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Autore: drisinil    15/10/2022    2 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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22 - Fantasmi


16 novembre 2012
 

Quando Kei riapre gli occhi è notte fonda. 

Dalla finestra si vede la strada immersa nel buio. I lampioni sono spenti, qualche luce lontana arriva da altri quartieri, dove le gente vive altre vite, indifferenti ed estranee.

Quando era piccolo, per Kei era un tormento quest'idea balzana che nello spazio di una vita si potessero incontrare solo un numero finito, e molto piccolo, di altri umani e solo con pochi di loro intrecciare relazioni. Per una mera questione statistica, si rischiava di vivere e morire senza aver conosciuto nessuna persona realmente significativa. Nessuna davvero compatibile.

Aveva posto questo problema a tutti e la risposta più convincente, nella sua totale assurdità, era stata quella di Aki: siamo in mano al destino. Significava che i calcoli di Kei erano giusti, ma che forse non era tutto lì, in poche brutali righe di algebra su un foglio. Dopotutto c'era la Bellezza al mondo, che non si quantificava facilmente: si poteva oggettivare in qualche misura, ma non ridurre in cifre. C'era la fede, per quanto poco gli interessasse, al livello personale. Esistevano tutta una serie di istanze umane sfuggenti, riluttanti a essere rappresentate da una formula e capaci di ribaltarne il risultato.

Forse, pensa Kei, è una di queste che lo ha portato esattamente dove si trova ora, a infilarsi gli occhiali alla cieca nel buio, cercando di distinguere i volumi di una stanza sconosciuta, in una casa sconosciuta, in una città ancora più sconosciuta.

Una cosa sola non è sconosciuta, anche se dovrebbe esserlo, ed è il respiro regolare di Tetsurou, immerso nel sonno più profondo.

Dorme prono, con la faccia incastrata fra la seduta e lo schienale del divano e la testa premuta contro le cosce di Kei. Se si muovesse, finirebbe per svegliarlo. Allunga il braccio e tasta la superficie del tavolino a fianco del divano, in cerca del telefono. Lo trova e controlla l'ora: 05:08. La sveglia è puntata alle sei e un quarto.

Kei non è uno che dorma molto: sei ore per notte al massimo, qualche volta di meno. Stanotte ne avrà dormite quattro scarse. Cerca di stiracchiare le spalle intorpidite con la massima economia di movimenti. Si è addormentato da seduto, rannicchiato nell'angolo e, nel sonno, è crollato di lato, tutto storto, con la testa contro i cuscini dello schienale, un braccio ripiegato sotto il viso e l'altro abbandonato. Nel momento in cui ha ripreso coscienza, la mano attaccata in fondo a quel braccio vagante era posata sul dorso di Kuroo.

Kei si massaggia il collo e si concede di non pensare per qualche minuto ancora. Di non fare assolutamente nulla, se non chiudere gli occhi e ascoltare il respiro di Kuroo nel silenzio.

E' un mistero come possa riuscire a respirare in quella posizione, eppure sembra sereno. Domani, o meglio oggi, sarà una giornata dura per lui e il giorno successivo anche di più, dovrebbe accumulare più ore di sonno possibile.

Kei non ha ancora deciso cosa farà: vorrebbe presenziare alla cerimonia funebre, ma non ha alcuna intenzione di restare ospite lì quando la casa si riempirà di gente. La soluzione più sensata è andare a dormire a casa di Akiteru la notte successiva e ripartire sabato, subito dopo il rito. Condoglianze. Buon compleanno. Addio.

E' piuttosto chiaro che  tutta questa faccenda sia una forma particolarmente infida di sadomasochismo, nutrito dallo scemo che russa lì a fianco, che si è messo in mente di voler esplorare i confini del proprio orientamento sessuale proprio adesso. Con la persona sbagliata.

A monito di come stanno le cose, la foto sulla mensola, di Kuroo con la ragazza bionda. Kei iesce a distinguere solo la cornice, ma è più che sufficiente: prima ha avuto modo di studiarla attentamente. Lei sembra sulla ventina, forse anche ventidue o ventitré, ma sarebbe proprio da Kuroo cercarsi una più grande. La cosa che fa impazzire Kei è che, guardandola bene, in qualche modo... beh, occhiali a parte...

«A cosa pensi?» il sussurro di Kuroo lo raggiunge a bruciapelo.

Al fatto che ti scopi una che mi somiglia. Che all'università ne troverai chissà quante altre. E prima o poi te ne sposerai una.

«Dovresti dormire.»

Tetsurou si è voltato, ora è rivolto verso l'esterno, ma la sua testa è sempre premuta contro Kei.

«Ho sognato che il telefono squillava, vedevo il numero dell'ospedale e... »

«Non ha squillato. Sei andato a dormire vestito sul divano, per niente. Come se a infilarti un paio di pantaloni e un maglione ci volesse chissà quanto tempo... »

«Ma che ore sono?»

«Le cinque.»

«Cosa? Le cinque?» Tetsurou scatta a sedere come un pupazzo a molla. «Le cinque è troppo tardi. Non avevamo messo la sveglia? Cazzo! Che ore saranno a Tar..Tas..quel cacchio di posto in Uzbekistan?»

«Tashkent. A Tashkent è circa... l'una di notte.»

«Cazzo! Non posso chiamare all'una di notte.»

«Per questo ho chiamato io.»  Kei riesce a dirlo con voce perfettamente naturale, come se quella telefonata non gli avesse fatto venire i sudori freddi.

«Dici sul serio? Quando?»

«Verso mezzanotte e mezzo. Ossia le otto e mezzo di sera in Uzbekistan, all'incirca.»

«E io?»

«Russavi. Dormi in una posizione, assurda, a proposito. Non so come fai a respirare.»

Che avrebbe voluto dormirgli addosso, che forse non sarebbe riuscito a trattenersi dal farlo, se fossero stati su un futon anziché su un divano  stretto e scomodo, Kei non lo dice.

«Davvero hai chiamato mia zia?» Tetsurou sta ancora elaborando l'informazione principale. Si gira sul divano, rivolto verso Kei, le gambe incrociate sotto la coperta.

«Non tua zia, tuo cugino.»

«E dove hai preso il numero?»

«Sul frigo, di sotto. Avevo visto un foglio attaccato con tutti i numeri di famiglia.»

«Sei incredibile...» l'ammirazione vibra incontrollata, insieme a una nota più profonda. Kei immerge lo sguardo nel buio.

«Ho solo fatto una telefonata. Comunque, il loro aereo arriva alle diciannove. Vengono qui a casa direttamente.»

«Mi piace che la chiami casa...»

«Casa tua. Non fare il cretino. Ha detto che ti chiamerà appena si farà un'ora decente. Intanto ti ringrazia.»

«Mi ringrazia?»

«Di avergli lasciato giocare la finale, prima di chiamarlo.»

«E' stato nonno a insistere per aspettare. Io sono l'idiota che ha fatto casino con il fuso orario.»

«Eri stravolto. Senti, io di tuo nonno non gliel'ho detto. Dovresti dirglielo tu. Era già molto strano che fosse un perfetto estraneo a comunicargli un lutto in famiglia. Ho pensato che...»

«Non sei un perfetto estraneo.»

E cosa sono?

«Non dire idiozie. Sai cosa intendo.»

Kuroo scuote il capo e allunga una mano verso il braccio di Kei. Lo tocca con delicatezza, solo per un attimo. «Kei. Grazie.»

Pronuncia quelle due parole con un trasporto che neppure la lucidità di Kei riesce a mettere in discussione, e che gli fa tremare il cuore.

«Hai freddo?» chiede premuroso Kuroo.

Purtroppo, non ha tremato solo il cuore.

«Un po'.»

«Mi spiace, le finestre aperte tutto ieri non hanno aiutato.»

Tetsurou si alza, accende la luce e raggiunge l'armadio.

La stanza, riscattata dal buio, torna a esistere all'improvviso, insieme a loro due. L'immagine di Kuroo che cammina a piedi nudi, con i capelli scarmigliati, mentre sbadiglia e si gratta la base della schiena sotto la maglietta, diventa familiare in meno di un secondo. Mentre la coglie, Kei inizia a sentirne la mancanza.

«Metti questa!» gli ordina Kuroo, lanciandogli una felpa grigia, ben piegata fino a un momento prima. Sa di pulito.

«E' ghiacciata» obietta Kei. E' una scusa stupida, per ottenere uno stupido scopo. E fare la figura dello stupido.

«Allora la metto io, prendi questo qui.» Tetsurou si spoglia del maglione che ha indosso e lo porge a Kei, che lo indossa insieme al migliore sguardo disinteressato e algido che ha in arsenale.

E' da ieri che Kei ha puntato quel maglione: si tratta del sottogiacca nero della divisa scolastica del Nekoma, forse uno dello scorso anno, perché la fascia in basso e i polsi sono leggermente sformati dall'uso. Sul petto, a sinistra, è ricamato il nome di Kuroo, in rosso. E' tiepido del suo calore e ha l'odore giusto: estate, aria aperta, colonia fuori moda; lo stesso profumo che emana, sottile e persistente come un'eco, da tutta la casa.

«Si vede che vai in una scuola seria. Avete i maglioni di vera lana. Il nostro, a parte essere color vomito, è una roba sintetica che portarlo o non portarlo è lo stesso, si gela comunque.»

«Puoi tenerlo.»

«Vuoi rifarmi il guardaroba?»

«Voglio che non senti freddo» risponde Tetsurou, parlando all'anta ancora aperta dell'armadio. Voglio che porti le mie cose. Voglio sentirti addosso il mio odore. Voglio... 

«Vado a preparare qualcosa da mangiare, che ne dici?» propone Kuroo, che si è messo a scrutare le foto sulle mensole come non fossero le proprie e le vedesse per la prima volta.

Kei lo osserva perplesso. «Okay. Non devi andare al bagno? Posso usarlo io?»

La vescica gli sta scoppiando, ma Tetsurou sorride amabilmente: «Certo. Sai dov'è. Allora intanto vado, fai con calma, ti aspetto di sotto.»

Si chiude la porta alle spalle e si dà alla fuga per la scale. Altri venti secondi a guardare Kei seduto sul suo divano, sotto la sua coperta, con addosso i suoi vestiti e neanche una doccia ghiacciata basterebbe a farlo ragionare.

Però qualcosa deve essere vero, del fatto che è super-scemo, perché se solo ci avesse pensato un attimo, sarebbe fuggito a chiudersi in bagno a doppia mandata. Invece si ritrova in cortile, all'alba, a pisciare di nascosto contro il vecchio acero rosso, come quando aveva dieci anni, e Yu-chan ci metteva una vita a prepararsi. Se non altro, il gelo polare delle prime ore del mattino, in certi casi aiuta.

***

«Tamagoyaki va bene?» chiede Kuroo rivolto al suono dei passi di Kei sulle scale.

«Non ho molto appetito, a quest'ora.»

Dopo pochi attimi, Kei appare sulla porta della cucina, dopo aver depositato la borsa vicino all'ingresso. Kuroo guarda a quel gesto con sospetto.

«A quale ora hai appetito?»

«Quella in cui non mi rompono le palle.»

Tetsurou ha già realizzato che adora quel sarcasmo strafottente. Gli piace guardarci attraverso. Gli piace farselo scivolare addosso e ribattere cercando di pungerlo o di stupirlo. 

«E' tamagoyaki dolce, visto che non ti piace il salato a colazione.»

«Cosa te lo fa pensare, Holmes?»

«Elementare, Watson: ho guardato il tuo vassoio a tutti i pasti, quando eravamo al ritiro. A colazione solo frutta, tè, panini dolci. Chi pensi che abbia bacchettato tutti quelli che prendevano più di un anpan, per fare in modo che non finissero subito?»

Evitare del tutto di sorridere è impossibile. Il meglio che Kei riesce a fare è trasformare il compiacimento in provocazione. «Stai mendicando un grazie a quattro mesi di distanza? Carenza di affetto? Il tuo alzatore non ti coccola abbastanza?»

Kei inizia ad apparecchiare. Si muove in cucina con la confidenza relativa di uno che l'ha esplorata il giorno prima. Tira fuori tazze, piatti, bacchette, cucchiaini.

«Parli di Kenma? Mi dispiace deluderti, Tsukki, ma è negato per questo genere di cose.»

«Ma come? Kozume non è innamorato di te da quando aveva cinque anni?»

Tetsurou ride, quella risata franca e rumorosa, che gli fa sussultare le spalle. E' bello sentirlo ridere così, dopo averlo visto così avvilito ieri.

«Fammi un favore, Tsukki, apri l'anta vetrata del pensile a destra. Quello, esatto. Prendi la scatola dei dorayaki. E' quella di latta azzurra.»

Kei esegue. «Dove la metto? Comunque, non hai risposto.»

«A tavola, aprila se vuoi. Siamo un po' gelosi, Tsukishima-kun? Attenzione, potrebbe piacermi.»

«Non sono mica tua moglie, per me puoi farti tutti gli alzatori che vuoi. Io partirei da Oikawa, che ha un bel culo.»

«Ecco perché perdete tutte le partite con il Seijoh: Kageyama se la fa sotto appena vede il capitano e tu passi il tempo a guardargli il culo. Ma devo insegnarti proprio tutto, Tsukki? I culi si guardano dagli spalti, non dal campo!»

A Kei scappa una risata. Kuroo è divertente, un aggettivo che Kei usa con estrema parsimonia. Di solito, la gente lo annoia o lo infastidisce. Ma lui è divertente, punto e basta.

«Era una risata, quella?»

«No. Un borborigmo. Quanto ci mettono queste frittate a cuocere?»

«Il tempo che serve. Tanto non hai appetito. Hai fretta, invece? Ho visto che hai rifatto la borsa da viaggio.»

Kei toglierà le tende subito dopo colazione. Ma non vuole farne argomento di conversazione. Quello che vuole è provocarlo ancora un po'.

«A proposito, Toshiro si è qualificato, al torneo. Te l'avevo detto, prima, Kuroo-san? Forse no. Piuttosto impressionante, non trovi?»

«E' un mezzo genio. Se zia Mirai non avesse litigato con nonna cent'anni fa, forse ora Shiro-chan sarebbe un campione di sho... »

Tetsurou si interrompe e si volta di scatto, con la paletta di plastica a mezz'aria che gocciola olio caldo. «Aspetta un attimo, Tsukki, perché chiami per nome mio cugino?»

Kei alza le sopracciglia e indica il frigo con un cenno del capo «Sul foglio lì c'era scritto Toshiro, il cognome non lo sapevo. Mi sono scusato, ma lui ha insistito che andava bene Toshiro. E' stato molto gentile. E non mi pare abbia il marchio dei Kuroo.»

«Mn?»

«Mi pare molto intelligente, ma non super-scemo.»

«Te l'ho detto: è un mezzo genio. Un po' autistico.»

Tetsurou torna a dedicare la sua attenzione al Tamagoyaki che sfrigola. Tsukishima Kei appoggiato al pensile della cucina, che ti fissa da dentro il tuo maglione, con le braccia conserte, e il sorrisetto tracotante, dovrebbe essere illegale. Guardarlo e concentrarsi su un botta e risposta senza fare la figura del deficiente è irrealizzabile.

«Se ti qualifichi a un mondiale di scacchi juniores puoi permetterti di essere un po' autistico» osserva Kei, indulgente.

«Arriva a un metro e settantacinque scarso.»

«Non devo ballarci il valzer.»

«E cosa ci devi fare?»

«Non lo so, due chiacchiere.»

«Sei la persona più taciturna che conosco.»

«Magari dipende dall'interlocutore.»

Chiunque altro si offenderebbe, o sarebbe almeno un po' irritato. Ma Kuroo Tetsurou è fatto di un materiale diverso, che non si scalfisce, che accoglie anche i proiettili, semplicemente rimodellandosi. Scolpisce il mondo a immagine delle sue certezze.

«Allora non ho di che preoccuparmi. Sono fantastico, no?» commenta con un sorriso disarmante e uno schiocco di lingua, mentre mette a tavola il piatto con le rondelle di tamagoyaki disposte in fila.  «Fidati, non incontrerai mai di meglio» aggiunge, ammiccando. 

Autoironia al servizio dell'autostima, una formula magica.

Kei scuote la testa e sbuffa, ma è intimamente convinto che sia la verità. Che non incontrerà mai di meglio. E gli viene un po' di tristezza per se stesso, che il meglio lo può sfiorare, ma non afferrarlo. E una certa insofferenza, perché quanto deve essere cotto un ragazzo intelligente, per pensare una stronzata del genere?

Alla fine, si mette in bocca un pezzo di tamagoyaki rovente, per tenere occupate le mani e scottarsi la lingua.

«Ti piace?» chiede Kuroo.

«E' buono. Ma non serviva che ti mettessi a cucinare.»

«Non potevo rischiare la vita come ieri sera. Ma come si fa a far venire così schifoso un ramen già pronto? Era... boh, acido.»

«Crepa. La prossima volta me ne resto a casa.»

Kei sottolinea l'invito con il dito medio e poi si infila in bocca uno spicchio di mela.

«Non so come avrei fatto senza di te» dice Tetsurou, giocherellando con le bacchette nel tessuto cedevole della frittata.

«Dall'insulto alla lusinga in meno di un boccone. Un po' border-line, Kuroo-san. Datti una regolata.»

«Non importa cosa rispondi. Non cambia la verità dei fatti: non so come avrei fatto senza di te. Per questo non mi piace quel borsone all'ingresso.»

Il rumore della tazza di Kei sul piattino è l'unico segno di un nervosismo che non trapela nella voce. «Fattelo piacere. Sono venuto a darti una mano, perché pensavo ne avessi bisogno. Oggi avrai tutto il supporto che serve, dalle persone più giuste. Tuo padre arriva fra sei ore, tua zia fra dodici e tua sorella dovrebbe essere qui in meno di un'ora. E' un lutto privato. Che senso ha che rimanga qui a occupare spazio in casa tua?»

«Dovresti ascoltarti, quando parli.»

«Lo faccio. E mi trovo molto sensato.»

«Lo sei. E da quello che dici, è chiaro che qui hai fatto tutto tu. Mi hai quasi ucciso con la cena, questo è vero, ma senza di te adesso sarei con la schiena a pezzi sulle sedie di cardiologia, senza sapere chi arriva a che ora, senza aver avvertito mia zia, senza aver organizzato un bel niente.»

«Guarda che il grosso lo hanno fatto i Kozume, ieri. Ringrazia loro.»

«Lo farò. Ma...»

«Niente ma. A proposito: immagino che appena arriva tua sorella andrete in ospedale. Però ricordati che dev'esserci in casa qualcuno oggi alle tre, quando il tanatoprattore riporterà a casa tua nonna. E domani la cerimonia è alle undici. Undici. Capito? Ti ho mandato due messaggi sul calendario del telefono.»

«Oggi alle tre! Domani alle undici!» ripete marziale Kuroo, con un accenno di saluto militare.

Kei sorbisce l'ultimo sorso di tè verde con soddisfazione. E' raro trovare tè così buono in una casa privata.

«Vorrei che non te ne andassi» dice Kuroo. 

Sta usando il suo vero super-potere, quello di smentire il contenuto di una frase con  il tono della voce. Le parole di una supplica pronunciate con la cadenza di un ordine, una cosa potente che fa venire a Kei una voglia matta sia di accogliere la prima che di obbedire al secondo. Ma non può farlo.

Si pulisce la bocca con calma, ripiega il tovagliolo, si alza con altrettanta calma. Sta per parlare quando suona il campanello.

Kuroo sfodera il suo sorriso asimmetrico. «Che peccato Tsukki-kun! Non posso proprio stare a sentire le tue scuse, adesso. Devo aprire» dice, avviandosi alla porta.

Kei lo segue, afferrando il cappotto e la borsa. Il piano è approfittare dei convenevoli, per svignarsela alla chetichella, con un mezzo saluto. I doveri di ospitalità impediranno a Kuroo di seguirlo.

Tetsurou non fa in tempo ad aprire che si ritrova nell'abbraccio stretto e caldo di Yu-chan. Della famosa sorella, Kei riesce a intravedere solo la notevole statura, e una massa di capelli neri in un'acconciatura bizzarra, che non si capisce se sia disordinata a bella posta o realmente scompigliata. Forse entrambe le cose.

«Te-chan, stai soffocando tuo nipote!» si lamenta Ayumi.

«Se non sopravvive a un abbraccio come si deve, non è mio nipote.» 

Kuroo le schiocca un bacio sulla guancia, prima di lasciarla andare. Quando si separano, e Tetsurou si fa da parte per permetterle entrare, diventa evidente, sulla figura snella di lei, il ventre arrotondato e prominente di una gravidanza avanzata.

Poi il tempo rallenta, fin quasi a fermarsi,  nell'attimo in cui Tsukishima Kei e Okamoto Ayumi incrociano lo sguardo. Le loro espressioni diventano lo specchio una dell'altra: il riconoscimento reciproco, un muto stupore, gli occhi sgranati, il respiro sonoro, la bocca aperta.

«Tsukishima Kei...» sussurra Ayumi. Le sillabe scivolano via dalle sue labbra scandite una a una, al rallentatore.

Kei impallidisce, stordito, portandosi una mano al viso, l'altra si aggrappa intorno alla cinghia della borsa, così stretta che le unghie penetrano la carne.

Tenendosi il ventre con la mano, Ayumi si inchina. E' un saikeirei  formale di profondo rispetto: la schiena incurvata, il busto quasi parallelo al pavimento, lo sguardo inchiodato ai piedi.

Tetsurou non riesce a decifrare nulla di ciò che accade. Resta a bocca aperta, paralizzato dallo sconcerto, anche lui parte di quell'incomprensibile quadro vivente in stasi.

Finché Kei scappa, sbloccando il tempo. Si guadagna l'esterno con una spallata che fa finire Ayumi addosso al fratello. Via, fuori di casa, fuori dal vialetto, in strada. Kei corre a perdifiato, alla cieca, con le lenti appannate dalla condensa e il cappotto in mano, svoltando a caso nei vicoli di Nerima, senza alcuna idea di dove stia andando.

Corre e basta, come se fosse inseguito da un fantasma.

Ed è così.

   
 
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