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Autore: HermaMora    15/10/2022    0 recensioni
Anno scolastico 1998-1999. Hogwarts è stata teatro degli orrori della Secondo Guerra Magica. Prima posta sotto il controllo dei Mangiamorte, poi teatro dell'ultima grande battaglia tra il Signore Oscuro e l'Ordine della Fenice, la scuola di magia e stregoneria inglese porta le cicatrici di anno più che tetro. I protagonisti delle avventure che ci hanno accompagnato fino alla dipartita di Voldemort hanno preso le loro strade: Ron ed Harry hanno iniziato il loro apprendistato come Auror, mentre Hermione sta per cominciare il suo settimo anno ad Hogwarts. Con lei, pochi studenti inglesi si presenteranno alle porte della storica scuola e la nuova Preside, seguendo la politica del predecessore Albus Silente, sceglie di chiedere aiuto ai maghi di tutta Europa, per dare nuova vita alla sua scuola.
(Aggiornamento settimanale)
Genere: Erotico, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Nuovo personaggio, Serpeverde | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Pansy/Theodore
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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ATTO I “ANTIPASTI”

Capitolo 7 “Zucca marinata, soffice di nocciole, bottarga di tonno e colatura di alici"

NOTE DELL'AUTORE

Nota all'inizio del capitolo. Novità in arrivo? No, ma al posto delle novità vi capita il secondo capitolo arancione della storia, dopo la prima parte del prologo con la testa mozzata di Elia. In questo capitolo c'è una scena di sessualità esplicita, assieme ad un paio di violenza altrettanto esplicita. Niente gore, però, solo tanto, tanto dolore.

Le scene sono tutte abbastanza importanti per la trama e vi consiglio di tenere duro, nel caso non apprezziate i toni più duri. Questa è la prima volta che tento di mettere in scena del sesso, quindi abbiate cura di recensire o mandarmi messaggi privati per farmi capire come è andata la... prestazione. Troppo trash, non ce la faccio. Penso di essere stato abbastanza controllato, ma voi fatemi sapere.

Vi auguro una buona lettura fioi.


C’era silenzio nella stanza, se si faceva eccezione per lo scoppiettio del fuoco nel camino e il leggero fruscio delle pagine di un libro che venivano sfogliate. Rannicchiato sulla grande poltrona di pelle un po’ sformata, Pietro si godeva il tepore delle fiamme, affondando di più tra i cuscini e sistemando meglio la coperta che gli copriva le gambe nude. Sorrise senza accorgersene quando arrivò alla fine della pagina. Non era mai stata un grande amante dello studio nella sua accezzione teorica, ma quello che Valentino gli aveva portato da quel bosco in Campania non era un normale libro di incantesimi. Era da anni che lui lo bramava. Aveva fatto di tutto per attirare l'attenzione della Gatta, ignorando i particolari sul rituale d'evocazione. Era stato espulso dall'Accademia per essersi spinto troppo oltre. Come se la vita di un babbano senza nome avesse più importanza della vera comprensione delle Arti Oscure, degli Horcrux, come se valesse più del Libro dei Cinquecento. Nemmeno quella di un mago, per altro simpatico, come Elia, valeva il tesoro che stringeva tra le mani. Aveva dovuto mentire al suo amico, a quel ragazzo un po' più giovane che gli si era avvicinato due anni prima durante un seminario di Giordano, quello sciocco, ambizioso insegnante di Arti Oscure. Valentino era curioso, ma non avrebbe scambiato la vita di un amico per la conoscenza, Pietro ne era sicuro. Per Valentino l'amicizia era un valore che superava tutti gli altri, persino l'amore.

La voglia di leggerlo tutto era quasi fastidiosa, ma cercava di centellinare ogni pagina, assaporando il sapere sempre più grande che stava apprendendo da quelle pagine giallastre.

Una strana nostalgia lo invase, costringendolo a chiudere il libro e posarlo sul bracciolo. Quando sollevò il viso, quello che si trovò davanti agli occhi gli fece venire voglia di ridere e piangere assieme.
Sopra al camino svettava la foto che avevano scattato tutti un anno e mezzo fa. Vedere lui, Beatrice, Valentino e Angela; due generazione di studenti delle Arti Oscure; quattro anime così chiaramente incrociate, legate da un destino inevitabile. Avrebbe dovuto nascondere quella fotografia, ma doveva ancora trovare un nascondiglio adatto.

Sdraiata supina sul divano, Beatrice Loro dormiva profondamente. Il viso finalmente rilassato, i capelli arruffati e una coperta che copriva quel corpicino che ricordava tanto una bambola di porcellana, bianca come il latte. Pietro fece una smorfia: se fosse stato lui, ad addormentarsi in quella posizione, sarebbe somigliato ad un cane uscito da una lavatrice. Invece lei ricordava un angelo, perfetta com'era.

Il mago si morse il labbro inferiore, trattenendo il magone: ore di preparazione, programmazione, piani e bugie, tutto l'aveva condotto a quel momento, a Beatrice, al Libro dei Cinquecento.

Ebbe un brivido. Nonostante il fuoco del camino, stare seduto nella seminudità gli stava facendo prendere freddo. Decise quindi di raccogliere la sua vestaglia da terra, la indossò e camminò lento verso la cucina, per rinfrescarsi la gola. Il Fiore di Loto era perfetto per rilassare la mente prima dello studio, o prima del sesso, ma ora la gola gli sembrava ricoperta un irritante patina di muco.

Dopo essersi servito un bicchiere d'acqua, tornò alla sua poltrona e raccolse il libro.

"Pietro, ti dispiacerebbe darmi una mano?".

La voce di Beatrice lo fece sobbalzare, facendogli perdere la presa sul libro, che cadde a terra con un tonfo sordo sul tappeto. Sollevò lo sguardo, quasi smarrito, fino ad incrociare le iridi meravigliose della sua complice: erano d'oro, tanti fili d'oro che si attorcigliavano attorno alla sua pupilla nera. Pietro s'incantò a guardare quello spettacolo.

"Devo chiedertelo in inglese, per caso?". Beatrice lo fece tornare alla realtà come al solito. La sua espressione non era più quella distesa e dolce, che assumeva solo mentre dormiva. Le sue labbra erano piegate all'insù, in un sorriso inequivocabilmente provocatorio. Le lo era sempre stata, provocatoria.
Aveva scoperto Valentino prima di lui: lei lo aveva visto subito come l'inestimabile tassello mancante del loro enigma.

Lei aveva sempre avuto un dono per capire le persone, a differenza sua, che invece sapeva come usarle, le persone.

"No". Si alzò in fretta e raccolse il libro, per posarlo al sicuro, sulla poltrona. "No, arrivo".

Si avvicinò alla sua compagna e le tese la mano, subito stretta in quella di lei. Lui le fece da leva, e lei poté alzare il busto, solo per prendersi un bacio rubato alle labbra di Pietro.

Quando Pietro decise di interrompere quel contatto, Beatrice si scostò. Lo capiva, Beatrice.

"Mi guardavi ancora dormire? É inquietante, amore mio". Beatrice sorrise. "Se fossi più pudica me ne andrei di qui di gran carriera, Signor Scolari, e ti lascerei solo in questo posto caldo e triste".

"Fortuna che non sei pudica, Beatrice". Le rispose Pietro, raddrizzandosi e scoccandole un'occhiata sprezzante.

"Sono questi i momenti in cui vorrei che Valentino fosse qui". Continuò quella, con quella irritante smorfia divertita. Provocatoria. "Lui sarebbe un balsamo anche per te. Io ti ho proposto, ormai due anni fa, di farlo partecipare al nostro gioco".

Pietro sospirò. Il più grande difetto di quella ragazza era quella mania che la obbligava sempre a giocare col cibo.

"Era piuttosto occupato con il tuo gioco, Beatrice. Ti avevo avvertito: replicare il nostro allenamento con le Imperdonabili sarebbe stato troppo per lui. Sarà stato abile, ma non dominava bene le sue emozioni. Avresti potuto romperlo". Pietro non aveva tanta voglia di tornare su quella questione: ne avevano parlato davvero troppe volte e nessuno cedeva mai.

"Ma non è successo. Ha scoperto il vero sé stesso, come me e te. Ha disciplinato il suo essere con l'Imperius, ha dominato il dolore con la Cruciatus. L'unica cosa che gli manca...". Beatrice si alzò in fretta e prese tra le mani il volto di Pietro.

Beatrice rimaneva sempre colpita da questa sua peculiare caratteristica: qualsiasi persona, di fronte ad un contatto così rapido e invadente avrebbe distolto lo sguardo, sarebbe arrossito o l'avrebbe scostata. Pietro rimaneva fermo, gli occhi congelati, di quel grigio tanto scuro sa sembrare il fumo che usciva dalla città babbana, là fuori.

Sembrava una statua.

"Poteva succedere e non è successo, più grazie ai suoi amici e a me, che alla tua fame, Beatrice". Di nuovo, Pietro si era mosso a malapena: anche quando parlava, sollevava pochissimo le labbra. Qualsiasi altra persona avrebbe emesso mugugni, parole strascicate, ma la voce di Pietro e calda, sonora, come quella di un attore. Qualche volta Beatrice si chiedeva se provasse davvero qualcosa, il suo Pietro.

"Hai riportato sua madre a casa sua?". Chiese lui.

"E le ho dato l'antidoto al Distillato della Morte Vivente, come mi hai spiegato ormai troppo volte. Non devi preoccuparti. Elena sta benissimo. Ricorderà solo di aver accompagnato il figlio in stazione a Londra, dopo averlo iscritto al progetto dopo una bravata di troppo, come la Signora e il Signor Doragon, del resto. Ricorderanno di averlo fatto nei tempi giusti. Anche la piccola Agata non ha notato nulla. L'Imperius che ho lanciato su quella stupida esaminatrice è forte. Fra un mese, quando potrà tornare in Inghilterra, avrà uno sfortunato, tragico incidente".

Pietro annuì, meccanicamente. Poi la baciò lui, con trasporto. Beatrice si ritrovò con il divano che le bloccava le caviglie. Pietro sapeva quello che faceva. Lei gli aveva insegnato bene a fare l'amore, come lui le aveva insegnato a fare dell'altro.

Gli sciolse il nodo della vestaglia e la gliela tolse. Un altra cosa positiva di Pietro era la totale mancanza della mondana voglia di mettersi qualcosa addosso. Girava sempre per casa seminudo, o con quella stupida vestaglia blu. D'inverno invece era costretto a pigiami di lana. Non che non badasse all'igiene: si lavava spesso, ma quanto a vestirsi, non sembrava mai averne voglia, o tempo.

Lei era già nuda, quindi avrebbe dovuto semplicemente allargare le gambe e lasciarsi cadere.

Interruppe il bacio e gli si accostò alla spalla.

“Cosa vuoi, Pietro Scolari?”. Gli sussurrò all'orecchio, prima di morderlo.

Pietro si tormentà il labbro, indeciso, come sempre. Capiva così bene il libro noioso che era il fulcro del loro minuzioso piano, ma con il piacere Pietro non aveva mai voglia di decidere. Fortunatamente per lui, c'era lei pronta a prendersene cura.

“Hai sempre trovato carina quella babbana di paese, vero?”. Lo morse più forte. Una goccia di sangue scese dall'elice fino al lobo, per poi cadergli sulla clavicola.

“Come si chiamava? Laura, Veronica, Valeria...”. Beatrice sentì la pressione dell'erezione del suo compagno sul suo ventre, trattenuta dai boxer.

Pietro emise un verso strozzato. Non sapeva davvero come gestire il piacere, quel ragazzo. La strega abbassò la mano e raccolse l'eccitazione di Pietro coperta dall'intimo. Iniziò ad accarezzarla.

“Caterina”. Si arrese il ragazzo. Beatrice rise. Ovviamente sapeva già che si chiamava Caterina. Aveva notato gli sguardi del suo compagno e anche lei la trovava carina. Lavorava all'ufficio delle poste locale: un viso lungo, quasi di stampo egiziano, ma caucasica, dal taglio a caschetto, bionda, bella.
Beatrice tenne a mente quei dettagli mentre mutava; i suoi capelli castani s'illuminarono e presero a retrocedere dal bacino fino al collo; si lisciarono in un attimo; i suoi occhi color oro si tinsero di scuro; la sua pelle guadagno colore; la sua statura aumentò; il suo viso si fece più cavallino.

La mutazione non faceva alcun male, anzi: il prurito era quasi piacevole.

Quando Pietro vide il risultato finale assunse un'aria quasi orgogliosa; come se fosse fiero del lavoro di Beatrice; come se fosse stato un compito ben realizzato di fronte ad un professore soddisfatto.

In effetti, rifletté Beatrice, quel potere lo aveva coltivato proprio grazie a Pietro.

Il mago le prese il mento tra le dita e ricominciò a baciarla. La sua lingua, vivace, si fece largo tra le sue labbra, prima di unirsi a quella di lei.

La mano di Beatrice si liberò dell'impiccio dei boxer e poté davvero toccarlo.

Lui gemette, lei sorrise ancora di più.

Si lasciò cadere sul divano e per un attimo Pietro si raggelò, rimasto solo, in alto, lontano dal corpo di lei. Poi, come al solito, si riprese da quella paralisi e si piegò per baciarle il collo. Non aveva capito le intenzioni di Beatrice. Era notte fonda, un po' tardi per i baci sul collo.

Gli afferrò i capelli lunghi, che profumavano di pulito, forse vaniglia.

Lo spinse molto più in basso rispetto al collo, e lui obbedì, da bravo complice. Se lui era naturalmente portato per l'occulto e lei non si opponeva ai suoi ordini quando si parlava di magia, non permetteva che lui si opponesse a lei quando era Pietro a dover imparare ancora molto.

Si sorprese quando lui la morse, tra la coscia e il sesso di lei. Gli strinse i capelli tanto forte da strappargli alcune ciocche dalla nuca.

Se voleva fare il ribelle, avrebbe pagato lo scottone.

L'ammonimento bastò a calmarlo: vide i suoi occhi attenti, concentrati, mentre ripeteva i movimenti che lei gli aveva insegnato. Aveva una lingua sorprendentemente lunga per essere un ragazzo che stava quasi sempre immobile e zitto.

Fu il turno di Beatrice di gemere. Pietro si comportò bene: gli umori della sua compagna bagnavano il mento del ragazzo, che continuava e continuava a stimolarla con la punta della lingua; si dava assistenza con un dito; a momenti con due dita.

Pietro sapeva che Beatrice si sforzava di non dimostrare mai i suoi orgasmi, ma aveva scoperto un segno rivelatore: quando veniva tendeva a piegare tutte le dita dei piedi, contemporaneamente. Pietro adorava avere successo, sopratutto negli ambiti che gli erano meno congeniali. Con la coda dell'occhio, mentre teneva impegnata Beatrice con le dita, vide i segni rivelatori del piacere della sua compagna. Si sentì bene nel soddisfarla.

“Non vuoi divertirti con questa giovane babbana, Signor Scolari?” Gli chiese scherzosa Beatrice, accarezzandogli la schiena tesa.

Pietro si rialzò, solo per trovarsi Beatrice di fronte. Anche lei si era alzata all'improvviso ed erano a meno di un centimetro di distanza.

Lei gli girò attorno, rapida, e lo spinse sul divano. Pietro, lievemente stupito, fece per girarsi, ma Beatrice lo inchiodò a sedere, spingendolo per le spalle.

Le sua dita, più lunghe del solito, dato che aveva preso l'aspetto di Caterina, si strinsero attorno al suo collo.

“Cara vecchia Beatrice, così mi vizi”. Pensò il ragazzo, mentre il suo respiro si faceva più flebile.

La ragazza, premendogli le dita abbastanza da concedergli un filo d'aria, piego una gamba e appoggiò il ginocchio sinistro sul divano.

Pietro cominciò a vedere delle macchie bianche che prima non c'erano; le sue giugulari, come le carotidi gli si tendevano sul suo collo, come corde dibattute da due bambini in qualche insulso gioco.

Non se ne preoccupò. Questo era il loro, di gioco.

Sentì il ginocchio destro di Beatrice toccare la sua anca destra, come la mano della ragazza ora gli stringeva l'erezione e la guidava dentro di lei.

Sentì la pressione al suo collo farsi meno decisa, in un momento. Beatrice aveva spostato la mano destra sul suo petto, per reggersi meglio. Pietro rimase immobile mentre provava l'incredibile sensazione che è congiungersi con un altro essere umano, resa ancor più incredibile da Beatrice, l'essere umano più affascinante che lui avesse mai incontrato. Ogni volta un corpo nuovo, ma sempre la stessa forza, sempre la stessa violenza.

“Muoviti, dai”. Gli ordinò dolcemente, e dolcemente Pietro si mosse. Poteva sentire il bacino di lei ondeggiare sul suo inguine, in una danza circolare. Non poteva abbassare lo sguardo, non con la sua mano ancora stretta sul collo.

Il piacere e il dolore, generato dall'asfissia, culminavano insieme un mare ribollente di euforia, che facevano sentire a Pietro un mare di fuochi bruciargli la pelle dall'interno.

“Più veloce”. Obbedì di nuovo, muovendo il bacino, entrando in lei più profondamente. La sentiva stringere, avvolgerlo per soffocare anche quella parte di lui.

Rimase stupito per un attimo, quando non sentì più la pressione al petto dovuta alla sua mano destra, ma capì quando un oggetto piccolo, lungo, freddo e puntuto lo toccò tra le costole.

“Sei stato bravo”. Lo ringrazio lei. “Crucio”.

Una violenta scossa pervase tutto il corpo di Pietro, mentre ogni parte del suo corpo urlava, in preda ad un tremendo dolore famigliare. Pietro non emise un gemito. Sentiva le ossa che sembravano voler sgusciare fuori dalla pelle, la sua lingua ardeva, la fronte scottava e le scosse, sempre più violente, non finivano. Al mare di sensazioni, si unì quell'atroce dolore interno, peggiore di ogni tortura babbana: fu quello di cui Pietro aveva bisogno.

Venne in lei spingendo in profondità, stappandole un piccolo gemito di sorpresa.

Il dolore si acquietò, poco a poco. Le braccia intorpidite iniziarono nuovamente a rispondergli, le gambe, fredde e tremanti si muovevano. Anche la pressione alla gola si fece meno forte, fino a scomparire. Beatrice gli aveva preso il mento tra le dita e gli aveva abbassato il viso. Lo guardava euforica, perfetta come un angelo.

Lo baciò con dolcezza, prima di dargli la bacchetta.

Era ancora dentro di lei quando una nuovo brivido di piacere gli ridiede rigidità.

Ora toccava a lui.

Era stato lui ad insegnare a Beatrice ad usare le Maledizioni senza Perdono, ma senza lei non avrebbe mai scoperto quell'uso peculiare, tutto loro, dell'Imperdonabile della Tortura.

Si separò da lei, le prese i fianchi, per poi girarsi di scatto e spingerla contro il divano, come una specie di contrappasso. Lei rise, come una bambina, facendo ruggire qualcosa dentro Pietro.

Beatrice si girò verso un poggiamano, prona, piagata sulla ginocchia, con la sua solita espressione selvaggia sul viso.

“Avanti Pietro”. Non aveva smesso di comandare, solo di infliggergli dolore.

Si mise alle sue spalle, a cavalcioni e preso il bacino da ogni lato, entrò in lei senza aspettare un'istante.

Un altro gemito. Bene, si sarebbe preso questa soddisfazione. Le afferrò i capelli corti con la mano sinistra, mentre con la destra le puntava la bacchetta contro la schiena tesa.

“Crucio”.


Lui stava lì, sella Stanza Verde del Manor, una stanza lunga, illuminata da un camino. Lui era seduto sul suo scranno, lo scranno che era stato di suo padre. Gli ordinava di muoversi, di alzare la bacchetta.

Doveva volerlo, diceva. Doveva voler punire, doveva volere che soffrisse, altrimenti sarebbe stato lui a provare la furia del Signore Oscuro.

Vedeva l'ombra di Voldemort e sentiva la sua rabbia montare, pulsare in quelle vene pallide, violenta e repentina come una scarica elettrica.

Il sogno inizia con Rowle, che si agitava, grasso, biondo e urlante, Si contorceva sul pavimento come un gigantesco insetto. Draco gli era di fronte, incombeva su Rowle, la bacchetta tesa, la mano tremante, mentre Lui parlava a voce acuta, fredda, spietata.

“Ancora Rowle, o vuoi che la facciamo finita e ti diamo in pasto a Nagini? Lord Voledemort non sa se ti perdonerà questa volta... Mi hai chiamato per questo? Per dirmi che Harry Potter è fuggito di nuovo? Draco...”.

Il ragazzo aveva sentito una corrente gelida attraversargli il corpo quando l'Oscure Signore lo aveva nominato.

“Basta”. Pensava. “Fai che si sia stufato, fai che la smetta”.

“...Dai a Rowle un altro assaggio del nostro scontento. Fallo o sarai tu a subire la mia collera!”.

Draco aveva alzato di nuovo la bacchetta. Deve soffrire, o lui mi ucciderà, poi ucciderà mio padre e mia madre. Deve soffrire, deve soffrire, deve soffrire...

Un ceppo cadde dal fuoco: le fiamme si ridestarono e la luce danzò sul suo volto pallido e spaventato. Fu come essere esposto di fronte alla morte fatta persona.

“Crucio”. Rowle aveva ricominciato ad urlare.

Poi l'incubo cambiava e Rowle veniva sostituito: un Nato Babbano che non aveva mai visto, che continuava a chiedere della figlia, poi il padre di Theodore, quello di Goyle, un altra Nata Babbana, tanto piccola da essere di certo in età da Hogwarts. Lui se lo continuava a ripetere: non hai scelta, lui li ucciderà comunque e tu devi pensare a te stesso, a tuo padre, a tua madre.

La Nata Babbana poi diveniva proprio Lucius Dopo la fuga di Potter dal Manor, il Signore Oscuro aveva di nuovo trovato un motivo per odiare i Malfoy.

Aveva pensato, secondo Draco, che tanto valeva che Lucius facesse da esempio per il figlio, un esercizio per dimostrare che lui non era debole come il padre.

Era stato difficile obbedire a quegli ordini. Suo padre non la smetteva di guardarlo negli occhi: quegli spettrali occhi grigi, i suoi stessi occhi che si riflettevano... ma lo aveva fatto, per sua madre, per lo stesso Lucius. Non era sicuro di averlo fatto per sé stesso però. Quel giorno aveva sentito parte di sé morire.

Gli occhi grigi di Lucius divenivano d'ambra ed ora non stringeva più la bacchetta. Lo faceva sua zia.

Hermione Granger era piegata a terra, legata da ceppi invisibili. Bellatrix aveva detto che Pietrificare qualcuno prima di Cruciarlo era una pratica da adottare con i Sanguemarcio. Non era bello vederli scuotere, agitarsi e contorcersi rischiando di insozzare il tappeto pregiato del salotto, o i mobili di mogano che abbellivano la stanza. Poi, aveva spiegato al nipote, come fosse un altra lezione normalissima, che quando il dolore ti coglie e non può dargli sfogo con un movimento, rimbomba nel corpo come un terremoto, un eco perpetuo di sofferenza, che ti fa desiderare la morte.

Zia Bella però aveva l'esperienza: sapeva evocare una Petrifucus che permetteva alla vittima di poter continuare muovere la bocca. Privarsi delle urla dei Sanguemarcio, diceva, era un vero peccato, in un'occasione tanto lieta.

Draco era terrificato. Non aveva mai amato Hermione Granger: sapeva di averla invidiata per i suoi risultati, disprezzata per le sue origini, detestata per quell'atteggiamento insopportabile da so-tutto-io. Forse l'aveva odiata, in qualche momento della sua adolescenza. Mai però, aveva augurato alla ragazza il supplizio che stava subendo. Intrappolata nell'immobilità, il viso una maschera di orrore e l'unica libertà che gli era stata concessa era umiliarsi in urla disperate di dolore.

Voleva vomitare, andarsene o Schiantare sua zia, sentiva il suo corpo ribellarsi alla mente. La bacchetta di agrifoglio farsi più pesante nella tasca della sua veste. Doveva fermare quello che stava succedendo, doveva fare qualcosa.

Poi però guardava sua madre, imperturbabile, immobile, composta come se fosse solo una normale serata al Manor, suo padre era eccitato come un lupo di fronte all'agnello. Draco non pensava che c'entrasse la Granger, ma anche Lucius doveva ormai essersi reso conto che il ragazzo sfigurato che stava nelle segrete dovesse essere Potter.

Era la sua famiglia, le persone che gli avevano sempre voluto bene.

“Che altro avete preso, che altro? RISPONDIMI! CRUCIO!”.

Le urla di Hermione riecheggiavano nella stanza. Zia Bellatrix continuava ad alzare la bacchetta, Hermione Granger continuava ad urlare e Draco era lì, fermo, immobile come una statua.

Draco si svegliò, sudato, ansimante, Aveva di nuovo lo stesso, maledetto incubo. Anche questa notte non era riuscito a muoversi, a salvarla.

Perché non riusciva a non tradirla ogni notte?

“Elia”.

Draco si girò, spaventato dalla voce che veniva da un punto alla sua sinistra.

Valentino Marchetti si rigirava tra le coperte. Il suo volto era fradicio di sudore e la sua fronte era corrugata tanto da farlo apparire molto più vecchio.

Era un ragazzo pallido, quindi vederlo così arrossato spavento Draco, che fece per alzarsi a controllare che stesse bene.

Prima che lo potesse fare, Valentino parlò di nuovo in una lingua che Draco non sapeva, probabilmente italiano.

“Se avessi saputo lo avrei impedito, Elia. Io non potevo muovermi: l'aria era come fango. Scusami, scusami tanto”. L'italiano singhiozzava. Draco vide molte macchie sul lenzuolo. Doveva aver pianto nel sonno.

Draco non capiva cosa l'italiano stesse dicendo, ma conosceva bene il tono con cui pronunciava quelle parole sconosciute; il tono di chi si sente colpevole e implora il perdono.

Lo Slytherin non chiuse occhio quella notte e si obbligò ad ascoltare le poche parole dolorosamente pronunciate da Valentino. Draco avrebbe voluto svegliarlo e provare a parlarci, ma da quanto aveva capito dell'italiano, non era tipo da esporsi senza la certezza di potersi fidare.

Draco lo capiva, perché anche lui la pensava allo stesso modo. Pensò ai timori di Hermione, alle sue confidenze. Avrebbe tenuto d'occhio Valentino, questo era ovvio, ma avrebbe preferito aiutarlo, piuttosto che denunciarlo alla McGonagall.


Daphne Greengrass non era una ragazza stupida, ancor meno superficiale.

Si considerava sveglia, forse la più sveglia del dormitorio Slytherin, per quanto la riguardava.

Aveva avuto le sue soddisfazioni: valutazioni alte ai G.U.F.O., uno sciame di proposte di matrimonio al suo diciassettesimo compleanno, dei buoni amici e una fortuna ad aspettarla, data la fortuna della famiglia Greengrass, che seppur di minor grado, era una famiglia appartenente alle Sacre Ventotto. Era stata persino tanto fortunata da non avere Mangiamorte in famiglia. Il nome dei Greengrass non era stato infangato come quello dei Malfoy, dei Parkinson o dei Nott.

Insomma, Dpahne Greengrass non aveva nulla di cui lamentarsi.

Eppure da un anno a questa parte, non riusciva a dormire bene. Copriva le occhiaie con pozioni e unguenti e si sforzava per apparire sempre attenta, sempre reattiva, ma sentiva il suo fisico cedere ogni giorno di più. Quella sera era stata sul punto di andare in infermeria per chiedere la Bevanda della Pace alla Pomfrey, ma si era ripresa. Una Greengrass non si mostrava debole, mai.

Era seduta su una delle poltrone della Sala Grande e guardava le fiamme crepitanti del camino. Faceva freddo quella notte.

Si sentiva terribilmente sola quell'anno: Draco sembrava aver definitivamente messo la testa a posto. Aveva iniziato a trattare tutti con più cortesia, persino Goyle. Stava affrontando i suoi sensi di colpa e tutte le terribili esperienze passate l'anno prima.

Erano stati amanti, per poche volte e poco tempo, lei e Draco. Ormai Daphne faceva fatica a ricordare quel periodo del quinto anno. Che sciocchezza: lui probabilmente non ci pensava più. Aveva lasciato al passato il ragazzo immaturo che era e ora aveva abbracciato il futuro, era maturato, l'aveva lasciata indietro.

Theo invece era pazzo di Pancy e per ora lei contraccambiava. Nott non era più taciturno e immusonito, anche se suo padre era morto l'anno prima. Anche se sua madre era ad Azkaban, e ci sarebbe rimasta a vita. Persino lui era cresciuto e aveva fatto i suoi passi verso il futuro affianco a Pancy, alla sua migliore amica. Pancy che passava i pomeriggi con lei a parlare di ragazzi, di idiozie. DI ragazzi liberi ne erano rimasti pochi e le idiozie di cui discutere erano finite. La Parkinson aveva superato l'estate a testa alta, senza vivere nel passato. Daphne la invidiava.

Blaise era il solito vecchio Blaise; l'anno prima si erano avvicinati molto: entrambi non appartenevano all'elite dei figli di Mangiamorte e si erano fatti da scudo l'uno con l'altra. Daphne aveva immaginato di provare qualcosa, per quel moro vivace, intelligente e sarcastico, ma poi lo aveva visto andare avanti, maturare, lasciarla indietro. Anche lui, senza volerlo, l'aveva abbandonata a sé stessa.

Vergognandosi Daphne avrebbe volentieri portato indietro le lancette dell'orologio a tempi più semplici, tempi in cui prendersi gioco di Potter o della Granger non era un pericolo, tempi in cui i ragazzi non facevano che parlare di Quidditch, tempi in cui erano stati fieri di essere a Slytherin, te mpi in cui il Signore Oscuro era solo un uomo del passato, ricordato con nostalgia, senza sapere cosa davvero voleva dire vivere sotto il suo dominio.

Dapgne avrebbe volentieri riportato indietro quelle maledette lancette, ma non poteva.

Era persa in quelle riflessioni da mesi, cristallizzata nella nostalgia, fino alla sera precedente, fino alla caduta clamorosa di Valentino, che si era spaventato nel vederla comparire all'improvviso nel corridoio del dormitorio.

Le era sembrato come se il tempo, sempre troppo veloce a detta della Slytherin, fosse stato improvvisamente lentissimo: aveva visto a rallentatore il compagno cadere, i bottoni che saltavano e quelle inquietanti cicatrici. Daphne non era riuscita a pensare ad altro per tutto il giorno.

Chiazze multicolori ricoprivano la pelle del compagno, cicatrici dall'aria malsana, maledetta. Non aveva mai visto nulla del genere, mai. Nemmeno quando Draco le aveva mostrato il frutto delle Cruciatus del Signore Oscuro.

Aveva visto quelle macchie allungarsi fino alle costole, che erano coperta del tessuto del pigiama.

Non dubitava che ferite simili coprissero tutto il corpo dell'italiano, schiena e busto. Come diavolo si era fatto quell'orrore?

Si passo le mani fra i capelli, di un biondo dorato.

Quando aveva visto quello spettacolo, la sera di ieri, si era sentita improvvisamente colpita da un'illuminazione. Si era sentita determinata, viva, dopo mesi di sedentarietà. Forse era quella la redenzione che stava cercando, la sua strada per crescere, per raggiungere i suoi amici.

Aveva deciso che Valentino aveva bisogno del suo aiuto e lei glielo avrebbe fornito. Doveva solo trovare il coraggio di parlargliene apertamente.

Sorrise al fuoco.

“Che ipocrita che sono”. Sussurrò alle fiamme.
Non aveva aiutato Draco durante il sesto anno, quando era evidente che avesse bisogno di aiuto, non aveva aiutato i mezzosangue e l'ES l'anno prima, quando i Carrow infuriavano spietati per la scuola. Non aveva mai aiutato nessuno in vita sua. Chi le dava il diritto di tendere la mano ad uno sconosciuto che chiaramente era consapevole del suo problema? Tutto per il desiderio egoista di evolvere come i suoi amici di sempre. Non c'era nulla di maturo, nulla di giusto nel suo ragionamento. Si lasciò sprofondare nella poltrona e la tristezza tornò a tormentarla, a ricordarle della sua immobilità. Come una statua, ferma di fronte alla marea del cambiamento.

Immobile, uno scarto da lasciare indietro.

“Daph?”. La voce calda di Angela Doragon la fece tornare alla realtà. La Slytherin si grò, per trovarsi davanti Angela, con addosso la sua tuta babbana, i capelli cespugliosi che serpeggiavano da tutte le parti e due occhi semichiusi, con Astoria al suo fianco. Sua sorella la guardava con i suoi enormi occhi azzurri.

“Tua sorella ti cercava in camera, ma non c'eri”. Angela sembrava un po' irritata. Forse era una di quelle persone che teneva molto alle ore di sonno.

“Daphne, stai bene?”. Sua sorella le si era avvicinata. La Greengrass maledì sé stessa e la sua insonnia. Si era struccata dopo la doccia e pensava che nessuno passase in Sala Comune a quell'ora di notte.

“Sto benissimo Astoria”. Daphne sorrise e si piegò appena, per abbracciare forte la sorella minore.

Angela le guardava, un po' intenerita. Con uno sbuffo, l'italiana si sedette sulla poltrona di fianco a quella che aveva ospitato Dpahne fino al loro arrivo.

“Di cosa volevi parlarmi, Astoria?”. Chiese Daphne alla sorella, che puntava i suoi occhioni su di lei.

“Continuo a pensarci Daph e non so davvero come fare con quello stupido di Selwyn”. Daphne capì subito e sorrise.

Astoria era cinque anni più piccola di lei. Frequentava il terzo anno e dal primo giorno a scuola era subito stata rapita dallo sguardo dell'ultimo erede della famiglia Selwyn, Fabius, un ragazzetto coetaneo di Astoria, dal carattere timido e remissivo.

“Lui continua a farsi gli affari suoi e non mi calcola minimamente!”. Si lamentava Astoria.

Daphne avrebbe ucciso per sua sorella, anche per momenti stupidi come quello. Le arruffò i capelli, ignorando le sue proteste.

“E vieni a parlarmene a quest'ora?”. Le chiese divertita la sorella maggiore.

“Nancy e Susan mi prendono in giro e io non so bene cosa fare”. Daphne scosse la testa: Astoria era una Greengrass solo nell'aspetto, ma ricordava molto più una Abott, come loro madre.

Non sapeva reggere alla critiche e non rispondeva mai a tono alle prese in giro.

“Astoria, sei una Greengrass e sei mia sorella. Se quelle ochette delle tue amiche ti prendono ancora in giro garantisci loro che farò in modo di rendere il loro anno un inferno in terra, ok?”.

Angela ridacchiò dalla sua poltroncina e si piegò per chiamare Astoria.

“Ragazzina, vieni qui”.

Astoria, ubbidiente, si avvicinò all'italiana. Daphne fissava la sua compagna senza capirne le intenzioni, ma certa che fossero buone.

“Hai la bacchetta, Astoria?”. Le chiese Angela, con un sorriso.

Astoria annuì, tirando fuori dalla tasca della vestaglietta una lunga bacchetta di agrifoglio.

“Bene”. Angela sorrise. “Se Nancy e Susan ti prendono ancora in giro, tira fuori quella e assicurati di fissarle bene negli occhi”.

Astoria, rapita, annuì.

“Poi devi puntarla contro di loro così, come una stoccata”. Angela si esibì nell'imitazione di un schermidore.

“A quel punto devi dire chiaramente la formula magica. Che sia chiara e sonora, altrimenti non succederà nulla, intesi?”.

Astoria guardò Angela con i suoi occhioni e fece la domanda più ovvia di tutte a bassa voce.

“Qual è la formula?”.

Angela si sentì piuttosto stupida a non averlo detto subito.

“La formula è Monstrum. Quella che ti sto spiegando è la Fattura Oscovolante e ti assicuro che una volta che le tue amiche l'avranno provata, non proveranno più a prenderti in giro. Assicurati di farlo nel dormitorio però, lontano dagli insegnanti”.

Astoria annuì, con una strana luce maligna che risplendeva negli occhi blu.

La bambina salutò entrambe e con un largo sorriso sulle labbra corse verso la sua camera.

Daphne guardò accigliata la sua nuova compagna.

“La Fattura Orcovolante? Ad una bambina di tredici anni?”. La nota divertita nella sua voce tradiva la sua espressione severa.

“Io l'ho imparata a dodici, Valentino pure”. Entrambe le ragazze repressero un risolino.

Daphne si girò per guardare bene Angela. Sembrava che morisse proprio dalla voglia di tornare a letto, ma lei aveva qualcosa da chiederle.

“A proposito di Valentino. Devo chiederti una cosa importante”.

Angela si fece subito seria.

“Ti ha offeso? Ha fatto qualcosa che non andava? Devi capirlo Daphne, non siamo ancora abituati a...”.

Daphne la interruppe, scuotendo il capo.

“Nulla del genere. Valentino si è comportato benissimo, figurati”.

L'espressione di Angela si distese, ma i suoi occhi, prima assonnati, ora erano attenti e fissi sulla Greengrass.

“Ieri Valentino stava uscendo dal bagno e aveva addosso il pigiama”.

“Quel ridicolo pigiama”. Commentò Angela.

“Esatto. Lui mi vede entrare nel corridoio e prende paura. Cade e e per l'urto gli saltano tre bottoni”.

Angela ora era chiaramente sull'attenti, la Greengrass ne era sicura. Aveva le mani strette ad artiglio e fissava nervosa Daphne.

“Quindi?”. Chiese, con l'aria di chi sa bene di cosa volesse intendere Daphne.

“Io ero preoccupata e mi sono avvicinata per dargli una mano. Nel farlo ho visto che la sua pancia era piena delle cicatrici più impressionanti che avessi mai visto”. Daphne disse finalmente quello che covava da un giorno e mezzo. Si sentì meglio per un attimo, ma il viso truce di Angela la mise in allarme.

“Lo hai detto a qualcuno?”. La dolcezza e la complicità dimostrata con Astoria erano scomparse. La sua voce era ridotta ad un sibilo.

Daphne scosse di nuovo la testa. Aveva la strana sensazione di essere in pericolo. Vedeva la bacchetta di Angela sbucara dalla tasca dei pantaloni della tuta. L'italiana non aveva mostrato segni aperti di ostilità, ma il cambio di tono allarmò la Greengrass.

“Non lo avrei mai fatto. Noi Slytherin ci copriamo e non siamo famosi per diffondere i nostri segriti ma...”.

“Lo hai detto a me”. Angela la interruppe, piatta.

“L'ho fatto perché tu e Valentino siete amici. Dimmelo Angela, sta male? Ha qualche malattia? Chi gli ha fatto una cosa del genere?”. Daphne aveva una nota di panico nella voce. La sua, di bacchetta, era sul comodino di camera sua.

Angela sembrò perforarla con lo sguardo. Gli occhi scuri dell'italiana, stretti a fessura, valutavano la verità della sua affermazione.

Ad un certo punto parve decidersi. Prese la bacchetta e con sommo sollievo di Daphne la punto verso le scale che conducevano al dormitorio.

“Muffliato”. Sussurrò.

Daphne alzò il sopracciglio.

“Come fai a conoscere quell'incantesimo? Sapevo che non fosse presente nei manuali... Lo si usa solo in questo paese”.

Angela la ignorò e si rimise la bacchetta in tasca.

“Non sta male, Valentino intendo”. Disse, brusca.

Daphne la guardò dubbiosa.

“Angela, io non voglio insultare la tua intelligenza, ma il suo ventre era come...”.

“Come un arcobaleno, dico bene?”. La interruppe Angela. “Sono vecchie cicatrici da incantesimo, e non da un incantesimo qualsiasi. Io ora potrei anche parlartene, ma ho bisogno che tu mi giuri di non farne parola con nessuno, nemmeno tua sorella. Siamo solo in due, quindi niente Voto Infrangibile, ma ti assicuro che se tradirai la mia fiducia, Daphne, la pagherai. Mi sono spiegata?”. Il suo sguardo era di nuovo affilato come una lama.

Daphne sapeva di essere di fronte ad un bivio: da una parte c'era la sua curiosità morbosa. Voleva conoscere cosa diavolo si fosse fatto Valentino e desiderava anche sapere se avesse bisogno di aiuto. D'altra parte sapeva bene quanto fosse pericoloso tenere un segreto, specie se il segreto era fra lei e la strega che aveva battuto la Granger.

Era sicura che Angela non stesse esagerando: se avesse rivelato il segreto, l'italiana gliela avrebbe fatta pagare cara.

“D'accordo, non occorre minacciare. Noi di Slytherin ci copriamo le spalle a vicenda”. Decise di rispondere Daphne.

Angela annuì, seria, poi sorrise.

“Se sono così seria è perché si tratta di cose private, Daphne. Sono certa di sapere che Val soffrirebbe come un cane se questa voce si diffondesse, ancor di più se giungesse alle orecchie di un professore”.

Ora che la tensione si era allentata, Daphne si stravaccò sulla poltrona, fece un gran sospiro e stette in silenzio, aspettando che Angela rivelasse il segreto.

Quest'ultima si mise accanto a lei e si sedette sul bracciolo della sua poltrona. Vederla lì la faceva sembrare molto alta, simile ad uno strano gufo bruno e riccioluto.

“Devi sapere che nella nostra scuola ci sono molti studenti insoliti”. Cominciò Angela. “Hai visto Leo e Valentino. Anche io e Maria siamo dei soggettoni e la lista di ragazzi e ragazze un po' originali all'Accademia è relativamente lunga. Una ragazza e un ragazzo, dell'anno superiore al nostro, quindi della vostra età, erano forse i più peculiari di tutti. Il loro nomi erano e sono Beatrice Loro e Pietro Scolari. Il primo è diventato famoso in Accademia come creatore di incantesimi, oltre che di guai. Forse si potrebbe definirlo il genio disordinato della sua generazione. Era bravo solo in quello che gli interessava e non si faceva molti problemi ad infrangere le regole”.

“Un tipo simpatico”. Commentò Daphne.

“Un tipo simpatico”. Concordò Angela. “Era brillante e andava sempre in giro con due ragazzi: Beatrice Loro, che ti ho già nominato, e il suo ragazzo, Giacomo Villani. Un tipo strano che sembrava sempre assorto in strane riflessioni e che spesso se ne usciva con idee stravaganti. Serve solo per darti l'idea. Era Beatrice quella che si faceva notare: era risaputo che tradisse spesso il ragazzo e aveva una padronanza pratica della magia che metteva in ombra tutti. Mai incontrato una duellista del genere, altro che la Granger. Loro erano come una loggia in Accademia, non so se riesci a figurartela”.

Daphne sorrise. Eccome se poteva figurarsela: Angela aveva descritto la versione più Slytherin del trio Granger-Weasley-Potter.

“Dal sorriso penso che la risposta sia un sì. Bene. Ora portiamo le lancette a due anni fa. Noi frequentavamo il quinto anno e loro il sesto. Valentino era ancora meno sicuro di sé e tendeva a non farsi notare, finché, tutto d'un tratto fece amicizia con nientemeno che Beatrice Loro. Non so bene come, Valentino non me lo ha mai detto. Quello che fu chiaro presto a tutti è che Valentino Marchetti era il nuovo rampollo della Loro. Se lo portava in giro, studiava con lui e dormiva con lui. Alcuni pensavano che il ragazzo di Beatrice, Giacomo, ad un certo punto si sarebbe stufato e avrebbe fatto un vero macello, ma non successe nulla. Se lo fece andare bene. In quel periodo però, Valentino iniziò a diventare più sicuro, più determinato, ma sopratutto, molto più abile in Arti Oscure, tanto da risultare il migliore dell'Accademia, assieme a Scolari”.

Daphne cercava di seguire la parlantina veloce di Angela, ma non era facile tenere a mente nomi che non riusciva a collegare ad un viso. Cerco di associare questa Beatrice alla Granger, questo Pietro a Potter e Giacomo a Weasley.

“Il fatto è che in quei mesi Valentino aveva cominciato ad avere una strana abitudine: evitava sempre il contatto fisico, di qualsiasi tipo. Parlo proprio di tutto: strette di mano, abbracci... ogni volta che ti avvicinavi a lui schizzava come un matto a tre metri di distanza e si faceva nervoso, farfugliava persino. Durò per diversi mesi e poi finì improvvisamente com'era iniziata. All'improvviso Valentino aveva tagliato ogni rapporto con la Loro e si era avvicinato ad un altro studente importante”.

“Quel Pietro Scolari?” Tentò Daphne.

“Esatto. Allora Val non si apriva con me su questi argomenti e non ne avrei cavato un ragno dal buco da sola, ma Maria, quella ragazza che hai incontrato in treno, poi finita a Gryffindor, era molto vicina a Val in quel momento e mi spiegò cosa facevano lui e Beatrice.

A quanto pare...”.

Angela fece una pausa e si guardò attorno, come preoccupata che il Muffliato non avesse più effetto.

“A quanto pare Beatrice faceva uso della Maledizione Imperius e della Maledizione Cruciatus su Valentino e lui, dopo aver tagliato i rapporti, aveva iniziato ad maledirsi da solo”.

Daphne inorridì. Draco le aveva parlato del dolore della Cruciatus, aveva visto le cicatrici sulla sua schiena, ma non era la stessa cosa. Come aveva potuto lasciare che qualcuno gli facesse qualcosa del genere? Come aveva potuto continuare ad infliggersi quel dolore?

Angela non sembrava contenta di parlarne: anche lei aveva un'espressione schifata.

“Da quanto ho capito, Beatrice era convinta che l'uso prolungato dell'Imperius su sé stessi conducesse ad una coscienza e controllo di sé che nemmeno il più saggio e anziano dei maghi poteva vantare. Quanto alla Maledizione Cruciatus, pensava che allenare il proprio corpo al dolore più estremo lo avrebbe rafforzato. Capisci Daphne? Rafforzi la mente e rafforzi il corpo. Valentino, che ne era divenuto dipendente, continuava a farlo da solo, anche dopo aver allontanato Beatrice”.

Daphne era scossa. Si aspettava un incidente di natura magica, magari una storia simile a quella di Potter, non un racconto di abusi e autolesionismo. Non potè fare altro che provare pena per Valentino.

“Continua a farlo anche ora?”.

Angela scosse la testa.

“Per questo ti ho detto che ora sta bene. Io, Maria e Pietro lo abbiamo aiutato a superarla. Ad un certo punto persino Beatrice gli ha chiesto scusa. A Maria non sono mai piaciuti né Pietro nè Beatrice, ma l'anno scorso, per un po' siamo stati tutti amici. Purtroppo storie come queste lasciano le cicatrici sulla gente, letteralmente. Non voglio che se ne parli perché qualche professore potrebbe venire a saperlo e l'occhio di un esperto riconoscerebbe la Cruciatus. Metterebbero sotto torchio Valentino per sapere come si è fatto quelle cicatrici e finirebbero nei guai diverse persone, Valentino compreso. Spero che tu ora possa comprendere”.

Daphne annuì. Ora comprendeva il riserbo di Angela, anche se non riusciva a non essere d'accordo con Maria Repaldi: come Angela e Valentino avessero potuto riappacificarsi con Beatrice le era difficile capirlo. Quella storia aveva chiaramente dei buchi che la Greengrass non si spiegava, ma per quella sera poteva bastare.

“Ora andiamo a letto”. Decise Angela, prima di lasciarsi andare ad uno sbadiglio. “Non mi reggo più in piedi dal sonno”.

Daphne scosse la testa. Come Angela fosse la presenza minacciosa che l'aveva intimidita e anche la ragazza in pigiama che sbadigliava a bocca spalancata, non riusciva quasi a d accettarlo.

Camminarono in punta di piedi fino alla loro camera dove Pancy dormiva serenamente.

Daphne, quella notte, si gustò un sonno senza sogni.

   
 
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