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Autore: Deich_    13/10/2022    2 recensioni
I Cesaroni dicevano "Nella tua stanza c'è qualcuno che ti aspetta. La casa a un tratto è diventata un po' più stretta!" e su questo Billy, Steve, Jonathan e Eddie sarebbero d'accordo, perché da quando sono insieme, insieme per davvero, c'è poco spazio anche per pensare.
C'è un'altra cosa su cui sono d'accordo, però. Ovvero che "la casa più desolante è quella dove non bussa mai nessuno" perché, con tutto questo bussare, la solitudine non ha mai il tempo di mettere le radici.
[Raccolta bislacca di momenti altrettanto bislacchi di Eddie, Jonathan, Billy e Steve che scoprono di essere l'uno la casa dell'altro.] [Jonathan x Billy x Eddie x Steve] [Rom-com] [Raccolta di one-shot] [dramedy]
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billy Hargrove, Eddie Munson, Jonathan Byers, Steve Harrington
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Jeddie (+ Steddie x Harringrove) - In quel sogno lucido che sono stati gli anni Novanta ]

 

 

2

Questione di karma, Patrick Swayze, strani come noi



 

Eddie sapeva che questa conversazione sarebbe stata imbarazzante, eppure ci si è lanciato con la lucida determinazione dei kamikaze. E’ una cosa che fa spesso, in effetti. Un conto, però, è infilarsi in situazioni deliberatamente pericolose come puntare l’intero affitto del mese sul ventitrè rosso nella gita a Vegas perchè “si vive una volta sola” - vincendo così un pugno di Hargrove dritto sul setto nasale - o sparire sul furgoncino di un manipolo di hippie compassati per “capire se stiano tentando di riproporre il progetto Helter Skelter” e riapparire solo due giorni dopo - vincendo, di nuovo, un pugno di Hargrove dritto sul setto nasale -, un conto è questo genere di suicidio emotivo.

Questo è troppo anche per lui.

« Non credo di aver capito bene. » Anche questa risposta di Steve è piuttosto comune: in genere segue le pessime idee del chitarrista. Oggi non c’è quella vena passivo-aggressiva da babysitter sull’orlo di una crisi di nervi, però. E’ solo genuinamente confuso.

Anche Billy lo è. Li osserva in silenzio, seduto sul bordo del letto, sfogliando uno spillato di Ghost Rider.
Eddie rotea gli occhi al cielo, visibilmente in imbarazzo.
« Stevie, sono serio come un infarto. » Lo stesso che potrebbe stroncarlo sul linoleum oggettivamente tragico dell’appartamento, se non si darà una calmata. È da quando ha ricevuto l'ultima folgorazione sulla strada di Damasco - cioè all'alba del giorno prima, mentre tornava a casa con gli anfibi inspiegabilmente sporchi di piume di pollame dopo aver scoperto perché il famoso drink del locale in cui suona si chiama "Ci vediamo in rianimazione” - che non riesce a stare fermo.

« Non so se piaccio a Jonathan. »

Steve e Billy si scambiano un’occhiata perplessa.

« Eddie…» nella voce accomodante di Harrington si sente, bassa ma stridente, la malcelata paura di aver a che fare con qualcuno che ha sbattuto la testa troppo forte una volta di troppo. « Ti ricordi che conviviamo da un anno, sì?» 
« E che ieri sera Byers ti ha muggito addosso due orgasmi. Mollandomi una gomitata, tra l’altro.» Aggiunge elegantemente Hargrove, senza staccare gli occhi dal fumetto. Steve contrae tutta la faccia in una maschera di profondo disappunto.
« Billy!»
« Che c’è? Erano tre?»
« Non è questo il punto.» Eddie fa il favore a tutti di interrompere il moto perpetuo con cui circumnavigava la camera da letto, accasciandosi con aria da derelitto contro l’armadio. « Ma non so se riesco a spiegarlo, non senza sembrare un cretino.»

Un paio di gambe si incrociano con le sue, sul pavimento. E’ una cosa che succede spesso, con tre amanti in un buco di casa come questo. E ogni volta in cui un ginocchio s’annoda a quello di un altro, Eddie si sente il cuore più leggero.
Comunque, è Steve.
« Provaci lo stesso, m’impegnerò per capire. Dopotutto ci vuole un cretino per capirne un altro.» Mormora.
Billy, distante da loro, sbuffa una risata morbida. Non si è avvicinato come Steve, ma Eddie sa che sta ascoltando con estrema attenzione.
Se per un momento, con le dita di Harrington ad accarezzargli gli spigoli del polso, Munson pare calmarsi, in quello successivo tutti i progressi vanno a farsi benedire. Perchè nel silenzio carico d’attesa i nodi dei suoi pensieri s’ingrossano, rendendo difficile esprimersi con quella dialettica sopraffina con cui in genere cerca di convincerli della solidità delle sue grandi pensate, come lasciarlo guidare senza uno straccio di patente seminando il panico per tutta Manhattan e dintorni.

« E’ che… con te è iniziata diversamente, Stevie. Tu eri innamorato perso, ti struggevi gridando alla luna le tue pene d’amore per me. E quando finalmente me ne sono accorto, ho scelto di fare il primo passo, da vero galantuomo, coronando il nostro meraviglioso sogno d’amore. Il pubblico ha pianto, qualcuno ha chiesto il bis.»
« E’ stato esattamente il contrario. Eri tu che ti struggevi gridando alla luna, cosa che per altro scopro solo ora.»
« La tua parola contro la mia, bellissimo. Sappi che quando sarò famoso e scriverò la mia biografia, i fatti saranno raccontati così. E carta canterà.» Steve tentenna, accigliato. Ha fatto una faccia simile anche quando Billy ha silurato in cucina il tabellone del Risiko, giusto un minuto prima che lui potesse finire la conquista del mondo. Eddie, che con le strategie di guerriglia e disorientamento del nemico è un drago, per tutta risposta gli deposita un bacio leggero sulla punta del naso.

« Mentre con te, Billy… »
« Ti do un consiglio, Munson. Se non vuoi finire i tuoi giorni in carcere, ti conviene escludere il nostro racconto delle origini dal tuo best-seller.»
« E privare il mondo di una storia che unisce perfettamente il grotesque, la distruzione dei beni culturali e quell’amore impunito e rumoroso di cui parlano i Kiss, in una cornice da vaudeville? Giammai. Morte alla censura.»

« Torniamo all’argomento principale, ti va?» Billy si sporge dalla posizione di favore, sopraelevata, che s’e’ ritagliato sul letto. Ha un sorriso compiaciuto, e soprattutto criminale, sulla faccia da schiaffi. « Questa faccenda deve tirarti davvero scemo, se divaghi così tanto.»

Suo malgrado, Eddie avvampa.

Prendere dei rischi emotivi, per lui, è una rogna colossale. Lo è per tutti e quattro, in verità, ma ognuno ha i suoi collaudati meccanismi di difesa per affrontare quei momenti difficili in cui viene richiesto di esporsi: Steve finge di non capire - o non capisce sul serio, creando involontariamente uno schema evasivo perfetto -, Billy si esprime a grugniti e Jonathan si chiude in un silenzio mortificato, penitente, un’onesta via di mezzo di sguardi dogmatici e clima denso da suicidio norvegese.
Eddie, invece, straparla.

« Il punto è che Jonathan era…» S’interrompe, aggrottando le sopracciglia. Corregge il tiro. « Ed è tutt’ora il mio migliore amico, da prima che iniziasse tutto questo.» Sul “tutto questo” la mano libera del chitarrista disegna a mezz’aria un cerchio rozzo, tentando di raccogliere in un insieme traballante Billy, Steve, la camera da letto con l’intonaco che vien giù, la doccia col tappetino antiscivolo, il divano deforme pieno di cuscini diversi attaccati per contenerli tutti e quattro, l’insostenibile collezione di VHS neorealisti che Jonathan compra ma non guarda mai, il “servizio buono per le emergenze” che Steve tira a lucido nella credenza ma che non si deve tirar fuori senza motivo - “perchè, metti che abbiamo ospiti, metti che non abbiamo lavato i piatti, metti che i nostri ospiti non vogliano i cartoni di pizza: abbiamo il servizio buono per le emergenze” -, la torre di Babele di piatti che Eddie avrebbe dovuto lavare, il piede di porco che Billy tiene accanto alla porta per le riunioni di condominio e Jonathan, che non è ancora rientrato. Tutto questo, unito al gesto semplice della mano, riesce, in un certo qual modo, a riassumere perfettamente la piega bizzarra della loro vita.

Steve gli accarezza le nocche.
« Non capisco dove vuoi arrivare.» Se Eddie non l’amasse così tanto niente gli impedirebbe di uscirsene con un sarcastico “e quando mai”.
« E quando mai.» Ci pensa Billy.
« Anche noi eravamo amici, prima di metterci insieme.» Continua Steve, troppo concentrato per farsi distrarre dalle frecciatine di basso livello.

« E’ diverso, ragazzone. Noi eravamo amici, e io mi consumavo nelle pene d’amore per te, anche se lo negherò nelle mie memorie. Abbiamo avuto un confronto, tu hai capito di non poter vivere senza di me e ci siamo gettati nelle acque inesplorate della frequentazione romantica. Abbiamo fatto le cose per bene. L’iter dell’amore, intendo.» Si prende una pausa, accorgendosi di aver iniziato a parlare così velocemente da essersi annodato la lingua. « Anche con Billy, seppur in maniera… meravigliosamente scorretta, le cose sono andate per il verso giusto. Perciò, io so che voi siete sicuri di tutto questo e ho il cuore in pace.»
« Continuo a non capire.»
« Io e Jonathan non ne abbiamo mai parlato.»
« Di cosa?»
« Del se voglia davvero stare con me, oppure se siamo solo due ottimi, incredibili amici che condividono amanti, mutande e un cazzo di servizio di piatti ancora imballato.»

Steve socchiude le labbra. La sorpresa è così grande che non trova il tempo per difendere i suoi piccoli vezzi da borghese in incognito. Anche Billy è sorpreso, infatti ha chiuso il Ghost Rider.

« Sul serio?» Chiede Steve.
« Sì. Non abbiamo mai avuto neanche un appuntamento, uno di quelli veri.»
« Sul serio?» Chiede Billy.
« Se qualcun’altro si azzarda a ripetere sul serio io giuro che– »

S’interrompe, perchè Steve ha tirato fuori l’artiglieria pesante: un sorriso così affettuoso, trasparente e soprattutto affascinante a fargli scordare, per un attimo fin troppo lungo, cosa siano le congiunzioni verbali. C’è una luce pericolosa, nel suo sguardo magnetico. « Ho io la soluzione, Eddie.»

Di nuovo, se non lo amasse in maniera così ridicola, si ricorderebbe che ogni iniziativa nata da un “Ho io la soluzione” di Steve Harrington non può essere nient’altro che una Caporetto su tutta la linea. « Portalo fuori, stasera. Lo porti tu ad un appuntamento, uno di quelli veri.»
« Io? »
Eddie Munson non ha mai portato nessuno ad un appuntamento, si è sempre fatto portare.  Questo non solo perchè la sua idea distorta di romanticismo unisce gesti da veri proletari, come accucciarsi per parlare dell’impatto culturale di MTV e di quanto siano stati tragicamente profetici i Buggles con “Video Killed the Radio Star” in ruderi abbandonati, brulicanti di senzatetto e occasioni per buscarsi il tetano, a veri e propri picchi di lirismo rubacchiati dagli Harmony, come la tragica volta in cui era piombato alle spalle di Billy sussurrando in tono conturbante “Vieni, ranchero, consumiamo la nostra passione nella stalla, prima che il mio marito e padrone mi rinchiuda per sempre nel talamo nuziale”, ottenendo solo di fargli schizzare il latte dal naso per le risate, no. Eddie non ha mai portato nessuno ad un appuntamento perchè è un completo imbranato, quando si parla dell’ars amatoria.
Un totale, disperato, e insalvabile imbranato.

« Sì, tu, dolcezza. Ti piace Jonathan?» Insiste Steve, catturandogli la faccia tra i palmi, prima che il chitarrista possa seppellirla tra i capelli. 
Il bastardo continua a sorridere.
« Che domanda cretina.» Eddie, messo con le spalle al muro, avvampa una seconda volta, dimostrando al mondo non solo che la domanda non è poi così cretina, ma anche che Steve sappia perfettamente come toccarlo e quali parole usare per ridurre i suoi pensieri, generalmente acuti, al biiiip prolungato delle segreterie telefoniche. Lasciandolo, tra l’altro, senza parole da balbettare prima che finisca il tempo di registrazione.

Nessuno dei suoi due amanti - o aguzzini, dipende dai punti di vista - è così sadico da aspettare il suo travagliato “sì” per riprendere a parlare.

« Quindi…» Billy si alza di scatto, inspiegabilmente galvanizzato dalla piega che sta prendendo questo pomeriggio insolito. Ghigna sotto i baffi, mentre appoggia mollemente un gomito all’armadio, occhieggiandoli dall’alto. La luce pericolosa che c’era nello sguardo di Steve, che Munson suppone non essere lo shining, ora manda lampi insoliti anche dalla coppia di azzurrine di Billy Hargrove.
Ed è proprio perchè Eddie lo ama in maniera allucinante che intuisce, con un brivido sibillino a spasso per i fianchi, quanto per lui - e probabilmente pure per Steve - quest’intera faccenda abbia un che di karmico. 
« ...finalmente sarai tu a farti il culo per organizzare un’uscita piena di smancerie. Con Byers, per di più, che negli appuntamenti è collaborativo come un muro di calcestruzzo. Dio, darei un braccio per assistere a questo disastro ferroviario.» Ecco, appunto.

Steve gli assesta una gomitata sulla coscia. Billy ride.

« Ma, dato che siamo magnanimi, ti daremo qualche dritta per non mandare tutto a puttane. Giusto, Harrington?»

E l’hanno fatto davvero. 

Intendiamoci, prendere lezioni di corteggiamento e conquista da Re Steve e Billy “Ci-mancava-poco-che-Nancy-mi-chiamasse-papà” Hargrove è un’occasione più unica che rara, una vera e propria masterclass diretta da chi la storia non solo l’ha vissuta, ma l’ha fatta. E’ un po’ l’equivalente del chiedere a Kareem Abdul-Jabbar come infilare la palla in rete, o al generale Kenobi come fare virtuosismi con la spada laser senza rimetterci una mano, e questo Eddie lo sa benissimo.

Il problema era avere un’ora di tempo per immagazzinare una mole d’informazioni pressochè infinita, cose come “mantieni il contatto visivo mentre parli, ma solo finchè lui non abbassa lo sguardo e non oltre, se no sembri un serial killer” o “sorridi, così, vedi, seducente, no, non così, non sei dal dentista per l’amor di Dio”. Per uno come Eddie Munson, che in lunghi e ripetuti anni di liceo non era riuscito a memorizzare nemmeno l’appello, quest’impresa aveva già assunto una sfumatura di difficoltà tale per cui s'era ritrovato a pensare che “sotto sotto, salvare il mondo in confronto era stata una passeggiata di salute.”

Perciò s’era messo a prendere appunti con la stessa serietà con cui avrebbe organizzato il piano tattico e strategico di una partita a D&D. 
Nel frattempo Steve e Billy si davano battaglia in una scherma sempre più incalzante di sorrisi languidi, risposte provocanti e sguardi così intensi che, Eddie ne era certo, se qualcuno si fosse acceso una sigaretta, l’intera palazzina avrebbe preso fuoco. 

Dalla lezione dei grandi maestri, ormai dimentichi d’esser nel bel mezzo di una recita e attratti a vicenda come un magnete al suo frigorifero - inequivocabilmente intenzionati a continuare sul tardi la loro sfida a “chi avrebbe fatto cedere orgoglio e pantaloni all’altro per primo” -, Eddie aveva appreso quattro consigli fondamentali.

Il primo: portare Jonathan al cinema, perchè il cinema va bene per i principianti, e perchè niente spiana la strada a un approccio da oscar e a un “vuoi stare con me?” meglio di qualche pellicola d’amore dove i protagonisti non fanno altro che tubare per novantacinque minuti. Nelle sue note, Eddie ha anche sottolineato l’appunto di Steve “non ti azzardare a scegliere una porcata piena di mostri”.

Il secondo: la scelta dei posti. Categoricamente dovevano piazzarsi in fondo, lontani da tutti, altrimenti nulla di tutto questo sarebbe possibile, pur scegliendo il cinema più dimenticato di tutta Manhattan. A costo di prendere a calci qualcuno, è fondamentale accaparrarsi un paio di posti appartati, tanto quanto per un cecchino sarebbe stato fondamentale piazzarsi sottovento e sulla torre più alta durante un raid alla base nemica.

Il terzo: l’immortale tecnica dello stiracchiarsi con assoluta nonchalance per avvolgergli il braccio attorno alle spalle. Immancabile nell’assetto tattico di qualsiasi uscita al cinema e necessaria per creare un primo contatto fisico apparentemente casuale. Secondo Billy quest’ultimo gancio dovrebbe essere accompagnato da una frase da mozzare il fiato, niente che abbia a che vedere con le continue citazioni - Harmony e non - che Eddie infila con diabolica perseveranza nei discorsi. Su quest’ultimo punto, Eddie scrive “Niente elfico”.

Il quarto, ed ultimo: quando sarà sicuro di aver eseguito tutti i passaggi della ricetta per le “farfalle nello stomaco”, dovrà prendergli la mano. Dovrà farlo in scioltezza, e con delicatezza, sfiorandogli prima distrattamente l’indice con il proprio e poi riempiendo tutti gli spazi vuoti tra le sue dita. Da lì, è tutto in discesa. Gioco, partita, incontro.

 

°

 

« Quindi, Eddie, cosa guardiamo?»
« Mh, io direi Ghost.»
« Ghost?»
« Ghost.»

Jonathan, fermo davanti al botteghino, inarca un sopracciglio. E Eddie realizza l’immensità del suo errore di calcolo. La formula “gioco, partita e incontro” non è mai stata tanto lontana dalla realtà di un essere umano quanto dalla sua in questo momento, crede, anzi, si ripete, con un tocco d’immancabile melodramma.

Innanzitutto Munson non ha tenuto conto di un dettaglio: lui e Jonathan vanno al cinema insieme, a ingozzarsi di pop-corn e valutare la qualità del sangue nelle pellicole ad alto contenuto di “porcate piene di mostri”, da tempi immemori. Più o meno da quando per vedere un mostro ad Hawkins dovevi pagare mezzo dollaro al Theater, dove tra l’altro Jonathan sgobbava un pomeriggio sì e l’altro pure per far quadrare i conti a casa Byers. Dunque per far capire a Johnnie che questa non è la solita serata da “io, te e il meglio di Hollywood come ai vecchi tempi” ma un vero e proprio appuntamento, avrebbe dovuto dirglielo ad alta voce.
E Eddie, piuttosto, avrebbe preferito sotterrarsi. Perché dirlo a un amico, o a un conoscente improbabile, com’era stato nel caso di Steve o Billy, era un conto. Dirlo al migliore amico , lo stesso che ora sta fissando con aria preoccupata il modo con cui continua a torturarsi i capelli, è tutta un’altra questione.

Tutto d’un tratto i tormenti che gli aveva confidato Will Byers per telefono con un filo di voce, giusto qualche settimana prima, gli appaiono più reali e vicini che mai. Peccato non poterlo chiamare subito, all’istante, per dare vita a una conversazione delirante sulla falsa riga di:
“Ti propongo un patto alla “Omicidio Perfetto”, soldato: io ti combino un appuntamento con Wheeler se tu prepari una persona a uscire con me.”
“Ottima idea, generale. Chi è il bersaglio?”
“Tuo fratello.”

« Ma Ghost, sei sicuro?» Incalza Jonathan, stringendo lo sguardo per leggere il programma degli spettacoli oltre il vetro. « Guarda che più tardi riproiettano Tremors. Vermoni sotterranei, ultraviolenza scorretta e il miglior Kevin Bacon che sia mai passato su schermo.» Spiega, tornando a cercarlo con una complicità talmente genuina da togliergli il fiato. « Potremmo ingannare il tempo con un hamburger e tornare più tardi. Non ti piace come programma?» Ovvio che gli piace. 

E’ scontato che Eddie preferirebbe riempire lo stomaco sottovuoto con un panino, invece che starsene goffamente appoggiato al botteghino col gomito e il fianco in fuori nella posa che Billy definisce “da scapoloni impuniti” - in realtà non l’ha mai chiamata così, ma Munson e il suo gusto per il ridicolo avrebbero tanto voluto che lo facesse. Ed è ancora più scontato che preferirebbe ghignare insieme a Jonathan nel vedere gli abitanti di Perfection sprofondare sotto la sabbia, piuttosto che zupparsi due ore di Patrick Swayze. Ma Steve ha detto “niente porcate piene di mostri” e a buon merito, perchè sarebbe impossibile dire-senza-dire che questo è un appuntamento riproponendo il solito programma di salse che schizzano dal pane e risate nasali nello spettacolo deserto della mezzanotte.

Perciò Eddie non demorde, sporgendosi in avanti con una strizzata d’occhio tutt’altro che fluida. « Stasera non ho voglia di morti sul grande schermo, mi sento l’animo romantico.» 

Jonathan l’osserva, visibilmente perplesso. Se questo fosse un pessimo film noir doppiato male, direbbe qualcosa come “Sento puzza di bruciato. Io me la squaglio.” tuttavia gli fa la grazia di non interromperlo, mentre Eddie continua a parlare tentando di mantenere il contatto visivo, sorridere languido e “inclinare la fronte appena, ecco, così, per darti un’aria da bello e dannato”. « Se ci prende il cuore un quarto di Harry ti presento Sally, allora ne sarà valsa la pena. Diamogli una possibilità. Mi hanno detto che è discreto.» Non è vero. Ghost l’ha visto Dustin la settimana scorsa e la sua recensione è stata “melenso. Piace ha chi ha l’animo dell’anziano” .

Jonathan si stringe nelle spalle, voltandosi per pagare. « In effetti, a Will è piaciuto.»

 

°

 

Il primo problema logistico, una volta entrati nella sala, è stato notare che tutti i posti “appartati” del fondo sono già occupati. Eddie, con aria piccata, si guarda attorno. Evidentemente ognuno di questi sporchi frega-sedili ha avuto la stessa idea di Billy, a conferma del fatto che tutto il mondo conosce le regole basilari dell’ars amatoria, tranne lui.
Ma Eddie, con la corrente elettrica al posto del sangue, inizia a marciare lungo la sala, seminando pop-corn al suo passaggio. Dopotutto, si ripete, se non sono il più esperto, posso sempre essere il più furbo.
E’ per questo che conduce un ancor più confuso Jonathan in seconda fila, lontano da tutti, praticamente a ridosso dello schermo.

« Così ci verrà il torcicollo.» Protesta debolmente il fotografo, sedendoglisi accanto nei posti peggiori di tutto il cinema.
« Non dire sciocchezze, Johnnie. Ho letto che per entrare davvero nella pellicola e per vivere la vera esperienza del cinema è categorico sedersi minimo in seconda fila.»
« Ah sì?» Ignaro che quest’invasione di campo basta ad annodare lo stomaco del chitarrista come un cappio, Jonathan appoggia il gomito sul bracciolo in comune, sporgendosi verso di lui. Il palmo aperto regge il mento, coccolandosi il labbro inferiore. 
La naturalezza con cui gli si avvicina, fissandolo con quei due posaceneri che ha per occhi, è direttamente proporzionale alla curva rigida e stravagante che piega le caviglie di Eddie dentro le scarpe. « E dove l’avresti letta questa furbata, sentiamo.»
« In una rivista.»
« Una rivista tipo?»
« Cinema per veri intenditori con accompagnatori miseramente scettici.»
Jonathan abbozza un sorriso, evento piuttosto raro nella sua gamma espressiva piena di linee tese e mortificate. Dalla sua esperienza decennale, Eddie intuisce che si senta tranquillo, sereno, a suo agio. Sorride anche lui, sciogliendo le spalle contro il sedile.

La quiete dura poco, però, perchè Jonathan, squadrandolo con occhio clinico e illeggibile, ritorna all’attacco.
« Come mai sei così elegante?»
Con “così elegante” il fotografo allude al fatto che Eddie non solo s’è concesso uno shampoo, ma anche che s’è presentato con una delle camicie di Billy al posto di una maglietta marcia dei Wasp. Non gli hanno nemmeno permesso di girare con la catena attaccata al portafoglio, a prescindere dalle sue continue obiezioni come “ma così me lo soffiano di sicuro”.
Al contrario Jonathan, che è stato prelevato prima ancora di riuscire a sospirare “sono a casa” , è conciato come sempre, ossia come qualcuno che ha pescato dai cestoni delle offerte una giacca a coste da nostalgici dei Beatles, le gambe piegate in un paio di jeans che hanno visto troppi lavaggi e i capelli che cadono a mazzetti sul viso sfuggente. Chino, storto, restio a qualsiasi tentativo della vita di drizzarlo, strigliarlo e imbrigliarlo in un aspetto socialmente presentabile. Ed è bellissimo.

« Perchè volevo sentirmi Humprey Bogart e ho rubato una camicia a Billy.» Risponde Munson, con un ragionevole ritardo, scollandogli gli occhi di dosso per fingere di sistemarsi i bottoni scomodi sul petto.
« Perchè?»
« Perchè hai questo delizioso fare da Santa Inquisizione, stasera?»
« Perchè sei più strano del solito.»

Senza accorgersene, si avvicinano. Bisbigliano, con un tono confidenziale, uno da mocciosi che sicuramente non rientra nella gamma di “voci torride e profonde per arrivare dritti al cuore”.
Eddie arriccia le labbra. « Strano come?»
Jonathan lo imita, sollevando il mento. « Come Bowie coi Tin-Machines.»
« Come l’Enterprise con Picard al posto di Kirk.»
« Come Berlino senza il muro.»
« Come Steve quando dice “niente male questo grunge".»
« Come Billy col vinile di Madonna.»
« No, come Billy che cerca di farci fessi nascondendo il vinile di Madonna per ascoltarselo quando non c’è nessuno in casa.»
« Sta iniziando il film, Eddie.»
Uno schiocco soddisfatto della lingua precede la comparsa di un’espressione vittoriosa e volutamente irritante sulla faccia del chitarrista. « Come Jonathan Byers che non riesce a vincere alle rinomate olimpiadi di “strano come”.»
Il fotografo assottiglia lo sguardo. Adesso è personale.

« Se questo aereo decollerà e tu non sarai con lui, te ne pentirai. Forse non oggi, forse non domani, ma presto… e per il resto della tua vita.» Sussurra dogmatico, in tono monocorde, con le stesse capacità recitative di un fax. Eddie, confuso, accartoccia la faccia in un unico, gigantesco punto di domanda.
« E questo cosa sarebbe? »
« Le basi. » Sospira con aria saputa Byers, prima di accomodarsi con vittoriosa e aristocratica pacatezza sul suo sedile, rivolgendogli solo il profilo. Si risparmia di mortificarlo ulteriormente con l’elegante gesto della mano sinistra su braccio destro, mentre aggiunge « Strano come Eddie Munson che vuole sentirsi Humphrey Bogart, ma non riconosce una citazione di Casablanca.»

 

La sala si fa scura.

L’abbassarsi delle luci coincide con l’aumento improvviso di un batticuore sgradevole, un tamburo disperato che sicuramente Jonathan avrebbe sentito, se non fossero a meno di due metri dalle casse che gridano le note d’apertura del film. Questo, in realtà, è l’unico lato positivo di una scelta dei posti tutt’altro che geniale; il resto sono solo rogne.

Tanto per cominciare non c’è una vera e propria penombra intima, la “miglior complice per un approccio da cinema”, perchè le luci in seconda fila sono invadenti come un faretto per gli interrogatori e illuminano a giorno ognuno dei tentativi maldestri di Eddie di guadagnare terreno. Volendo fare un azzardato paragone biblico, questo bagliore svela cose profonde e occulte, e sa quel che è celato nelle tenebre, e presso di Lui è la luce”, dove Lui in questo caso non è l’Altissimo, ma il faccione ammiccante di Patrick Swayze.

Inoltre Jonathan aveva ragione: un torcicollo a fine serata è quasi scontato, perchè sedendo praticamente dentro Ghost è necessario inclinare tutte le spalle all’indietro. E guardando lo schermo così la sensazione di essere guardati a propria volta, come quando si sbircia nell’Abisso, è pressochè inevitabile.
Ma Eddie, di nuovo, non demorde. Macina un pugno di pop-corn dietro l’altro, dialogando con se stesso nel pieno di un monologo surrealista, per calmarsi. Non ha veramente bisogno di mangiare, non più: con lo stomaco gonfio di tormenti, in questo momento potrebbe anche abbracciare una di quelle filosofie radicali del digiuno senza batter ciglio, ma deve tenersi impegnato. E’ necessario farlo sia con un flusso di coscienza joyciana, sia aspirando tutto il secchiello, perchè sa che se continuerà a fissargli la mano 

la sua mano così vicina

appoggiata mollemente al bracciolo, non resisterà all’impulso di prendergliela all’istante, trasgredendo così allo schema per punti che ha appreso con determinazione marziale.

Perciò aspetta, rigido come un cadavere, che passino almeno “quindici minuti per rilassarsi, mi raccomando”, e nella trepidazione li conta. 
Decide che è giunto il momento di mettere in pratica il terzo grande insegnamento, la mossa del braccio avvolto con assoluta nonchalance sulle spalle, verso la fine del primo atto. Per inciso, se Jonathan si voltasse a chiedergli “cosa ne pensi del film?” Munson non saprebbe come rispondergli, dato che non sta ascoltando una sola parola. Il fotografo potrebbe anche bisbigliare “carino questo spaccato della vita su Marte, peccato per la scena dell’assalto alla Nave Madre, non si è visto nemmeno uno smaterializzatore di particelle” che Eddie risponderebbe con un meccanico “hai ragione”.

Ad ogni modo, Eddie alza le braccia, per fingere di stiracchiarsi. 

La sua idea di assoluta nonchalance si traduce in un movimento innaturale delle spalle, nel far decollare le mani per aria come se dovesse prendere a pugni il soffitto e nel rumore sinistro di uno strappo. 
Nonostante la partenza frenetica, il braccio piomba sullo schienale di Jonathan, cingendogli le spalle. Eddie trattiene il fiato. Passa un secondo, poi due. Jonathan si volta, piano, sbattendo lentamente le palpebre.

« Eddie?»
« Sì?» La voce gli cigola come una porta.
« Hai strappato la camicia.»

Panico. Con lo sguardo colmo d’orrore, il chitarrista nota lo squarcio netto che s’è aperto sul giromanica, quello che lascia l’ascella grottescamente scoperta. Se riabbassa il braccio con un movimento fulmineo non è certo per il soffio d’aria fredda sulla pelle tesa, quanto per una morsa d’imbarazzo così violenta da fargli girare la testa.
Ma se tutti quei modi di dire, come “vedi gli eroi quando non si abbattono nei momenti di crisi” o “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”, sono veri, allora Eddie, che sta lentamente assumendo in tutto e per tutto l’aspetto di un fascio di nervi, non può non trasformarli in un vero e proprio mantra. 
Deve fare qualcosa, e deve farlo subito, prima di bloccarsi.
Con pensieri di questa risma ad affollargli il cervello in subbuglio, Eddie Munson si sporge verso Jonathan, deciso a snocciolare col “tono torrido che arriva al cuore” la frase che Billy gli aveva suggerito di giocarsi una volta portata a casa la mossa del braccio.

“Come faccio a concentrarmi sul film, se il vero spettacolo è qui, accanto a me?”
Non dice così.
Non dice così non solo per il nervosismo che gli annoda la lingua, ma anche perchè c’è un detto di cui non ha tenuto conto: “quando si tocca il fondo, si può sempre scavare.”

 

« Se lo spettacolo è qui, perchè dovrei guardarti?»

Jonathan si gira un’ultima volta; il suo viso è un connubio perfetto di smarrimento e dispiacere. Sempre grazie all’affidabile esperienza decennale il chitarrista intuisce che ora, con questa faccia da cane bastonato, il fotografo non si senta più a suo agio.
Eddie, illuminato per metà dai bagliori impietosi di Patrick, non ha nemmeno il tempo di maledirsi per questa uscita infelice, per gridare i suoi tormenti alla luna o per crogiolarsi nel melodramma. 

Perchè la risposta a “quella domanda non poi così cretina” che gli aveva fatto Steve adesso gli appare più completa e elementare che mai. Gli sbatte in faccia con un pessimo tempismo.
Non saprebbe dire se il merito di quest’ultima folgorazione sia da attribuire alla luce che svela cose profonde e occulte, alla confusione nello sguardo fisso di Jonathan o alla netta sensazione di essere a tanto così dal mandare tutto a puttane in quello che Billy aveva correttamente pronosticato come un “disastro ferroviario”.

Quello che sa è che sì, lui gli piace. Gli piace sul serio

Gli piaceva quand’era sereno, ai tempi del liceo, mentre fumavano nei bagni scambiandosi i mixtape. Gli piaceva quand’era disperato, nelle notti in cui si fiancheggiavano in mezzo alle catene umane per cercare Will vicino a Bosco Atro. Gli piaceva quand’era distante, nei giorni in cui lavorava al Post. Gli piaceva quand’era sollevato, la mattina in cui è corso ad abbracciarlo dopo che gli avevano rattoppato a dovere i morsi dei demo-pipistrelli. Gli piaceva quand’era poco disinvolto, la sera in cui l’aveva visto spogliarsi per la prima volta in un appartamento che cade a pezzi, sopra un letto che contiene a malapena quattro persone e il rispettivo corredo ingombrante di bagagli emotivi.

Ma soprattutto gli piace guardarlo in faccia e rivederci una vita passata insieme, in costante e bizzarro mutamento.

Gli occhi del chitarrista scendono.
Inciampano sul bracciolo.
Un’altra cosa che sa è che se non gli prenderà quella mano subito, per stringerla, per darsi il coraggio di dire queste cose tutte d’un fiato e per cancellargli quell’espressione turbata dalla faccia, diventerà matto.
E forse ha proprio la faccia di un matto, quando cala bruscamente il palmo sulle dita di Jonathan.
Schiude le labbra.
Prende un grosso respiro.
E si blocca.

Byers ha allontanato il braccio con uno scatto del gomito. L’ha fatto con una tale rapidità da lasciargli il palmo a mezz’aria, a stringere il nulla. Lo fissa in silenzio, con gli occhi sbarrati. Deve avere davvero la faccia di un matto, perchè questi sono gli sguardi che si riservano agli individui instabili alle fermate dei pullman.

Jonathan mormora qualcosa, ma Eddie non lo sente, mentre taglia la corda. Mentre inciampa sui gradini, nella penombra, per scappare verso il bagno insieme al suo vasto esercito di paure, tra cui quella atavica e infondata di non saperne affrontare di petto nemmeno mezza.

Jonathan lo segue con lo sguardo, rimasto da solo nei posti peggiori di tutto il cinema a massaggiarsi il polso.
Gioco, partita, incontro.

 

°

 

Venticinque minuti, una pietosa serie di testate al piastrellato azzurro e un rubinetto aperto con troppa foga dopo, Eddie si ritrova a sospirare con se stesso nel bagno deserto del cinema. Sono già passati i momenti in cui si ripeteva allo specchio “bravo, ottimo lavoro, se volevi mettere in scena “Molestia a tradimento nello spettacolo delle ventuno” ci sei riuscito alla grande, vecchio mio”. Ora è solo spento, e nello specchio non ci si guarda più. 

Preferisce strofinarsi nervosamente il cavallo dei pantaloni con un pugno di carta igienica per togliere gli schizzi d’acqua esplosi dal lavandino. Non sente nemmeno il bisogno di chiamare qualcuno per elemosinare due parole di conforto, perchè la vergogna è tale da fargli desiderare di creparci in questo bagno che puzza di ammoniaca.
Tutt’altro che consapevole di aver ricominciato a esagerare con le iperboli, Eddie continua a strofinare, stringendo le labbra.
Strofina, sospira, strofina.
Strofina, la porta del bagno si apre, strofina.
Alza la testa, la mano si ferma.
Jonathan lo fissa con micidiale perplessità, rimanendo al sicuro nella cornice degli infissi. Ha la stessa espressione di un testimone chiave sulla scena del crimine, o almeno Eddie e il suo improvviso filtro catastrofista la percepiscono così.

Getta immediatamente la carta nel cestino.
« Mi sono bagnato col rubinetto.»
Per tutta risposta Byers si chiude la porta alle spalle, appoggiandoci poi la curva della schiena storta. Continua a guardarlo in silenzio, il suo silenzio da “momenti difficili in cui è necessario esporsi”, uno ostinato e denso che strozza la stanza. Uno in cui stavolta cade anche Eddie, rimanendo perfettamente immobile davanti ai lavandini.
Il tempo che passa prima che Jonathan ritrovi la voce è impossibile da quantificare. Quello che sanno, tutti e due, è di essere un po’ più vecchi da quando la porta s’è chiusa, e che probabilmente il mondo sarà cambiato di nuovo, quando la riapriranno.

« Eddie.»
« Dimmi, Johnnie.»
« Questo era un appuntamento?»
« Temo di sì, amico.»
« Non puoi finire la frase con “amico” mentre mi dici che questo è un appuntamento, credo.»
« Scusa.»

Il chitarrista s’accorge solo con qualche secondo di ritardo di non aver mentito, di non averci girato intorno e di non aver risposto alla domanda secca con un lungo e articolato giro di parole. E forse se n’è accorto anche Jonathan, a giudicare da come gli si sono sciolte le spalle, che adesso sono spioventi come i tetti delle cascine austriache. Di nuovo, forse è per questo che inspira, prima di muoversi, lento e ciondolante, per posizionare il cestone metallico dell’immondizia davanti alla porta. Con la stessa flemma avanza verso i lavandini, fissandosi i lacci sciolti delle scarpe. Ne tocca uno con la punta delle dita sottili e poi s’abbassa.
Si siede, senza far rumore, accovacciandosi accanto alle tubature piene di ruggine, sotto il piatto di ceramica, in mezzo agli schizzi che costellano il pavimento.
E solo a quel punto torna a cercarlo con uno sguardo illeggibile, battendo piano le dita sullo  spazio vuoto accanto a sè.
« Vuoi venire qui? Ci stiamo, se ci stringiamo.»
Eddie non se lo fa ripetere. 
Con uno sforzo immaginifico non è difficile, per nessuno dei due, trovare tutti i parallelismi tra questo nascondiglio spalle al muro sotto i lavandini incrostati del cinema e quelle ore buche da riempire con chiacchiere sul nulla seduti tra i cessi dell’Hawkins High. Ma in fin dei conti qualche protobulletto dalla calata provinciale gliel’avrà pur detto, a suo tempo, che “disadattati erano, e disadattati sarebbero rimasti”.
Chiunque sia stato, ammesso e non concesso che non si sia tolto la vita dopo aver scoperto quanto sia grama la realtà fuori dai banchi di scuola, dovrebbe considerare una fiorente carriera da indovino.

« Le cose sono… diventate parecchio strane, ultimamente.» Jonathan ricomincia a parlare senza preavviso, con una sfumatura timida nella voce. Tiene gli occhi incollati alle ginocchia, le mani cercano un appiglio nei jeans per non arrotolarsi tra loro in un nodo che non saprebbe sciogliere.
Stavolta Eddie resiste sia all’impulso di ricominciare una gara di “strane come” , sia di invadere senza permesso lo spazio tra le sue dita. Questo non significa, però, che non intenda aiutarlo a trovare un appiglio; si sfila il pacchetto di sigarette dalla tasca, allungandogliene una di nascosto. « Lo sono sempre state, Johnnie.»

Byers si volta a guardare prima la sigaretta, poi lui. Un lampo di profonda riconoscenza gli piega sia le labbra, sia la curva delle occhiaie. « Vero. Bada, non me ne sto lamentando. Però a volte mi accorgo solo in ritardo di questi cambiamenti, e da un giorno all’altro… che ne so, Kirk non è più sull’Enterprise. Oppure– »
« Ci pensi che se sopravviviamo per altri dieci anni saremo nel Duemila?»
« Porco giuda, lascia perdere.»
Sorridono tutti e due, incorniciando le sigarette tra i denti, mentre sporgono il mento verso la fiamma obliqua dell’accendino di Munson. L’aria nel bagno si alleggerisce, uno sbuffo di fumo alla volta. 

« Oppure,» ricomincia il fotografo che non ha perso la sfumatura timida nella voce, ma il coraggio di mantenere il contatto visivo con Eddie, quello l’ha trovato. « Un giorno chiudo gli occhi, e tu sei quell’amico improbabile che millanta di insegnarmi come si slacci un reggiseno. Senza averne mai visto uno dal vivo, tra l’altro.» Sebbene Eddie vorrebbe protestare con qualcosa che assomiglia ad un “questa è una bugia, una grossa bugia, perchè Sophia Loren qualcosa mi avrà insegnato”, non lo interrompe. Perchè ha già capito. E il suo termostato emotivo si è già sballato, sciogliendogli tutte le parole in bocca. « E il giorno dopo, quando li riapro, sei la persona con cui convivo in una casa che cade a pezzi, con due amanti e un conto bancario in negativo. E se tutto questo non bastasse, scopro di essermi innamorato di te, esattamente come prima mi sono innamorato di loro.»

Silenzio. 

La sigaretta di Eddie si fuma da sola, mentre il suo sguardo si dilata, si perde, di nuovo, come il senso del tempo dentro questo buco di bagno. La cenere gli crolla sulle scarpe, il braciere gli scotta le dita, ma non ci fa caso; continua a ripetersi le sue parole in testa, per vedere fino a che punto possano accelerargli pericolosamente il battito cardiaco. Si può morire di crepacuore così? Munson crede che con un po’ di pazienza, ne sarebbe capace.

« Troppo enfatizzato?» La voce allarmata di Jonathan lo riporta con i piedi per terra. Scuote la testa, sbattendo la nuca contro le tubature dei rubinetti.
« No, era perfetto. Buona la suspance, e ho apprezzato anche quel tocco filodrammatico sulle condizioni di casa nostra. Se non mi avessi battuto sul tempo, immagino che te l’avrei detto alla stessa maniera.» Nonostante la faccia in fiamme, lo stomaco, è il caso di dirlo, sottosopra, e le caviglie nuovamente contorte in una virgola innaturale nelle scarpe, Eddie ci prova a mantenere quel piglio sarcastico che, in genere, gli evita di farsi travolgere dalle emozioni troppo forti. A Jonathan, che tutti questi dettagli li ha notati, la cosa non dispiace. 

« E’ per questo che hai organizzato un appuntamento?»
« Già. E’ che non… sapevo se ti fossi fatto trascinare dalla situazione. Volevo parlarne, volevo fare le cose per bene, sai no, l’iter romantico di due persone che si mettono insieme e…»
« Ma io non voglio stare con te.»

Per un momento, infinito e tremendo, Eddie si sente morire. E dato che in punto di morte c’è già stato, è sicuro che il paragone non sia iperbolico. Anche lo sguardo mortificato che lancia al fotografo è letteralmente quello di qualcuno che si sta spegnendo troppo in fretta, come una candela sottovento.
« Ah.»
Jonathan si agita. Anche lui, stavolta, sbatte la tempia contro le tubature. « Cioè, non voglio stare con te così. Non con questo tipo di iter romantico, se significa vederti diventare matto, rubare le camicie di Billy, infliggerti un film che non vuoi vedere e comportarti in maniera strana per tutta la sera.» Nello spiegarsi, gesticola. Jonathan non sa parlare velocemente, perciò, trovandosi costretto a farlo senza preavviso, finisce col masticarsi la metà delle consonanti.

Eddie è conteso tra un misto di indescrivibile sollievo e altrettanto indescrivibile disappunto: da un lato, sentendosi graziato e di nuovo in fila per l’infarto, vorrebbe saperne di più sul come Jonathan voglia stare-stare con lui. Dall’altro, invece, vorrebbe sottolineare che “le incomprensioni fanno più vittime degli incidenti stradali. Perciò, per il futuro, scegli con più attenzione come costruire una frase e quando metterci la pausa drammatica, per la miseria.”
Comunque, alla fine opta per la curiosità. 

« E allora come?»
« Non lo so. A modo nostro.»

Jonathan si fa piccolo, abbassa lo sguardo. Eddie, che è scampato alla morte una seconda volta, allarga il sorriso, appoggiando la tempia contro il muro.
« A modo nostro. Possiamo lavorarci su.»  

Consapevole che per stasera Byers si sia aperto fin troppo, Munson non insiste. Glielo lascia volentieri, il tempo per raccogliere i suoi pensieri, mentre spegne il filtro per terra e osserva con un sopracciglio sollevato lo squarcio nella manica della camicia. 
La strappa via, del tutto.
A diversi isolati di distanza, Billy avrà sentito un brivido rivelatore lungo la schiena. Jonathan, richiamato dallo strappo, torna a cercarlo tra l’incuriosito e il meravigliato. E Eddie, che senza manica sembra un pirata, lo accoglie con una smorfia complice, serena, sciogliendo le gambe lungo il pavimento.

« Johnnie, cosa ne pensi dell’impatto culturale di MTV?»  

Da questa domanda, e dalla successiva sigaretta che gli ha offerto per propiziare un lungo simposio da veri proletari in mezzo alla ruggine, è stato davvero tutto in discesa. 
E’ stato più facile.
E’ stato facile annodare le ginocchia, come a casa, e parlare a ruota libera dell’assoluto nulla, come sempre, col cuore più leggero e nessuna occhiata perplessa di troppo. E’ stato perfino facile, per Eddie, capire di essersi innamorato “di brutto” , dopo aver sentito Jonathan uscirsene con un “Ma tu lo sapevi che Video Killed The Radio Star è stato il primo video trasmesso da MTV? A casa mia questa si chiama crudele ironia”. 
Ed è stato facile, e non strano, confessarglielo fuori dai denti, senza girarci attorno.
Per Byers è stato un po’ meno facile accogliere questa dichiarazione senza inciampare tra le parole, avvampare e chiudersi in un sistematico mutismo spirituale per dodici minuti, ma non c’è stata una sola traccia di lamentela, da parte sua.

Diverso tempo dopo, ancor più vecchi di prima e con un cimitero di filtri accanto alle caviglie, si sono guardati a lungo. Nell’intervallo dello sguardo profondo, Jonathan ha proteso il viso in avanti, in uno slancio, verso di lui. 
Prima che potesse raggiungerlo, però, Eddie l’ha bloccato a un passo dalle sue labbra, incorniciandogli le guance scavate con i palmi ben distesi. Nella mezzaluna di sorriso che ha rivolto al suo vago smarrimento c’era sia una cascata d’affetto, sia una punta di scorretta soddisfazione. “Eh no, bello mio.” Aveva sussurrato a mezza voce strizzandogli l’occhio, stavolta in scioltezza. “Hai deciso di fare un bel falò in pieno stile Fahrenheit di tutti i grandi insegnamenti sulle scalette del pathos romantico? Perfetto. Allora aspettati anche che io ti baci quando meno te lo aspetti. Preferibilmente nel momento meno adatto possibile e nelle contingenze più strane che mi capitano a tiro.”
Jonathan, invece che suggerirgli la strada più breve per andare a farsi fottere, aveva arricciato le labbra. La luce pericolosa che c’era negli occhi di Billy e di Steve, che a quel punto Eddie non era più così sicuro non si trattasse dello shining, lampeggiava nello sguardo di entrambi.

“Strane come?”

Alla fine, comunque, si sono baciati sul serio. Non in quel bagno, da cui sono usciti verso la fine di Ghost, trovando il mondo fuori sì cambiato, ma sommariamente gestibile. Non l’hanno fatto nemmeno quando si sono nascosti tra i tendaggi della sala vuota, aspettando l’inizio della prossima proiezione che avrebbero visto senza spendere un solo, sudato centesimo.

Si sono baciati lentamente, protetti dalla penombra giusta, sul fondo di una platea deserta, mentre Kevin Bacon sul grande schermo fronteggiava il primo dei tre vermoni sotterranei che banchettavano con la brava gente di Perfection.

E nel farlo, con quella goffaggine tipica di chi i baci ha imparato come darli solo di recente, si sono finalmente presi per mano.



°



Quando lo squillo improvviso del telefono interrompe ogni movimento in casa Harrington-Byers-Hargrove-Munson, Billy grugnisce. 
Ma solo in un primo momento.
Nel secondo, quando Steve si allontana dalle sue cosce tese per trottare con aria allarmata verso la cornetta, bestemmia.

Con i pensieri ridotti a fusilli, le labbra gonfie e la schiena sprofondata nella conca del divano, aspetta di sentirlo rispondere, di sentirgli tagliare con diplomazia la conversazione con qualsiasi scocciatore abbia deciso di disturbare a quest’ora della notte e, soprattutto, aspetta di vederlo tornare sopra di sé, tra i cuscini accartocciati. Altrimenti ci penserà lui a prendere le redini della telefonata, e chiunque abbia chiamato passerà da scocciatore a scocciatore morto-e-sepolto.

« Pronto?» Lo sente mormorare, con la voce affannata. Socchiude gli occhi, Billy, stropicciandosi la fronte in quello che spera sia solo un breve riposo del guerriero. 
« Cosa?» L’abbaio di Harrington basta a fargli drizzare le antenne. 
Passa una lunga manciata di secondi.
« Cosa?!» Il secondo abbaio di Harrington, invece, lo convince ad alzare di scatto la schiena, con le sopracciglia calate sullo sguardo in allarme.
« Chi è?»
« Eddie.»
« Ha chiamato per farci la telecronaca? Digli che è di una sciatteria infinita, e che ne possiamo parlare quando tornano a casa. »
« No, dice che ha perso il portafoglio per colpa tua perchè non gli hai fatto mettere quella benedetta catena. E che, dato che avevano finito i soldi, hanno fatto l’autostop.»
« Colpa mia? Steve, fammi un favore, vedi di mandarlo affanculo.»

Ma Steve, nudo e illuminato solo dalle luci al neon della videoteca erotica che filtrano dalle imposte, sgrana lo sguardo man mano che Eddie continua a parlare attraverso il telefono.
Billy, in cuor suo, intuisce che la pace sia già finita.

« Dice che sono finiti dall’altra parte della città, nel retrobottega di un bar dove fanno i combattimenti tra cani, e che quelli dell’autostop stanno cercando di convincerli a prendere parte a una rapina, o a un’orgia, non ha capito.»

Per un secondo surreale, Billy e Steve si fissano, in silenzio, senza dire nulla.
Poi tutto diventa caotico.
Gli echi degli ordini di Steve - “trova le chiavi”, “datti una mossa” e “mettiti le mutande, per l’amor di Dio” - si mescolano nel frastuono dei tonfi frenetici con cui Billy si mette in piedi prima, e crolla sul pavimento poi, perchè le gambe non si sono ancora svegliate.

Quando corrono fuori, sbattendo la porta, in casa torna finalmente la quiete.
Un attimo dopo, la porta si riapre.
Billy acchiappa il piede di porco dal portaombrelli.

E infine la richiude.

  
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