Film > Luca
Segui la storia  |       
Autore: _Frame_    31/10/2022    0 recensioni
- Insomma l’ideale dell’ostrica! - direte voi. - Proprio l’ideale dell’ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi -.
(Giovanni Verga, Fantasticheria)
---
«Io sono l’ostrica, Alberto. Sono nato su uno scoglio ed è lì che sarei dovuto rimanere, perché non c’è altro modo per me di sopravvivere. Ho creduto di essere un pesce più grande di quello che sono, mi sono buttato in una corrente che alla fine mi ha rigettato, e ora non so più a quale mondo appartengo. E se un giorno dovessi finire per nuotare così in là da non avere più la forza di tornare indietro, quando avrò bisogno di aiuto? Cosa ne sarà di me? Non potrò sempre contare sul fatto che ci sarete tu e Giulia a venirmi a ripescare.»
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le Cronache di Portorosso'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

44

 

 

«L’Ideale del Paguro?» Giulia abbassò la prima pagina della tesi, quella da cui aveva appena letto il titolo firmato da Luca, e ridacchiò, solleticata da un brivido di curiosità e di compiacimento nei confronti dell’amico. «Hai intenzione di stupire tutta la commissione d’esame con una specie di parodia dei Malavoglia, o una cosa del genere?»

«Uhmm…» Luca staccò le dita sbavate di inchiostro dai tasti della Olivetti, e sgranchì le mani che cominciavano a fargli male, dopo tutte le ore trascorse a scribacchiare appunti a penna e a batterli successivamente a macchina. Allungò le gambe sotto la scrivania, si stiracchiò spalmandosi sullo schienale della seggiola, sfilò i piedi dalle pantofole e fece roteare le caviglie intorpidite. «Più o meno.» Ruotò il torso a destra e a sinistra, fece scricchiolare la schiena indurita come un manico di scopa, e si piegò di lato per massaggiarsi le cosce che si erano addormentate dopo essere rimasto seduto così a lungo. «Diciamo che è una mia personale reinterpretazione in antitesi con l’archetipo tradizionale di Verga. In pratica…» Sfilò la pagina dalla macchina da scrivere e la aggiunse al fascicolo che successivamente avrebbe fatto rilegare. Pescò un foglio bianco dalla risma, lo arrotolò al rullo della Olivetti, poi spostò due dei manuali di Letteratura da cui stava studiando, per evitare che il loro peso stropicciasse le pagine svolazzanti, e rimise una manciata di matite nel portapenne che si era ribaltato sul vocabolario. «Verga ci ha insegnato che ognuno in questo mondo possiede un ruolo prestabilito a cui è impossibile sfuggire.»

«La Morale del Pugno Chiuso?»

«Esatto» annuì Luca, «proprio quella. E poi c’è l’Ideale dell’Ostrica, naturalmente.» Appaiate le risme di appunti e impilati gli eserciziari di Latino, Luca intrecciò le mani sotto il mento, stando attento a non sgualcire gli altri quaderni sotto i gomiti. Fece cadere lo sguardo sulla sua copia dei Malavoglia che occupava un posto d’onore sulla scrivania: quello affianco al sacchetto di caramelle al miele da cui attingeva quando sentiva le energie venire meno dopo una sessione di studio particolarmente intensa. «Lui è il primo a paragonare gli uomini a creature del mare, no? E allora perché non reinterpretare questa sentenza vedendola sotto un’altra prospettiva? Se è vero che le ostriche se ne stanno appiccicate al loro scoglio per tutta la vita e che vengono divorate non appena provano a separarsene, perché non vedere gli uomini come qualcosa di diverso? Magari come dei paguri.»

Giulia alzò gli occhi al soffitto, si strofinò il mento e increspò le sopracciglia, meditabonda. «Ma anche i paguri vivono sugli scogli.»

«Non necessariamente» le rispose Luca. «Pensaci, il paguro è un animale più coraggioso e intraprendente di quello che appare. Cresce costantemente, si sposta di scoglio in scoglio e di spiaggia in spiaggia. È lui a scegliersi la propria conchiglia, usandola come rifugio, ed è lui a decidere di cambiarla quando comincia a calzargli troppo stretta.» Si girò verso la porticina della camera lasciata socchiusa. Anche da lì era possibile scorgere i riflessi dell’acquario allestito nel corridoio, il ronzare dei filtri, l’oscillare delle alghe, il nuoto lento di Bruno, e le sfumature color cacao del loro piccolo paguro che sonnecchiava dentro la cava di scoglio. «Il paguro non si accontenta, il paguro si evolve e si adatta. Poi non è detto che debba per forza viaggiare di continuo. Può anche darsi che trovi una spiaggia più carina e accogliente delle altre e che decida di fermarsi lì. Altrimenti, avrà sempre la sua conchiglia su cui fare affidamento, anche in alto mare. E il bello è proprio questo.» Si indicò la schiena. «Quella conchiglia che lui si porta sulle spalle è appartenuta ad altri paguri prima di lui, quindi è un po’ come se l’eredità di quella sicurezza passasse di paguro in paguro, come se quello fosse un modo per portare sempre con sé una parte della sua famiglia d’origine. È il loro modo di dirsi: rimango con te anche quando non ci sono. Ma la cosa fondamentale è che sarà sempre il paguro stesso a scegliersi la propria strada e il proprio destino. Sarà lui a decidere se andarsene o se restare. È questo che lo contraddistingue dalle ostriche. Ed è questo quello che distingue l’uomo di Verga dall’uomo moderno.»

«E forse…» Giulia posò gli appunti, tenne alto il sorriso che la calda luce del giorno faceva risplendere. «Forse è anche quello che distingue il Luca Vecchio dal Luca Nuovo.»

Luca arricciò una smorfia impensierita, perché anche lui aveva riflettuto su qualcosa di simile, appena tornato a casa dopo la fuga e appena ripresi in mano i libri che, alla luce della sua crescita, parevano raccontare storie del tutto nuove. «Sì, ci ho pensato anch’io, quando ho cominciato a chiedermi se fosse poi così corretto proiettare tutto quello che mi è successo sulla filosofia di un autore soltanto. Però…» Raccolse il romanzo dei Malavoglia, così consumato che quasi gli si sbriciolava fra le dita, come un pacco di foglie secche, e lo rigirò. «Però poi ho dedotto che non c’è nessuna differenza fra il Luca Nuovo e il Luca Vecchio, e nemmeno fra il Luca Terreno e il Luca Marino.» Attraversò con una carezza l’immagine sbiadita della barca di pescatori ribaltata dalla tempesta. «Sono entrambi parte della stessa persona, sono due entità inscindibili. Vederli come due individui separati è stato l’errore che mi ha causato tanti problemi e tanta sofferenza, perché all’inizio mi ero fatto prendere da questa idea che vivendo in superficie sarei dovuto diventare un Luca diverso.» Posò il libro. «Ma non è così.» Raccolse la tesi stampata – solo la prima bozza su cui aveva già appuntato aggiunte, tagli e correzioni – e sfogliò una pagina alla volta. «Non devo vivere una vita diversa solo a causa del mio aspetto e delle mie origini. Io sarò sempre una creatura del mare, è qualcosa che non posso cambiare, ma questo non significa che devo rinunciare a vivere come un essere umano. Devo semplicemente imparare a gestire l’equilibrio fra queste due realtà. Si trattava solo di comprenderlo e di accettarlo. Niente di più.»

Giulia si coprì la bocca per trattenere una risata irrefrenabile simile a una di quelle di Alberto. «E ti è bastata una sola notte di crisi per capire tutto questo?»

«Uhm…» Luca sbirciò da dietro le pagine, improvvisamente rosso di imbarazzo, e tamburellò le dita sulla carta. «Dici che è un ragionamento fin troppo pretenzioso?»

Giulia scosse il capo e trillò una nuova risata. «Mai.» Si sporse da sopra la scrivania per strofinare i capelli di Luca, quella sua dolce testolina santa. «Lo sai che per me non esiste il troppo. Vedrai, farai un figurone all’orale.» Il suo sorriso si rasserenò, assunse una sfumatura materna e protettiva. «E sono contenta di vederti più tranquillo e sicuro di te riguardo il tuo futuro.»

Luca ricambiò il sorriso. «Anche io sono contento di sentirtelo dire. Però, lo sai…» Distratto dalla calura che stava cominciando ad appesantire l’aria chiusa della camera, Luca si guardò attorno. Le tende attraversate dai raggi di sole; le pareti tappezzate fino all’ultimo centimetro da schemi e mappe concettuali; le lenzuola dei letti stropicciate dal peso dei libri che lui e Giulia non erano riusciti a impilare sulle scrivanie; i barattoli di penne e matite ammassati sugli scaffali dell’armadio da cui avevano dovuto togliere qualche cornice e qualche peluche; i disegni di Educazione Tecnica sparpagliati sul pavimento assieme ai compassi, alle squadre, e alle briciole di gomma da cancellare; e infine Nerone che poltriva pacifico nella sua cuccia. «C’è un’altra cosa che ho realizzato» disse Luca, lasciandosi avvolgere dal senso di familiarità che gli trasmettevano quelle immagini. Il suo piccolo e prezioso mondo destinato a espandersi sempre di più. «A me non interessa essere un paguro, o un’ostrica, o qualsiasi altro animale marino. Io sono io, e non c’è nulla può cambiare questa realtà.» Si strinse una mano sul petto, dove il cuore tambureggiava lo stesso eco, sia dentro sia fuori dall’acqua. «Spetta solo a me accettarla. L’unica cosa su cui adesso mi concentrerò sarà continuare a vivere come me stesso, a inseguire i miei sogni, e a crescere come individuo, circondato dalla mia famiglia e da voi che siete i miei migliori amici.»

Nerone alzò il muso e rizzò le orecchie. «Bau!»

Luca si scusò tramite una risata accondiscendente. «Sì, anche da te, Nerone. Se un giorno tornerò a sentirmi smarrito come è successo quella volta, ora saprò di avere sempre il mio scoglio sicuro su cui fare ritorno, anche se non avrò nessuna conchiglia sulle spalle.» Porse le braccia a Nerone che era corso da lui per farsi sollevare in grembo. «Quella notte, quando sono scappato, non ho solo rischiato di perdere la mia casa. Ho rischiato di perdere me stesso.» Accettò una leccata di Nerone e, carezzandogli la testolina, lasciò che gli si acciambellasse sul ventre. «Non voglio che capiti mai più.»

«E non succederà, te lo garantisco io» gli promise Giulia. «Né io né Alberto lo permetteremo.»

«Ecco, forse anche voi due dovreste imparare a preoccuparvi un po’ di meno nei miei confronti.»

«Mai!» Giulia pescò la sua copia della Divina Commedia e gliela sbatacchiò in testa. «Rassegnati, questa è una delle poche cose che non cambieranno mai, nemmeno quando avremo novant’anni. E a proposito di cose che non cambieranno mai…» Affilò uno sguardo più sottile. «Ti ricordo che agli esami non verrai valutato solo con Letteratura. Ci sono anche tutte le altre materie da preparare, e tu sei come al solito indietro con il ripasso di Trigonometria, Signor Paguro.»

«Urgh.» Luca strinse Nerone a sé e batté la fronte sulla scrivania, squagliandosi di disperazione sopra i libri, i quaderni, e gli appunti che inondavano i due tavoli congiunti. Gorgogliò un lamento straziato. «Non me lo ricordare, ti prego.»

Giulia alzò gli occhi al soffitto, tenendo però alto il sorriso, e diede una sistemata ai fogli svolazzanti che rischiavano di cascare dalla scrivania. «Ho capito, ho capito.» Sventolò i riccioli dietro la spalla e li legò in una gonfia e scompigliata coda di cavallo. «Ti ci vuole una bella carica di energie prima di passare al sodo.» Scavalcò una risma di disegni di Tecnica, mise a posto uno dei compassi per non rischiare di calpestarlo, e valicò la soglia della cameretta. «Metto su il caffè, così poi ripassiamo assieme. Ah, e ricorda che fra un’ora è il mio turno con la Olivetti!»

Luca sollevò un pollice senza però alzare la testa dal tavolo. «Ricevuto.» Fu lieto di potersi concedere quell’attimo di pausa per riprendere fiato e per coccolare Nerone che gli era ancora accoccolato in grembo. Aveva proprio bisogno di far riposare i neuroni, di rallentare i pensieri e l’assorbimento di informazioni, e di staccare gli occhi dalle pagine imbevute di scritte, dato che la vista gli si sdoppiava dopo aver letto solo qualche riga.

Non è che sto cominciando ad aver bisogno degli occhiali da vista?

Era comunque difficile trovare un modo per distrarsi fra le quattro mura della cameretta che, nel corso dell’anno scolastico, lui e Giulia avevano trasformato in una vera e propria aula studio dove trascorrevano i pomeriggi riempiendo gli eserciziari con i problemi di Trigonometria, ripassando date di Storia, traducendo versioni di Latino, recitando a memoria formule di Fisica, e lavorando a turno con la vecchia Olivetti di Sara. Per comodità, avevano unito le due scrivanie al centro della stanza, in modo da poter ammassare libri e quaderni, e in questo modo studiare assieme ogni pomeriggio, aiutandosi con l’alternanza delle materie, e allo stesso tempo lavorare alle tesine da esporre all’orale finale. Le loro due classi erano sì diverse, ma i programmi rimanevano pur sempre uguali. Ormai era maggio inoltrato, gli esami erano alle porte, ed entrambi sapevano di doversi rimboccare le maniche e di spremere il meglio delle loro capacità per veder maturare i frutti che avevano seminato durante la loro intera carriera scolastica.

Luca sfogliò con soddisfazione il fascicolo contenente le pagine già battute a macchina della sua tesi, e sentì il cuore gonfiarsi di orgoglio e gli occhi brillare di speranza e aspettativa.

Stava venendo proprio bene. Merito degli studi assidui degli ultimi mesi, ma anche merito del Professor Marinelli che si era offerto di aiutarlo e di guidarlo nella sua composizione. Anche quell’evento era stato motivo di gran sollievo per Luca: rivedere quella minuscola ma sincera scintilla di fierezza brillare dietro gli occhialini del vecchio professore di Lettere quando il suo rendimento era tornato a spiccare il volo e quando i suoi voti avevano ricominciato a lievitare. E come si era emozionato, il professore, quando era venuto a sapere che Luca avrebbe basato la sua tesi proprio su Verga! A Luca era quasi parso di scorgere una velatissima traccia di rossore sbavare la pallida spigolosità delle sue guance.

Luca fece scendere Nerone dal grembo – anche lui era stato uno di quelli a festeggiare il suo ritorno, dopo la fuga –, si alzò per stiracchiare le gambe e sgranchire la schiena, e andò ad aprire la finestra per far prendere aria alla camera.

Scostata la tenda, Luca si affacciò al panorama del carruggio, alle terrazze del vicinato da cui provenivano i profumi dolciastri delle piante fiorite e quelli più freschi dei panni messi a stendere. Passò una leggera brezza sorta dal quartiere portuale. I gabbiani si innalzarono dai tetti, volarono attorno alle antenne televisive, e si rimpicciolirono dietro le verdi chiome infoltite che erano fiorite su tutto il vicinato. Luca si scostò una manciata di ciocche dalla fronte e si godette il venticello primaverile che gli pizzicò le guance e gli rinfrescò gli occhi stanchi. La tempesta ormai trascorsa aveva spazzato via le ultime grigie nubi invernali, accogliendo un sole bianco e luminoso che bruciava appeso a un cielo tinto dell’azzurro più vibrante.

Luca incrociò le braccia sul davanzale, reclinò il capo facendolo riposare sulla spalla, e il suo sguardo prese il volo e si smarrì, donandogli quell’espressione dolce e sognante che faceva luccicare come stelle i suoi splendidi occhi nocciola.

Quante volte Luca aveva guardato fuori da quella finestra perdendosi nello sciame colorato dei suoi sogni a occhi aperti. Quante volte aveva chiuso le palpebre e si era sentito sollevare da una spira di vento, una corrente che lo avrebbe fatto viaggiare fra le nuvole e condotto fino a Portorosso, lasciandolo poi cadere fra le braccia di Alberto.

Un piacevole tepore gli colorò le guance, ancor più caldo del sole pomeridiano che splendeva su tutta Genova. Un fiotto di emozione accelerò il battito del suo cuore. Un sapore dolce e frizzante come un sorso di gassosa gli si posò sulle labbra, spingendolo a sfiorarsi l’angolo della bocca e ad abbandonarsi a un’altra scia di ricordi.

Durante il viaggio di ritorno in treno da Portorosso a Genova, Luca aveva aspettato di essere da solo con Giulia e poi non aveva saputo trattenersi oltre. Le aveva raccontato dei baci, di tutto quello che lui e Alberto si erano confessati, e di tutto quello che era capitato durante la nottata trascorsa in cima alla torre. Com’era immaginabile, Giulia si era elettrizzata di entusiasmo. Era saltata in piedi sul sedile, aveva cominciato a battere le mani, a gettare i pugni all’aria, a ululare canti di vittoria, e a strillare gridolini di gioia che avevano fatto voltare più di un passeggero. A Luca era dispiaciuto stroncare il suo entusiasmo, ma non aveva avuto scelta. Nemmeno lui infatti riusciva a capire se fosse cambiato qualcosa nel suo rapporto con Alberto.

E se quello che era capitato sulla torre fosse stato solo frutto dell’emozione del momento? Certo, il pensiero di potersi scambiare altri baci era allettante, ma Luca sapeva che la sua relazione con Alberto era destinata a essere tutt’altro che semplice e scontata. Una volta terminata l’estate, Luca sarebbe andato all’università, mentre Alberto sarebbe rimasto a Portorosso. Non avrebbero potuto fingere di essere una normale coppietta felice, come quelle che si vedevano nei film o sui manifesti pubblicitari. La relazione fra lui e Alberto non sarebbe mai stata una strada facile da percorrere, non lo era mai stata dal primo momento in cui si erano incontrati, dal primo giorno in cui avevano scoperto la loro amicizia, ma Luca non avrebbe più avuto paura di perderlo o di essere costretto a rinunciare a lui. A prescindere da dove si sarebbero trovati e dalla vita che si sarebbero scelti, sapeva che Alberto ci sarebbe sempre stato ad aspettarlo, e che avrebbe spalancato un abbraccio di benvenuto per accoglierlo ogni volta in cui Luca avrebbe sentito il bisogno di tornare a casa.

E a proposito di gente che aspetta a Portorosso…

Fra Alberto e Sara era capitato qualcosa di bizzarro, la mattina in cui avevano fatto ritorno in paese.

Una volta usciti dall’acqua, tutti avevano circondato i due ragazzi, si erano premurati di coprirli con asciugamani e di offrire loro del caffellatte bollente con tanto zucchero per aiutarli a rinvigorirsi dopo la nuotata e la notte trascorsa a digiuno. Le vecchie signore avevano strofinato i capelli di Luca, dandogli il bentornato, e i pescatori avevano ricoperto Alberto di complimenti e di pacche sulla schiena per essere stato così in gamba da aver attraversato una tale tempesta e da aver riportato a casa l’amico sano e salvo.

Anche Sara si era avvicinata e, dopo aver ricambiato il suo abbraccio e aver ricevuto due baci schioccanti sulla fronte e sulla punta del naso, Luca si era ricordato che quello sarebbe stato il primo vero incontro fra lei e Alberto. I due si erano sorrisi, “Ciao, Alberto. Sono Sara, la mamma di Giulia”, e si erano stretti la mano, “Io sono Alberto. Finalmente ci incontriamo”. Ancora con la mano avvolta nella sua, incapace di lasciarla, Sara si era voltata verso Massimo. Gli aveva rivolto uno sguardo misterioso, gli aveva mormorato: “Lui è…”, e Massimo aveva annuito, mantenendo però un solenne silenzio, custode di un segreto che né Luca né Alberto né Giulia erano riusciti a decifrare.

Allora gli occhi di Sara si erano fatti acquosi e malinconici, ma a Luca erano sembrati in qualche modo più giovani, come proiettati su una luce distante ma mai estinta. Sara aveva sfilato la mano da quella di Alberto, gli aveva gettato le braccia attorno alle spalle, lo aveva attirato a sé sprofondando con il viso nel suo petto, e di tanto in tanto, respirando forte, a singhiozzi, l’avevano sentita sussurrare: “Bentornato. Bentornato a casa”, felice come se avesse atteso quell’incontro da tutta una vita.

Chissà a cosa si stava riferendo?

A strappare Luca dai suoi pensieri, dai suoi sogni a occhi aperti e dal suo continuo rimuginare, fu il gorgoglio schiumante della moka e il buon profumo di caffè espresso proveniente dalla cucina.

Luca rialzò i gomiti dal davanzale della finestra, si stropicciò gli occhi alla luce del sole, inspirando forte il profumo di mare, di fiori, e di sapone di Marsiglia proveniente dalla strada, e nemmeno la vista delle scrivanie sommerse dai libri e dei fogli svolazzanti sparsi sul pavimento riuscì a scoraggiarlo.

Non temeva più il suo futuro. Non avrebbe mai più avuto paura di voltare pagina e di tuffarsi in un nuovo capitolo della sua vita, perché…

Ti prometto che terrò per sempre accesa questa lanterna per te.”

Era quella la sua speranza, il suo scoglio, la sua luce eterna, il suo faro nella burrasca. Finché Alberto avrebbe tenuta quella lanterna accesa per lui, Luca non avrebbe mai più rischiato di perdersi.

Finché sarebbero esistiti un mare in cui nuotare, una terra da esplorare, e un cielo stellato in cui rifugiarsi durante i lunghi sogni a occhi aperti, sarebbe andato tutto bene.


 

N.d.A.

Felice Halloween, cari lettori, e arrivederci all’ultimo capitolo! (^-^)/

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Luca / Vai alla pagina dell'autore: _Frame_