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Autore: Ciuscream    28/10/2022    4 recensioni
Daphne le ha detto che, ormai, ha perso smalto; Pansy ha messo su una smorfia strana – un miscuglio indefinito di sufficienza e terribile consapevolezza – poi è passata oltre.
Se lo è chiesto spesso se, davvero, finire a fare l'amante significhi aver perso quell'altezzosa fierezza di cui si è sempre fatta vanto. Oppure è stata, dopotutto, una strategia come un'altra per ottenere, con poco sforzo, quello che le è sempre stato negato. Che cosa sia quello che le è sfuggito dalle mani, quello che ancora brucia sulla lingua, ancora non lo ha ben compreso. Forse, voleva soltanto una vendetta su Draco per quella scelta scellerata di sposare una Greengrass, la più sbiadita, o, forse, rincorreva un'attestato di vittoria su Narcissa, che le ha sempre posato addosso occhiate poco lusinghiere.
Mentre il sole tiepido di settembre le solletica le gote, però, la risposta le sembra poco rilevante.

[Lucius/Pansy – Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucius Malfoy, Pansy Parkinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pozzi di pece (mai di pace) – Lucius/Pansy'
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VECCHI SOGNI
(parte seconda)

[#writober, 28 ott. - strappo]

 

Non c'è stato un giorno – un brandello d'ora, stralcio di minuti lunghissimi – in cui non abbia pensato di tornare indietro, di tornare da lei. Ad occhi chiusi, nel buio e nel silenzio del Manor, ha immaginato mille volte la risata roca di Pansy risuonare leggera, scaldandolo; l'ha immaginata camminare per quei corridoi, coperta solo da una vestaglia di seta, il viso ancora leggermente gonfiato di sonno e di sogni che scemano. Ha immaginato, solo e soltanto. Perché perdersi è un attimo e concedersi il lusso di raggiungere di nuovo Parigi avrebbe significato soltanto non riuscire a tornare più a casa.

 

Perché, Lucius lo sa, ciò che serve a lui – a lei? - a loro, è soltanto uno strappo. Deciso, letale, permanente.

 

E ci ha provato. Ha lasciato che le parole di Narcissa, dure, taglienti come lame, gli impattassero sui timpani con troppa forza perché lui ne avesse abbastanza per contrastarle. Ama chi vuoi, Lucius, dormi nel letto di chi credi. Però non mi umiliare, come non ho fatto io con te. Non farmi vivere la vergogna di un divorzio, la vergogna di essere rifiutata.

 

Non riesce a comprendere come mai, però, quello strappo non abbia funzionato: perché Pansy è aggrappata ad ogni scampolo di ricordo, ad ogni oggetto che riporta ad un altro, in una catena di immagini che si ferma sempre ed immancabilmente a lei. Ha lasciato che settembre sfumasse nel vuoto, che le foglie si arrossassero e sbiadissero, fino a cadere, fino a rattrappirsi, come lui. Ha lasciato che gli ultimi singulti di caldo venissero rimpiazzati da un freddo che pizzica – quello che si sente addosso, sceso fin dentro le ossa, fino al suo sangue da rettile – ed ha atteso che l'assenza di un segnale qualsiasi gli desse la forza di passare oltre. Ha atteso invano.

Al Ministero, alla Gringott, in salotti addobbati di sete e velluti, lui sposta lo sguardo e vede lei: la vede in disparte, un calice in mano, nel corpo di una ragazza dai capelli castani, appena più lunghi; la vede a Nocturne Alley, un mantello scuro e un cappuccio calato fin sopra gli occhi, passi molto meno aggraziati; la sente dietro un angolo, una voce altrettanto roca e calda, ma una risata che non ha lo stesso sapore.

La sente e la vede – ovunque. Sempre e soprattutto dove non c'è.

 

C'è colpa che striscia nei sentimenti che adesso gli affollano il petto: è stato lui a chiederle di dirgli che cosa avrebbe voluto davvero. Ed era pronto a darglielo, a dargli tutto quello che possedeva: i galeoni, il Manor, anelli, una vita diversa, una vita che non fosse in esilio in un Paese straniero, una vita che non fosse nascosta in una bolla bellissima e lontana.

Sa che lei però non avrebbe accettato niente meno di ciò che chiesto: un matrimonio, una posizione, il posto al suo fianco. La luce del sole di quell'amore tanto sbagliato e tanto giusto – quanto può esserci d'errore in due corpi che si incastrano con geometrie perfette, con punte ed angoli a combaciare di precisione millimetrica? Quanto può esserci d'errore in mani che suonano sempre i tasti giusti di un corpo dalle mille sinfonie, le più belle fra le possibili? Però, Lucius ha mani che tremano e un sì che non esce dalle labbra: davanti a quelle due lettere c'è una moglie, un figlio, una vita passata vicini – se non a proteggersi, a sostenersi – anche quando il buio era grande e la loro casa era la tana del nemico. Narcissa è rimasta a baluardo di quello che erano, nonostante lui fosse diventato la macchietta di sé stesso. Lo ha fatto per entrambi. E lui non può, non può davvero, farle questo.

 

E mentre questo pensiero si fa spazio in lui, mentre si convince che la strada giusta è quella che conduce lontano da Montmartre, un ricordo – improvviso – gli arriva alla mente. Sono tanti, miriadi, e tutti hanno dentro lei. Lei che coglie una violetta del pensiero e la mette vicino al suo viso per fargli scorgere una somiglianza. Lei che si affaccia sul vuoto e, impaurita, scatta all'indietro, rifugiandosi sotto il suo mantello. Lei che plasma la magia tra le mani e la instilla in una collana dalla forma di serpente. Lei che, immersa nei fumi della loro cantina, getta gocce in un pentolone e trasforma ingredienti spaiati in veleno. Lei – nuda – sotto la luce della luna, il suo corpo che non è solo pieghe, è un percorso di vallate e montagne, è una scoperta nuova ad ogni tocco. È la gioventù che torna a rapirlo, a fargli sentire ancora le mani fremere, a sentire il sangue scorrere nei polpastrelli che bramano di toccarla ancora.

Pansy è questo e molto di più – uno strappo, uno strappo che lo divide a metà e lo lascia incapace di vivere in una e nell'altra vita.

 

Così, propositi granitici diventano poltiglia, diventano poco più di un liquido, quando uno di questi ricordi si affaccia su di lui. Basta un profumo – una casa addobbata di gelsomino, incenso che sfuma nell'aria – e deve piantare i piedi a terra per non materializzarsi altrove, per non andare a cercarla ovunque sia. Quando è troppo debole anche per questo, chiede: il ritratto gemello nel Manor e nella casa a Montmartre che fa la spola – un vecchio Malfoy, rapito anche lui dalla bellezza di Pansy, che non dice, ma vorrebbe, che è uno sciocco a stare lì, a farsi mangiare gli ultimi anni da vecchi doveri. Ma non ne ha il coraggio e meno ne ha Lucius: quindi uno tace e l'altro aspetta, entrambi congelati – uno nella tela, l'altro nella vita.

Solo quando i racconti narrano di una Pansy sempre più assente da casa, con il viso non più contrito dal dolore ma arrossato dal vino, da un sorriso, Lucius si scrolla di dosso quell'immobilismo messo a repentaglio da dolore e gelosia in egual misura. Sa che è sbagliato, illogico ed insensato; due mesi a cercare di cancellare le tracce di lei, le loro impronte, e poi basta una miccia appena accennata e tutto brucia di nuovo. Lo sa che l'amore sarebbe lasciarla andare via, salvarla: ma non c'è solo amore in lui, non prova nemmeno a nasconderselo. C'è la possessione e il pensiero annegante di altre mani addosso a lei, c'è il rimpianto di quello che doveri e pressioni non gli permettono di ottenere, nonostante con lo voglia con forza. C'è un dolore sordo che ha preso posto tra i polmoni.

 

Così chiede e così scopre – Malfoy è un cognome che rimbomba alto anche oltre la Manica. Non ci mette molto a sapere del Moulin de la Galette, della corte di Belmont Lefebvre, dei suoi occhi verdi e delle sue spalle larghe. E così, un orgoglio tante volte calpestato adesso scalpiccia dentro di lui come il fuoco nel camino di quella stessa sala dall'odore dolciastro. Non sa perché l'abbia fatta chiamare lì – abbia chiesto e sversato galeoni per avere accesso a quella stanza magica – se poi dovrà andarsene di nuovo, se poi dovrà dirle che, in giorni lunghi e lenti, nulla è cambiato nelle sue premesse e nelle sue promesse. Niente, se non che una mancanza senza nome gli mangia i nervi e una gelosia, che di nomi invece ne ha a milioni, glieli risputa addosso.

Sente la porta aprirsi, sente quel fastidioso accento francese, sente invece le parole di lei. Prima la sorpresa nella voce, poi un'incrinatura, poi la consapevolezza che qualcosa stia per accadere. Scivola oltre la stanza – si odia per averla fatta arrivare lì così, come se l'avesse fatta rapire e ingannare – vede le spalle, l'abito lungo che fruscia. Il corridoio si riempie del sentore di quel gelsomino che ha fatto studiare al milligrammo, per farglielo confezionare così, perfettamente intonato all'aroma della sua pelle bianchissima come quel fiore. Sente il corpo fremere piano, sente il cuore che invece sferraglia, impazzito e impotente, di fronte ad un'adrenalina che arriva a fiotti e a cui deve fare lui stesso una resistenza strenua, per non acchiapparla, per non voltarla, baciarla ed averla. Subito.

“Ciao, Pansy”

La sente fremere di un brivido, la vede scuotersi appena. Non si volta, non ancora – eppure ha davanti agli occhi la sua espressione, gliela può leggere da dietro la nuca, da dentro la testa, può sentirla muovere impercettibilmente gli occhi e le mani. La sente così sua, la sente così vicina, che la gola gli si secca appena. Forse è per quest'arsura o per una paura allagante che passa un secondo lunghissimo e pregno, prima che riesca a dire qualcosa ancora. Manciate di lettere di una verità che lo abbaglia.

“Mi sei mancata”

(continua)
 

 



Note: come flusso degli eventi, questo capitolo non aggiunge nulla ai precedenti. Però mi serviva soffermarmi su quello che Lucius ha pensato in questi due mesi di lontananza da Pansy, sia per la storia (mancano davvero pochissimi giorni alla fine del Writober e di questo viaggio bellissimo ç_ç) sia per non terminare questa storia senza aver detto di lui tutto quello che davvero penso lo animi. La fine è vicina e io tremo un po', questo centellinare serve soprattutto a me che di “strappare” non ho davvero il coraggio.

Grazie a tutti per essere arrivati anche oggi fino qui, vi abbraccio!

   
 
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