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Autore: AlexSupertramp    23/10/2022    4 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14

Ci conosciamo da parecchio

Tsuyoshi riusciva a sentire il rumore dei suoi stessi passi, mentre percorreva il lungo corridoio dell’ala orientale dell’ospedale universitario di Tokyo.
Allentò il ritmo della sua camminata, piegò la gamba e si guardò velocemente la suola delle scarpe, pensando di averne una decisamente rumorosa. In realtà il corridoio che stava percorrendo era semplicemente vuoto, motivo per cui non sentiva altro che i suoi passi. 
Gomi gli aveva suggerito di andare lì in ospedale subito dopo l’orario di visita in modo tale da riuscire a fare quattro chiacchiere con la loro vecchia amica senza essere disturbati. Lo aveva rassicurato di non preoccuparsi e che lo avrebbero fatto entrare non appena lui avesse detto alla reception che era lì per vedere il dottor Gomi.
Allora lui aveva fatto esattamente così: appena uscito dal lavoro, aveva preso la metro e si era recato dall’altra parte della città, a Shinjuku. Quando aveva ricevuto il messaggio di Gomi, in cui gli diceva che poteva andare lì quando voleva, aveva pensato che quella fosse davvero una gran fortuna: avere un amico medico che ti permette di saltare la fila quando poteva. Di certo non lo avrebbe mai fatto in caso di urgenza, non avrebbe mai scavalcato qualcuno in difficoltà… ma quella gli sembrava davvero un’occasione da cogliere.
“Quindi le hai detto che mi piacerebbe andare a trovarla in ospedale?” aveva scritto a Gomi quello stesso pomeriggio.
“Certo! Puoi venire quando vuoi.” 
Aveva riletto quel messaggio già un paio di volte nel corso del tragitto in metro, perché in realtà aveva avuto qualche timore nell’attendere la risposta della sua amica. Insomma, erano passati così tanti anni e lei non si era mai fatta viva: magari non aveva mai voluto farlo, aveva pensato. Tuttavia, quella risposta di Gomi lo aveva rincuorato e gli permise di attraversare il lungo corridoio spoglio con una certa tranquillità.
Diede un’occhiata al cellulare, leggendo il messaggio dell’amico in cui gli spiegava il percorso da fare per raggiungere la stanza di Sana. Quindi, continuò ancora per qualche minuto, poi prese l’ascensore che lo avrebbe condotto al sesto piano dell’edificio, dove erano collocate le camere singole per chi desiderava trascorrere una degenza in privato.
Gomi non gli aveva spiegato bene come fosse organizzato quel piano, ma gli aveva dato il numero della stanza di Sana che, in teoria, doveva trovarsi in fondo all’ennesimo corridoio che stava percorrendo. Non prestò molta attenzione alla gente in camice bianco che gli gravitava intorno indaffarata, aveva solo un unico obiettivo e quello era trovare la stanza della sua amica e frenare quell’improvviso senso di imbarazzo che lentamente si insinuava nelle sue viscere.
Poi, come nulla fosse, la sua attenzione fu catturata da una stanza illuminata da cui proveniva un chiacchiericcio che gli risuonò in un certo modo familiare. E in pochi istanti vide la sua vecchia amica che parlava al telefono agitando velocemente le braccia per aria. Gli venne immediatamente da sorridere, perché pensò che quell’immagine l’aveva vista così tante volte nel corso della sua adolescenza che non gli sembrò per niente diversa da un qualsiasi ricordo lontano. E sperò che fosse davvero così quando, timidamente, batté un paio di volte il pugno contro la porta della stanza.
Lei si voltò di scatto con un sorriso che, all’istante, si trasformò in un’espressione completamente diversa.
Tsuyoshi ci lesse confusione, sorpresa e poi qualcosa che non riuscì a definire.
«Sana?» disse, con un marcato punto interrogativo al seguito di quel nome. Era strano, pensò, perché se c’era una cosa di cui non fosse in dubbio in quel momento, era proprio l’identità della persona che aveva davanti.
«Mh…»
«Sono io… Tsuyoshi.» disse, indicando se stesso con una mano. A quel punto l’espressione sul viso di lei si trasformò nuovamente, ma Tsuyoshi decise di non badarci più di tanto ed entrò nella stanza avvicinandosi al suo letto.
«Oddio, Tsuyoshi!» esclamò sobbalzando con tutto il resto del corpo. Poi, voltò il capo verso il cellulare, «Scusa, ti richiamo.» disse velocemente al telefono, «Ma sei davvero tu?» domandò poi, scostando rapidamente un lembo della coperta che le copriva le gambe per metà.
«Ma che fai? Non dovresti muoverti, hai avuto un incidente!» disse lui, accorrendo al suo capezzale.
«Ma no, sto benissimo. Possibile che nessuno mi creda?»
«Certo che ti credo, ma comunque non dovresti rischiare così.» disse, fermandosi a qualche passo dal suo letto. La guardò qualche istante, ricordando perfettamente ogni particolare del viso della sua vecchia amica che, nonostante gli anni, non era affatto cambiato, tranne la lunghezza dei capelli ramati che le arrivavano quasi fino allo stomaco. Le sorrise, istintivamente, e quando quell’espressione fu lampante, anche Sana sorrise come se quel sorriso fosse saltato dal viso di Tsuyoshi Sasaki, il suo vecchio amico delle elementari, e fosse approdato proprio sul suo, mettendo finalmente le cose a posto.
Tsuyoshi allora si gettò letteralmente su di lei, stringendola in un abbraccio talmente forte che tradì le sue reali condizioni di salute, facendole uscire un leggero gemito di dolore.
«Oh, scusa, scusa. Non volevo farti male.» disse subito lui, scostandosi da quell’abbraccio e sedendosi ai piedi del letto.
Sana si aggiustò i capelli, scostandoli dal viso e sistemandoli dietro alle orecchie.
«Non ci posso credere sai? Quando ho saputo che eri ricoverata qui non ci ho pensato nemmeno due volte a venire a trovarti. Come stai?» le domandò di getto.
«Be’ annoiata, decisamente annoiata Tsu.» rispose, utilizzando quel nomignolo che mise ancora di più a proprio agio il ragazzo seduto al bordo di quel letto scomodo.
«Immagino, però dovresti stare a riposo. Vedrai che guarirai prima.»
«Ma io mi sento già guarita… mi sento in prigione piuttosto. Comunque, tu come stai? È passato tanto tempo… su raccontami qualcosa. Come sta Aya?»
A quella domanda, che chiunque avrebbe trovato più che naturale, il sorriso sul viso di Tsuyoshi perse qualche colpo. Ma Sana non se ne accorse finché lui non sospirò pesantemente.
«Che succede? Non stai bene?» domandò lei.
Allora Tsuyoshi pensò che non fosse cambiata affatto, e in qualche modo quella constatazione lo rasserenò.
«No, sto bene, sto bene. Semplicemente sono successe tante cose in questi anni che non basterebbe una serata intera per raccontartele tutte. Immagino sia stato lo stesso anche per te. Ho letto da qualche parte che ora vivi in Corea.» disse di fretta, interrompendo l’ipotetica scia di domande da parte di Sana.
«Già, proprio così. Lavoro lì, ma in fondo non è molto diverso da Tokyo. È sempre tutto così frenetico.»
«Sai, mi è capitato spesso di vedere qualche puntata di quelle serie in cui lavori.» la informò con un sorriso.
«Davvero? E ti piacciono?»
«Be’, le adoro. Ma non dirlo a…» rimase per un istante con la frase troncata a mezz’aria perché si rese subito conto di non avere idea di come finirla. Insomma, era così contento che l’imbarazzo iniziale che aveva sentito fosse semplicemente svanito e si chiese il senso di innescare un’inutile reazione spiacevole.
«A nessuno. Mi prenderebbero in giro.»
«Lo farebbero perché non capiscono niente. Io trovo che siano storie così appassionanti, è ovvio che nella vita reale certe situazioni sono molto rare, ma è proprio questo il bello, non trovi?»
«Esatto, sono perfettamente d’accordo con te.» disse convinto, «Non capisco proprio cosa ci sia da criticare.» continuò imperterrito su quella crociata.
«Un po’ come è successo adesso a noi: rivedersi dopo così tanto tempo, e per puro caso.», sottolineò nuovamente Tsuyoshi, «Quando sei andata via anni fa, non abbiamo avuto nemmeno il tempo di salutarci.»
«Già, successe tutto così in fretta. Mi dispiace molto per essere sparita.» replicò lei, con un velo leggero di imbarazzo calato all’improvviso sulla sua faccia.
«Non preoccuparti, ormai è acqua passata. Spero che alla fine le cose siano andate bene.»
«Sì, si è risolto tutto.» disse lei, senza fornire ulteriori dettagli. Tsuyoshi sapeva, per vie traverse, che Sana era andata via per seguire Kamura, ma in quel momento non ebbe il coraggio di chiederle altro perché la sua espressione, che rivelava un improvviso senso di perdita e confusione, gli fece solo una gran tenerezza. Abbassò lo sguardo, concentrandosi sulle pieghe del lenzuolo di quel letto che stava inavvertitamente stringendo. A quel punto però, la loro attenzione fu catturata dal rumore di qualcosa che batteva contro la porta della stanza di Sana.
«Scusate, vi disturbo?»
Tsuyoshi riconobbe subito Fumiko, nonostante avesse l’uniforme da infermiera, i capelli legati e uno strano berretto bianco legato ai capelli con una forcina scura.
«Oh, Fumiko, ciao. Ma certo che no, entra pure.»
«Sì, sì entra pure signorina infermiera. Ma voi vi conoscete?» domandò Sana, con un sorriso confuso. Poi, senza dar loro il tempo di rispondere, si picchiettò la fronte con il palmo della mano: «Ma certo, che stupida. Gomi lavora qui… chissà quante volte vi sarete incontrati.»
«Be’, sì in effetti ci conosciamo un po’ tutti.» ammise Tsuyoshi, senza darle troppe spiegazioni.
«Come ti senti oggi?» chiese invece Fumiko, avvicinandosi al letto di Sana per controllare le informazioni sulla sua cartella clinica. 
«Molto bene, anzi benissimo. Forse quella testa vuota di Gomi si deciderà a dimettermi.» disse lei con uno sbuffo annoiato. Al ché Tsuyoshi la guardò con uno dei suoi grossi sorrisi.
«Spero proprio che lo faccia presto, così potremmo organizzarci e andare a bere qualcosa insieme. Che ne dici?» le domandò entusiasta.
Sana però, in quel momento, provò una strana sensazione. Sentì una specie di vuoto allo stomaco, lo stesso identico vuoto che aveva sentito quando il suo aereo stava atterrando sulla pista dell’aeroporto di Tokyo. La stessa sensazione che aveva provato quando Gomi le aveva detto di Tsuyoshi e del suo desiderio di andare a trovarla all’ospedale.
Solo che non riusciva proprio a scovarne l’origine.
«Be’, mi dispiace Tsu, ma temo di dover partire subito. Sai, avevo un impegno di lavoro alle Hawaii e questo stupido incidente ha complicato tutto.»
«Un impegno di lavoro? Be’ dubito fortemente che nelle tue condizioni Gomi ti lascerà piena di libertà di agire. Anche se dovesse dimetterti a breve, è probabile che tu debba tornare qui per togliere le bende e fare ulteriori controlli.» la informò Fumiko, riponendo delicatamente la cartella clinica ai piedi del letto di Sana.
«Ma posso farli anche alle Hawaii i controlli, o a Seul.» replicò lei, leggermente preoccupata.
«Così però ti perdi il miglior medico della città.» esclamò una voce aggiuntasi proprio in quel momento. 
«Ma mi dici invece quand’è che hai intenzione di dimettermi? È noioso stare qui, lo sai?» replicò Sana, incrociando le braccia sul petto e riservando a Gomi uno sguardo decisamente imbronciato.
«Per me puoi andartene anche ora. Sappi però che Fumiko ha ragione e che dovrai tornare qui tra una settimana per controllare la frattura alle costole e il ginocchio.» disse tranquillo, avvicinandosi a Tsuyoshi, «Ehi, amico. Domani sera sono libero. Organizziamo qualcosa?» gli disse, dandogli una pacca sulla spalla.
«Finalmente un giorno di tregua. Ne stavo parlando anche con Sana.» gli disse con un sorriso, poi rivolse l’attenzione alla sua vecchia amica: «Nemmeno te lo avessi chiesto due secondi fa. Ti va di unirti? Berremo qualcosa, niente di complicato. Verrò a prenderti personalmente e mi assicurerò che tu non ti faccia male.» le disse tutto d’un fiato. Sana in quel momento però si sentì totalmente incapace di riflettere davvero, e percepiva tutto quello che le stava accadendo intorno come un gigantesco déjà vu e lei, che era la protagonista di quella visione, se ne stava dall’altra parte a guardare la scena con in mano una grossa scatola di popcorn. O almeno era proprio quello ciò che avrebbe voluto fare.
«Non sono sicura che sia una buona idea. Insomma, sono ancora fratturata.» disse flebilmente.
Tsuyoshi la guardò stranito.
«Ma non avevi detto che volevi andare alle Hawaii?» domandò Gomi, infilandosi le mani nelle tasche del camice bianco. 
«Sì, infatti. Sarei partita per lavoro, ma ad essere sincera mi sento ancora un po’ malino.»
«Se fai attenzione, dal punto di vista medico puoi uscire senza problemi. Dovresti approfittarne e concederti una serata all’insegna dell’alcol, come farà il sottoscritto.» disse Gomi, scatenando una sottile risatina in Fumiko che, in tutto quel tempo, si stava chiedendo perché quei due stessero insistendo così tanto nel convincere Sana ad uscire.
«Vedi? Ti passo a prendere io e mi assumo ogni responsabilità sulla buona riuscita di questa serata.» continuò Tsuyoshi, alzandosi in piedi come se quella posizione garantisse ai presenti la veridicità delle sue parole.
Sana non disse nulla. Rivolse al suo amico un sorriso finto come quelli che indossava alle serate che la sua agenzia di Seul organizzava per promuovere le programmazioni televisive, e pensò che avrebbe trovato una scusa qualsiasi l’indomani stesso per declinare l’invito. 
Non aveva senso continuare quella conversazione, anche perché cominciava a percepire dentro di sé un sentimento ancora diverso da quello precedente. Sentimento che aveva tutta la voglia di reprimere.
 
***
 
Dopo aver salutato Sana, promettendole che sarebbe andato a prenderla il giorno successivo, Tsuyoshi si era congedato anche da Gomi. In realtà era quest’ultimo ad essere praticamente scappato in sala operatoria lasciando il suo amico sull’uscio del grande ingresso dell’ospedale di Tokyo. 
Mentre camminava velocemente per raggiungere la stazione della metro, Tsuyoshi acciuffò il suo cellulare componendo rapidamente il numero di Hisae.
«Sono a lavoro, l’hai dimenticato?» rispose lei, in tono duro.
«A quest’ora? Ma sono quasi le nove.»
«Cavolo, non me lo ricordare. Comunque, dove sei?»
«A Shinjuku.»
«A fare?»
«In realtà volevo dirti che Shin domani ha la serata libera. Potremmo uscire e andare a bere. Che ne dici?»
«Fantastico. Perché sei a Shinjuku?» insistette lei, impedendo a Tsuyoshi ogni possibilità di sviare a quella domanda. 
«Sono andato in ospedale.» disse di getto.
«Alla fine ci sei andato? Certo, immaginavo.»
«Verrà anche lei, l’ho invitata ad unirsi a noi.»
«Oh, e ti ha detto che viene?» chiese lei, in tono sorpreso.
«Proprio così. Andrò a prenderla personalmente.»
«Così non scappa?» rispose lei, prendendolo in giro. Tsuyoshi sentì dall’altro lato il suono inconfondibile della risata di Hisae. Sorrise anche lui in realtà, nonostante non amasse quel tipo di ironia.
«Stupida che non sei altro, ti ricordo che ha avuto un incidente e non è ancora in formissima.»
«Ah, certo, certo. Capisco.»
«Piuttosto, secondo te dovrei dirlo ad Akito?» domandò lui alzando leggermente la voce per evitare che il trambusto della metropolitana impedisse ad Hisae di sentire ciò che le aveva appena detto.
«Ad Akito? E perché mai?» domandò lei sorpresa.
«Come perché? È di Sana che stiamo parlando. Sai benissimo quello che c’è stato tra loro in passato e non mi sembra giusto tenergli nascosto che lei verrà con noi.» raccontò velocemente ciò che per lui era pura ovvietà.
«Quello che c’è stato tra loro quando non sapevano ancora leggere, Tsu. Eddai, sono passati secoli… non pensi che ad Hayama non importi più niente di Sana Kurata? E poi lui sta con un’altra.» disse quelle ultime parole sollevando un sopracciglio, ma questo Tsuyoshi non riuscì a vederlo.
«Proprio perché lui ora ha una relazione stabile…»
«Statica…»
«Quello che è. Credo sia giusto che lo sappia.» insistette lui, faticando a tenere il cellulare stretto all’orecchio a causa della gente che lo stava letteralmente schiacciando contro la porta del vagone della metropolitana.
«E invece no. Se glielo dici, così come lo stai dicendo a me, renderai questo pensiero gigante, cosa che non è. Perché alimentare un fuoco per niente? Lascialo in pace e se proprio devi, portati Kurata alla serata, ma lascia perdere i vecchi ricordi.» disse lei in tono tranquillo. 
Tsuyoshi rifletté qualche istante, e pensò subito che la sua amica avesse ragione, in un certo qual modo, per cui decide di evitare l’argomento con Akito e far finta che Sana Kurata non fosse stata la persona più importante della sua vita.
«Ha conosciuto anche Fumiko in ospedale.» borbottò lui.
«Ecco, vedi? Lascia perdere e fatti gli affari tuoi.» insistette Hisae, ottenendo dall’altra parte quello che le sembrò un sospiro.
«Va bene, senti io ora devo tornare al lavoro. Stai attento in metro.» tagliò corto Hisae per poi riagganciare. Tsuyoshi guardò il cellulare oscurato e sospirò nuovamente. Sentiva un enorme peso sul petto al solo pensiero di nascondere qualcosa al suo migliore amico. Sapeva bene che erano passati anni dall’ultima volta in cui lui aveva pronunciato il nome di Sana e in tutto quel tempo l’argomento era diventato quasi un tabù, fino a scivolare nel dimenticatoio delle cose non rilevanti. Tuttavia, sentiva che c’erano troppe cose non dette e gli venne una leggera ansia al pensiero di quella serata tutti insieme.
Si domandò se non avesse fatto una cazzata ad invitare Sana ad uscire con loro, e improvvisamente ricordò perfettamente la gita ad Hakone che lui stesso aveva organizzato molti anni prima. 
Si mise una mano in tasca, mentre camminava verso il suo appartamento di Koenji, ma la trovò inspiegabilmente vuota. Allora perlustrò tutte le tasche dei pantaloni, insieme a quelle della giacca, ma del suo cellulare non c’era traccia.
«Cavolo, mi hanno rubato il cellulare.» constatò, bloccandosi per un attimo a pochi metri da casa sua.
 
***
 
E come Gomi le aveva anticipato, Sana era stata dimessa il giorno dopo la visita di Tsuyoshi. Era stato Ryu ad accompagnarla a casa di sua madre, nella vecchia villa di famiglia in cui era cresciuta e in quel momento aveva deciso di trascorrere tutto il suo tempo sul divano del soggiorno, pensando ad una scusa plausibile per evitare la serata organizzata da Tsuyoshi.
Ci aveva riflettuto a lungo nelle ultime ore, pensando che in fondo avrebbe potuto anche fare un salto e bere qualcosa con i suoi vecchi compagni di classe. D'altronde, se ciò che la circondava non la faceva sentire a suo agio, avrebbe potuto chiamare Ryu che, certamente, sarebbe corso al suo cospetto nel giro di un istante. 
Il punto si ingarbugliava quando pensava proprio a ciò che l’avrebbe circondata.
Era davvero consapevole di quello che l’aspettava? Quindi, quando il pensiero di accettare l’invito di Tsuyoshi si concretizzava e si immaginava seduta in chissà quale locale con i suoi vecchi amici, ecco che appariva l’altra metà di sé che le diceva che andare a quella serata non valeva assolutamente la pena e che molto presto sarebbe tornata a Seul, alla sua vita di sempre.
Di colpo pensò a Ji-ho e al fatto che erano riuscite a sentirsi solo per pochi minuti, il tempo di dirle quello che era successo. Poi, nulla più.
Si tirò su con la schiena a fatica, e afferrando il cellulare compose il numero di Tsuyoshi. Con sua sorpresa, il cellulare risultava irraggiungibile. Guardò velocemente l’ora e pensò di essere ancora in tempo per disdire l’appuntamento.
Riprovò nuovamente, ma nulla.
«Mh, e adesso?» disse tra sé e sé, in tono leggermente allarmato. Improvvisamente, ciò che avrebbe dovuto fare le fu chiaro come il sole.
Si alzò dal divano e acciuffò la stampella che le avevano dato in ospedale perché il suo ginocchio non era ancora in grado di sostenere da solo il peso del suo corpo, e si avvicinò maldestramente alla finestra. Il sole stava calando e il cielo si era tinto di una serie di striature che iniziavano dall’azzurro e finivano nel rosso accesso. Sana sospirò, e compose nuovamente il numero di Tsuyoshi, ma il risultato era sempre lo stesso: il cellulare del suo amico era spento.
Pensò che l’unica cosa saggia da fare fosse inviargli un messaggio in cui gli comunicava di non poter uscire di casa perché si sentiva stanca e le ferite le facevano molto male. Inviare quel messaggio fu sorprendentemente più facile del previsto, perché dall’altra parte non c’era nessuno che potesse contestarle in diretta la bugia che aveva appena detto.
Tuttavia, aveva appena deciso di non sentirsi a suo agio con l’idea di uscire con i suoi compagni di classe e, di getto, lanciò il cellulare sul divano senza aspettare la risposta del suo amico. 
Trascorse il resto del pomeriggio in casa, migrando dal salone alla sua vecchia camera una quantità di volte indefinita. Si sentiva solo il rumore delle sue ciabatte e del piede della stampella e pensò che quando era bambina sua madre usciva molto raramente. In effetti, da quando era tornata aveva incrociato il suo sguardo al massimo un paio di volte. D'altronde però anche lei si era costruita una vita in quegli anni e il fatto che sua figlia fosse a casa dopo tanto tempo non le aveva certo impedito di seguire la sua lezione di intreccio dei cestini in vimini.
Il sole era ormai calato e il cielo era diventato un’enorme massa scura da cui, di tanto in tanto, spuntava qualche punto luminoso a fatica tra le luci della città. A quel punto Sana pensò che avrebbe potuto saltare la cena e andare dritta a dormire: si sentiva stanca ma soprattutto non vedeva l’ora che quella giornata volgesse al termine.
E aveva proprio deciso di fare un bagno caldo, prima di sentire il suono del campanello della porta richiamarla in allarme.
«Sarà la mamma…» si disse, avviandosi verso l’ingresso della grande villa. 
Tirò verso di sé la grande porta di legno, ma sul suo viso si disegnò immediatamente un’espressione esterrefatta quando vide che non si trattava di sua madre, bensì di Tsuyoshi, infagottato in un’enorme giacca a vento.
«Tsuyoshi?» domandò sorpresa.
«Sana… ma sei ancora in pigiama?» domandò lui, restituendole un’espressione di stupore quando la vide vestita con dei pantaloni di almeno due taglie più grandi ed un maglione lungo fino alle cosce.
«Non è un pigiama.» replicò lei, senza nemmeno rendersi conto di quanto avesse detto.
«Oh… immaginavo ti saresti vestita diversamente. Se sei pronta, possiamo andare.»
«Andare dove?» domandò lei, stringendosi il maglione all’altezza del collo. Improvvisamente si rese conto di quanto facesse freddo. 
«Sicura di sentirti bene? Eravamo d’accordo di uscire stasera e che ti sarei venuto a prendere.» le spiegò lui brevemente.
«Oh, quello. È che ho cercato di chiamarti…»
«Diamine, mi hanno rubato il cellulare quindi ero praticamente irraggiungibile. Ad ogni modo, cosa volevi dirmi?»
«Che non mi sento ancora benissimo e che forse è meglio se resto a casa.»
«Oh no, Sana perché? Non vorrai darmi buca proprio ora? Prometto che non faremo tardi e che non ti affaticherai affatto.»
«Sì lo so, però Gomi ha detto che le mie ferite non sono guarite…»
«Guarda che Gomi è lì che ci aspetta in macchina. Sei fortunata, perché se dovessi star male avresti il tuo medico proprio a portata di mani.»
«Già, che fortuna…» borbottò lei, cercando di nascondere i suoi veri pensieri.
«Su, andiamo che è già tardi.»
«Ma non posso mica uscire così?» constatò lei, indicando i suoi stessi vestiti.
«Sbrigati allora, Gomi non ha molta pazienza.» disse lui con un leggero sorriso.
Alla fine, Sana si sentì quasi costretta ad accettare quell’invito, e in pochi minuti si ritrovò ad indossare un paio di jeans ed un maglioncino a collo alto, seduta sul sedile posteriore dell’auto di Gomi.
Si strinse nelle spalle, chiedendosi come sarebbe andata quella serata. Si disse che in fondo non sarebbe durata troppo, e che prima o poi sarebbe tornata a casa e non ci avrebbe più pensato.
«A quest’ora c’è sempre un gran casino per strada. Anche a Seul è così?» domandò Tsuyoshi rivolgendo a Sana un’occhiata attraverso lo specchietto dell’auto.
«Ma che domande fai? Seul è grande quanto Tokyo, secondo te non c’è nessuno per strada?» replicò Gomi, imboccando l’autostrada in direzione Chiba.
Quando Sana lesse quel cartello, si voltò di scatto verso Tsuyoshi.
«Dove stiamo andando? Chiba è lontana.» constatò Sana, con un tono leggermente allarmato.
«Rilassati Kurata, è solo la direzione verso Chiba. Stiamo andando a Sumida… ehi Tsu, hai sentito Hisae?»
«Come facevo a sentirla?»
«Oh certo, l’avevo dimenticato.» disse lui, colpendosi appena la fronte.
«Mi aveva detto che avrebbe chiamato Akito per un passaggio.» rifletté Tsuyoshi a voce alta.
«Bene, altrimenti possiamo passare noi.»
In quel momento, nessuno dei due se ne accorse ma Sana si sentiva lentamente sprofondare nel sedile morbido dell’auto di Gomi. Il trovarsi lì con quei due, sentir loro pronunciare dei nomi che aveva semplicemente incollato alla parete dei ricordi lontani le diedero l’idea di star vivendo in una specie di bolla di cristallo. Le sembrava di sentire i suoi ovattati e per un attimo si domandò se non fosse il caso di domandare a Gomi se il suo stato di salute non fosse peggiorato, perché riusciva a sentire il suo stesso cuore pulsarle nella gola.
Si sentì strana, fin quando Tsuyoshi non le sfiorò il ginocchio sano con la punta delle dita.
«Siamo arrivati. Visto che era vicino?» la informò con il migliore dei suoi sorrisi.
Sana iniziava a sentirsi alquanto inquieta e si pentì subito di aver assecondato l’insistenza di Tsuyoshi. Quest’ultimo invece si strinse nella giacca e si affrettò a raggiungere il lato posteriore del passeggero per aiutare la sua amica a scendere dall’auto. 
«Grazie.» disse lei timidamente, afferrando la stampella su cui si appoggiò rapidamente per evitare di cadere. Tutto ad un tratto sentì che le ferite dell’incidente si erano aperte vertiginosamente e che da sola quella stampella non era affatto sufficiente a sostenerla.
«Oh guarda, c’è Hisae.» disse Gomi all’improvviso, raggiungendo a passi veloci una ragazza vestita in un lungo cappotto scuro e i capelli legati in uno chignon.
Tsuyoshi prese Sana sottobraccio e la condusse verso Hisae e Gomi a pochi metri da loro.
«Guarda un po’ chi c’è con noi?» disse Gomi alla ragazza che si strinse nel cappotto, prima di incrociare le braccia sul petto.
«Ciao Hisae, da quanto tempo?» disse Sana, in tono imbarazzato. Senza che l’altra parlasse, aveva capito subito che le cose erano molto cambiate dall’ultima volta in cui si erano viste e all’istante inserì quell’incontro nella lista delle cose che l’avrebbero circondata quella sera di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
«Ciao. Vedo che stai meglio.» disse lei, senza aggiungere altro. Poi rivolse la sua attenzione a Tsuyoshi: «Hai prenotato? Non ho nessuna intenzione di aspettare qui fuori. Si gela.»
Sana pensò che l’atteggiamento di Hisae fosse molto cambiato perché non la ricordava affatto così. I suoi ricordi adolescenziali la ponevano in un contesto diverso, in cui lei era schietta e diretta, ma anche dolce e amorevole. Il perfetto equilibrio tra Aya e Fuka. Solo che nessuna delle due ora era lì, e Sana si domandò quante altre cose fossero cambiate in quei lunghi anni di lontananza.
«Sì, ho prenotato e ci stanno aspettando. Dov’è Akito?» domandò, spostando lo sguardo oltre Hisae per cercare di trovare il suo amico.
«Sta arrivando. Sai com’è fatto quando non trova parcheggio… mi sono fatta lasciare qui.» disse lei, per poi fare un cenno con il capo subito dopo, verso la direzione opposta al locale.
«Oh, eccolo lì.»
Sana non seppe spiegarsi il momento in cui il suo sguardo si era mosso per seguire quello di Tsuyoshi in cerca dell’unico elemento mancante. Non si spiegò nemmeno la sensazione che stava provando perché non rientrava in nessuna di quelle provate negli ultimi otto anni della sua vita. E seppure l’avesse provata prima, l’aveva semplicemente dimenticata. L’unica cosa che riuscì a capire era che quella sensazione le sembrava molto simile a quello che aveva provato in macchina poco prima.
Poi però, quando lo vide, si rese conto del tempo che era passato, degli anni trascorsi lontana da quella città e da quelle persone perché Akito era profondamente diverso da come lo ricordava. I capelli biondi erano sempre gli stessi, il ciuffo che gli cadeva sulla fronte era sempre lo stesso, ma il suo viso era diverso. Probabilmente era dovuto al fatto di avere davanti un adulto ormai, e non più un ragazzino di sedici anni. Stava di fatto che di domandò quando era stata l’ultima volta in cui aveva ricordato il suo viso. 
E poi era alto, molto più alto dell’Akito Hayama dei suoi ricordi.
Quando lui fu abbastanza vicino da poter cogliere ogni sfumatura sul suo viso, Sana distolse lo sguardo, ma era abbastanza sicura che lui non si fosse nemmeno accorto della sua presenza. Era impegnata però, troppo, a impedire al battito del suo cuore di arrivarle in cima alla gola e farla soffocare.
«Ehi, ma dove hai parcheggiato? A Shinjuku?» lo prese in giro Gomi, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del suo amico.
«Questo è perché a te piace fare il giro del mondo per berti una birra.» replicò lui senza troppa enfasi. 
Quella voce, pensò Sana, l’avrebbe riconosciuta tra mille. Nonostante il tempo e la crescita di Akito, la sua voce l’avrebbe davvero riconosciuta tra mille.
«D’accordo, ora possiamo entrare?» domandò Hisae, tremando leggermente per il freddo.
«Sì, certo. Ehi Akito, c’è anche Sana con noi stasera.» disse Tsuyoshi rivolgendo un’occhiata al suo amico. 
«Mh?» disse Akito volgendo lo sguardo a Sana che continuava ad essere tenuta sottobraccio da Tsuyoshi. La guardò per un istante, poi la sua attenzione fu catturata dalla stampella che sosteneva l’altro lato della ragazza.
Non le disse nulla, si limitò soltanto a sollevare entrambe le sopracciglia.
«Un incidente… il terminal dell’aeroporto è andato a fuoco.» disse lei, sfoggiando un debole sorriso nel tentativo di mascherare altro.
«Giusto, me l’avevano detto.» si limitò a dire, prima che Hisae lo acciuffasse per un braccio, trascinandolo verso l’ingresso del locale.
Sana non ebbe il tempo di replicare, perché Akito, Gomi e Hisae si erano già allontanati per raggiungere il tavolo che Tsuyoshi aveva prenotato il giorno precedente. A quel punto, quest’ultimo rivolse un’occhiata a Sana.
«Tutto bene?» le domandò.
«Ma certo. Non vedo l’ora di bere qualcosa.» disse lei, con un enorme sorriso stampato in viso. In realtà, avrebbe voluto tele-trasportarsi il più lontano possibile, magari in Alaska, e rinchiudersi in un igloo insieme a pinguini e orsi polari. Era convinta che se non ci fosse stato Tsuyoshi da una parte e la sua stampella dall’altra, le sue gambe si sarebbero sciolte e lei sarebbe finita a terra in un batter d’occhi. Di nuovo, si domandò perché aveva accettato quell’invito.
«Dai, entriamo. Qui inizia a fare davvero freddo.» disse Tsuyoshi, trascinandola verso l’ingresso di quel posto a lei totalmente sconosciuto.
Quando entrarono nel locale, Sana sentì immediatamente il tepore della sala riscaldata e di getto, si sbottonò il cappotto che indossava. Tsuyoshi non la smetteva di sorreggerla, trascinandola verso il tavolo in un angolo del locale, la aiutò a sedersi afferrando la stampella e riponendola contro la parete dietro di lei. Sana si sentì leggermente in imbarazzo, perché Hisae aveva osservato la scena tutto il tempo. 
Invece, non si poteva dire lo stesso degli altri due che erano intenti a decidere cosa ordinare da bere.
«Io prendo una birra scura.» disse Akito, scostando via il menù verso Tsuyoshi.
«Che monotonia Hayama.» lo prese in giro Hisae, ordinando invece un gin con acqua tonica. Gli altri si limitarono ad imitare Akito, Sana invece ordinò una tequila.
«Kurata, vedo che segui i miei consigli alla lettera.» disse Gomi, riservandole un’occhiata piena d’orgoglio.
«E’ solo una tequila.» replicò lei.
«Ma certo, tu ora vivi in Corea. Ho sentito dire che lì si alza parecchio il gomito.» continuò a prenderla in giro, senza prestare troppa attenzione agli altri.
«Non saprei. Credo bevano come tutti gli altri.» disse soltanto, sorridendo di tanto in tanto.
«Eppure avevo letto che lì l’alcol è un problema serio.»
«Che c’è, stai pensando di trasferiti in Corea per caso?» domandò Hisae, seguendo quella domanda con una risatina.
«Mai dire mai nella vita.»
«Faresti una brutta fine, secondo me. Ti ricordi la scorsa estate al mare?» disse lei, acciuffando il bicchiere che uno dei camerieri le aveva appena portato.
«La scorsa estate?» chiese Gomi, in tono innocente.
«Non fare il cretino. Ce lo ricordiamo tutti quando volevi fare il bagno nudo, alle tre del pomeriggio, perché eri già ubriaco.» ricordò lei con un sorriso diveritito.
«Ti scandalizzi con poco, vedo.» ribatté Gomi, tranquillo.
«E’ che ci tengo alla mia fedina penale. Se non fosse stato per Hayama, ora ti avrei già ucciso.»
A quel punto Akito partecipò alla conversazione alzando il bicchiere di birra imitando il gesto di un brindisi, mentre Tsuyoshi e Gomi ridacchiavano, ricordando quell’episodio accaduto solo pochi mesi prima.
Sana invece si sentiva completamente fuori luogo, come un pesce fuor d’acqua che cercava disperatamente di tornare al suo piccolo acquario familiare. Hisae e Gomi continuavano a punzecchiarsi a vicenda, ricordando questo o quell’evento, e Tsuyoshi li seguiva a ruota, ridacchiando di tanto in tanto. Akito non sembrava molto partecipe, se non per qualche battuta rifilata a Gomi, standosene lì a bere la sua birra. Eppure, nonostante le sue poche, pochissime parole, a Sana diede l’impressione che perfino lui si sentisse a suo agio, nel suo personale acquario fatto di pesci-Gomi, Hisae e Tsuyoshi.
Di colpo, sentì l’irrefrenabile voglia di allontanarsi da lì. 
Guardò il cellulare, ma non c’era nessun messaggio o chiamata persa che le desse una scusa plausibile per uscire da quel locale e restare fuori fino alla fine della serata.
«Poi, comunque, devo dire che da quando Tsuyoshi è diventato lo sciupafemmine del gruppo, c’è un gran via vai di donne da queste parti.» disse Gomi, soffocando una risata e interrompendo per un istante il flusso di pensieri nella testa di Sana.
Tsuyoshi arrossì.
«Non esco con una ragazza da molto tempo.» disse lui.
«Sì, certo. Dall’altro ieri.» commentò Hisae, ridendo divertita.
In quel momento lo sguardo di Akito fu catturato dall’ingresso del locale, ma Sana non notò nulla che non fosse diverso dal via vai di gente a cui aveva assistito fino a quel momento. Evidentemente però per Akito non doveva essere la stessa cosa perché si alzò tenendo stretta in una mano la sua birra e dicendo agli altri che sarebbe tornato in un attimo, sparì rapidamente tra la folla.
Hisae si voltò per un istante verso il punto in cui era sparito Hayama, poi tornò a Tsuyoshi: «Be’, dicevamo. Mi avevi detto di averne conosciuta un’altra proprio due giorni fa.»
«Sì, ma non è una notizia così degna di nota.» continuò lui, leggermente imbarazzato.
A quel punto, Sana pensò che il bagno sarebbe andato più che bene per sparire. Allora si alzò lentamente e afferrò la sua stampella.
«Scusate, io vado in bagno.» disse mostrando a tutti una specie di sorriso imbarazzato, ma l’unico a prestarle davvero attenzione fu Tsuyoshi, che le chiese se avesse bisogno d’aiuto.
Sana si congedò velocemente, rifiutando la proposta di Tsuyoshi, e si diresse verso il bagno. In realtà ciò che voleva fare davvero, oltre a fuggire via da lì, era raggiungere il bancone del bar e ordinare altre due o tre tequila.
A fatica, raggiunse il bancone gremito di gente, finché un paio di ragazze allontanandosi le lasciarono finalmente il posto per poter ordinare.
«Una tequila per favore.» disse al barista, picchiettando distrattamente la punta delle dita sulla superficie di legno usurata del bancone. Il suo bicchiere le comparve sotto il naso come una pozione magica elaborata da una strega potente, e lei si sentì subito meglio al pensiero di poter bere tranquilla, lontana dagli occhi degli altri.
Avvicinò le labbra al bicchiere, sentì l’odore della tequila penetrarle una narice.
«Scusami...» sentì quella voce in maniera decisamente distinta, perché proveniva a pochi centimetri di distanza dal suo orecchio.
Sana si voltò, trovandosi accanto un ragazzo sconosciuto che le stava rivolgendo un enorme sorriso.
«Scusami, posso vedere la tua faccia?» le disse semplicemente. Sana pensò che fosse l’ennesimo ragazzo con l’ennesima scusa per rimorchiare una ragazza sola ad un bar. Tuttavia, le sembrò che il suo modo di farlo fosse abbastanza bizzarro.
«La mia faccia?» domandò a sua volta, senza capire bene cosa volesse dire con quella domanda.
«Sì, la tua faccia… ti sto guardando da un po’ e mi sono detto “quella ragazza ha un viso familiare, dov’è che l’hai conosciuta, Jun”, ma non mi viene in mente nulla. Allora ho pensato di avvicinarmi e vedere il tuo viso da vicino e ora sono sicuro di conoscerti, ma proprio non ricordo dove sia successo. Che ci siamo conosciuti, dico.» le raccontò velocemente, sorridendo fin troppo spesso.
«Ehm, mi dispiace ma credo ci sia un errore. Io non vivo qui, è impossibile che ci siamo conosciuti.» disse lei, con un tono divertito. In realtà, nonostante stesse bramando la sua tequila saldamente custodita nel bicchiere che stringeva tra le dita, quel ragazzo le trasmise uno strano senso di leggerezza.
«Dici sul serio? Che strano…» disse lui, finché entrambi furono raggiunti da qualcuno di inaspettato.
«Kurata?»
E di nuovo Sana pensò che quella voce avrebbe potuto riconoscerla tra mille, nonostante gli anni, nonostante la musica e nonostante l’altro.
«Ma certo, Sana Kurata. In tv, ecco dove ti ho visto.» disse quindi l’altro. Sana strinse il bicchiere di tequila più forte.
Si ritrovò in mezzo, tra quello sconosciuto e Akito, fuoriuscito da chissà dove. Sentì dentro il petto una strana sensazione, e di colpo le venne un’improvvisa quanto inaspettata voglia di far sparire tutto e tutti e chiedergli il motivo per cui si trovasse lì.
Poi, notò l’espressione sul viso del ragazzo sconosciuto.
«Non dirmi che la conosci, Akito.» disse lui, chiamandolo per nome.
«Ci conosciamo da parecchio.» replico lui, secco.
«Che bizzarro.» replicò lui, senza sapere che Sana stava pensando le stesse identiche parole.
 
 
 *Note d'autrice*
Rieccomi dopo meno di un anno, è un record. Non aggiornavo di domenica mi sa dai tempi di Upside Down...
Bene, ci addentriamo nel vivo di questa seconda parte della storia, dopo il salto temporale. Cosa ne pensate?
Secondo voi chi è il tizio che abborda (?) Sana al bancone del bar?
Fatemi sapere cosa ne pensate. Spero che vi piaccia.
Un bacio
Alex 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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