Libri > Forgotten Realms
Segui la storia  |       
Autore: NPC_Stories    18/10/2022    1 recensioni
Writober 2022, non è stato dato un tema ma siccome siamo a ottobre e sento già profumo di Halloween, lo farò a tema non morti.
31 storie, una al giorno, stay tuned.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Genere: Romantico
Personaggi: Yrga, altri
Note: seguito di Pond
TW: schiavitù; descrizione di una relazione romantica che per i canoni moderni può essere disturbante, e che va letta nel suo contesto storico e culturale

18. Storm


-727 DR ~ -724 DR, antico impero del Narfell

Il destino di una schiava nel Narfell era un tiro di dado degli dei. Schiavitù era una definizione generica che copriva diversi ruoli sociali, accomunati solo dalla mancanza di potere decisionale sulla propria vita. Dal fatto di essere proprietà di qualcun altro.
Lavoratori di fatica nei campi e nelle città, assistenti artigiani 'pagati' con vitto e alloggio, istitutori per i figli dei nobili, donne (e uomini) di piacere d’alto bordo, vittime sacrificali per i riti dei maghi e dei chierici che stringevano patti con i demoni: ad alcuni schiavi andava abbastanza bene, ad altri andava malissimo.
Yrga si considerava molto fortunata. La sua prima, grandissima fortuna era che era stata catturata quando era molto piccola, così piccola che ormai i suoi ricordi dell'infanzia e della vita prima del Narfell stavano sbiadendo. Ricordare sarebbe stato doloroso. La seconda ragione per cui si considerava fortunata era che il suo aspetto esotico e la sua costituzione fragile l'avevano resa perfetta per una funzione decorativa, e pessima per il duro lavoro. Dopo la cattura era stata portata in quel paese meridionale governato da maghi ed era stata venduta a quello che in gergo veniva definito 'un serraglio'. Un luogo dove bambini e bambine di bell'aspetto ricevevano un'istruzione sufficiente per intrattenere i nobili e i potenti. Non si trattava assolutamente di un bordello: era un luogo di preparazione quasi accademica, solo che oltre ad imparare a leggere e scrivere si impara anche a suonare, recitare, danzare, compiacere, perfino mescere bevande e preparare infusi. Quando ragazzi e ragazze raggiungevano l'adolescenza venivano venduti al miglior offerente, ancora illibati e puri. Diventavano amanti, giocattoli, decorazioni, servitori incaricati di portare piacere a tutti i cinque sensi. I più fortunati diventavano concubini e concubine.
Quelli che fallivano negli studi oppure crescendo diventavano più brutti venivano venduti comunque, perché per la magia del Narfell si basava in gran parte sui patti con i demoni e i sacrifici di vergini per qualche motivo erano molto apprezzati.
Yrga, dopo la sfortuna della cattura, era stata graziata dalla buona sorte. Le era rimasta una vocina sottile, infantile e quasi fastidiosa, ma la sua voce si trasforma completamente quando cantava, e ad una schiava non era richiesto di parlare quindi il suo difetto non era una cosa grave. Avevano trovato per lei un buon compratore, un mago di mezza età che si era innamorato della sublime capacità di Yrga di mescere i liquori con un perfetto equilibrio di sapori. Il mago sembrava non volere altro da lei, perché un incidente magico anni prima gli aveva spento ogni desiderio per le donne. Più che altro, l'aveva comprata per suo figlio.
Il figlio del mago era giovane e ragionevolmente carino. In realtà era di aspetto comune, ma sapeva come valorizzarsi. La cosa che però Yrga apprezzava di più era il suo carattere: il giovane era timido, cauto, non perdeva mai le staffe. Lei non l'aveva mai sentito alzare la voce contro un servo, né l'aveva mai visto percuotere qualcuno. Con lei era particolarmente silenzioso. Quando la chiamava nelle sue stanze era solo per farle suonare la lira mentre studiava o lavorava. Yrga non era nemmeno certa che lui la considerasse una donna, dopo tutto lei aveva tredici anni e lui quasi sedici. Lei poteva essere considerata adulta per il lavoro di concubina, ma non aveva ancora le forme di una donna, e lui era praticamente un adulto con in testa solo il futuro, la carriera, lo studio. Era convinta che vivessero su due mondi separati, due mondi che si sfioravano solo quando lui le chiedeva di suonare.

Fu costretta a cambiare idea alcuni mesi dopo il suo arrivo in quella casa. Thaus, così si chiamava il giovane padrone, le aveva chiesto di suonare come al solito, eppure era chiaro che non riusciva bene a concentrarsi sulla pergamena davanti a lui. Ogni tanto si massaggiava le tempie come se avesse mal di testa. Yrga si accorse che la sua smorfia si accentuava quando lei pizzicava la lira creando particolari virtuosismi musicali. Se anche lui amava la musica, in quel momento di sicuro avrebbe preferito il silenzio. Ma allora perché l'aveva chiamata?
La schiava non avrebbe dovuto prendere decisioni autonome, ma scelse di smettere di suonare. Non di botto, non voleva essere così palese, ma mise in atto un diminuendo cominciando a ripetere in loop sempre lo stesso breve ritornello e pizzicando le corde sempre più dolcemente, fino a far svanire la musica.
Il suo padrone si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e continuò a lavorare per qualche minuto, prima che la sua mente cosciente si rendesse conto del silenzio.
Girò lo sguardo verso Yrga, che se ne stava nel suo angolo con la lira in mano, molto a disagio. Non era stata congedata, non poteva andarsene, ma non poteva nemmeno ricominciare a suonare senza un nuovo ordine esplicito.
"Come mai hai smesso? Sei stanca?"
La voce del padrone non era contrariata, sembrava solo… stanco anche lui.
"No, padrone. Ho pensato vi servisse una pausa. Perdonatemi se ho sbagliato."
Lui poggiò i gomiti sulla scrivania e la fissò con sguardo stranito. "È questa la tua voce? Per tutti i demoni, quanti anni hai?"
Yrga arrossì per l'imbarazzo. Reagivano tutti così quando la sentivano parlare per la prima volta.
"Ne ho tredici, padrone."
Lui sembrò rendersi conto della gaffe. "Ah… ora sono io che devo scusarmi."
Yrga scosse la testa, perché nel Narfell chi era di rango superiore non doveva mai scusarsi con i suoi sottoposti. Ma un sottoposto non poteva nemmeno contraddire un suo superiore. "Non è necessario, ma vi ringrazio per la vostra considerazione e gentilezza."
Lui rimase in silenzio ancora per un po', poi sospirò. "È questo che insegnano al serraglio, giusto? Educazione e rispetto. Scommetto che vorresti essere a mille miglia da questa casa."
Yrga adesso impallidì. Lui non avrebbe dovuto prendersi certe confidenze. Era un padrone, poteva darle ordini, poteva anche pretendere di possederla, ma non avrebbe dovuto cercare alcun tipo di intimità mentale. "Mi mettete in una posizione difficile, padrone. Non posso mentirvi, ma non posso nemmeno dire ciò che mi passa per la mente."
"Perché?" Lui stava sorridendo, si capiva dal tono. "Perché no, se io ti ordino di farlo? Prometto che non ci saranno punizioni o conseguenze."
Lei strinse le piccole mani intorno alla sua lira, molto a disagio. "Non dubito della buona fede di un uomo libero, tantomeno di un nobile mago. So che l'onore è importante per voi. Ma non avete alcun obbligo d'onore di rispettare una promessa fatta a una schiava. Io qui non sono una persona. E dunque… se mi ordinate di parlare lo farò, ma non è necessario né dignitoso sprecare promesse per me."
Il giovane uomo sospirò e si passò una mano sul volto, poi le fece cenno di avvicinarsi.
"Vieni qui. Porgimi le mani" ordinò, poi tese le mani verso di lei come per invitarla a prenderle.
Yrga non aveva molta scelta: si alzò dal suo pouf, posò la lira dove poco prima era seduta e andò a posare i palmi su quelli di lui. Quelle mani erano più grandi delle sue, un poco più scure, e altrettanto morbide. Il padrone era un uomo che impugnava la penna, non la spada. Aveva anche i palmi leggermente sudati.
Lui accarezzò i polsi della ragazza con le dita, poi lasciò andare la mano destra e si concentrò solo sulla sinistra. La ragazza non sapeva che aspettarsi, ma udì un leggero clic e un attimo dopo lui le stava sfilando il braccialetto d'oro che aveva portato negli ultimi mesi. Il braccialetto che la identificava come schiava di quella famiglia.
"Ecco, sei una persona adesso. Sei libera. Non posso più ordinarti di fare nulla. Accetterai le mie promesse, ora?"
Yrga sentì un improvviso capogiro. Essere libera, così tutto a un tratto, non aveva senso. Il padre di quel ragazzo aveva pagato una piccola fortuna per lei. Era costata quanto dieci cavalli, aveva sentito dire. E ora il figlio la stava buttando via così? Che avrebbe fatto? Non aveva altro che la sua arte, non aveva soldi per andarsene, sarebbe solo finita a fare la schiava per qualcun altro.
"Vi siete stancato di me" mormorò, spaventata. "Vi ho deluso… è per la mia voce? È molto meglio quando canto, lo giuro!"
"No…" lui parve confuso. "Perché reagisci così? Non sei contenta? Essere una schiava è la più bassa forma di esistenza qui, non hai diritti nemmeno sul tuo corpo. Non sei contenta di essere libera?"
Lui non aveva ancora lasciato andare la sua mano, e si vide rivolgere uno sguardo da cerbiatta smarrita.
"Io… non voglio essere una schiava, ma non mi aspettavo questa improvvisa liberazione. Ho paura, non so cosa farò adesso, non conosco nessuno, non so dove andare… se la vostra famiglia non mi vuole più, io… f-finirò ricatturata e schiava di qualcun altro, e la vostra famiglia è gentile. Ho paura di cosa troverò là fuori."
"Ehi, non ti sto mandando via" il giovanotto le si rivolse in tono confortante e gentile. "Non mi sono stancato di te, per niente. Se vorrai rimanere al mio servizio mi farai veramente felice. Volevo solo che tu avessi la possibilità di scegliere, che mi potessi parlare su un piano di maggiore parità."
"Non so che cosa dire…"
"Per il momento mi basta che tu mi dica una cosa sola: vuoi rimanere a servizio qui? Le tue mansioni non cambieranno, ma riceverai più rispetto dalla servitù e avrai una stanza migliore."
"In quale veste? Fino a questo momento ero la vostra schiava personale, ora che cosa sarò? Per una donna libera è inusuale fare il lavoro di una schiava di intrattenimento."
"È inusuale ma non è proibito. Rimarrai la mia serva personale, poi magari nel tempo… magari le cose cambieranno. Non ti nascondo che ci spero."
Lei sgranò gli occhi. "Mi volete nel vostro letto? Sarebbe bastato ordinarmelo…" cercò di mantenere un tono tranquillo, anche spavaldo, ma in realtà lei non aveva idea di che cosa aspettarsi. Conosceva la teoria, ma questo era tutto.
"Non dire sciocchezze, hai tredici anni" lui lasciò finalmente andare la sua mano. "E io non voglio una bambina tremante nel mio letto. So che ci sono persone a cui piace, io lo trovo disgustoso. La disparità della nostra condizione di nascita non mi potrà mai garantire che tu voglia veramente stare al mio fianco, quindi non so se mi riuscirà di rispettare la tua volontà e il tuo consenso, perché in futuro potresti sentirti costretta a fare delle cose per me oppure potresti farle come compromesso per migliorare la tua condizione. Non saprò mai se i tuoi saranno sinceri, ma ci sono delle cose che intendo rispettare a prescindere: la tua età e la tua ripugnanza. Non ti toccherò mai finché ci sarà paura nella tua voce. Non ti chiederò di comportarti da donna finché non sarai davvero una donna."
"Però… però avevo ragione, mi desiderate."
Lui esitò. "Non è così semplice. Riconosco la tua bellezza, ma sei bella come un bocciolo, non come un fiore. Non ti desidero, ma so che in futuro lo farò. Fino ad allora mi piacerebbe che stabilissimo un rapporto un po' più intimo di quello fra un padrone e una schiava, per questo ti ho liberata."
Lei prese nota mentalmente del fatto che lui non avesse fatto minimamente cenno alla possibilità che lei si facesse una vita, che scegliesse qualcun altro. Il giovane dava per scontato che prima o poi lei avrebbe scelto lui, perché era cresciuto in una cultura che lo aveva convinto di essere il meglio che qualunque ragazza potesse desiderare. Lo status era molto più importante di sciocchezze come l'amore, l'aspetto fisico o la capacità di conquistare una donna.
Yrga mise da parte quei pensieri, perché la vita era semplicemente così. Ricordò a se stessa che a lei era andata ancora bene. Lui non era un brutto ragazzo e soprattutto era gentile. Certo adesso era libera ma quale scelta aveva davvero? Se anche per qualche miracolo fosse riuscita a procurarsi abbastanza denaro da comprare un cavallo e fuggire dalla regione, sarebbe mai potuta tornare a casa? Che cosa ricordava della sua gente, della sua famiglia? Solo vaghe memorie di una terra fredda e sconfinata, di inverni in cui si soffriva la fame.
Lui aveva ragione, di sicuro prima o poi si sarebbe concessa per migliorare la sua posizione sociale. Il figlio di un potente mago aveva molto da offrire, e tanto per cominciare le stava offrendo un rapporto di cui avrebbero beneficiato entrambi, anziché una relazione unilaterale in cui lui aveva il diritto di pretendere e lei aveva il dovere di obbedire.
"Resterò volentieri a servizio presso questa famiglia, e presso di voi in particolare" accettò, con un grazioso inchino.

Da allora erano passati tre anni e com'era prevedibile Yrga e Thaus erano diventati amanti. Lei non aveva avuto davvero la possibilità di scegliere qualcun altro, ma più passava il tempo più si convinceva di non volerlo fare comunque. Il motivo era che lui invece aveva tutta la libertà e il diritto di frequentare anche altre donne, ma non lo faceva. Yrga sapeva che Thaus era innamorato di lei. Si era preso una cotta la prima volta in cui l'aveva vista e per moltissimo tempo aveva messo da parte i suoi sentimenti per aspettarla, come promesso. Ma quando lei era giunta alla maturazione fisica i sentimenti di lui si erano rinsaldati ed era stato difficile nasconderli, perché nonostante tutto Yrga era davvero una donnina graziosa. Aveva avuto un improvviso scatto di crescita intorno ai quindici anni e nel giro di un'estate si era trasformata da ragazzina appena adolescente a giovane bellezza. Gli altri servitori del castello si giravano sempre due volte a guardarla, quando passava per i corridoi. Nessuno, però, osava toccarla: anche se non era una proprietà di Thaus - perché era una donna libera - nessuno sarebbe stato così folle da mettersi contro il padrone.
Le sue giornate si svolgevano all'insegna del piacere e di quel minimo di lavoro necessario per poterla ancora definire una serva: suonava per il padrone, rassettava le sue stanze, preparava il suo bagno. Spesso usufruivano insieme di quelle stanze e di quel bagno. Erano amanti, ma non era solo una cosa fisica. Nel tempo lei era arrivata ad apprezzarlo come persona, come amico in un certo senso, e quando avevano iniziato a dormire insieme aveva cominciato a sviluppare anche un altro genere di sentimenti. Non era innamorata persa come lo era lui, che aveva già rifiutato alcuni buoni contratti di fidanzamento per poter continuare a stare con lei, però anche Yrga si stava pian piano affezionando.

"È te che vorrei sposare" le confidò una sera, mentre erano languidamente sdraiati sotto le coltri del letto.
"Hm. Difficilmente sarà possibile, io non ho nulla da offrire alla tua famiglia." Yrga stava accarezzando il petto dell'uomo con le punte delle dita, non per stuzzicarlo ma solo per tenersi impegnata.
Avevano fatto l'amore ma nessuno dei due riusciva a dormire, perché all'esterno si stava scatenando una terribile tempesta. Non era una tempesta qualsiasi, era magica. All'epoca le tempeste magiche non erano affatto inusuali nel Narfell, il continuo e sconsiderato uso di poteri arcani e clericali - soprattutto clericali a dire il vero - aveva impregnato la terra e il cielo di magia. Quella che stava infuriando al momento era una tempesta di magia divina di tratto caotico: nulla di strano in una nazione che basava il suo potere sull'evocazione di demoni, che erano una delle tante incarnazioni del caos.
La stanza di Thaus aveva delle meravigliose vetrate che di solito lasciavano vedere il panorama della città e del cielo stellato, ma in quel momento cominciarono a farsi opache quando le normali gocce di pioggia si trasformarono in sangue.
"Uff. Sangue, ancora" sospirò l'arcanista. "Avevo sperato che piovesse normale acqua, o neve. Domani sarà un disastro dover ripulire tutto il palazzo."
Yrga si sistemò meglio fra le sue braccia. In quel momento era davvero felice di non essere più una schiava, l'ultima cosa che desiderava era dover ripulire quel disastro.
"È stato peggio quella volta che sono piovute rane" gli rammentò. "Scrostarle via dal tetto è stata un'opera eroica."
"Non me lo ricordare" lui lasciò vagare lo sguardo oltre le finestre, che stavano rapidamente diventando troppo opache per avere una qualche utilità. Quando non fu più possibile vedere niente, nemmeno le sagome dei palazzi vicini, si arrese e tornò a fissare il soffitto. "Vorrei inventare un incantesimo per proteggere la mia casa da questi contrattempi. Ma non ho così tanta inventiva, serve una conoscenza assoluta della magia per creare nuovi incantesimi. E mio padre è sempre più anziano e debole, anche nella mente." Sospirò di nuovo e intrecciò le dita della mano sinistra con quelle di Yrga. "Anche per questo, lui insiste che mi sposi in fretta. Vuole assicurarsi che la nostra famiglia prosegua. Se solo potessi rimanere libero, rimanere con te."
Lei non rispose subito. Rimase abbracciata al compagno, ad ascoltare il suo respiro calmo, a godere dell'intimità delle loro mani allacciate.
"C’è una cosa che volevo chiederti da tempo. Mi rendo conto che questa è una richiesta sfacciata da parte di una ex-schiava, ma… se tu mi insegnassi la magia arcana?"
Lui si sollevò su un gomito e la guardò stranito. "La magia?" Per un attimo sembrò che stesse per scoppiare a ridere - in effetti era un’idea ridicola, quel tipo di istruzione era solo per nobili - ma poi si fermò a riflettere. "Uhm… capisco le tue ragioni. Non potrai essere la mia amante per sempre, e quando io non potrò più proteggerti dovrai farti strada nel mondo da sola. Sì, è solo giusto che io ti dia gli strumenti per farlo. È il minimo per la donna che amo…"
"Be’, veramente stavo pensando," tentennò un momento, quasi si vergognava a esporre quel pensiero "se io diventassi una brava maga, un aiuto indispensabile per la tua famiglia, pensi che tuo padre considererebbe l’idea di concederci il matrimonio?"
Thaus esitò, preso in contropiede. Poi, questa volta, scoppiò davvero a ridere. Non era una risata di scherno, ma di stupore.
"Ah, sei incredibile!" Si sporse a baciarla sulla fronte. "La mia topina ingegnosa. Adoro il tuo ottimismo, ma se per un nobile è sufficiente una conoscenza mediocre dell’arte arcana, una serva dovrebbe diventare la mano destra di Mystryl per essere considerata un membro dell’alta società."
"E se volessi comunque tentare?" Yrga allacciò lo sguardo di Thaus nel suo, serissima. "Mi impegnerò fino allo stremo per stare con te."
Lui continuò a sorriderle. C’era una punta di paternalismo nel suo tono, quando rispose. "Perché no. Non abbiamo nulla da perdere, e mal che vada ti farà bene apprendere queste competenze. Ma dovrà restare un segreto, è proibito insegnare la magia ai popolani. Lo riveleremo a mio padre solo se… solo quando sarai in grado di operare portenti."
Dal suo tono, Yrga intuì che lui non ci credeva un granché. Ma non aveva importanza. Lei avrebbe dimostrato a tutti quanto valeva. Avrebbe guadagnato il diritto di essere la moglie di un nobile, dell’uomo che amava.
Un giorno sarebbe diventata così potente da portare nel Narfell una nuova ondata di tempeste magiche, e Thaus sarebbe stato orgoglioso di lei.



**********
Nota dell’autrice:
Per le tempeste magiche mi sono ispirata a un articolo di Dragon Magazine #308, "Arcane Weather: Master the Power of Magical Storms", che potete trovare anche qui.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Forgotten Realms / Vai alla pagina dell'autore: NPC_Stories