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Autore: Adeia Di Elferas    27/10/2022    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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Senigallia si era ormai arresa agli uomini del Borja. I cittadini non avevano atteso molto, prima di consegnarsi in tutto e per tutto agli Orsini, al Vitelli e a Oliverotto. L'unica cosa che restava da prendere era la cittadella.

Malgrado, infatti, tutti i popolani si fossero arresi, finché nella cittadella restava barricato ciò che rimaneva dell'esercito dei Della Rovere, la città non poteva dirsi presa. Michelotto, in realtà, aveva provato a scuotere gli Orsini, cercando di convincerli che attaccare sarebbe stata la mossa migliore, perché anche se avessero subito delle perdite, ormai la differenza numerica era tale da assicurare loro una grande vittoria.

Per vie traverse, in più, avevano scoperto che la Montefeltro, assieme al figlio, era scappata chissà dove e quindi non aveva senso usare i guanti di velluto, perché non avrebbero rischiato di uccidere una prigioniera preziosa radendo al suolo la cittadella. Il messo che aveva creduto alle frottole di Andrea Doria era stato passato subito al fil di spada per la sua ingenuità, ma ormai era tardi per lamentarsi della fuga di quella donna: si poteva solo prenderne atto.

I condottieri, però, si dicevano tutti restii a un'azione muscolare, adducendo mille scuse, che andavano dalla prudenza all'importanza di non sprecare uomini e armi in un momento tanto delicato della campagna. Al Corella sembravano tutte storie, eppure non riusciva a capire se sotto a quel tergiversare ci fosse qualche secondo fine o meno. Aveva tenuto d'occhio, in quei giorni di neve, i comportamenti dei vari condottieri e aveva notato che tra loro c'erano stati pochissimi contatti: molti meno di quanti non ne avessero di consueto. Gli bastò quello a ritenere sospetto il loro comportamento sospetto.

Così quella sera, quando Vitellozzo si presentò a Miguel per parlare a nome di tutti i condottieri, questi si mostrò ben disposto, ma ebbe la conferma di tutti i suoi dubbi. Come avrebbe fatto il Vitelli, a farsi portavoce di tutti gli altri, se da giorni non si parlavano, né si incontravano, né si scambiavano messaggi? Era palese che stessero mettendo in scena una trappola escogitata da tempo.

“Io, come tutti gli altri, sono convinto che il Duca dovrebbe lasciare subito Pesaro e stabilirsi qui a Senigallia, per prendere pieno possesso della città.” spiegò Vitellozzo, le spalle dritte e gli occhi tondi puntati sul viso incolore del Corella: “Andrea Doria ha fatto sapere che si arrenderà solo ed esclusivamente a lui, ed è probabile che lo faccia davvero, dato che tutti noi sappiamo quanto sia un uomo scaltro, ma anche prudente. Il Duca saprà come blandirlo, e la città sarà sua una volta e per tutte.”

“Avete ragione.” rispose secco Miguel: “Gli scriverò stasera stessa.” assicurò poi, dato che il Vitelli non si smuoveva.

Finalmente convinto, il condottiero fece un mezzo inchino e rimarcò: “Quando il Duca Valentino sarà qui, vedrà che bravi comandanti ha dato al suo esercito.”

“Lo vedrà, certo.” fece eco l'amico del Borja e, indicando la porta a Vitellozzo, gli fece capire che il loro colloquio era terminato.

Dopo qualche minuto di immobilità quasi totale, Michelotto si decise a mettersi davvero alla scrivania. Si trovava in un palazzotto requisito a un possidente della città. Era un ambiente molto raffinato, ma il Corella trovava la mobilia scomoda e inadatta alla sua fisicità prorompente. Forse perché il legittimo proprietario di tutti quei beni era alto la metà di lui, la sedia della scrivania gli sembrava minuscola e anche quando si chinò sul foglio per scrivere a Cesare si sentì goffo e impacciato, un po' come quando, all'Università, sedeva accanto al suo amico per cercare di seguire le noiose lezioni che gli venivano impartite.

Nel momento stesso in cui firmò la missiva e la richiuse, Miguel seppe di aver appena firmato indirettamente una condanna a morte per non meno di quattro persone.

 

Troilo De Rossi era felice di aver trovato la scusa migliore del mondo per passare dalla villa di Castello e ricongiungersi, anche se per pochi giorni, con Bianca.

Benché il suo progetto consistesse, perlopiù, nel far sì che nessuno parlasse mai della sua visita, nel caso in cui fosse stato sollevato l'argomento da parte di qualche impiccione, avrebbe spiegato che il Trivulzio l'aveva mandato in Toscana al solo scopo di supervisionare la Tigre di Forlì, dato che la congiura dei condottieri ribelli e la confusione che stava imperando a Senigallia rischiavano di sollevare strani pensieri in quella donna bellicosa e scostante.

Aveva mandato avanti un messaggero, affinché avvisasse a voce la Leonessa del suo arrivo, e poi aveva solo sperato che il cielo trattenesse ancora un po' la neve che prometteva di riversare sulla strada già dal primo mattino.

La sua preghiera silenziosa era stata in parte esaudita e la neve aveva cominciato a scendere copiosa solo quando già in lontananza si vedeva l'ultimo tratto di strada che l'avrebbe portato alla villa. Con lui viaggiavano uno scudiero e un servo, ma il De Rossi aveva deciso che li avrebbe fatti soggiornare in una locanda poco distante da lì.

Quando arrivarono a destinazione, la luce del primo pomeriggio era lattiginosa, screziata di grigio e bianco, e il freddo era tale da far sollevare a ogni loro respiro e a quelli dei cavalli, dense nubi di condensa.

Il portone della villa si aprì ben prima che Troilo facesse in tempo a smontare di sella e andare ad annunciarsi e l'uomo si sorprese solo fino a un certo punto di vedere la Tigre in persona accoglierlo.

Aveva sperato fino all'ultimo che la sua Bianca, in uno slancio d'impazienza, sarebbe arrivata per prima a stringerlo a sé e salutarlo, ma capiva che la soluzione più cauta e intelligente era quella che era stata messa in atto dalla Sforza. Non per niente le aveva fatto sapere in anticipo del suo arrivo...

Smontando di sella, stando attento a non scivolare sulla neve fresca che stava coprendo pian piano il suolo, l'uomo borbottò in fretta i suoi ordini a quelli che lo seguivano e poi si mosse con decisione verso la Leonessa.

Si accorse solo quando l'ebbe davanti del fatto che alle sue spalle c'era Galeazzo e che, poco distanti, occhieggiavano verso di lui sia la serva Creobola, sia un uomo che non conosceva.

“Marchese.” fece Caterina, invitandolo a entrare con un cenno della mano: “Vi abbiamo visto arrivare dalla finestra... Vi presento messer De Marzi, se non lo conoscete...”

Troilo fece un mezzo inchino ad Alberto, e poi guardò la padrona di casa con un'ansia ben riconoscibile e disse, a metà strada tra l'affermazione e la domanda, quasi senza fiato: “Spero che tutto vada bene, mia signora..?”

La Sforza annuì subito e poi riprese, con un sospiro, a beneficio soprattutto di un paio di servi impiccioni che si erano appena affacciati sull'ingresso: “Immagino che dovrete spiegarmi il motivo della vostra visita... Anche se non ho dato ai francesi né preoccupazioni, né segni di insofferenza, sono sicura che siate qua per dar loro conferma del mio buono stato...”

“Infatti.” abboccò subito l'emiliano: “Andiamo in una stanza tranquilla.” propose.

“Seguitemi.” lo invitò allora la Leonessa, per poi aggiungere: “Se avete dei bagagli e un seguito, lasciateli pure alla guida di Creobola... Sarà lei a spiegare loro dove posare le cose e dove alloggiare...”

“Per l'alloggio ho già disposto io.” si affrettò a chiarire l'uomo: “Ma di certo la seguiranno per posare il mio bagaglio... Che è molto leggero, dato che mi fermerò pochi giorni.”

Quell'ultima frase fece sì che la Sforza si arrestasse un istante e si voltasse a guardarlo, ma poi, convinta che fosse il caso di discuterne davvero in privato, riprese a camminare, facendo cenno a Galeazzo di seguirli.

“Chiudi la porta.” ordinò la milanese, non appena furono nella saletta delle letture.

Il Riario eseguì e quando Troilo lo guardò con insistenza, come a chiedere silenziosamente se fosse lecito che anche lui restasse lì, fu Caterina a intervenire.

“Lui resta. Sa ogni cosa.” tagliò corto la donna, mettendosi seduta: “Forse ne sa anche più di me...”

Il De Rossi sapeva che Galeazzo era, forse secondo solo a Giovannino, il fratello preferito della sua Bianca, perciò né si stupì di saperlo informato dei fatti, né si risentì nell'averlo lì come testimone.

Anzi, seguendo l'intuizione del momento, si sporse verso di lui, stringendogli la mano e assicurò, con decisione: “Sono felice che saremo presto cognati. Sarò sempre un vostro umile servo. La mia spada sarà sempre al vostro servizio.”

Il Riario, lusingato, risentì in parte le parole del fratellastro Scipione che, nel corso del suo ultimo arrivederci, gli aveva promesso qualcosa di molto simile, usando forse parole meno altisonanti e dandogli del tu.

“Sono sicuro che saremo ottimi cognati.” fece eco il ragazzo, ricambiando la stretta e ritornando poi al suo consueto silenzio, in attesa che fosse la madre a dirigere l'incontro.

“Immagino che avrai molte cose da spiegarmi, circa le tempistiche del matrimonio...” principiò a dire Caterina, restando seduta e guardando un punto indefinito oltre la spalla di Troilo, tornando a dargli del tu come aveva fatto quasi da subito, in assenza di estranei.

“Sì.” affermò lui, che, in effetti, si era imparato a memoria ogni tappa delle nozze, così come il Trivulzio era riuscito a organizzarle, in modo da riportarle sia alla Leonessa, sia, soprattutto a Bianca.

“Se non hai nulla in contrario, dopo cena ne parleremo un momento.” sospirò la donna, e, mentre l'altro faceva segno di sì, aggiunse: “Hai detto che resterai pochi giorni... Ripartirai subito per Roma?”

“Sì. Sì ci sono tante cose da...” cominciò a dire lui, ma la Tigre lo frenò subito.

“Abbiamo trascorso abbastanza tempo qui dentro per illudere tutti del fatto che tu mi abbia spiegato i motivi per cui i francesi ti hanno rimandato qui...” sospirò, alzandosi: “Ora corri da Bianca. Sono mesi che vuole riabbracciarti...”

Il De Rossi sorrise senza riuscire a controllarsi, muovendosi già verso la porta come se dovesse mettersi a correre da un momento all'altro.

“E anche tuo figlio ha voglia di conoscerti...” concluse la milanese, con un cenno di approvazione che all'emiliano non sfuggì: “Ti aspettano entrambi nella camera di mia figlia. Non farli aspettare più...”

Troilo la ringraziò e non appena uscì dalla porta cercò di moderare il suo slancio, per non dare nell'occhio, e imboccò la strada che portava alla camera della sua amata, scoprendo di ricordarla perfettamente, malgrado fossero passati mesi dall'ultima volta in cui aveva percorso quella via per volare da lei.

 

Ramiro de Lorca era nella sua stanza e stava finendo di redigere un paio di resoconti che avrebbe poi inviato al Duca di Valentinois.

Quel giovedì 22 dicembre a Cesena il tempo sembrava essersi fermato. Anche se era primo pomeriggio, il cielo plumbeo e l'aria immobile resa gelida dalla neve che copriva la città davano l'illusione che la Romagna tutta vivesse isolata dal resto del mondo.

Il Governatore posò un momento la penna sulla scrivania, per sgranchirsi le gambe. Aveva ormai circa cinquant'anni e non sopportava più come un tempo quelle temperature rigide.

Mentre camminava in silenzio per la stanza, cercando di risvegliare tutte le articolazioni più arrugginite del suo corpo, Ramiro sentì qualcuno bussare alla porta. Accigliandosi, pensando che dovesse trattarsi di qualche nuovo problema cittadino o, anche, di qualche notizia dal fronte, lo spagnolo andò subito ad aprire.

Quando si trovò davanti dei soldati che non conosceva, ma che portavano lo stemma dei Borja, non seppe se esserne felice o impaurito. Pensando subito che dovessero riferirgli gli ultimi movimenti del Valentino a Senigallia – città che, sapeva, stava per cedere al suo attacco – invitò i due uomini a entrare.

Questi, però, non si mossero e, anzi, alle loro spalle se ne palesarono altri quattro. In un lampo, Ramiro ebbe un ricordo doloroso e subitaneo di quando Michelotto l'aveva preso e portato in cittò in catene, per punirlo di un debito che, a sua detta, aveva maturato nei confronti del Duca. Aveva creduto quello spiacevole avvenimento risolto e concluso, ma forse si sbagliava...

“Vi dichiariamo in arresto – sentenziò il più grosso dei soldati, mentre altri due afferravano con violenza il Lorca per le spalle, impedendogli di muoversi – per le continue esitazioni e corruzioni e asprezze da voi messe in atto. Per ordine del Duca, Sua Eccellenza Cesare Borja.”

Ramiro sentì il cuore perdere un colpo e la lingua impastarsi tanto da impedirgli di urlare o provare a difendersi. Non ebbe nemmeno la forza di opporsi quando i soldati cominciarono a trascinarlo fuori dalla sua stanza, incuranti del fatto che indossasse abiti da camera e fosse scalzo. Lo portarono quasi di peso fino alla torre e da lì scesero nelle segrete, andando sempre più giù, sempre più al buio.

Il prigioniero non capiva cosa fosse successo, non capiva l'accusa che gli era stata mossa, né perché così improvvisamente fosse stato catturato e portato in cella, senza né una spiegazione, né un confronto, né, tanto meno, un processo.

Corroso dal pianto e dalla paura, lo spagnolo non riuscì neppure a ricostruire dove di preciso l'avessero portato. Quando chiusero la porta con una pesante catena, però, seppe con certezza una cosa: era da solo, era al buio, era al freddo e da lì non sarebbe uscito vivo.

 

Bianca aspettava in ansia, appena dietro la porta della sua stanza. Sua madre le aveva chiesto di attendere lì Troilo, in modo da non avere testimoni, e così la ragazza aveva fatto.

Teneva Pier Maria stretto al seno e il bambino, tranquillo, ma vigile, sembrava capire che stesse per accadere qualcosa di bello.

Mancavano appena tre giorni a Natale, ma per la Riario era già cominciato il tempo più lieto. Si sentiva come sua nonna Lucrezia che, stando ai racconti della Tigre, aveva atteso fremente il ritorno del suo bel Galeazzo Maria proprio a ridosso del Natale. Si sentiva come la protagonista di un poema, come una giovane regina che aspettava il suo re...

Quando finalmente la porta si aprì, Bianca rimase ferma al suo posto, a godersi la vista di Troilo.

L'uomo, richiudendosi subito l'uscio alle spalle, ebbe una reazione simile. E se lui si concentrava sulle forme piene e giovani della sua amata, perdendosi nell'oro dei suoi capelli e nel blu dei suoi occhi, lei ne osservava le spalle larghe, su cui si stava sciogliendo un po' di neve, e le gambe snelle e lunghe, che lo rendevano tanto slanciato da farlo sembrare quasi un suo coetaneo.

Il De Rossi riuscì finalmente a sorridere, sopraffatto da un insieme scomposto di emozioni che gli impediva di profferir parola. Le sue labbra erano in parte nascoste da una fitta barba bionda che, verosimilmente, lasciava crescere ormai da giorni.

Bianca ricambiò il sorriso, ma con più naturalezza, quasi dimostrando in modo tranquillo e naturale come fosse lei, tra i due, a saper gestire meglio le emozioni. In realtà nel suo cuore si agitava una tempesta e le sue gambe tremavano dalla voglia di mettersi a correre per saltargli al collo e baciarlo.

Tuttavia la giovane sapeva di tenere in braccio Pier Maria, il frutto più prezioso del loro amore e, in rispetto a tutto quello che quel bambino era e rappresentava, prima di dire o fare qualsiasi altra cosa, dichiarò: “Ecco nostro figlio.” e poi, guardando un momento il bambino, si rivolse direttamente a lui e, con dolcezza, gli sussurrò: “Questo è tuo padre.”

Come camminando sulle nuvole, l'uomo mosse qualche passo verso la Riario e, quando fu abbastanza vicino, riuscì finalmente a staccare gli occhi da lei e a guardare il neonato. Era roseo e sereno, con pochi capelli quasi bianchi sul capo e gli occhi svegli, che lo cercavano e lo indagavano come a porgli una miriade di silenziose domande.

Con un nodo alla gola per la commozione, il De Rossi si chinò appena sul piccolo e lo baciò sulla fronte, solleticandolo un po' con la barba e poi, passandogli l'indice sulla guancia, sussurrò: “Ti somiglia...”

Bianca, che non si capacitava di come la presenza di Troilo, per lei, stesse quasi annullando quella di Pier Maria, sospirò e commentò: “Somiglia molto anche a te... Ha le tue stesse mani... Ed è sano e forte come te.”

“Posso tenerlo..?” chiese lui, agitato.

Bianca annuì subito e gli fece vedere come tenere in braccio il neonato. Il De Rossi lo prese con delicatezza, ma anche con estrema sicurezza. Lo cullò qualche istante e poi lo baciò di nuovo in fronte, beandosi del suo profumo.

“Non sai quanto mi renda felice, vedervi così...” bisbigliò la ragazza, fissando il suo innamorato che, con il figlio al petto, era l'emblema vivente di tutto ciò che aveva sempre desiderato.

L'uomo sorrise ancora, questa volta più convinto e poi, senza preavviso, azzerò la distanza tra loro e la baciò. Nel momento stesso in cui le loro labbra si toccarono, per entrambi il figlio non esisteva più. Tutti e due si vergognavano di quel fatto, ma era la semplice verità: il desiderio reciproco prevaricava la gioia e l'orgoglio di avere tra le braccia Pier Maria.

“Aspetta...” sussurrò la Riario, riuscendo a fatica a smettere di baciarlo e facendosi ridare il piccolo: “Affido il bambino alla balia...”

L'uomo, consegnando quasi a fatica il piccolo alla giovane, annuì e la lasciò uscire dalla stanza.

Si sedette sul letto, senza fiato. Per mesi aveva immaginato quel figlio, dapprima non sapendo se sarebbe stato un maschio o una femmina e poi, ricevuto il messaggio per voce di Creobola, immaginandosi un neonato forte e robusto, ma Pier Maria superava di gran lunga ogni sua aspettativa.

Eppure... Eppure... Quasi con un velo di senso di colpa, l'uomo sentiva di desiderare di più la compagnia di Bianca che non del figlio, e le era grato, anzi, gratissimo, per essere stata la prima a suggerire di riaffidare il piccolo alla balia, in modo da poter restare da soli.

Quando la Riario rientrò, chiuse con cura l'uscio e poi si avvicinò a Troilo. Gli tolse con cura il mantello, che iniziava a essere pesante per colpa della neve sciolta, e lo baciò di nuovo, sporgendosi verso di lui.

L'uomo, alzandosi, carico di un nuovo vigore, la strinse tra le braccia, cercando, con rapido successo, l'ebrezza che Bianca gli aveva dato fin dal primo momento. La loro differenza d'altezza faceva si che per continuare a sfiorarsi le labbra, il De Rossi dovette prenderla di peso e sollevarla da terra, ma a nessuno dei due importava.

La Riario, che sentiva il cuore schizzare fuori dal petto e l'eccitazione farsi così acuta da fare quasi male, smise per un istante di baciarlo e gli accarezzò la guancia: “Mi piaci con la barba...”

“Lo so.” ammise lui, che, in effetti, aveva evitato di radersi negli ultimi giorni solo per farle cosa gradita, anche se un uomo non sbarbato a quel modo dava a tutti un'idea di trascuratezza e scarsa affidabilità.

“Se vuoi, posso raderti io...” si offrì la giovane, che non vedeva l'ora di prendersi cura del suo uomo, anche in quel genere di cose: “Ma dopo...”

Troilo sorrise, nel capire quanti sottintesi ci fossero, in quel 'dopo' appena sussurrato.

Solo mentre la Riario cominciava a sfilargli il camicione l'emiliano ebbe un attimo di esitazione e, fermandosi di colpo, la guardò e le chiese: “Non sarà troppo presto?”

Bianca, in realtà, si era posta tante domande, nelle ultime settimane, interrogando tanto il proprio corpo quanto, quando ne aveva avuto l'occasione, la levatrice che l'aveva visitata, ed era giunta a conclusione che tentare non le sarebbe costato nulla: se per qualche motivo avesse provato del dolore o avesse avuto altri problemi era certa che il De Rossi avrebbe capito e si sarebbero fermati, per riprendere il discorso in un secondo momento.

Così, riprendendo a spogliarlo, sussurrò solo: “Faremo con calma...”

Dopo qualche secondo ancora, in cui entrambi parvero decisi a non frapporre più indugi, fu la volta della Riario di avere un moto di perplessità.

Quando l'uomo già le stava sollevando la sottoveste, scoprendo le gambe nivee e morbide, la ragazza posò le mani su quelle di lui e dichiarò: “Spero che tu non mi trova troppo cambiata, dopo il parto... Sai...”

Troilo la frenò subito, scoprendo sul suo viso un velo di imbarazzo che non voleva vedere: per lui la naturalezza con cui Bianca l'aveva preteso e amato fin dalla prima volta era una delle cause dell'attrazione che aveva provato e che continuava a provare. Perciò, scuotendo il capo, le diede un bacio, forzando appena il blocco che lei cercava di imporgli, tornando a indagarne le cosce con le mani forti e frementi.

“Mi hai reso padre e presto mi renderai tuo sposo.” le assicurò, prendendola di peso e, tendendola in braccio, la portò sul letto, mettendosi lentamente sopra di lei: “Tu sei l'unica donna che io voglia.”

La giovane, presa dal momento, non riuscì nemmeno a ribattere e decise che avrebbe assaporato ogni istante, senza farsi più tante domande o porsi chissà quali dubbi. Sentire di nuovo l'odore e il sapore di Troilo la stava inebriando. La sua voce profonda, che di quando in quando le sussurrava una parola all'orecchio, o si spegneva in un sospiro tremulo, era per lei linfa vitale. Amava come non mai il suo corpo solido, il modo in cui la teneva a sé, dimostrando con ogni suo gesto quanto avesse atteso quel momento.

La Riario trovò così semplice unirsi di nuovo a lui, da non riuscire a trattenere un sorriso di trionfo, come se quel fatto le desse ragione su tutto: l'emiliano era l'uomo giusto per lei, e malgrado tutte le difficoltà, non era stato un errore.

Come ubriaca, si aggrappava a lui, tenendolo per le spalle, ora affondando il viso nel suo collo, ora cercando le sue labbra con le proprie. Era stordita, senza fiato, le pareva quasi impossibile che lui fosse davvero lì, con lei, che la stesse portando a esternare il proprio piacere senza alcun pudore, come se fosse sicura che nessuno, in quella villa, potesse sentirli e accorgersi di loro.

“Lo sai che non ci sarà solo questo, vero?” chiese Bianca, all'improvviso, in un momento di relativa calma, mentre Troilo riprendeva fiato.

Confuso, trovando difficile concentrarsi su una domanda così complicata, l'uomo si accigliò, interrogativo.

La Riario ci aveva pensato molto, così come aveva fatto su tante altre cose, nelle lunghe ore e nei lunghi giorni trascorsi nella sua attesa. Lei era cosciente del fatto che, col tempo, sarebbero subentrate tante cose, che la quotidianità, i problemi, lo Stato, tutto quanto avrebbe ridimensionato la fiamma che ora li teneva uniti. Anche se la passione non si fosse spenta mai, comunque ci sarebbero state tante altre cose, con cui misurarsi.

E lei voleva che anche il suo uomo se ne rendesse conto per tempo.

Siccome, però, il De Rossi non sembrava molto incline a voler ragionare, ma stava già rimettendosi d'impegno per onorare a suo modo l'amore che provava per la sua donna, Bianca lo fermò di nuovo, questa volta prendendolo per i capelli biondi, costringendolo a guardarla.

“Ci sarà la vita di tutti i giorni... I figli... Lo Stato...” iniziò a elencare, col fiato corto.

“Lo so.” annuì lui, capendo finalmente quale fosse il punto cruciale del discorso: “Ma ci amiamo. E vogliamo che vada bene: quindi andrà bene.”

Davanti alla sicurezza ostentata dall'emiliano, la Riario non volle più sollevare la questione e tornò a perdersi in lui senza più dire altro.

Era ormai scesa la sera, ed entrambi sapevano che tutti si sarebbero aspettati di vederli a cena, senza contare che, subito dopo il pasto, Troilo aveva promesso di incontrare separatamente la Tigre, per discutere i dettagli del matrimonio.

“Ti andrebbe di radermi ora?” chiese lui, mentre intrecciava le dita della mano a quelle della sua innamorata che, tranquilla, gli stava coricata accanto, guardando verso il camino.

“Va bene...” sussurrò lei e, un po' a malincuore, si alzò e recuperò il rasoio e gli unguenti che teneva nella cassapanca.

“Nessuno trova strano che una donna come te tenga quelle cose tra i suoi effetti personali?” chiese lui, ridendo, mentre si metteva seduto, senza darsi pena di vestirsi subito, dato che la Riario non sembrava intenzionata a farlo a sua volta.

“A nessuno è permesso guardare nella mia cassapanca.” rispose lei, con un tono che non ammetteva repliche: “Chi ci dovesse provare, non farebbe una bella fine.”

Benché Troilo non ritenesse Bianca una persona pericolosa, in quel momento sentì un brivido correre lungo la schiena e fu certo che non si trattasse di un brivido di freddo, ma di ben altra natura.

Lentamente, con una manualità che avrebbe fatto invidia perfino al Novacula di Forlì, la Riario cominciò a sbarbare l'uomo e poi, colta da un pensiero improvviso, gli disse: “Non stavo prendendo la mia pozione, in questi giorni... Non ho pensato che sarebbe stato meglio farlo...”

Il De Rossi, sollevando le sopracciglia, attese di sentire la lama del rasoio allontanarsi dalla propria gola e commentò: “Hai partorito da poco e stai ancora allattando... Non dovrebbe succedere nulla di irreparabile... Comunque staremo più attenti.”

Dopo un lungo momento di silenzio, mentre gli passava il telo sul mento, per rimuovere i resti della barba bionda, Bianca sussurrò: “E poi, visto che Pier Maria è un maschio... Dovremo pensare bene a come muoverci.”

La spaventava sempre di più scoprire quanto le risultasse già facile immaginare di staccarsi dal piccolo, lasciandolo alla madre, pur di poter seguire senza problemi il suo innamorato prima a Roma e poi sa San Secondo. Che madre era? Era normale tenere più al proprio uomo che al proprio figlio primogenito?

“Sì.” annuì lui, cercando gli occhi blu scuri della sua donna: “In questi giorni ne discuteremo con calma e sono sicuro che troveremo la soluzione migliore.” poi chinò appena la testa di lato, e soggiunse: “Intanto, stasera, dopo cena, devo parlare con tua madre, che vuole sapere i dettagli del matrimonio...”

La Riario annuì, senza commentare, e cominciò a rimestare la crema lenitiva da applicare alle guance ormai lisce del suo futuro marito.

Appena prima che la giovane cominciasse a ungerlo, Troilo si schiarì la voce e dichiarò: “Vorrei che ci fossi anche tu...”

“No.” rifiutò all'istante la ragazza, immaginando che, tra le varie cose, si sarebbe parlato di come gestire la prima notte di nozze, avvenimento che, il Trivulzio era stato chiaro, avrebbe comportato la presenza di vari testimoni, i quali si aspettavano una sposa ben diversa da una come lei che, addirittura, aveva già partorito un figlio: “Parlatene voi... Poi noi due ne parleremo dopo, con calma...”

Con un sorriso d'accordo, l'emiliano sussurrò un breve sì e poi aspettò che la Riario lo cospargesse della mistura lenitiva che profumava di erbe e faceva pizzicare il naso. Era un balsamo straordinario e, nel giro di pochi istanti, l'irritazione della fresca rasatura era già sparita.

“Sai, stavo pensando...” fece a quel punto il De Rossi, con espressione seria: “Se dovessimo aver problemi con San Secondo, se non dovessimo riuscire a riprendere come vorremmo le redini dello Stato...”

Bianca lo osservò con attenzione, cercando di capire come avrebbe risolto quel pensiero.

“Ecco, pensavo che potremmo aprire una barberia.” concluse lui, con una risata allegra che andò subito a stemperare l'ansia del momento: “Tu a rasare i clienti, e io a tenere i conti...”

Dandogli un rapido bacio, annusando compiaciuta il profumo mentolato che si sollevava dalla pelle di lui, la giovane convenne: “Vedi? Siamo pieni di risorse... Nulla ci può spaventare...”

   
 
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