha, per riversargli addosso tutto quello di cui s'è drenato – per lei, per averla.

 

Ma la disillusione è una compagna fidata e Pansy ne è amante, tanto quanto lo è di Lucius. Pochi secondi dopo che la casa a Montmartre si è aperta per loro e il suo tepore le ha arrossato le guance di un colore molto più acceso del cielo, un gufo plana elegante sul tavolo della cucina, lasciando cadere dal becco una lettera destinata a lui. Al collo dell'animale, il piccolo stemma dei Malfoy riluce nei raggi del primo mattino.
Pansy perde qualche battito, uno che si somma ad un altro e questo che si somma al successivo, e il cuore, fino a quel momento sopito, si ricorda in fretta il suo ruolo.

“Cos'è?”

Lucius non lascia trapelare la stessa emergenza che affolla la voce di Pansy, anzi; misura ogni movimento, anche se la calligrafia perfetta che ha inchiostrato il suo nome sulla busta la riconoscerebbe tra mille altre. Non sa cosa Narcissa chieda o voglia da lui, adesso. Le parole che compongono mittente e destinatario sono più di quelle che gli abbia rivolto spontenamente nell'ultimo mese, quando protetti dalle mura del Manor possono fare a meno anche di tollerarsi.

Sfila leggero la pergamena e ci scorre veloce gli occhi sopra, frastagliando da riga a riga; una piega si affossa al centro della sua fronte e Pansy – che studia la sua espressione allo stesso modo in cui si perde nelle pennellate di Renoir – non saprebbe affibbiargli un'origine precisa. Potrebbe dire preoccupazione o fastidio o un miscuglio pericoloso di entrambe. Lascia che lui ripercorra le parole un paio di volte, prima di domandare ancora.

“Cos'è?”

“Devo andare”

Pansy sgrana gli occhi di sorpresa e delusione, in una piega – al centro della sua, di fronte – la cui è espressione sarebbe perfettamente decifrabile anche ai meno avvezzi a studiarne il viso.

“Cosa vuol dire?”

“Quello che ho detto: che devo andare”

“Di già? Sei arrivato nemmeno due giorni fa”

Lucius socchiude gli occhi e un sospiro esala esausto oltre la linea sottile delle sue labbra. Pansy sa che ha sostituito alle parole il fiato e che le sta reprimendo tutte oltre la diga dei denti, ben nascoste.

“Non ho mai detto quanto sarei rimasto”

“Se è per quello, non dici mai nemmeno quando e come tornerai”

“Pansy” Lucius sospira ancora e questa volta, immersa nel respiro caldo, una punta di acredine pizzica le sillabe. “Ho una famiglia e dei doveri. Lo sai, non far finta di stupirti adesso”

“Stanotte non mi sembrava tu pensassi molto alla famiglia e ai doveri”

È diverso
I denti si stringono, la mascella si serra, la mano si stringe appena contro il bastone dalla testa di serpente che ha recuperato all'ingresso.

“E come sarebbe diverso? Che contano solo quando ti torna più comodo?”

“Non quando mi torna comodo, quando devo. Ci sono delle apparenze da salvaguardare, posti in cui devo stare. Non far finta di non capire, Pansy. Sei una Purosangue anche tu”

“E quali sono i posti dove dovresti stare, mh?”

“Astoria è stata ricoverata di nuovo al San Mungo, sarebbe terribilmente sconveniente se non mi facessi nemmeno vedere. Soprattutto, se scoprissero perché

 

Qualcosa aggrappa la pancia di Pansy, dal punto interno in cui l'ombelico ci si tuffa dentro. Da lì, una sensazione di capogiro la risucchia – le risucchia parole ed energie – e la lascia confusa. Non le importa nulla che Astoria sia ricoverata; ha desiderato tante volte – al buio di una stanza in cui i suoi pensieri erano al sicuro – che sparisse, che il mondo la inghiotisse. Ha pensato – non riesce, nemmeno volendo, a vergognarsene – che una maledizione del sangue fosse poco, per quel che le aveva portato via. Le aveva maledetto, lei, con la sua finta innocenza, con quegli occhi così grandi e tondi, sangue, cuore, viscere, sinapsi. Le aveva strappato via tutto quello per cui aveva faticosamente tessuto anni ed anni di vita, di aspirazioni, di mosse studiate con millimetrica precisione: Draco, il sogno di un matrimonio, il sogno di essere una Malfoy, il sogno di avere quello che ora ha. Per questo, l'idea che debba andare per lei – se non per lei, per l'altra, per chiunque altra che non sia se stessa – le ricarica di bile la saliva, le serra le labbra, imbiancandole.

“Sarà sempre questo, vero?”

Le parole hanno il sapore di fiele e la stessa consistenza di un rasoio. Almeno, la fatica che fa Pansy per pronunciarle sembra eroderle le papille, tagliarle la carne. Non sono le parole, forse; forse è la consapevolezza, il toccare di nuovo i piedi a terra dopo una distanza considerevole. È che Lucius non riesce a contraddirla perché ha mentito troppo, nella sua vita bucata e bruciata, per poterlo fare ancora. Così, scuote la testa, abbassa lo sguardo, socchiude le labbra, abbozza un sospiro. Le parole – le sue compagne, armi che hanno sempre battuto e sostituito la bacchetta – adesso languono, sprecise, sgualcite, nella gola. Non ne trova di giuste, né di giustificazione. Se potesse, rimarrebbe inchiodato sul posto e spererebbe – silenziosamente, con lei – che di quella nuora che nulla stima e nulla ama, non rimanesse nulla, neppure il ricordo. Eppure, quella creatura fragile, nel corpo e nella mente, è stato l'unico baluardo – a conti fatti, lo è ancora – che ha separato Pansy da Draco, che le ha permesso per chissà quale gioco di somiglianze e di sovrapposizioni di scegliere il padre invece del figlio, di sgattaiolare fuori dalla vita che aveva pensato per arrivare nella vita che le è toccata in sorte, prendendo la strada secondaria.

Per questo, adesso detesta davvero tutto – della sua famiglia e dei doveri – ma detestare non esonera e quindi aggrappa i guanti dal tavolo, un secondo prima di Smaterializzarsi; lo sguardo risale – riluttante – ad impattare quello di Pansy carico di un astio che, forse, le ha visto addosso soltanto al matrimonio di Draco.

“Torno presto”

I decibel sono alla stregua di quello che potrebbe essere un sussurro. La colpa ne ha azzerato la potenza, silenziandoli.

Pansy serra le labbra, alza il mento in un moto di fierezza che ha dimenticato di possedere – che non possiede, forse, che mima soltanto – e scuote la testa piano, scacciando con un gesto della mano per aria qualcosa che non c'è. Forse il fantasma del pensiero di Astoria o quello di Narcissa o di lei, ridotta così.

“Non disturbarti. Risparmia la fatica per i doveri”

Lucius non può sentirla, però: è già scomparso da Parigi.

 



Note: perdonatemi per l'assenza, sono stati giorni di raffreddore spacca testa e di lavoro spacca … testa, sì. Questo capitolo arriva improvviso dopo l'attacco di romanticheria degli scorsi, ma questi tre prompt mi hanno portata direttamente qui e, forse, serviva riequilibrare un po' la storia con un po' di realtà. Un rapporto che non può vivere soltanto di illusioni, come se Parigi fosse una bolla lontana e protetta; la vita vera, di entrambi, anche se Pansy cerca di dimenticarlo, è altrove e Lucius non ne ha mai reciso le radici.
Spero che comprendiate questa scelta e, anche se non sono riuscita ancora a rispondere alle recensioni, grazie davvero dell'entusiasmo, del tempo e delle bellissime parole che avete dedicato a questa storia. Per me, sono più che preziose 

Vi abbraccio!

   
 
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