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Autore: drisinil    26/10/2022    2 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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25 - Il nido del mondo



16 novembre 2012 


Dallo spioncino, Kei vede la trama fitta del guanto di lana verde. Apre la porta, facendosi da parte. Kuroo lascia le scarpe sull'uscio e scivola all'interno; la stanza sembra improvvisamente molto più stretta.

«Ciao» saluta Kei svogliato, mentre richiude la porta. Gli manca il coraggio di guardarlo negli occhi.

«Ciao» risponde Kuroo tranquillo. E tende entrambe  le braccia in avanti: in una mano stringe il guanto, nell'altra tiene una busta di carta, con il logo di una pasticceria di Nerima.  «Doni d'ingresso» spiega.

Kei afferra il guanto e guarda sospettoso la busta. «Cos'è?»

«Non hai ancora imparato come funzionano i regali? Guardaci da solo!»

Sembrano passati cent'anni da quella sera sull'altalena.

Kei estrae una scatoletta trasparente che contiene un monoporzione di meringa e fragola. «Una pavlova? E tutte quelle chiacchiere sulle fragole fuori stagione?»

«Così ora sai che anche a Tokyo esistono le serre. Ma in primavera ti farò assaggiare qualche fragola vera.»

Finalmente Kei solleva lo sguardo. Quello di Kuroo è attento, diretto, ma non sfrontato. Ha gli occhi concentrati di un acrobata che stia camminando sospeso nel vuoto.

«Come sta tuo nonno?» Kei apre il frigo e ci infila il dolce.

«Ho solo cinque minuti, vorrei usarli per parlare di noi» risponde Tetsurou, togliendosi il giubbotto. «Dove lo metto? E' un po' bagnato.»

«Lì» Kei indica un attaccapanni vicino all'ingresso.

«Siamo a casa di tuo fratello, giusto?»

«Sì. Lui non c'è. E non esiste nessun noi, Kuroo-san. Mettitelo bene in testa. Comunque, tuo nonno non è nel conteggio dei minuti. Dimmi come sta.»

Kuroo sorride. Uno tipo di sorriso che Kei non ha ancora mai visto: sfacciatamente sicuro, ma in qualche modo anche dolce. «Molto meglio. Grazie. E non intendo grazie come formula di cortesia. Intendo che ti sono grato.»

Kei riesce a trattenere il compiacimento, ma non può nascondere il sollievo. «Che significa meglio?»

«Che si è svegliato stamattina. Che ci sta con la testa. Che il bypass probabilmente non servirà. Ho passato con lui tutto il tempo che potevo, oggi.»

«A parte le ore che hai sprecato cercando me in giro per Tokyo.»

«Ero preoccupato.»

«Sei uno stalker.»

«Sono...» innamorato. Tetsurou trattiene le parole e le soffia via con una lunga espirazione. «Lasciamo perdere. Piuttosto: adesso come funziona? Fai partire il cronometro? Posso sedermi?»

«Certo, dove vuoi.»

Fra lo snack della cucina all'americana e il tavolo basso del soggiorno, Tetsurou sceglie la terza opzione. Va a sedersi per terra, davanti alla porta finestra chiusa, che dà su un finto balconcino, solo una ringhiera aggettante pochi centimetri dal muro.

L'ennesimo tratto della personalità di Kuroo che Kei adora: la capacità di guardare il mondo fuori dagli schemi, di vedere, e di scegliere, il percorso meno ovvio. Quello imprevedibile, inaspettato, alternativo.  Va a sedersi al suo fianco. «Sei affascinato dai muri scrostati delle periferie industriali?»

«Punta alla luna, mal che vada avrai vagato fra le stelle... »

«A parte l'assurdità scientifica della frase, date le distanze astronomiche... stai citando la tua maglietta? Seriamente?»

«Conosci a memoria le mie magliette?»

«Credo che tu ti sia giocato un intero minuto.»

«Mi piace l'idea di guardare le stelle con te.»

La notte è tersa e lui ha ragione: la cosa migliore di quel panorama è il largo spicchio di cielo ritagliato fra i palazzi.

Kei soffia fra dita. «Altri quindici secondi sprecati.»

«Mi ero preparato un discorso di quattro minuti e sei secondi, nel caso volessi dire la tua qui e lì. Ma... tutto sommato penso che sia inutile. Preferisco godermi cinque minuti con te che sprecarli a dirti cose che non vuoi sentire. Però almeno adesso ha un senso il fatto che tu conoscessi l'etichetta del vino che avevo portato al ritiro.»

«Già. Tua sorella deve averne mandata una cassa anche a mia madre. Io però ho solo visto le bottiglie in casa, non avevo idea da dove venissero. Credevo da qualche parente francese.»

Kuroo sorride alle stelle: «E in effetti è così. Quei vigneti sono della tua famiglia. Davvero non lo sapevi?»

«Che cazzo dici?»

«E' la verità.»

«Come lo sai?»

«Beh, è una lunga storia, molto più di cinque minuti...»

La voce di Kei si fa tagliente. «Ora basta stronzate. Voglio che rispondi sinceramente a una domanda importante: non lo sapevi, vero? Di mio padre. Se lo sapevi, abbiamo chiuso: qui, adesso. I cinque minuti sono già finiti e ti butto fuori a calci.»

«Oya, Tsukki, ma per chi mi hai preso? E' chiaro che non lo sapevo!»

Kei gli crede. Ha un milione di dubbi su tutto, ma non sulla sincerità di Kuroo. Gli crede e basta.

Tetsurou prosegue: «Ti parrà assurdo, ma il cognome del suo professore Yu-chan non lo diceva mai, anche se parlava di lui continuamente. Lo avrà forse detto una o due volte, all'inizio, ma non me lo ricordavo per niente. Lo chiamava sempre Professor Leon.»

Il vizio di papà di fare il simpatico, facendosi chiamare per nome.

«Non avevo la minima idea che fosse tuo padre. Ma so quello che ha fatto. Per mia sorella, e in generale, per questo paese.»

Abbandonare casa e figli? Farsi i cazzi suoi tutta la vita? Morire chiuso nel suo studio per pura ostinazione?

Kei prende un respiro profondo e si chiude su se stesso, il viso incassato fra le ginocchia, in un silenzio doloroso e ostinato.

E' la stessa posa di quella sera d'estate, che accende l'istinto di protezione di Tetsurou in una vampa di tenerezza. «Tsukki, Io... non lo so. Mi dispiace tanto. Stamattina quando sei scappato in quel modo... Voglio dire, è un lutto terribile. Capisco se non ne vuoi parlare...»

«E invece non capisci un cazzo» la voce di Kei è livorosa, le dita delle mani si strofinano irrequiete. «Sai solo quello che dice la tv e te lo sei bevuto. La stessa tv che ha ripetuto fino alla nausea che alla centrale andava tutto benissimo, fino a dopo la prima esplosione.»

Tetsurou cerca di inquadrare quella reazione e ci riesce molto male. «Va bene, la tv ha mentito. E io tuo padre non lo conoscevo. Ma lo so quello che ha fatto!»

«E che ha fatto? E' rimasto lì per giorni a corrodere i reattori buttandoci acqua di mare e a prendersi radiazioni fino a farsi marcire il sangue? Bell'eroe!»

La tensione è palpabile, Tetsurou la avverte quando inizia a fare pressione su una serie di punti sensibili. «Sai che ti dico? Io abito a Tokyo. Per me poteva anche crepare un po' di gente a Miyagi. Non me ne frega niente dei massimi sistemi, dei reattori e dell'acqua di mare, Tsukki. Sono un fottuto egoista. A me importa delle persone che amo. E tuo padre ha salvato mia sorella! Ecco che ha fatto! Li ha mandati via tutti e due, Yu-chan e Oka-chan, anche se si erano offerti volontari per restare. Ma sapeva che Yu-chan era incinta. E dopo, quando ha perso il bambino ed è quasi uscita di testa, il Professore l'ha aiutata ad andarsene in Europa, per ricominciare. Era già molto malato, ma si è fatto in quattro: li ha raccomandati a mezzo mondo, li ha quasi costretti a fare le valigie, gli ha trovato una casa. Mia sorella era annientata dal disonore e dalla perdita, ma tuo padre l'ha costretta a ragionare, l'ha convinta a smettere di darsi colpe inutili, a partire, a rifarsi una vita. Scusa se è poco. Hai perso un genitore. E' una brutta cosa, ma forse un genitore che muore da eroe, salvando qualche decina di migliaia di persone da un disastro nucleare, è meglio di uno che un bel giorno esce dalla porta e se ne va a vivere con un'altra famiglia. E di te non gliene sbatte un cazzo.»

«Hai centrato il punto! Di me non gliene è mai sbattuto un cazzo!» sibila Kei fra le ginocchia. «Faceva l'eroe in tv, ha salvato tua sorella, che bravo! Ma io non gli parlavo da sei mesi e pensi che gliene fregasse qualcosa? No! Meno di zero! Non contavo niente per lui. Né io, né mio fratello. Chiunque altro, compresa la ferraglia della centrale, veniva prima di noi.»

«Non ci credo. Per niente. Forse in quella lettera...»

«Una lettera! Che me ne faccio di una lettera? Gli ho offerto l'occasione di lasciarci tutto alle spalle. Ho giurato che gli avrei parlato se se ne fosse andato da lì, se avesse smesso di starsene seduto alla scrivania di un ufficio vuoto a ingurgitare tonnellate di radiazioni inutilmente. Ma no! Lui ha preferito crepare in silenzio, piuttosto che avere a che fare con me. Col cazzo che la leggo, la sua lettera! Non lo farò mai!»

Adesso Tetsurou ha capito. Ha sentito il dolore nascosto fra una parola e l'altra. Quello che vive compresso nel cuore e prima o poi lo buca, filtrando veleno a tradimento, come un pennarello rotto. Va a sedersi di fronte a Kei, la schiena premuta contro il vetro della portafinestra, le gambe divaricate, le ginocchia piegate. Così vicino che non toccarsi è un'arte.

«Perché sei così arrabbiato?»

«Lasciami stare!»

«Dimmelo Tsukki, dimmi perché sei così arrabbiato. Lui è morto, ormai.»

La risposta è una catena di imprecazioni biascicate senza alzare la testa. Lo sforzo di trattenere le lacrime è evidente. 

Kei somiglia a Yu-chan nel tenersi tutto dentro. Nel credere che, a furia di seppellirli, i dolori si riassorbano come ematomi. Funziona per quelli ordinari, superficiali, ma i dolori profondi finiscono per andare in suppurazione.

«Allora te lo dico io: non sei riuscito a dirgli addio. Non hai voluto, ti sei ostinato e ora il rimorso ti sta uccidendo.»

Mentre supera gli ultimi centimetri, Tetsurou pensa che questo gesto lo pagherà caro. Che probabilmente si beccherà un calcio nelle palle, o una gomitata nel diaframma. Che finirà chiuso fuori dalla porta, a bussare per ore. Che se ne pentirà. 

Ma non può più trattenersi e lo abbraccia. Forte. Stretto. Kei è così compresso su se stesso, così sottile, che Tetsurou riesce a contenerlo tutto fra le braccia e le gambe.

La resistenza che Kei oppone è debolissima. Resta lo scudo delle sue braccia che circondano le ginocchia, i pugni serrati contro lo sterno di Kuroo come ultima barriera.

«Non faceva altro che vantarsi di te con Yu-chan» dice Tetsurou con voce bassa e calma, la tempia poggiata ai capelli di Kei. «Diceva che eri la versione migliore di lui. Forse non vi parlavate, ma... »

Un attimo dopo esplodono i singhiozzi; Kei cerca ancora di trattenerli e gli escono dal petto spezzati, intervallati da ansiti pietosi.

«Va bene se piangi, Tsukki. Piangere non ti rende meno fantastico. Non mi viene in mente proprio niente che può renderti meno fantastico.»

«Fanculo!» singhiozza Kei, in un torrente di lacrime. 

E' spiazzato. Tsukishima Kei, che calcola tutte le variabili della sua vita, è spiazzato dalla situazione, dai propri sentimenti e dallo stupido di fronte a lui che lo sta abbracciando. Il tipo di abbraccio che chiude fuori la realtà, che promette salvezza. Un abbraccio sicuro e caldo, come un rifugio, come una casa. Solido come un'armatura.

Kei sa che dovrebbe andarsene, per non spezzarsi il cuore definitivamente. Perché domani, fra una settimana, fra un mese, quell'abbraccio sarà di qualcun altro. Kuroo andrà avanti, mentre lui rimarrà qui per sempre, davanti alla finestra di casa di Aki, perduto in questo momento,  punito per averci creduto.

Dovrebbe fuggire, invece si leva gli occhiali e li lancia via, lasciandoli pattinare sul pavimento. Si asciuga le lacrime con la manica del maglione del Liceo Nekoma e si aggrappa alla schiena di Kuroo, le mani che gli artigliano la felpa, rannicchiato contro di lui, con il viso affondato nel suo collo, le lacrime che scendono ancora, le spalle scosse dai singhiozzi, il naso che cola senza pietà. Una mano calda e forte gli si posa sui capelli, un tallone gli si pianta alla base della schiena, per avvolgerlo ancora più stretto, con tutto il corpo. Le braccia di Kuroo sono un nido che contiene il mondo. E stasera sono solo sue.

Quando il pianto, infine, si placa, restano abbracciati. Staccarsi è difficile. Tornare a far finta di niente è imbarazzante. E poi nessuno dei due vuole davvero che quel momento finisca. Ma deve finire, prima o poi.

«Mi stai soffocando» si lamenta acido Kei, senza però allentare la presa delle mani.

Kuroo ride contro il suo orecchio. «Sei adorabile quando sei in imbarazzo, Tsukki.»

«Crepa.»

«Uccidimi.»

«Stronzo.»

«Ora ti bacio.»

Il cuore di Kei si ferma. Che peccato morire d'infarto proprio adesso.

«Ti bacio per bene, con calma» prosegue Kuroo mentre gli solleva il viso e gli accarezza i capelli. «Devo approfittare delle tue debolezze, quando capita l'occasione.»

Sono così vicini che l'odore d'estate e di colonia arriva ai bordi dell'anima di Kei e anche un po' oltre. «Sei capace solo di parlare... »

Kuroo sorride: la notte nei suoi occhi incombe, le sue labbra sono sempre più vicine. L'ultimo centimetro è Kei a superarlo, perché ormai la distanza è un male fisico.

Tetsurou è determinato a limitarsi a un bacio intenso, ma delicato. Uno che esprima buone intenzioni, rispetto, desiderio temperato dalla tenerezza. E tiene fede al proposito. Per circa due secondi. Dopodiché Kei lo travolge completamente. E quel bacio cresce, in tutte le dimensioni: supera le vette, sprofonda oltre gli oceani, scardina l'orizzonte, sfiora le stelle. 

Nei suoi sensi, dove tutto va a fuoco, si scolpisce la memoria fisica dell'istante in cui ha toccato il paradiso con le labbra e la punta della lingua: ha l'odore e il sapore di Kei e la forma esatta della sua bocca.

Dentro Tetsurou iniziano a muoversi degli ingranaggi segreti, che ruotano lentamente, finché non trovano un incastro perfetto. Il rumore che fanno è di uno scatto sonoro e secco, con un'eco profonda, che va a spegnersi in un sospiro contro il collo di Kei.

E' il suono dell'universo dentro di te, che ridisegna le sue mappe, Te-chan.

Kei ha spento il pensiero e abbassato tutte le difese, in quel bacio si scioglie e si consuma fino all'anima. Neppure si rende conto che sta sorridendo sulle labbra di Kuroo, che fra un ansito e l'altro gli escono risolini di gioia misti a gemiti, una combinazione che sta portando Kuroo oltre il punto di non ritorno.

Mi devo fermare adesso o, altro che universo, lo inchiodo per terra e lo scopo fino a domattina pensa Tetsurou. E si scosta all'improvviso, con un sospiro frustrato, tenendo fermo fra le mani il viso di Kei.

«Eh? Universo?» Kei solleva le palpebre, interdetto.

«Cazzo. L'ho detto a voce alta?»

«Sì, idiota.»

Tetsurou serra gli occhi e si copre la faccia con le mani, sperando che la terra si apra e lo inghiotta. «...proprio tutta, tutta la frase?»

Kei annuisce e ride. Di gusto, con la testa gettata all'indietro e gli occhi socchiusi, le mani ancora appoggiate alle spalle di Kuroo. Ride senza riuscire a fermarsi.

Tutti hanno bisogno di uno scopo esistenziale e Kuroo Tetsurou sceglie il proprio in quel momento: riempirsi la vita di quella risata. 

«Sai una cosa, scemo?» sussurra Kei, spostandogli una ciocca dalla fronte. «Ho fame.»

«Fame vera? Di cibo?» domanda Kuroo con gli occhi pieni di malizia.

Kei resta un attimo in dubbio. Un gioco di luce, mentre Kuroo si muove, fa risplendere una traccia umida di saliva, fra il collo e la gola. «Di cibo» conferma, mordendosi le labbra.

«Peccato...» commenta Tetsurou, ma intanto decide che è ora di alzarsi e si avvia dinoccolato verso la cucina. 

Gli occhi di Kei, di nuovo acuti dietro le lenti, lo seguono come aghi magnetici.

«Posso dare un'occhiata?» domanda Kuroo, indicando il frigo.

«Fai pure, ma... »

«... è vuoto» conferma deluso, richiudendo lo sportello. «Vi fanno con lo stampino voi Tsukishima? Tutti inappetenti?»

«Aki mangia anche troppo, ma è bravo a cucinare quanto me.»

«Dovresti imparare.»

«Non se ne parla. Pratico una forma estetica di disinteresse per tutte le cose volgari» spiega Kei con sussiego.

«Si chiama pigrizia» ghigna Kuroo.

Kei gli lancia addosso la prima cosa che trova sottomano: un paraspifferi a forma di ranocchio, che lo colpisce gentilmente sul petto e poi ricade per terra.

«C'è la pavlova» si ricorda Kei.

«E' solo zucchero. Non è una cena.»

«Per me lo è.»

«Quindi tu mangi e io guardo?»

«Perché no...»

«Perché ho fame anch'io» risponde Tetsurou, guardando Kei dritto negli occhi. «Di cibo» aggiunge, dopo una lunghissima pausa.

Kei solleva il dito medio, Kuroo sorride sornione.

«Dai, Tsukki, se non sono morto di vergogna, non voglio morire neanche di fame. Cosa ti va? Onigiri? Pizza?» domanda, dando uno sguardo ai volantini dei take away, attaccati al frigo con una serie di calamite colorate.

Kei si stringe nelle spalle «Scegli tu.»

«Dentro o fuori?» Uscendo, ci sarebbe molta più scelta.

«Dentro» risponde subito Kei. La prontezza e l'intensità della risposta, uniti a un tono vagamente distratto, inducono Tetsurou a voltarsi a guardarlo. 

Lo coglie di profilo, con lo sguardo lanciato nel cielo oltre la finestra. Le dita dei piedi si arricciano nei calzini, seguendo il filo di chissà quali pensieri.

Dentro è la risposta giusta. In ogni senso possibile.

 

   
 
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