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Autore: Glenda    25/10/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non fare quella faccia da sono scontento di me stesso: ti assicuro che sei stato inattaccabile, avresti meritato una standing ovation!”

Ma doveva essere stato davvero duro sostenere quella conversazione.

“Alzare i toni non è da me. Non volevo risultare aggressivo.”

“Aggressivo? Dammi retta, tu l’aggressività non sai nemmeno dove sta di casa.” Stappò un’altra birra e gliela porse “Quindi guardami negli occhi e ripeti: quell’uomo è uno stronzo ed io sono stato molto elegante!”

Da dove gli veniva tutta quella leggerezza? La voglia di scherzare, di strappare al suo amico un sorriso, di parlare di quel pomeriggio come due pettegole parlano dell’ultima avventura amorosa?Doveva essere colpa del divano. Delle birre, della sera, della stanchezza, ma soprattutto del divano. Era così facile sprofondarci dentro, lasciare fuori il resto, sentirsi a casa.

Noam era questo. Noam era casa.

“Sono stato elegante?”

“Elegantissimo.”

Noam prese il tappo della bottiglia e cercò di fare canestro nel cestino. Mancandolo di brutto.

“Questo invece non era granché elegante.”

“Eh no…!” bevve dalla bottiglia e si svaccò tra i cuscini, con le gambe lunghe distese in avanti e la testa riversa al soffitto “Lo ha trovato normale, capisci? E gli sembrava anormale che io fossi sorpreso! Ma che dico, sorpreso. Basito. E anche indignato, ma l’indignazione è arrivata dopo, deve essere per questo che non l’ho saputa gestire bene.”

Adrian invece non si era stupito affatto, ed in realtà – ma questo evitò di dirlo – anche a lui appariva piuttosto paradossale l’idea che Noam fosse caduto dalle nuvole alla proposta di Òraviy: che non avesse neppure messo in conto l’eventualità di riceverla, una proposta del genere.

Aveva lanciato una sfida ad uno degli uomini più potenti del paese, un uomo che da solo poteva comprarsi mezza nazione: quell’uomo lo invitava ad un rendez-vous privato, e gli offriva una cifra a molti zeri come “amichevole” scambio di favori… Che c’era di non prevedibile? Il solo imprevisto in quella faccenda era proprio la reazione di Noam. Doveva averlo pensato anche Òraviy!

“Mi ha detto Abbia l’umiltà (Dio, l’umiltà!) di affidarsi a chi è più esperto di lei, ed io le cambierò la vita! Ti rendi conto? Cambiare. La. Mia. Vita. Come se i suoi maledetti soldi potessero fare questo!” si tirò su con la schiena e sostenne la sua argomentazione gesticolando con entrambe le mani “Se i soldi – i suoi, i miei, quelli del partito – fossero sufficienti a cambiarmi la vita, negli ultimi tre anni sarebbe già cambiata! Ma non cambia, Adrian. È proprio in questo modo che la vita non cambia mai!”

Era davvero arrabbiato, sembrava che avesse appena assistito ad un ingiustizia cosmica ed Adrian trovava quel suo improbabile sdegno meraviglioso.

Gli sarebbe proprio piaciuto che persone come Karìma Mirèl avessero potuto ascoltarlo, assistere a quella spontanea ed eroica protesta con i loro occhi, in una dimensione privata, lontano dai riflettori, come era concesso a lui… ! Ma fuori da quella stanza, nulla di questo era credibile, e nessuno rimane pulito in un giro di milioni: nemmeno il candido, soave Dolbruk.

“Non è esattamente ciò che hai risposto? Che la tua vita cambierà nel momento in cui sarà cambiata anche quella della tua gente?” gli tolse la bottiglia dalla mano e la appoggiò al sicuro sul tavolino, dove ormai ce ne erano diverse altre “Tra parentesi: chi te le scrive le battute? È bravo il tuo sceneggiatore!”

Finalmente a Noam scappò una risata.

“Ne apriamo un’altra o passiamo al liquore? Stasera non devi guidare!”

Già. E forse per questo motivo si era lasciato andare troppo; sentiva la testa ovattata, i pensieri sfilacciati: era diventato così difficile distinguere il se stesso guardia del corpo in servizio seduto a fianco del suo cliente dal se stesso afflosciato su un divano a fianco di un amico…

“Che pensi dovrei fare, Adrian?”

E quella benedetta domanda arrivava tutte le volte – colpa del divano, ma sì, solo colpa del divano – e continuava tutte le volte a colpirlo, perché Noam di idee ne aveva mille, duemila, tremila, ma si comportava come se una sua sola risposta avesse più peso di quelle mille, di quelle duemila, di quelle tremila.

“Hai fatto la scelta che andava bene per te. Hai detto di no.”

“Ma tu che avresti fatto?”

Che avrebbe fatto.

Beh, innanzi tutto avrebbe temporeggiato, nel tentativo di capire cosa ci fosse sotto.

Kàmil Òraviy non aveva chiesto a Noam una ritrattazione, non l’aveva attaccato in pubblico, anzi, gli aveva offerto del denaro e promesso il rispetto di tutte le normative che, in caso di vittoria, l’amministrazione Màrna avesse voluto introdurre, in cambio di un’esclusiva per le attività estrattive sui Mor-darèuk. Un buon piano per sbarazzarsi in blocco della concorrenza.

Forse, se Noam fosse stato anche solo un po’ più manipolativo, avrebbe potuto cercare di sfruttare la situazione per liberarsi di qualche avversario, incassare un successo parziale e pensare al gruppo Òraviy più tardi.

Ma Noam non era proprio fatto così.

Ancora una volta, come gli era successo spesso in passato, Adrian pensò a quanto quell’uomo eccessivamente gentile non avesse alcuna possibilità di spuntarla. Detestava quella sensazione: avrebbe voluto davvero sostenerlo, credere che potesse farcela, che il suo testardo entusiasmo potesse lasciare un segno nel mondo. Ma il mondo veniva segnato da ben altre vite, da ben altre indoli. Noam poteva solo sperare di rimanere pulito e coerente a se stesso, e lui poteva solo sperare di riuscire a proteggerlo.

“Cosa avrei fatto io non ha importanza. I darbrandesi dicono che La purezza ci salverà e tu pensi che, se fossi venuto meno a questo principio, non avresti più avuto la forza di provare a trattare con FDL. Che poi è la cosa che vuoi. Non è forse così?”

Noam sorrise ad arrossì.

“Accidenti.” disse “Sentirlo dire da te suona bello.”

“Anche il mio sceneggiatore è bravo.”

 

***

 

Dopo una giornata così ci voleva una sigaretta.

Adrian non era un fumatore abituale, aveva iniziato in polizia, per imitazione, ma presto l’atto di fumare era diventato l’espressione di un’emozione non altrimenti codificata: qualcosa che stava a metà fra la ribellione e la rassegnazione, una specie di ondeggiamento tra l’una e l’altra, e il fastidio fisico che ne conseguiva.

Quel pomeriggio, aveva desiderato di spaccare la faccia a Kamil Òraviy, e provare quel desiderio così irrazionale eppure così viscerale lo aveva scosso: Òraviy non aveva fatto nulla di diverso da ciò che ci si poteva aspettare da un uomo nella sua posizione, era stato disturbante e presuntuoso esattamente come sempre in tutti gli anni in cui era stato al suo servizio, ma per Adrian non era mai stato un problema. Al contrario: quel suo essere così respingente era esattamente ciò che lo metteva a proprio agio sul lavoro.

Ma Òraviy si era divertito a punzecchiare Noam, a farlo sentire piccolo, inesperto, in balia di poteri più grandi che non poteva contrastare, a cercare di demolire sottilmente la sua disperata fiducia nella possibilità che il mondo potesse andare da qualche altra parte rispetto a dove era sempre andato. Una disperata fiducia, già: ma colorata, trascinante, piena di luce.

Voler distruggere quella fiducia era come voler distruggere il piacere di guardare le cose belle. Perché le cose belle a volte non servono e niente, non cambiano un accidente e durano dall’oggi al domani: ma ti aiutano ad alzarti la mattina.

Diede un ultimo, lungo tiro.

La luna era alta, che ore erano? Le due? Le tre?

Non era rientrato nel suo appartamento: dopo aver dato la buonanotte a Noam era sceso sotto il portone di casa a prendere aria.

Fumare. Ondeggiare tra rassegnazione e ribellione per un po’.

Schiacciò il mozzicone sotto la scarpa, e nel rialzare la testa si accorse di una presenza imprevista sull’altro lato della strada, sotto il lampione.

Per la miseria, ci mancava anche lei! Quella giornata non voleva avere fine…

“Ciao Adrian! Sveglio?”

Se non altro, niente cappello.

Attraversò la strada e le andò incontro.

“Ciao Karìma. Magari sto dormendo e mi sei apparsa in sogno. Dio, ma ti accorgi di che domanda del cazzo mi hai appena fatto?”

Lei sorrise, ma meno sfacciatamente del previsto.

“Noam dorme?”

“Lo spero.”

E che razza di risposta era la sua? Aveva fegato a lamentarsi delle domande altrui!

Però sì, sperava davvero che Noam dormisse, perché troppo spesso Noam non dormiva, assorbito in troppe cose. Figuriamoci quella notte.

Karìma intanto aveva puntano il dito verso il portone.

“È buffo… su quel campanello risulti ancora come Yiv Bàmen. È un nome molto bello, Yiv. È arioso. Però di questa copertura non ne hai più bisogno da mesi…”

“La minaccia di essere denunciata per stalking ti fa un baffo, eh?”

Non era arrabbiato, al contrario, qualcosa di quella situazione, in quel momento, lo stava distraendo da altri pensieri. Perché non poteva avere anche lui, naturalmente, quel tipo di pensieri? Perché non poteva compiacersi come avrebbe fatto qualsiasi uomo davanti ad una bella donna che viene a cercarlo a quell’ora? Magari doveva solo lasciarsi andare a quel giochetto e vedere dove li avrebbe portati. Magari quella giornata sarebbe finalmente finita.

“Certo che è stato grande. Non me l’aspettavo.”

“Eh?”

“Il tuo adorabile amico. È stato grande. Si è messo contro i Tre Boss senza fare una piega, come se fosse pure normale!” e rise.

Adrian alzò il sopracciglio. Ancora una volta Karìma mostrava di sapere qualcosa in più di lui.

“I Tre Boss?”

“Ma dai!” lo guardò con un’espressione mezza sorpresa che in realtà voleva rimarcare la propria superiorità “Òraviy, Pàramiy e Komt, i tre pezzi grossi che hanno ottenuto la gestione dei fondi per lo sviluppo del Dàrbrand e che, per inciso, si dividono il paese. Gli Òraviy con il monopolio dell’informatica, ma in realtà dell’intero sistema delle comunicazioni, i Pàramiy coi trasporti e i Komt, beh… il Banco di Credito Commerciale del Tàlvrand ti dice qualcosa?” sorrise, si fece una domanda da sola e si rispose “E no, ovviamente Noam Dolbruk non riuscirà a fare nulla di ciò che ha minacciato. Ma la sua mossa potrebbe portare conseguenze interessanti, come, per fare un esempio, portare l’attenzione su in che modo questa gente ha ottenuto quelle concessioni, o su fino a che punto, in realtà, abbiano fatto illegalmente trust per sbattere fuori tutti gli altri… Scheletri nell’armadio, insomma!”

Di nuovo, Adrian si trovava a chiedersi la stessa cosa.

“Perché condividi queste informazioni con me?”

Lei gli strizzò l’occhio, ma non aveva la faccia di una che stava scherzando.

“Perché mi piaci.”

Adrian esitò, colto sul vivo: lei se ne accorse e completò il suo affondo.

“Sì sì, mi piaci proprio nel senso che intendi. Ma non solo in quello.”

Guardò verso la facciata della casa ed anche Adrian seguì quello sguardo. La luce alla finestra del terzo piano era ancora accesa, che accidenti faceva Noam?

“Mi piaci perché mi tieni testa, perché sei sveglio, sei ombroso e molto più arrabbiato di quello che sembri.”

“Arrabbiato?”

“Sì. C’è tanta rabbia dietro quei tuoi modi calmi e sicuri. Rabbia che non lasci uscire perché non ti senti in diritto di farlo. Non ho idea del perché, ma del resto sono fatti tuoi, no?”

Dove voleva andare a parare adesso? Giocava a fare la psicologa?

Eppure, eppure…quella rabbia stava lì e lei la vedeva. Quella rabbia che lui aveva cercato di seppellire. Quella rabbia che gli era montata dentro per anni e che, un giorno, senza pensare alle conseguenze, aveva lasciato libera di agire. La rabbia che aveva distrutto la sua vita.

Proteggere uno come Noam era bello e facile, ma proteggere uno come Noam non avrebbe dovuto spettare a lui.

“Allora? Ti ho fatto un po’ incazzare?”

“No.”

“Peccato, così diventavamo amici.”

Seria.

“Ehi, non è mica una regola che per essere miei amici bisogna farmi incazzare.” disse, con una dolcezza che nemmeno lui si sarebbe aspettato “Beh, magari se eviti di fare la stronza con una certa persona a me cara che non desidera mettere in piazza i suoi scheletri guadagni dei punti, però!”

Karìma rise con un po’ di amarezza.

“Senti, lascia stare. In realtà volevo solo fare un po’ di commedia per vendicarmi dell’ultima volta, perché con le tue parole hanno mi hai ferita, ed è molto sgradevole essere feriti da persone che ci piacciono. Però hai colto nel segno. È vero che mi sento più intelligente degli altri, credo che il mondo non mi abbia dato il riconoscimento a cui avrei diritto e sono invidiosa di tutti coloro che, senza meriti apparenti, hanno ottenuto quello che non ho ottenuto io. Fin da ragazza ho dovuto arrangiarmi da sola: non ho mai avuto nessuno che mi spingeva, ed ho sempre dovuto contare solo sulle mie capacità. Borse di studio alle superiori, poi l’università fuori sede, i soldi che non bastavano per pagare l’affitto. Ma per i miei professori e i miei colleghi io ero un’eccellenza, ero Karìma che capiva le poesie al volo, Karìma che superava ogni esame col massimo dei voti, Karìma che aveva un dono veramente speciale per la scrittura e che vinceva un premio dietro l’altro. Così ho finito per convincermi che sarei diventata qualcuno, magari una critica letteraria o una scrittrice di successo. Ma il mondo non gira così. Dopo la laurea, cercai di ottenere un assegno di ricerca, ma la risposta fu che dovevo aspettare. Aspettare cosa? Beh, che nella commissione d’esame ci fosse almeno un professore disposto a raccomandarmi. Ero brava, sì… questo lo dicevano tutti: perciò se volevo restare a far ricerca, ponti d’oro. Gratuitamente, però. Provai a mandare una mia raccolta di racconti ad una serie di editori, senza successo, poi provai con l’auto pubblicazione e fu un flop totale. Quanto alle case editrici, ne ho girate tante: contratti a termine da due soldi per scrivere risvolti di copertina in cui il tuo nome nemmeno compare, un capitolo su un manuale scolastico se sei fortunata. Poi, tra una correzione di bozze e l’altra, incappi in opere vergognose che devi quasi riscrivere da capo, ma gli autori sono i rampanti figli di certe persone, e i loro romanzi dalla sintassi sgangherata e quattro aggettivi in croce saranno i best-seller della prossima estate. Così ho lasciato perdere questo tipo di ambizioni. Preferisco fare stampa spazzatura che vivere in un mondo di gente spazzatura. Scheletri nell'armadio non sarà una gran rivista, ma almeno mi permette di scrivere quello che mi pare. E se i miei bersagli mi fanno arrabbiare tanto meglio.”

Cominciava a capire. Karìma preferiva essere la numero uno in un settore che non amava, piuttosto che l’ultima ruota del carro nel mondo a cui avrebbe voluto appartenere. Ma una cosa, invece, non la capiva…

“E perché Noam ti fa arrabbiare? Non credo lo meriti.”

“Oh. Noam Dolbruk mi fa arrabbiare proprio perché non fa arrabbiare nessuno… anche se stavolta mi sa che ci è riuscito!”

Diede in una risata forzata.

“Tuttavia, nonostante io abbia sinceramente apprezzato la sua ultima mossa, no: lui non mi piace affatto.”

Lo sguardo di Karìma era cambiato: erano improvvisamente spariti sia l’arroganza sia quella sensazione di permanente secondo fine.

“Non mi piace perché è di una bellezza perfetta e autosufficiente, a cui non c’è nulla da togliere o da aggiungere, e io diffido della troppa bellezza. L'umanità è difettosa, Adrian: l'umanità è sporca, è indecisa, cade nelle trappole, imbroglia e cede ai compromessi. Deve esserlo per sopravvivere. L’uomo che proteggi sembra voler negare questo: lui è quello sulla cui coerenza metteresti la mano sul fuoco, è quello che deve conservare ad ogni costo la propria purezza e che non ha paura di correre dei rischi, anzi, li cerca... ma ciascuno di quei rischi lo rende così poco affidabile! Come ci si può fidare di qualcuno che non tiene davvero al proprio interesse personale, che ostenta di non tenerci mai? Senza attaccamento alla propria felicità individuale, senza un egoismo sano e necessario, non si può pretendere di lavorare per la felicità altrui.”

Accidenti, Karìma era davvero più intelligente degli altri.

La sua non era la banale critica di un delatore, non era nemmeno l’espressione di una diversa posizione politica: era l’osservazione attenta di qualcuno che guarda in profondità l’animo umano. Adrian non si era mai posto da un punto di vista del genere.

E però lui amava quella troppa bellezza. Amava il fatto che Noam fosse così e non fosse in grado di essere altrimenti. Forse era ancora colpa del divano (e di Mòrask, e di quel giorno) o forse no, forse tutto era iniziato molto prima, quando aveva accettato quel compito per curiosità e per noia, perché trovava intrigante l’idea di proteggere qualcuno che non voleva essere protetto: ma aveva smesso di essere lucido da un pezzo, non poteva essere lucido nei confronti dalla sola persona che riusciva a chiamare amico.

“Adrian… ?”

Karìma aveva detto qualcosa che lui non aveva sentito, smarrito dentro quel pensiero.

“Scusa, ero distratto. Sì, capisco quel che vuoi dire, e…”

“Scommettiamo che ti dimostro che sono più in gamba di te?”

Adesso aveva di nuovo il suo sorriso indisponente e provocatorio. Difficile capire quale dei due volti gli piacesse di più. Il guaio era che, probabilmente, gli piacevano parecchio entrambi.

“Davvero? Cosa scommettiamo?”

“Che se vinco accetti di fidarti di me.”

“Una posta un po’ alta…”

“Sì, ma quel che c’è in ballo è pur sempre la sicurezza di una persona che ti sta a cuore!”

Adrian sentì un veloce brivido attraversargli la schiena e per un attimo si chiese se quella fosse una minaccia. Karìma se ne accorse e scrollò la testa.

“Iniziamo male, uomo pieno di pregiudizi!”

Estrasse qualcosa dal portafogli, gli porse un biglietto.

“Sono certa che non hai idea di come metterti in contatto col fantomatico Fronte e che tu voglia farlo, perché non puoi lasciare questa pista non battuta.”

Maledizione, se era più intelligente degli altri!

“Quanti punti vale sapere dove si trova il misterioso Thièl?”

 

  
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