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Autore: _Frame_    20/10/2022    0 recensioni
- Insomma l’ideale dell’ostrica! - direte voi. - Proprio l’ideale dell’ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi -.
(Giovanni Verga, Fantasticheria)
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«Io sono l’ostrica, Alberto. Sono nato su uno scoglio ed è lì che sarei dovuto rimanere, perché non c’è altro modo per me di sopravvivere. Ho creduto di essere un pesce più grande di quello che sono, mi sono buttato in una corrente che alla fine mi ha rigettato, e ora non so più a quale mondo appartengo. E se un giorno dovessi finire per nuotare così in là da non avere più la forza di tornare indietro, quando avrò bisogno di aiuto? Cosa ne sarà di me? Non potrò sempre contare sul fatto che ci sarete tu e Giulia a venirmi a ripescare.»
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Cronache di Portorosso'
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Luca discese la pendenza del prato che foderava il versante della loro isola. Scrollò i piedi nudi per disfarsi delle squame sbocciate a contatto con la spolverata di pioggia depositata sull’erba dal temporale della notte prima, e affondò i primi passi attraverso i lisci ciottoli della spiaggia. Alzò una mano davanti alla fronte. Si riparò da una soffiata di vento e respinse un forte raggio di sole che lo accecò, adesso che non c’erano più le nuvole a schermare il suo biancore.

I gabbiani stridettero – grida ancor più forti del ritmico scrosciare delle onde –, volarono in cerchio e planarono sulla spiaggia per andare a beccare le alghe trascinate fra gli scogli dalla tempesta ormai passata. Due di loro, i più feroci e affamati, si gracchiarono in faccia, si litigarono i resti di un piccolo granchietto, sbatacchiarono le ali perdendo qualche piuma, e spiccarono di nuovo il volo per unirsi ai compagni che invece erano andati ad appollaiarsi fra le cime degli scogli scoperti dalla bassa marea.

Luca volse lo sguardo ancor più in alto, verso la sommità del cielo che era tornato limpido e luminoso, terso come una spennellata di smalto azzurro. Il sole del mattino era ancora basso, racchiuso fra i fianchi di due colli, ma la sua luce era già distribuita su tutta la costa bagnata da un mare calmo e cristallino, non più grigio e ruggente, minaccioso come una bocca aguzza e affamata. Non vi era alcuna memoria della tempesta che si era scatenata il giorno prima, se non il forte odore di erba bagnata, quello delle alghe seccate al sole, e una brezza pungente che, al ritmo delle onde, scuoteva la vegetazione verdissima che cresceva a macchie sulle isolette vicine e sui promontori della costa.

Che mattinata…

Scosso dai brividi e rimpiangendo il calduccio delle coperte, Luca sfregò le mani prima sui jeans asciutti e poi sotto le maniche della camicetta di Alberto che gli cadeva larga attorno alle spalle, come al solito. In compenso il tessuto aveva riguadagnato il suo profumo originale. Forse non era mai sbiadito veramente, e Luca aveva solamente perso la capacità di raggiungerlo.

Ma ora va tutto bene, pensò Luca, ricordandosi dell’abbraccio che lo aveva circondato prima di addormentarsi e dentro il quale si era risvegliato quella stessa mattina.

Un fruscio di passi superò il prato d’erba e calpestò i ciottoli dietro di lui. La voce di Alberto lo estraniò dai ricordi della notte passata. «Ma guarda un po’ che splendida giornata che è saltata fuori.» Anche Alberto si affacciò al mare. Stiracchiò le braccia sopra la testa, sgranchì le dita dei piedi, sciolse i muscoli delle gambe, e si girò a sorridere a Luca, di umore raggiante, come se non avesse conservato alcuna memoria delle disgrazie capitate il giorno prima. O di tutto il resto. «A quanto pare è vero che ogni tanto quello che ci vuole è proprio una bella tempesta per spazzare via qualche nuvola dal cielo.»

Luca provò un improvviso brivido di timidezza, un pizzicore di disagio che lo spinse ad abbassare gli occhi e a ritirarsi davanti al distacco di Alberto, a quei suoi sguardi che non sembravano nemmeno considerare tutto quello che era capitato fra loro due. E se fosse proprio così? si domandò. E se me lo fossi sognato? E se tutto quello che è successo ieri notte fosse solo un mio delirio? «G-già.» Luca stropicciò l’orlo della camicetta, sfregò i piedi fra i sassi levigati, concentrò lo sguardo su un ramo spezzato che oscillava sulla schiuma delle onde, intrappolato fra gli scogli più vicini alla spiaggia. «È proprio vero.»

Il sorriso di Alberto si affievolì, un’ombra di apprensione si depositò in fondo ai suoi occhi. «Sicuro di riuscire a nuotare da qui fino a Portorosso?» gli domandò. «Hai ancora tanti dolori?»

«No, no.» Luca scosse la testa e abbozzò un tremolante sorriso di rassicurazione. «Sto meglio, davvero.»

«Sicuro?» insistette Alberto. «Se vuoi ti porto sulla schiena.»

«Sto bene, Alberto, sul serio.» Una nuotata sulla sua schiena gli sarebbe bastata per il resto della sua vita. «Solo che…» Solo che erano altri pensieri a preoccuparlo.

Luca si girò a guardare la torre, la sua cima diroccata attraverso la quale i raggi del primo mattino si frammentavano. Gli venne da chiedersi se non fosse stato più sicuro per lui rimanere lì sull’isola, dato che tornando a Portorosso avrebbe dovuto affrontare tutte le conseguenze della sua fuga, del suo gesto così sconsiderato, fra cui anche l’ira funesta di… «Urgh…» Si coprì la faccia, scosso da un violento spasmo di paura che anticipò quel dolore. «La mamma mi ucciderà.»

Alberto scoppiò a ridere, visibilmente sollevato. «Oh, sì» gli disse. «Vedrai che ti ucciderà a suon di baci e abbracci, tanto sarà contenta di rivederti.»

«Poveretta.» Luca scosse il capo, amareggiato e afflitto dai sensi di colpa. «Chissà quanto l’ho fatta preoccupare. Lei e anche il papà…»

«Si saranno ingoiati la loro buona dose di ansia, questo è certo.» Alberto alzò il mento a indicare la costa lontana colorata dalle minuscole casette di Portorosso. «Ma Massimo avrà saputo tranquillizzarli, vedrai. Ieri sera ha pur sempre ricevuto il mio segnale dall’isola. Avrà sicuramente fatto sapere a tutti che ti ho tirato in salvo e che sei stato con me tutta la notte.»

Luca arricciò una smorfia che gli bruciò le guance e le orecchie. E chissà perché credo che questa notizia li abbia impensieriti ancora di più. Io e Alberto da soli, assieme per tutta la notte… non siamo più bambini, dopotutto.

La nebbia del sonno si diradò, i ricordi vennero a galla proprio come gli scogli scoperti dalla marea.

La fiaccola della lanterna che aveva tinto di rosso le pareti della torre, la pioggia che non aveva mai cessato di scrosciare fuori dalla finestra aperta, il gocciolare delle lacrime amare e salate come il mare in cui Luca era quasi annegato. I baci attraverso cui il suo respiro si era mescolato a quello di Alberto, la sensazione calda e umida della bocca sciolta sulle sue labbra, le carezze e gli sguardi scambiati nel buio, i loro cuori uniti in un unico battito, e le mani giunte sotto la coperta. La pelle di Alberto era tiepida e callosa, emanava un profumo dolce e acidulo che Luca si sentiva ancora addosso, confortevole come il tepore di casa e inebriante come le bollicine che scoppiettano sulla superficie di un vino frizzante.

Anche alla luce del giorno, Luca si rifiutava di credere che si fosse trattato solo di un sogno, o di un delirio dovuto al fatto di essersi preso troppe onde in faccia.

Ma allora perché Alberto sta evitando di parlarne?

Alberto andò a bagnarsi i piedi fra le onde che si accavallavano sulla riva della spiaggia. La spuma di mare gli s’infranse fra le caviglie, morbida come una carezza di velluto. «Chissà che ore saranno, poi?» Sollevò un piede pinnato, lo scosse, riportandolo alla forma umana, e tornò indietro, all’asciutto. «Mi sono dimenticato che quassù sulla torre non ho nemmeno un orologio. Non uno funzionante, per lo meno. Ma secondo me se ci sbrighiamo riusciamo ancora a farci offrire la colazione al bar. Ieri non abbiamo nemmeno cenato, ti rendi conto? Ho talmente tanta fame che mi divorerei una balena intera. Ti fermi a pranzo in paese prima di ripartire per Genova, vero?» Puntò lo sguardo verso il mare aperto e fece per tuffarsi per primo. «Anche perché non ci sono treni in partenza prima di…»

«Alberto, aspetta.» Luca infilò la mano nella sua e lo bloccò arricciando le punte delle dita. Aspettò che Alberto si girasse e guardò in basso, schivando i suoi occhi, improvvisamente imbarazzato. «Prima di tornare a Portorosso» farfugliò, «prima che tutto torni com’era, c’è una cosa che…» Si morse l’interno del labbro, raccolse un profondo respiro incoraggiante. «Che vorrei chiederti.»

«Uh?» Alberto arretrò. I piedi all’asciutto e lo sguardo non più rivolto all’orizzonte, ma a Luca. «E quale?»

«Ecco, noi…» Luca tenne lo sguardo inchiodato sui suoi piedi, di nuovo sopraffatto dai ricordi della sera prima, dalla stessa vampata di emozione che gli aveva appannato la testa e fatto ribollire il sangue durante i loro baci. «Noi cosa siamo, adesso?»

Alberto sollevò le sopracciglia. Corrugò un’espressione assorta e pensierosa, la stessa che gli avrebbe imbronciato la fronte davanti a un compito in classe di Matematica, se ne avesse mai svolto uno. «Uhm.» Si picchiettò l’indice sul labbro e si rimirò nella sua interezza, prima le gambe, poi la schiena, e anche la cima della testa. «L’ultima volta che ho controllato eravamo entrambi due pesci.»

«No» rispose Luca. «Intendo…» Strinse le punte delle dita fra le sue. «Cosa dobbiamo dire a tutti, quando torneremo? Dovremo per forza far sapere quello che è successo ieri qui sull’isola o possiamo anche far finta di nulla?» Trattenne il fiato. «Cioè, se tu non vuoi che si sappia posso anche capirlo, e…»

«Che non si sappia cosa?» gli fece Alberto. «Che hai pianto come un disperato? Ooh, ma tranquillo, tranquillo.» Sfilò la mano da quella di Luca, se la posò sul cuore e usò quella libera per tracciarsi una croce sulle labbra. «Ho la bocca cucita.»

Luca s’infiammò fino alle punte dei capelli e cacciò uno strillo indignato. «Alberto!» Perché si deve sempre divertire a complicare le cose?

Alberto ridacchiò di gusto. Una risata da furbastro. Era ovvio si stesse solo divertendo a prenderlo un po’ in giro. «Tu cosa credi sia successo, ieri?» Il suo sguardo, seppur sereno e luminoso, si fece più serio. «Cosa credi che siamo diventati, io e te?»

«N…» Luca arretrò di un paio di passi. «Non…» Strinse le braccia al petto. «Non lo so.» Si grattò fin sotto le maniche della camicetta. «Per questo te l’ho chiesto. Di solito sei sempre tu quello che ha la risposta pronta per tutto.»

Di nuovo i pensieri di Luca tornarono ad affacciarsi alla notte appena passata, a tutto quel turbine di emozioni sconosciute e inaspettate che ancora faticava a metabolizzare.

Poteva sul serio sperare che qualcosa del genere tornasse a ripetersi?

«Di solito…» Luca si stropicciò gli orli della camicia, sfregò un piede sulla caviglia, si grattò dietro l’orecchio. «Di solito sono gli innamorati a baciarsi. Gli, uh, amanti? Cioè, fidanzati?» Oh, cavoli, è tutto così confuso e imbarazzante. «E lo fanno più volte, sì, insomma…» Si strinse nelle spalle, incapace di credere all’audacia di quelle parole che gli stavano scivolando fra le labbra. «Non solo una volta ogni tanto, e…»

«Più volte?» Alberto si premette una mano sulla pancia e scoppiò in una risata fragorosa. «Sei proprio un ingordo. Lo dicevo io che sei un ragazzo pieno di esigenze.»

«Veramente…»

«E così…» Alberto gli si accostò di un passo, ammiccò con le sopracciglia. «Vorresti un altro bacio?»

«Sì.» Luca trasalì, fulminato dalla sua stessa risposta. «Cioè, no!» Si tappò la bocca e avvampò. Lo stomaco in subbuglio e il petto gonfio e palpitante come un tamburo. «Uhm, ecco, io…» Socchiuse una palpebra. «Sì?» Nonostante la faccia gli stesse andando a fuoco, riuscì ad assemblare un’espressione per lo meno dignitosa. «Ma solo se lo vuoi anche tu…» Tossicchiò e riguadagnò un certo contegno. «Per favore?»

Un’onda più alta delle altre si infranse sulla spiaggia, distribuì un velo di spuma bianca fra i ciottoli levigati, si ritirò in mare attraverso un lento fruscio a cui seguì un silenzio interrotto solo dal continuo stridere dei gabbiani e dall’occasionale passaggio del vento fra i rami dell’albero che troneggiava sul paesaggio dell’isola.

Luca deglutì – gli si era seccata la bocca dopo l’ultima parlantina. Strinse i pugni ai fianchi e irrigidì la schiena, sforzandosi di non abbassare lo sguardo e di non distogliere gli occhi da quelli di Alberto. Si concentrò come faceva fra i banchi di scuola – sulla sua fronte s’infossò l’ombra di un minuscolo cipiglio – e provò a decifrare le intenzioni di Alberto tramite la sua espressione immobile, leggendo attraverso quella strana luce che si rifletteva sul suo viso imbrunito dal sole di primo mattino.

Alberto inspirò. Sollevò un piede e compì un primo lento passo che accorciò la distanza fra lui e Luca.

Trafitto da una violenta scossa al cuore, Luca sbiancò e compì un saltello all’indietro, caricandosi di panico e fremendo di aspettativa. Il cuore accelerò, batté all’impazzata, e la voce dei suoi pensieri scatenò una bufera che mise a tacere qualsiasi altro suono attorno a lui.

Sta… sta venendo a baciarmi?

Un altro passo di Alberto, un altro spostamento dei ciottoli, e il cuore di Luca rimbalzò in gola come un boccone andato di traverso. Le orecchie bruciarono, lo stomaco si aggrovigliò in un nodo ribollente, le ginocchia dondolarono, e i pugni tremanti si bagnarono di sudore.

Stiamo per baciarci di nuovo, sta per succedere! Aspetta, ma cos’è che devo fare? Come ieri. Sì, faccio come ho fatto ieri. Ma cos’è che ho fatto ieri? Ieri è stato Alberto a prendere l’iniziativa, ma la terza volta sono stato io. E se non mi riuscisse più di fare la cosa che ho fatto ieri? Che faccio? Devo muovere la bocca o lascio che faccia tutto lui? Ma quanto devo muoverla? E non è che a un certo punto diventa osceno? E se poi mi manca il respiro? Ma si riesce a respirare mentre ci si bacia? Non me lo ricordo. E se mi manca il fiato? E se mi prude il naso? E se mi viene da starnutire? Non posso starnutirgli in faccia. Oh, no, e le mani? Devo anche pensare a dove mettere le mani! Sui suoi fianchi? No, sulle spalle. Ma ci arrivo alle sue spalle? Devo chiudere gli occhi o devo tenerli aperti? Che faccio, che faccio, non so che fare. Perché non hanno ancora inventato un manuale su come ci si bacia? Oddio, sta arrivando!

Luca strizzò gli occhi, si impennò sulle punte dei piedi, trattenne il fiato, e si allungò verso Alberto offrendogli le labbra stropicciate.

A raggiungerlo non fu un suo bacio, ma le punte delle sue dita che gli si posarono sulla bocca. «Lo avrai.»

«Co…» Luca riaprì gli occhi. Il viso di Alberto si materializzò attraverso la vista appannata e lampeggiante. «Cosa?»

Alberto gli sfilò le dita dalle labbra. «Avrai il tuo bacio, Luca. Ma non adesso.» Alzò l’indice al cielo. «E solo a una condizione.»

«Co-condizione?» Luca, ancora stordito e succube delle palpitazioni accelerate che gli strozzavano la voce, scese dalle punte dei piedi e si strofinò la bocca formicolante. «Quale condizione?»

«Torna a Genova» gli disse Alberto, talmente solenne da essere quasi irriconoscibile. «Torna a Genova, finisci la scuola, dai i tuoi esami e prendi la Maturità. Dopo fai quello che vuoi e che ti senti di fare. Resta a Genova, vieni qua a Portorosso, torna ad abitare con i tuoi genitori o con il tuo traslucido zio, vai a Trieste a studiare le stelle, o trasferisciti direttamente sulla Luna, tutto quello che preferisci.» La luce nei suoi occhi era ferma e intensa, sincera e affidabile, priva di insicurezze. «Ma promettimi che quest’estate darai i tuoi esami.»

Luca sbatté di nuovo le palpebre e si ritrovò circondato da un nuovo vortice di dubbi. Gli venne da chiedersi come mai per Alberto fosse così importante saperlo di nuovo a scuola e impegnato negli esami. Che stesse cercando di tenerlo distante da lui? «Perché?» gli domandò, animato dalla speranza di sentirsi contraddire. «Perché è così importante, Alberto?»

«Perché sei vicino tanto così…» Alberto avvicinò indice e pollice come a reggere un sassolino fra le punte delle dita. «Per raggiungere quel traguardo. Hai lavorato duramente per tutti questi anni solo per arrivare a questo.» Scosse la testa. «E io non ti permetterò di buttare tutto alle ortiche solo per una temporanea crisi esistenziale.»

Luca ci meditò su. Fu più facile alla luce del giorno. Tornare a Genova. E, per la prima volta dopo tanto tempo, non gli apparve più come un’ipotesi troppo spaventosa e insormontabile. Tornare a scuola. Dare gli esami. Prendere la Maturità. E dopo… «Vuoi davvero che io torni a Genova e che finisca la scuola anche se…» Bastò poco per scoraggiarlo, per rendersi conto che tornare a Genova avrebbe significato separarsi di nuovo da Alberto. «Anche se quello che deciderò di fare dopo il diploma ci terrà separati per il resto delle nostre vite?» Il solo pensiero era più doloroso di una pugnalata al cuore, più spaventosa del pensiero di riaffrontare la tempesta. «Sul serio vorresti che io finissi la scuola anche in questo caso?»

Alberto abbassò le palpebre allungando un gramo sospiro. Chinò il capo, si grattò il collo, si girò di fianco per nascondere il conflitto che si era dipinto sul suo volto. «È ovvio che non vorrei mai più separarmi da te» confessò. «Ma io ti conosco, e so quanto la scuola è importante per te, e non voglio che tu ci rinunci solo perché io ti vorrei tutto per me. È chiaro che soffro da morire quando io e te siamo lontani.» Un sorriso purissimo gli incurvò le labbra, ridonò luce ai suoi splendidi occhi verdi. «Ma ho fiducia in te, Luca.» Andò a scompigliargli i capelli con una carezza. «E so che un cervellone come te prima o poi riuscirà a trovare un modo per far combaciare le nostre vite, anche se continueranno a essere tanto diverse. E anche se così non fosse…» Scosse la testa. «Ti voglio troppo bene per permetterti di rinunciare ai tuoi sogni per colpa mia.»

«Oh» singhiozzò Luca, colto alla sprovvista. «M-mi…» Arrossì, attraversato da quell’inaspettata confessione di affetto. «Mi vuoi bene?»

Alberto volse gli occhi al cielo. «Chi lo sa.» Si voltò di spalle, si ficcò le mani nelle tasche dei jeans, rigirò il piede nudo fra i ciottoli, calciò un sassolino e si circondò di un’aria da finto tonto. «Magari anche di più.»

Luca provò un singhiozzò al cuore che lo fece sprofondare in una bianca e morbida nuvoletta di pura felicità che aveva lo stesso profumo dello zucchero filato. Mi ha sul serio detto quello che penso?

«Ma qualunque cosa deciderai» gli disse Alberto. «Qualsiasi strada sceglierai di percorrere, Luca, voglio comunque che tu sappia che io per te ci sarò sempre, e che correrò da te fino in capo al mondo, se avrai bisogno del mio aiuto.» Alzò gli occhi verso la torre. Una bava di vento gli attraversò i riccioli. I riflessi del cielo primaverile tinsero i suoi occhi di malinconia. «E che io sarò sempre qui ad aspettarti se vorrai tornare indietro.»

Luca si sentì soffocare dalla pressione di quel discorso diventato fin troppo serio. La trovò una responsabilità troppo pesante da addossare a quelle che rimanevano pur sempre le spalle di un ragazzo così giovane. «Non sei costretto a promettermi qualcosa del genere, Alberto.» E lo pensava sul serio. «Non ti chiederei mai di addossarti una simile responsabilità.»

«Infatti, non serve che tu me lo chieda» rispose Alberto. «L’ho deciso io da solo, come ti ho detto ieri.»

«Ma ieri eravamo sconvolti tutti e due, così…» Luca si strofinò la testa. «Non lo so.» Alzò le spalle. «Così presi dal momento. E ci siamo promessi così tante cose che…»

«Tutte cose che io non intendo rimangiarmi.»

«Le nostre vite saranno ancora molto lunghe, Alberto.» Spero. «E noi siamo ancora poco più che ragazzini. Anche se le nostre intenzioni sono sincere, non possiamo legare le nostre vite a delle promesse strette durante una brutta notte di paura.»

«Ma qui non si tratta solo della promessa che io ho fatto a te.» Alberto si posò la mano sul cuore e alzò il mento. L’aria attorno a lui s’illuminò, donandogli un aspetto nobile e valoroso. «Si tratta anche della promessa che ho fatto alla nonna. Quindi ne va del mio onore.»

«Alla nonna?» E il pensiero della nonna fu un’inaspettata ondata di dolcezza e di calore che rinvigorì il cuoricino martoriato di Luca. Riportare a galla il suo ricordo fu bello come era bello farsi abbracciare da lei quando era piccolo, o come era bello regalarle le ghirlande di alghe e gustare gli involtini di gamberi che preparavano assieme.

«Ma sì, ovvio» annuì Alberto. «Non ricordi? Anni fa ho promesso alla nonna che ti sarei sempre stato affianco e che sarei sempre corso da te quando si sarebbe trattato di tirarti fuori dai guai, e intendo mantenere quel giuramento fino alla fine dei miei giorni.»

Luca sentì sbocciare un caldo sentimento di gratitudine rendendosi conto di come anche Alberto non avesse mai smesso di essere legato al ricordo della nonna. Gli ricordò il fatto che Alberto era soprattutto parte della sua famiglia. «Allora mi sa proprio che non ho scelta» sospirò. «Dovrò per forza rimboccarmi le maniche e studiare sodo per i mesi che mi restano.» E devo ancora cominciare a scrivere la tesina. Sarà dura. Ce la farò sul serio entro giugno?

«Su, su, non farla così tragica.» Alberto andò a battergli una pacca sulla schiena. «Pensa piuttosto alla ricompensa che ti aspetta. Se verrai promosso e se prenderai il diploma, allora ti sarai guadagnato un altro bacio, promesso.»

Incoraggiato da quella prospettiva, Luca sentì che il traguardo della Maturità si era reso più fattibile. La sua forma più definita e la sua luce più vicina, tanto che gli sembrava di poterla raggiungere solo allungando il braccio.

Sorrise anche lui, ammiccò in direzione di Alberto. «E dopo di quello?»

«Magari un altro ancora.» Alberto ricambiò l’occhiolino. «Questa volta per festeggiare la tua ammissione all’università.»

«Ecco, ma magari la prossima volta avvertimi prima di…» Una nuova vampata di rossore si cosparse sulle guance di Luca. «Sì, ecco, lo sai, no?» Prima di sbattermi le labbra sulla bocca senza preavviso.

«Uuh?» Sul volto di Alberto ricomparve quel lucente e aguzzo ghigno da marpione. «Prima di cosa?» Gli pizzicò la guancia. «Di slinguazzarti?»

Luca, indignato e ribollente di vergogna, si tappò le orecchie e strizzò gli occhi. «Alberto!»

Alberto quasi si soffocò per il gran ridere. «Su, su.» Tornò a battergli una serie di pacche fra le scapole. «Vedrai che ce la farai. O i miei baci non sono una motivazione abbastanza incoraggiante?»

Luca volle sul serio sperare che potessero esserlo. «Io non sono come te, Alberto.» Non era un pensiero facile. «Lo sai che basta poco per demoralizzarmi.»

«E secondo te anche io non ho i miei dubbi o le mie paure quando devo affrontare qualcosa di nuovo e di sconosciuto?»

«Non lo dai molto a vedere.»

«Ma comunque non significa che non ci siano.»

«Io non so se ce la farò mai da solo, Alberto. Senza qualcuno che…» Abbassando gli occhi ai suoi piedi, a Luca venne in mente come lui avesse compiuto il suo primo passo sulla terraferma su quella stessa spiaggia, sospinto proprio dalla mano di Alberto. «Senza qualcuno che mi dia la spinta quando mi sento bloccato o che mi tenga la mano quando mi sento cadere.»

«Ma non dovrai mica essere da solo» gli rispose lui. «Avevi gli stessi dubbi e le stesse paure anche la prima volta che sei partito per Genova, e invece guarda: te la sei cavata alla grande. Che credi, che essere forti e coraggiosi significhi fare sempre tutto da soli? Solo Massimo è abbastanza forte e in gamba da fare tutto da solo. Ma secondo me essere forti significa soprattutto essere in grado di fidarci delle persone che ci vogliono bene e che ci guidano per la strada giusta, anche se non sempre sembra la più facile.»

Luca sgranò le palpebre, colpito da un’illuminazione improvvisa.

La strada giusta che non sempre è la più facile?

E quel pensiero gli ricordò un discorso che lui e Alberto avevano intrecciato anni prima, sempre in cima alla loro torre, dove avvenivano i miracoli.

Lucignolo e Pinocchio, il Gatto e la Volpe… ma i veri amici sono l’opposto del Gatto e la Volpe. Il Gatto e la Volpe ti promettono la via più facile per raggiungere la pacchia, ma ti ingannano. I veri amici ti guidano verso la strada giusta, anche se a volte sembra quella più complicata e irta di ostacoli. Ed è per questo che non ti lasciano soli e che sono lì a tenderti la mano nel caso dovessi inciampare durante il tragitto. È questo che sta facendo Alberto, allora.

Ed era per questo che Luca non avrebbe dovuto avere paura di tornare a Genova e di riprendere a camminare per la sua strada. Ora sapeva che ci sarebbe sempre stata una mano pronta a tendersi per aiutarlo a rialzarsi qualora fosse caduto.

«Sei cresciuto, lo sai, Alberto? E intendo…» Percorse il suo profilo, da capo a piedi. Non poté fare a meno di soffermarsi sull’ampiezza delle spalle e sulla solidità della sua schiena. «Al di là dell’altezza.»

Alberto sorrise. Si grattò il braccio tatuato con fare imbarazzato. «Sì, non sei il primo che me lo dice. Dovrò cominciare a crederci pure io, a questo punto.»

Luca rise, visibilmente sollevato e raggiunto da un altro pensiero sempre sbocciato dal ricordo della notte prima. Ripensò a quanto si fosse sentito protetto fra le braccia di Alberto, addormentandosi contro il suo petto e risvegliandosi con il suo respiro fra i capelli. Il luogo più sicuro al mondo. Da piccolo non aveva mai provato una sensazione simile, pur standogli affianco. Della loro giovinezza trascorsa assieme, Luca ricordava il brivido delle esperienze proibite, l’eccitazione di partire per un’avventura, la gioia di esplorare ogni giorno una nuova follia. Adesso invece si beava di quel senso di pace e di appagamento di cui aveva bisogno per alleviare i dolori del suo cuore tormentato. Di una cosa era ormai certo: Alberto sapeva sempre come farlo sentire bene.

Alberto lo precedette. «Coraggio, secchione.» Immerse i piedi in acqua. Un’onda salì e mutò la sua pelle fin sotto le ginocchia. «Prima torniamo a casa e prima potrai metterti al lavoro per guadagnarti i tuoi baci.»

Luca, guadagnata una spinta di audacia, gli trotterellò affianco. «E se invece fossi tu quello che dovrà guadagnarsi i miei baci, da ora in poi?»

«Oh-ooh.» Alberto gli scoccò uno sguardo da sopra la spalla – gli occhi scintillanti e il ghigno sempre lì ad affilargli le labbra. «E da dov’è che arriva tutta questa audacia, Signor Paguro?»

«Ma è facile.» Luca gli passò davanti, sorrise, e pronunciò una delle sue frasi preferite. «Me l’hai insegnata tu.»

Splash!

Sprofondò in mare, raccolse un lungo respiro senza più sentirsi soffocare, riempiendosi il petto di vita, e accolse senza paura la sua trasformazione. Rise di gioia quando l’arrampicarsi delle squame sotto i vestiti gli solleticò le braccia e la schiena, e piroettò su se stesso una volta ricresciuta la coda. Luca era a casa, era di nuovo parte del mare, come era anche parte della terraferma. Non sarebbe stato mai più costretto a scegliere, non avrebbe mai più dovuto decidere fra due vite che già in principio non erano mai state distinte l’una dall’altra.

Perché non non esiste nessun Luca Pesce e nessun Luca Umano…

Luca spalancò le braccia, sventolò la coda, compì una giravolta all’indietro, e rise di pancia circondato dall’argento delle bolle, dal verde delle alghe, e dall’azzurro del mare.

Esiste Luca e basta.

«Vieni, testolina!» Alberto gli sguazzò davanti – un lampo violetto che si divertiva a fare le capriole nelle profondità di un mare che ormai non faceva più paura –, e lo chiamò con una sbracciata. «Vediamo chi arriva prima!» Emerse dalla superficie, scavalcò un’onda, tornò a tuffarsi in mare gonfiando una bianca nebulosa di bolle, e nuotò senza sforzo, guidando Luca come nel momento in cui era giunto a salvarlo.

Nuotando nella sua scia, Luca rifletté sul fatto che era stata sicuramente la nonna, su dal Cielo, ad aver mandato Alberto da lui la notte prima, facendoli ricongiungere nella tempesta. Era stata la nonna ad averli guidati in salvo verso l’isola, ed era stata lei a vegliare su entrambi per tutta la notte e a tenere acceso il fuoco della lanterna con cui si erano scaldati.

Aspetta, se la nonna ci ha sorvegliati per tutta la notte…

Luca si tappò la bocca, morendo improvvisamente di imbarazzo.

Avrà visto anche tutto il resto?

Ma quella preoccupazione svanì così com’era arrivata. La nonna sarebbe stata la prima ad approvare e a incoraggiare quello che era successo fra lui e Alberto, di questo Luca era più che certo.

A loro si accostò un ronzio, il ruggito di un motore che fece disperdere un banco di sardine che nuotava poco distante, e sopra i due ragazzi sfrecciò l’ombra scura di una barchetta da pesca.

Luca e Alberto saltarono fuori dall’acqua, socchiusero le palpebre per non rimanere abbagliati dalla luce improvvisa, respirarono l’odore di nafta bruciata – Luca starnutì –, e si girarono entrambi verso la barca di Tommaso e di Giacomo che aveva appena incrociato la loro traiettoria.

Tommaso si girò, distese una mano davanti alla fronte, spalancò gli occhi, si sporse dalla poppa, e li chiamò sventolando il berretto. «Eccovi!» Fece segno a Giacomo di invertire la rotta.

La barchetta borbottò, rallentò, compì una curva disegnando una scia bianca fra le onde, e Luca e Alberto le si accostarono.

Tommaso salì con un piede sulla balaustra ed esibì un gran sorriso splendente di sollievo. «Alberto!» lo chiamò. «L’hai trovato, allora.»

Pure Giacomo sorrise dalla postazione del timone. «Ben fatto, ragazzo.»

«Che sollievo vederti sano e salvo, Luca.» Tommaso si rinfilò il berretto, e il suo sguardo roseo si posò su Luca. «Non sai quanto eravamo preoccupati. Siamo stati in pensiero per tutta la notte.»

Prima che Luca potesse balbettare una qualche giustificazione, Alberto gli circondò le spalle con un braccio, gli batté la zampa sul petto, e cantilenò un tono sciolto e rilassato, come se non fosse capitato nulla di grave. «Era andato a godersi una rinfrescante vacanza nell’abisso profondo. Ogni tanto ci vuole.»

Tommaso arruffò i baffi in un sorriso eloquente, come se avesse saputo, come se non fossero necessarie altre spiegazioni. «Sbrigatevi a tornare in paese, ché vi stanno tutti aspettando. Noi vi raggiungiamo subito.»

Alberto batté un saluto militare. «Agli ordini.» Raccolse la mano di Luca, si rimise a nuotare e lo condusse verso il profilo della costa, dove l’acqua si faceva più limpida, tiepida, e mossa dalla corrente che soffiava e sibilava fra le insenature del litorale. «Sentito?» gli fece. «Ci aspettano tutti.»

Luca sospirò, già preparandosi al peggio. «Chissà perché non mi incoraggia per niente.»

Alberto sorrise, scosse il capo, e accelerò il nuoto.

Superate le boe che delimitavano il porto, Luca e Alberto spinsero la testa fuori dall’acqua, valicarono i piloni foderati di alghe e conchiglie, raggiunsero lo stridere dei gabbiani che svolazzavano attorno alle barche che, dondolando, componevano una sinfonia di scampanellii. Si avvicinarono ai profumi del paese, alle facciate delle case color pastello, alle terrazze fiorite, al verdeggiare del colle bagnato dalla pioggia del giorno prima, allo scampanare della chiesetta, e al brusio delle voci che popolavano il porto.

Luca tese lo sguardo, superò Alberto, e le sue orecchie a cresta fremettero riconoscendo una serie di voci familiari – voci che gli straziarono il cuore, ora che aveva rischiato di perderle per sempre.

Mamma?

Al porto era radunato mezzo paese. Il primo che Luca notò in mezzo alla folla fu Massimo, per via della stazza che spiccava sopra le teste degli altri. Lorenzo gli era affianco, tremante di ansia, intento a strofinare una serie di carezze sulle spalle ricurve di Daniela, a mormorare qualcosa sotto i baffi, e a spostare di continuo gli occhi da sua moglie al mare, andando alla ricerca di uno schiudersi delle onde, di un musetto familiare sorto dalla scia di luce mattutina. Daniela sedeva su uno dei piloni d’attracco. La fronte raccolta fra i palmi, i capelli riversi sulle guance rosse di pianto, tremiti incomprensibili balbettati fra le labbra, e lo sguardo rassicurato da qualcuno che si teneva accovacciato davanti a lei, parlandole, annuendole, e carezzandole le mani. Qualcuno che Luca conosceva. Capelli color fiamma, orecchini di perle pinzati ai lobi, gli stessi dolci e compassionevoli occhi di Giulia, e un’espressione da mamma preoccupata a ombreggiarle il viso segnato da una terribile notte insonne. Sara!

Anche altra gente si spostava, giungeva dalle vie del paese, scambiava qualche parola con quelli già radunati al porto e si univa alla veglia. C’era persino il Signor Moretti del bar in piazza, e l’oste del Gabbiano d’Argento, e le due anziane, e un paio di bambini che, arrampicati sugli alberi delle barche ormeggiate, facevano da vedetta.

Alberto si entusiasmò davanti a tutta quell’attesa che brulicava su Portorosso come una bassa nebbiolina di elettricità. Tornò a stringere la mano di Luca, accelerò il nuoto, compì due piccoli tuffi sollevando uno splash! della coda, e accostò la zampa libera alla bocca. «Ehiii, genteee!» Aspettò che tutti si girassero, che sgranassero gli occhi – quelli di Daniela e di Lorenzo furono i primi a puntare il mare –, e sventolò la mano giunta a quella di Luca. «Guardate cos’è finito nella mia rete!» esclamò. «Tirate fuori le griglie: questa sera abbiamo un pesce d’eccezione da fare allo spiedo!»

Daniela si alzò con uno slancio, gli occhi rossi, il viso gonfio di pianto, qualche squama a sbavarle le occhiaie scavate da una terribile notte insonne, e superò le persone che la circondavano ricevendo qualche sorriso e qualche pacca di rassicurazione sulla schiena. I suoi piedi nudi volarono verso il confine della banchina e il suo riflesso si specchiò nell’acqua del porto.

Splash!

Subito dopo di lei si tuffò anche Lorenzo, ed entrambi dragarono le acque basse, trasformati solo fino alla vita, lì dove ancora si toccava e dove le barche più piccole galleggiavano come ciocchi secchi.

«Luca…»

«Luca!»

Luca provò un sussulto di commozione in fondo al cuore nell’udire le loro voci e nell’incrociare i loro sguardi stravolti dal dolore di averlo perso e dal sollievo di averlo ritrovato. In un battito di ciglia, la paura di essere sgridato venne sostituita da un amaro senso di colpa e di compassione nei confronti dei suoi genitori. Forse, anche quella era una prova che stesse finalmente diventando adulto.

«Mamma!» Luca si separò dalla zampa di Alberto, si diede uno slancio di coda, e tese le braccia verso i suoi genitori, trattenendo a stento le lacrime. «Mamma, papà! Sono…»

L’abbraccio dei suoi genitori lo inghiottì in un caldo e sicuro bozzolo di amore e protezione. Luca sprofondò con il viso nel petto di Daniela. I suoi capelli morbidi gli solleticarono le guance, le forti braccia lo strinsero fino a togliergli il fiato. «Luca…» Tutto il dolore di Daniela era palpabile tramite i suoi singhiozzi, i rimbalzi della sua voce, i tremori delle sue carezze. «Luca, Luca…»

Di nuovo Luca sentì il cuore stringersi e singhiozzare di colpevolezza. Le palpebre pizzicarono, la vista si appannò, un artiglio di pentimento gli strozzò la voce. «Scusa.» Anche lui la abbracciò forte, affondò le dita palmate nella stoffa dei suoi abiti, e si sentì tornare piccolo, come il giorno in cui aveva riabbracciato i suoi genitori dopo la sua prima fuga. «Scusa, mamma» singhiozzò. «Non lo farò più.»

Daniela scosse il capo. Gli baciò le guance, la fronte, la punta del naso, e lo tornò a stringere.

Lorenzo posò il capo su quello di Luca, non smettendo mai di strofinargli la schiena. «Va tutto bene.» Lo disse a entrambi. «Sei a casa, Luca, siamo di nuovo assieme. Va tutto bene.»

Luca rise di gioia e di sollievo, non potendo fare altro che dargli ragione.

Poco distante da loro, un lieve accavallarsi delle onde accompagnò lo spostamento di Alberto, il suo nuoto che scivolò all’indietro come per non intralciarli.

Daniela fu più rapida. Allungò una mano, lo acchiappò al volo, e inghiottì pure lui in quell’abbraccio di amore senza confini. «Grazie.» Baciò pure lui, «Grazie», e finì di piangere sulla sua spalla. «Grazie, Alberto.»

Alberto le sorrise. Accettò il suo abbraccio e le strofinò una zampa sulla spalla. «Di nulla.»

«Lucaaa!»

Trafitto da quel richiamo, Luca riaprì gli occhi e si sporse quel che bastava per scorgere un’altra testa rossa dividere il gruppetto di paesani, correre davanti a Sara e a Massimo, e sventolare le braccia per aria. «Luca, Alberto!» I riccioli color fiamma scompigliati dalla corsa, gli occhi annacquati da stille di lacrime, e un’altra faccia di chi non aveva dormito per tutta la notte. «Arrivo, sono qui!»

Luca sussultò, scaldato da un profondo battito di emozione. «Giulia?»

Splash!

Pure Giulia si tuffò nella bassa riva del porto, sputacchiò l’acqua che aveva ingoiato, divise i capelli che le si erano incollati alla faccia, scalciò e sbracciò per raggiungerlo, sollevando una fitta nuvoletta di schizzi bianchi. «Oh, Luca, sei qui! Stai…» Arrancò, sdrucciolò sul pavimento di alghe, riprese equilibrio, e annaspò. «Stai bene!» Gettò le braccia attorno alle spalle di Luca e lo strinse forte a sé, forse con ancor più avidità di Daniela. «Grazie al Cielo.» Lo cullò avanti e indietro. «Grazie al Cielo. Non sai che paura.»

Gli occhi di Luca erano ancora spalancati, increduli di vederla lì. «Giulia.» La circondò con le sue braccia squamate, senza però stringere. «Sei qui? Ma non eri a Genova?»

Giulia sollevò il capo e afferrò Luca per le spalle. Il viso rosso di pianto e gli occhi lucidi e indignati. «E come potevo starmene a Genova con le mani in mano mentre tu eri disperso in mare chissà dove? Io e la mamma abbiamo preso il primo treno e siamo riuscite ad arrivare qui già ieri notte.»

«Oh…» Fu tragico il fatto che Luca non trovasse nulla di meglio da dirle. Ma forse non ce n’era bisogno.

Ricambiò il forte abbraccio di Giulia e chiuse gli occhi. Circondato e sostenuto da lei, dai suoi genitori, dall’affetto di tutta Portorosso, e da quella splendida mattina priva di nubi e oscurità, Luca si rese conto di quanto Alberto avesse avuto ragione su di lui.

Luca avrebbe sempre avuto uno scoglio sicuro su cui fare ritorno, qualora si fosse smarrito. Portorosso non era una roccia estranea, nuda e spigolosa come quelle dove si annidano le ostriche, ma era invece una spiaggia sicura, un ventre caldo e fertile dove la vita scorreva e prolificava, crescendo ogni giorno come cresceva lo stesso Luca.

Non era la maledizione dell’ostrica; era la benedizione del paguro. Era la sua vita ideale.

Era l’Ideale del Paguro.

   
 
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