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Autore: Lella73    25/10/2022    8 recensioni
Ho sempre sognato di poter offrire un'opportunità di vivere la propria felicità ai personaggi che ho sempre portato nel cuore. Vi propongo quindi la mia storia, che intrecciandosi alla trama nota che tutti amiamo, lascia tuttavia la porta aperta ad altri sviluppi...
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Ancora un'ultima battaglia - seconda parte

Il pomeriggio trascorse pattugliando strade in fermento con un piccolo gruppo di uomini, André al fianco di Oscar e Alain che la seguiva a debita distanza. Incontrarono molti soldati… troppi. Molti nemmeno francesi. L'umore dei suoi era decisamente basso e il malcontento nei confronti della situazione era diventato tangibile. Per smorzare gli animi, arrivata la sera Oscar propose a mezza voce di fermarsi a bere prima di rientrare. Un brusio concitato le fece capire che era stata una buona idea.

Entrarono in una piccola osteria non lontano dalla caserma. Riempirono quasi tutto lo spazio disponibile per gli avventori, sospingendo i tavoli per sedersi vicini. Ordinarono per lo più birra. Oscar trovò il locale, intriso di un odore di stantio, esageratamente caldo. Sentì il respiro farsi affannoso e lo stomaco darle noia. Prese uno sgabello alto dal banco e si accomodò in disparte accanto alla porta aperta, slacciando i primi bottoni della giubba, in cerca d'aria. Non volle ordinare niente per sè e guardò i suoi uomini sedersi fra battute sconce e pacche sulle spalle. Poco dopo vide André, seduto fra i compagni, una mano stretta attorno a un boccale già quasi vuoto, ridere di qualcosa che gli stavano raccontando. Istintivamente sorrise fra sè con tenerezza: più tardi gli avrebbe chiesto di cosa stava ridendo. Avrebbero riso insieme.

Alain si alzò per prendere qualcosa dal banco. Quando tornò non si sedette nello stesso posto che aveva lasciato. Fece alzare un commilitone per sistemarsi accanto ad André, con due boccali: per sè e per l'amico. Oscar strinse le labbra con disappunto. Era certa che volesse raccontargli i fatti del mattino… sospirò. In pochi giorni aveva riversato tutta la sua vita e ogni genere di problema addosso ad André. Non voleva che dovesse sopportare altre preoccupazioni. Lui diceva sempre di conoscerla, ma anche lei lo conosceva bene. Anche lei aveva vissuto una vita al suo fianco: si sarebbe angosciato a dismisura per quello che le era successo. Si sarebbe sentito mortificato per lei. Avrebbe sofferto senza poter fare nulla. Una sofferenza inutile e gratuita. Vide Alain offrirgli da bere e lui accettare di buon grado, mentre intavolavano una qualche conversazione. Oscar decise che almeno per quella sera si sarebbe liberata di Alain. André alzava spesso lo sguardo per cercarla. Avrebbe fatto in modo che  la sua attenzione  fosse stata per lei e lei soltanto. Appoggiò la punta di un piede a terra e accavallò elegantemente le gambe. Buttò le spalle un poco indietro, slacciandosi ancora un bottone dell'uniforme e aggiustandosi la marsina attorno al collo, in maniera che restasse appena aperta. Aspettò che André alzasse gli occhi su di lei e quando la guardò abbassò il viso senza distogliere lo sguardo, raccogliendo i capelli solo un momento con le mani, per poi lasciarli ricadere e fermarli da una parte dietro un orecchio. André continuò a guardarla, il boccale trattenuto a mezz'aria, la bocca aperta per lo stupore. Un compagno lo chiamò scuotendolo amichevolmente per un braccio; si volse verso di lui rispondendo con qualche parola distratta, ma tornò a girarsi immediatamente e a guardarla. Oscar aspettò un istante, sapeva che gli serviva un attimo per mettere bene a fuoco, quindi gli offrì un breve sorriso invitante prima di alzarsi velocemente e andarsene, per aspettarlo fuori. Appena uscita dall'osteria si appoggiò al muro accanto all'ingresso, le braccia conserte: seppe con certezza che André l'avrebbe seguita di lì a pochissimo, senza prestare attenzione a qualsiasi cosa stesse cercando di dirgli Alain. Si portò una mano al viso strofinandosi la fronte. Con disappunto fu costretta ad ammettere che nonostante la cosa non lo riguardasse, Alain aveva ragione: avrebbe dovuto dire ad André di Girodelle… ma l'avrebbe fatto in un altro momento… magari quando fossero stati lontani: ancora pochi giorni, infatti, e sarebbero partiti… Un rumore di passi, Oscar sorrise trionfante: era André; la stava raggiungendo. Quando se lo trovò di fronte, tutto in una volta si sentì in imbarazzo: lei non provocava, lei non ammiccava e certamente lei non faceva la carina… 

Lo guardò e arrossì, rendendosi conto che era stata lei a iniziare la partita e che ora non le restava che proseguire nel proprio gioco. Continuò dunque a guardarlo senza dire niente,  ripetendo il gesto di poco prima e spostando nuovamente i capelli dietro l'orecchio, solo da una parte. 

 

Alain aveva preso due boccali. Voleva sedersi accanto ad André e offrirgliene uno per scusarsi. Non si era comportato bene con lui. Non era stato un buon amico. Sapeva di non potersi imporre di non amare il suo comandante, ma era anche dolorosamente consapevole che Oscar non era la donna per lui, né mai avrebbe potuto esserlo. Era rimasto molto colpito dalla sua gentilezza nei suoi confronti, quando gli aveva proposto di aiutarlo a mettere al sicuro la sua famiglia, ma era rimasto ancor più colpito dalla sua durezza quando gli aveva imposto di non parlare ad André dell'aggressione da parte di quell'uomo troppo insistente. Ci aveva pensato tutto il giorno. Quando aveva detto a Oscar che ora capiva come mai André fosse stato costretto ad arruolarsi, lo aveva fatto per mettere a segno un punto, ma ora si rendeva conto che lo capiva veramente: Oscar era caparbia fino all'esasperazione. Non accettava aiuto, non permetteva che le si stesse vicino. L'unico modo per proteggerla, per André, doveva essere stato abbandonare la vita in quel confortevole  palazzo per starsene con lei in quella caserma senza comodità con uno stipendio da fame e un rancio schifoso.

Alain fece spostare Jacques e prese posto accanto ad André. Finì di ascoltare una storiella scabrosa e rise coi compagni. Offrì la birra ad André, che accettò sorridendogli. "Hei amico! Mi dispiace. Veramente." gli disse piano. André lo guardò: "Lo so. Non importa più. Solo… per favore, lasciala stare.". "Certo.". Alain abbassò la testa un attimo e poi iniziò a parlare d'altro: lo preoccupavano gli ordini che il reggimento avrebbe potuto ricevere di lì a breve. Si chiedeva quanto ancora i parigini potessero resistere all'oppressione di tutti i militari che riempivano la città, quando si accorse che André non lo stava ascoltando affatto. Alzò lo sguardo nella sua stessa direzione per notare che madamigella Oscar, silenziosa e seduta elegantemente su uno sgabello accanto alla porta, con le gambe accavallate, si era portata da una parte i capelli dietro l'orecchio. Guardò André: la birra a mezz'aria, la bocca aperta… doveva essere successo qualcosa fra loro che lui non poteva capire. Un compagno scosse André per un braccio: "Hei bello!" gli disse ridendo "Com'è che si chiamava la ragazza della Bonne Table? Te lo ricordi?". André si girò infastidito: certo che si ricordava come si chiamava la ragazza della Bonne Table, ma non aveva nessuna voglia di farsi fare domande su quella storia… "Non ricordo…" rispose evasivo, tornando a posare lo sguardo su Oscar, mentre Alain lo guardava di sottecchi sorridendo sornione. Ad André furono necessari alcuni secondi per riuscire nuovamente a mettere a fuoco Oscar, ma quando finalmente riuscì a inquadrare il suo viso, si accorse che anche lei guardava nella sua direzione... e gli sorrideva… non si era sbagliato allora… Stava veramente giocando con lui? Oscar? La vide uscire, sentendo i lombi reagire suo malgrado. A disagio fra i compagni, seduto sulla panca, strinse istintivamente le gambe sotto il tavolo, avvertendo come un tuffo alla bocca dello stomaco. L'aveva vista bene… era sicuro… le mani che sollevavano i capelli… e poi le lunghe dita che li raccoglievano appena da una parte, dietro l'orecchio… a scoprire il viso…

Oscar non raccoglieva i capelli. Mai. Né li fermava dietro l'orecchio. Era lui che glielo faceva. E glielo faceva nell'intimità, quando lei si lasciava guardare da lui, assaggiandolo. Strinse più forte le gambe e bevve quanto restava nel proprio boccale tutto d'un fiato. Si alzò e si avviò velocemente verso l'uscita, buttando qualche spicciolo sul banco prima di lasciare il locale. Alain lo guardò guadagnare la porta a grandi passi. Abbassò lo sguardo sul proprio boccale e bevve in silenzio.

 

Appena uscito André si trovò dinnanzi Oscar che lo aspettava. Appoggiata al muro, le braccia conserte, gli rivolse uno sguardo indecifrabile. André pensò di essersi sbagliato: era stato il caldo. Oscar si era certo raccolta i capelli un attimo solo in cerca di refrigerio… Ma poi lei fece un passo verso di lui e si portò di nuovo una ciocca dietro l'orecchio, lasciando che le dita indugiassero un istante, le lunghe ciglia abbassate per un momento, per poi tornare a fissarlo senza distogliere lo sguardo. André sentì come una vertigine. Le si avvicinò, spingendola indietro, una mano sul muro, l'altra appoggiata sulla nuca di Oscar, mentre accostava il proprio viso al suo, portando le labbra all'orecchio per sussurrarle poche parole: "Stai veramente giocando con me, Oscar?". Oscar sentì la sua voce così vicina, così profonda, così vibrante, che non poté trattenere un brivido sottile, assaporando il sentore famigliare del suo alito fra i capelli, alla base del collo. "Sì…" gli rispose piano, non più di un soffio. Il volto di André, coperto da un sottile accenno di barba, era ruvido a contatto con la sua pelle. Restò in silenzio, aspettando che lui la toccasse o la baciasse.

Immersi nel buio della notte la baciò, intensamente, profondamente. Lei rimase immobile, i palmi appoggiati ai mattoni sporgenti e irregolari, rispondendo al suo bacio. Sentì ancora forte il sapore amaro della birra nella sua bocca e trovò piacevole la sensazione della barba che pizzicava contro il mento e attorno  alle labbra.

Uno scalpiccio annunciò che non sarebbero più stati soli nel buio. Oscar si irrigidì, mentre André la lasciò per fare un passo indietro. Solo un attimo dopo comparve nel rettangolo di luce fioca della porta Lasalle. Vedendoli si accorse immediatamente di aver interrotto qualcosa e si dispiacque. "Mi dispiace," disse "ragazzi… mi dispiace, veramente… no… non ragazzi. Comandante, scusate. Scusate tanto.". Oscar, fredda e composta, rispose subito, impassibile: "Non hai niente di cui scusarti. Sono stanca. Stavo andando via." e in pochi passi raggiunse César. André la fermò, trattenendola con una mano sulla spalla: "Fermati! Non andare sola!". Oscar voltò il viso verso di lui, offrendogli uno sguardo obliquo: "Sono stanca. Voglio rientrare.". "Ti prego, aspetta, non andare sola." insisté André; gli sarebbero bastati pochi minuti per recuperare il suo cavallo, perché non poteva semplicemente aspettarlo?

Oscar se la prese con se stessa. Si era comportata in un modo che non le apparteneva e ora si trovava davanti a uno dei suoi uomini a fare la figura della ragazzina sorpresa dal precettore a fare qualcosa che non avrebbe dovuto. Innervosita, in un istante aveva già raggiunto il suo cavallo. Inizialmente non le importò di André che la pregava di aspettarlo, ma poi una volta salita in sella pensò di non voler perdere il vantaggio conquistato. Lo guardò, era serio e preoccupato. Gli sorrise impercettibilmente, rassicurante, quindi: "Non farmi aspettare troppo." gli disse piano, con voce roca. André la guardò trattenendo il fiato solo un istante e irrigidendo i muscoli delle gambe, poi sospirò mentre la vedeva allontanarsi: non gli avrebbe dato ascolto mai.

Gérard guardò l'amico, gli sembrò sinceramente  preoccupato. Alain gliel'aveva detto: secondo lui André e madamigella Oscar erano veramente innamorati. Tutti dicevano che prima di arruolarsi André era vissuto sempre a palazzo Jarjayes. Probabilmente era vero: André sembrava sempre un signore. Aveva un portamento elegante e parlava in maniera molto garbata. Ora Gérard era dispiaciuto di aver disturbato. Era uscito dalla taverna perché i compagni raccontavano ancora una volta la storia di Claudine della Bonne Table. Ridevano di lei e facevano battute volgari, mentre dicevano che André era stato un vero dritto. Vedendo uscire André, Gérard aveva pensato che nemmeno lui volesse più ascoltare quella storia. … e probabilmente era vero: vedendoli assieme infatti si era reso conto che lui aveva seguito il comandante. "Hei amico!" gli disse per rimediare "Sono entrato per ultimo. Il mio cavallo è già qui. L'accompagno io!". André guardò Oscar già lontana. "Va bene. Arrivo subito." gli rispose pacato. 

Lasalle montò velocemente in groppa e spronò il cavallo. Si girò indietro: "Non ho pagato la mia birra!". André fece un gesto noncurante: l'avrebbe pagata lui.

 

Oscar procedeva al trotto quando si ritrovò accanto Lasalle. "Sono stanco anche io," le disse "lasciate che vi accompagni fino in caserma.". Oscar gli sorrise.

Lasalle era un ragazzo gentile. Fisicamente più piccolo di tutti gli altri, era piuttosto giovane e dotato di una certa arguzia. Dimostrava sempre una buona dose di coraggio, ma mancava totalmente di sangue freddo quando si trovava in azione. Era attento agli ordini, ma era negato nell'uso delle armi da fuoco e non si destreggiava con la spada. Era generoso con i compagni e sempre leale con lei. Al contrario di tanti dei suoi uomini, sapeva leggere e scrivere correntemente e a Oscar sarebbe piaciuto riuscire a fargli ricoprire un ruolo in fureria: nonostante non se la cavasse male con l'artiglieria, era infatti convinta che non sarebbe mai stato adatto ad azioni pericolose o a scontri diretti.

"Com'è che hai deciso di fare il soldato Lasalle?" gli chiese mentre cavalcava accanto a lei. "Sono il più piccolo di tanti fratelli comandante. Non c'era niente a casa mia per me…" le rispose con franchezza. "Ma a mia mamma è dispiaciuto quando mi sono arruolato." aggiunse sorridendole. Oscar annuì.

Proseguendo pensò alla contessa Marguerite. Chissà se a sua madre era dispiaciuto quando il generale l'aveva fatta arruolare… non le aveva mai detto niente. Chissà se era dispiaciuta ora, se aveva pensato a lei negli ultimi giorni… Ricordò la propria mano tesa, prima di lasciare per sempre casa sua… e il rifiuto di sua madre di stringerla. Sentì come un affanno in fondo al cuore, ma lo ricacciò indietro.

Varcarono l'ingresso della piazza d'armi. Erano arrivati. La caserma, avvolta nel buio, era silenziosa. Si fecero riconoscere dagli uomini di guardia poi scesero da cavallo. "Ritiratevi pure. Lasciate che mi occupi io del vostro cavallo comandante." le disse Lasalle. Oscar indugiò: "André si occupa sempre di César…" rispose quasi sovrappensiero. "L'aspetterò io. Vedrete che non tarderà!". Oscar lo ringraziò. Era veramente stanca. Salendo i gradini dell'ingresso pensò che era un sollievo non nascondersi. In realtà non le importava che i suoi uomini sapessero di lei e André. Camminando lungo il corridoio sentì Lasalle correre per raggiungerla. "Hai bisogno?" gli chiese. "Volevo ringraziarvi comandante. Mi avete salvato la vita due volte. Vi devo molto.". Oscar gli sorrise: "Non mi devi niente. Buonanotte Gérard.".

 

André era rimasto davanti all'ingresso dell'osteria a guardare Oscar allontanarsi. "Non farmi aspettare troppo" gli aveva detto. Non l'avrebbe fatta aspettare affatto. Alcuni compagni iniziarono a uscire. Si era fatto tardi. Entrò per pagare la birra di Lasalle. Alain gli si fece incontro: "Dov'è il comandante?" gli domandò. "È rientrata." gli rispose. "L'hai lasciata andare sola?!?". André lo guardò: Alain era quasi aggressivo. André si fece scuro in volto: "Te l'ho già detto: lasciala stare." e si allontanò per raggiungere il banco. L'oste gli disse qualcosa, ma non lo ascoltò. Pensava ad Alain: credeva veramente che Oscar lo ascoltasse? O che ascoltasse chiunque? Faceva sempre di testa sua. Se voleva veramente iniziare a preoccuparsi per lei avrebbe fatto bene a prepararsi: gli sarebbe servito un cuore più che saldo.

 

Cavalcando verso la caserma, fra i compagni che ciarlavano, chi preoccupato per la situazione a Parigi, chi ancora intento a raccontare le sconcezze che avevano accompagnato la bevuta in compagnia, Alain osservava André: non stava ascoltando nessuno di loro e aveva sul volto un'espressione indecifrabile. Alain ripensava allo stupore dell'amico di poco prima e rivedeva se stesso ospite a pranzo nelle cucine di palazzo Jarjayes, quando per la prima volta si era reso conto della confidenza che univa André e il suo comandante. Osservandoli aveva immediatamente capito che quella confidenza era più intensa di una semplice complicità. Non era data forse neanche dal fatto che fossero una coppia, quanto piuttosto da una vita di esperienze condivise. Alain aveva notato che anche in frangenti diversi o in momenti in cui non erano nemmeno insieme, spesso usavano ugualmente le stesse parole o recitavano le stesse citazioni, che gli uomini per altro raramente capivano. Alain ripensò anche agli eventi del mattino, all'uomo che si era presentato a brache calate per fare una proposta di matrimonio a madamigella Oscar, a come lei si era subito imposta perché lui non dicesse niente ad André… ripensò a come André di rimando non avesse mai voluto dirle niente dei suoi problemi all'unico occhio che gli rimaneva, per quanto lui fosse convinto che Oscar ne fosse più che consapevole, e a quando non aveva battuto ciglio dopo essersi preso tre giorni di consegna di rigore per averla difesa, quando lui l'aveva colpita. Sospirando concluse che non aveva mai visto due persone più vicine, eppure più distanti. Entrambi fatti per stare con l'altro, entrambi così stupidamente orgogliosi da mettere a repentaglio ogni giorno quello che avevano insieme. Pensò anche che per quanto si sentisse ora innamorato del proprio comandante, mille anni non gli sarebbero bastati per raggiungere anche solo un briciolo di tutta quella confidenza.

 

André cavalcava in silenzio, Oscar al centro dei suoi pensieri. Non poteva perdere anche l'occhio destro. Non voleva. Non poteva nemmeno pensare di non vederla più: gli occhi chiari, quei sorrisi che solo lui poteva riconoscere, lo sguardo obliquo… ripensò a lei che lo invitava, poco prima, con i capelli portati dietro l'orecchio… "Non farmi aspettare troppo…" …sentì di nuovo il famigliare tuffo alla bocca dello stomaco che si riverberava in quella sensazione di calore ai lombi… 

Oscar era diversa. L'aveva amata e desiderata tutta la vita. L'aveva sognata in ogni notte, in ogni attimo di vicinanza o di solitudine… e ora che era sua scopriva che era diversa. Non era affatto un sogno: non era una qualche perfetta idealizzazione di donna, ma una donna vera, fatta di carne e sangue... e tenerla fra le braccia lo faceva sentire immensamente potente. Era come poter abbracciare il vento. Ricordò una volta in cui da bambini nella grande tenuta della famiglia Jarjayes erano riusciti, dopo avergli portato da mangiare per settimane, a toccare un cervo; ecco: possederla era come poter accarezzare una creatura selvatica. Nell'intimità, con lui, Oscar era come nella vita: sincera, vera, diretta. Era concreta e chiamava ogni cosa col proprio nome. Non poteva certo dirsi una donna romantica, eppure c'era qualcosa nel suo modo di darsi e offrirsi che lo lasciava disarmato, fin quasi commosso. Nella loro prima notte insieme, dopo tanti anni di desiderio frustrato, l'aveva presa con un sentimento quasi di rabbia, che si era poi sciolto lentamente nella volontà di perdersi dentro di lei; in seguito, invece, era rimasto sempre colpito dal modo in cui lei ogni volta si lasciava amare da lui, con un'arrendevolezza che inizialmente quasi lo aveva spaventato. Nei suoi confronti lei non dimostrava pudore. Si lasciava guardare, toccare, condurre, assaggiare. Si lasciava prendere abbandonandosi con fiducia assoluta. La sentiva in ogni fibra del proprio essere. Ogni volta era come se si aggrappasse a lui, come se gli gridasse il suo amore in ogni sospiro, in ogni fremito. Accoglieva il suo piacere come un dono e gli offriva il proprio con totalità. 

André sentì un brivido. "Non farmi aspettare troppo"... le parole di Oscar ritornavano ancora e ancora nelle sue orecchie. Silenzioso raggiunse le scuderie della caserma e silenzioso smontò da cavallo, il fiato corto, la passione che gli rendeva le mani imprecise nei gesti frettolosi. "Hei amico!" Lasalle richiamò la sua attenzione "Dice il comandante che sei tu che ti occupi del suo cavallo… Ti ho aspettato. Intanto però gli ho tolto la sella…". "Grazie." gli rispose con gentilezza. Esasperato dall'attesa, con un sospiro si tolse la giubba della divisa appendendola fuori dalle scuderie e si apprestò ad accudire César. Aveva fretta; voleva solo raggiungere Oscar.

 

Rientrata nei suoi alloggi ordinati e puliti Oscar accese un doppiere e si spogliò, riponendo con cura uniforme, stivali e biancheria. La giornata era stata lunga e calda e sentiva il bisogno di rinfrescarsi. A piedi nudi si avvicinò alla semplice toletta di ceramica bianca. Sospirò versando l'acqua nel catino, ripensando alla confortevole vasca che faceva preparare nelle sue stanze a palazzo Jarjayes. Bagnò un asciugamano di lino nell'acqua fresca e lo passò sul viso e sul corpo lentamente, trovando refrigerio. Si spazzolò i capelli, spense la fiammella che aveva acceso poco prima e si accoccolò sul letto, stringendosi le gambe al petto e appoggiando il mento sulle ginocchia. Ripensava ai fatti del mattino. A Girodelle che aveva pensato di poterla costringere alle nozze con lui e che poi a un suo rifiuto aveva creduto lecito poter tentare di abusare di lei. Le venne in mente la posizione innaturale delle gambe della giovane contessina di Polignac, con le sottane malamente sollevate, le braccia scomposte e il visino minuto senza più espressione, ormai schiacciato contro le pietre del selciato di Versailles, dopo che aveva cercato la propria libertà e la propria innocenza in un tuffo verso la tenebra dall'alto del tetto della reggia… Ricordò gli epiteti davvero poco dignitosi con cui a corte e per le strade di Parigi aveva sentito definire la regina Maria Antonietta, colpevole soltanto di essersi innamorata e di aver voluto provare a vivere il proprio amore. Erano gli stessi disgustosi, mortificanti epiteti, lo sapeva e li aveva persino ascoltati, con cui i suoi uomini l'avevano insultata (e non sempre alle sue spalle…) quando era arrivata fra i soldati della guardia. Quegli stessi uomini che ora si sarebbero gettati nel fuoco pur di non disobbedire a un suo ordine. Ripensò ad Alain che la trascinava in una fuga che certamente lei non aveva incoraggiato e che faceva apprezzamenti non esattamente eleganti alle donne che si occupavano degli alloggi degli ufficiali. Rivide il generale contrattare per le nozze delle sue sorelle come si contratta per la vendita di un terreno e usare di Zuli esattamente come avrebbe disposto per un cavallo o per i cani da caccia, con modi in realtà non molto diversi da quelli riservati alla moglie. Sospirò con tristezza. Le vennero in mente i modi gentili e premurosi di sua maestà Luigi XVI e il garbo delicato del conte di Fersen. Pensò alla dolcezza paziente di André, che pure, nonostante tutto, aveva ritenuto una volta di poterle estorcere un bacio e di dimostrarle con la prepotenza la pretesa di amare ed essere amato. Chiuse gli occhi stringendoli forte. Vestita della propria pelle, improvvisamente si sentì nuda. Si alzò velocemente recuperando la giubba della divisa e indossandola repentinamente. Rimase in piedi nel buio, ascoltando il proprio respiro.

Nel silenzio della notte, dalla finestra appena accostata arrivavano schiamazzi lontani e canti di grilli vicini. Udì dei passi e li riconobbe subito: André la stava raggiungendo. Sorrise, maliziosa per la prima volta in vita sua. Non l'aveva fatta aspettare troppo dopotutto…

 

Sistemato César, André recuperò la giacca dell'uniforme e si avviò verso l'ingresso della caserma, abbassando il capo per inspirare e valutare i propri umori. Con disappunto avvertì forte sugli indumenti e sulla pelle il sentore delle scuderie. Si recò nelle camerate, cercando di sistemarsi. "Non farmi aspettare troppo". Si cambiò la maglia e si passò della colonia sul viso e fra i capelli. I compagni già giocavano a carte o chiacchieravano. Non si trattenne con nessuno di loro. Alain lo osservò in silenzio mentre indossava la giubba, lisciandone le pieghe con le mani, per poi infilare la porta e sparire nel buio del corridoio. 

André camminò veloce con passi decisi e il respiro sempre più contratto, lo sguardo già profondo e incupito, il cuore fremente per l'attesa e il desiderio crescente. Arrivato a pochi metri dagli alloggi da ufficiale di Oscar rallentò, cercando di rendere il respiro più regolare. Non bussò. Sapeva che la porta era aperta per lui, che lei lo stava aspettando. Entrò. La piccola stanza  era avvolta nell'oscurità. Dalla finestra protetta da tende sottili filtrava solo la fioca luce della luna e delle torce accese sulla piazza d'armi. Indovinò la sagoma di Oscar di fronte a sè. Si richiuse piano la porta alle spalle. Fece qualche passo verso di lei.

 

Benché sapesse che André stava per raggiungerla, Oscar sussultò sentendo la maniglia abbassarsi. Lo vide entrare e chiudere la porta dietro di sè, per poi avvicinarsi. Abbassò lo sguardo e rimase immobile e in silenzio. Aspettò che le fosse abbastanza vicino da sentire il suo respiro e avvertì l'odore della colonia sul viso e fra i capelli; solo allora sollevò lo sguardo per portarsi nuovamente una ciocca dietro l'orecchio. Scalza, André la sovrastava di tutta la testa. Chinato su di lei, egli inspirò il suo profumo e le appoggiò una mano sulla vita attraverso la marsina slacciata, per scoprire che sotto l'uniforme non c'era altro che pelle. "Dio Oscar…" mormorò "Dio…". Si chiese se lei potesse veramente avere piena consapevolezza  della propria sensualità. Lasciò scorrere la mano fino al fianco dalla curva morbida, mentre con l'altra le prendeva la nuca, per sospingere il suo viso verso di sè e baciarla profondamente. Le ghermì il sesso strappandole un gemito e accogliendo i suoi umori umidi fra le dita; lei gli si arrese con dolcezza, le mani inermi lungo i fianchi, lasciandosi condurre verso la vertigine, mentre il sostegno delle gambe si faceva sempre più inconsistente. Lui la baciò e indugiò a lungo accarezzandola con insistenza, per poi indietreggiare; armeggiò con i pantaloni per liberare il proprio desiderio e andò a sedersi sul letto, le ginocchia divaricate, le mani appoggiate indietro. Oscar lasciò scivolare la giacca scrollando appena le spalle e si fermò un istante, esponendosi senza vergogna per i molti segni sulla propria pelle, le braccia troppo muscolose e i seni piccoli, quasi adolescenziali, resi appena più morbidi dai primi segni della maternità incipiente. Avanzò lentamente verso di lui, per poi accovacciarsi e sedersi sui talloni. André si lasciò assaggiare guardandola, senza toccarla, limitandosi a fermarle solo una volta i lunghi capelli morbidi dietro l'orecchio, finché il bisogno di lei non divenne per lui ingestibile. Allora si sporse per stringerle forte le braccia con le mani e lei si adagiò sul piccolo letto. Lo sentì scalciare via gli stivali prima di prenderla con urgenza, senza nemmeno spogliarsi. Quando finalmente lui si lasciò andare, Oscar avvertì la stoffa ruvida dell'uniforme e i bottoni freddi e metallici imprimersi nella carne sotto il peso del suo amante e lo strinse più forte a sè, serrandogli con fermezza le gambe attorno ai fianchi. Rimase immobile ad ascoltare il respiro di André farsi sempre meno convulso fino a tornare regolare, poi gli depose baci lievi e brevi su una tempia, mentre lui affondava il viso fra i suoi capelli, sussurrandole "Ti amo". 

 

Rimasero fermi per infiniti minuti. Oscar, il torace compresso dal peso di André, faticò a trovare il ritmo dei propri respiri. Poi lui si alzò. Accaldato, si liberò della giubba e della maglia, buttandole da una parte, per poi tornare a stendersi sul letto, le braccia incrociate dietro la testa, mentre Oscar si era alzata a sua volta, accendendo un piccolo lume e recuperando la maglia che lui si era appena tolto, per indossarla. Le piaceva portare i suoi indumenti. Di tanto in tanto l'aveva fatto anche da bambina, quando vivevano le loro giornate condividendo ogni cosa, meritandosi le sgridate di sua nonna. Oscar si rannicchiò sul bordo del letto, un piede a terra e un ginocchio stretto al petto. Nascose un attimo il viso nell'interno del gomito, inspirando il profumo di bucato della maglia di André: si era cambiato per lei. Sorrise. 

André la guardò: troppo esile per la sua maglia, sembrava ancor più minuta con la sua schiena da uccellino. Oscar si portò una mano alla bocca tormentandosi un'unghia e indurendo improvvisamente l'espressione del viso. Troppi pensieri si affollarono nella sua mente. 

"André…". "Mmm?". "Non mi importa niente del mio titolo sai?". Oscar parlava sottovoce, lo sguardo fisso sulla fiammella del lume. "Invece ho paura di lasciare il mio grado." fece una breve pausa "Sono stata un ufficiale tutta la vita André. E se non sapessi fare altro?" si girò verso di lui, l'espressione preoccupata, la lunga chioma che seguiva i suoi movimenti. André la accarezzò lungo le spalle e la schiena per poi trattenere fra le dita la punta dei capelli: li strinse fra l'indice e il pollice; erano morbidi e setosi. 

Era vero. Oscar era stata un ufficiale tutta la vita. Faceva parte di lei. Pensò che il suo modo di fare da soldato, così marziale e autoritario, non l'avrebbe abbandonata mai. La immaginò anziana, in pantaloni e marsina, intenta a sgridare nipoti con lo stesso cipiglio che le aveva visto usare tante volte con i giovani cadetti o con i figli delle sue sorelle, quando la infastidivano, durante le brevi visite a palazzo Jarjayes. Sorrise. "Ehi Oscar," le disse ridendo "diventerai una vecchia stravagante!". Oscar lo guardò, le sopracciglia inarcate: "Vai al diavolo André!". Accompagnò le parole alzando la mano in un gesto scurrile, che lui coprì, afferrando la sua mano e stringendola nella propria: "Smettila Oscar!" le disse ridendo più forte "Sei troppo bella per essere volgare!". Oscar lo guardò simulando sdegno, ma poi rise con lui: aveva ragione, sarebbe diventata una vecchia stravagante. Rimasero in silenzio, poi lei riprese: "Ho ripensato alle parole di mio padre, riguardo alla differenza di rango fra noi. Aveva ragione. Non si cancellerebbe mai.". André tacque, trattenendo il respiro. Oscar si volse per guardarlo. "Guarda quanto odio sta scorrendo ovunque. Non ci sarà mai un posto per noi qui, André. Una parte non potrebbe mai accettare te, l'altra disprezzerebbe sempre me.". "Non posso cambiare quello che sono Oscar." le disse tagliente. Oscar lo fissò con durezza: "Pensi non sapessi chi fossi quando ti ho detto di amarti?". 

André si vergognò. Le aveva parlato con sarcasmo solo per ferirla. "Non posso cambiare quello che sono"... che risposta stupida. Nemmeno lei poteva cancellare di essere nata nobile, eppure stava lasciando tutto per lui e ora aveva giustamente paura, non di andarsene, ma di non essere all'altezza: "E se non sapessi fare altro?". André si alzò a sedere e si sporse verso di lei, abbracciandola. "Scusami" le disse piano, appoggiando le labbra fra i suoi capelli. Oscar gli strinse una mano. "Cosa vuoi fare?" le domandò. "Stare con te," gli rispose "te l'ho già detto: mi devi sposare. E presto. Dovremmo andarcene lontano sai?". "Hai già scritto al signor Sugane?" le chiese lui. Certo che aveva scritto. Come aveva promesso. Avrebbero trovato un posto nell'Alta Francia per fermarsi per qualche tempo. Lei avrebbe potuto finalmente prendersi cura di sè… e far nascere suo figlio… ma poi se ne sarebbero dovuti andare. Avrebbero dovuto trovare una dimensione giusta per loro. Un posto in cui non aver paura di essere additati, né fingere di essere altro da ciò che erano. Ricordò il senso di libertà nel camminare sulla spiaggia con André, senza doversi nascondere da nessuno… 

"Sì, ho scritto," gli disse "ma dovremmo andare più lontano. Qui non c'è niente per noi. Potremmo fermarci nel nord per un po', ma poi dovremo cercare un posto giusto per me e per te. Se andassimo in America André?". André rimase perplesso: "In America… è lontano Oscar. Potresti non avere mai più la possibilità di tornare indietro…". Oscar alzò il viso verso di lui, lo fissò, occhi negli occhi: "Non tornerò. Ti seguirò ovunque vorrai portarmi.".

 
   
 
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